“Poiché il processo riavviato è diventato, da solo, una crescente frustrazione per i critici di Papa Francesco, la prospettiva di un futuro Sinodo che affronti pienamente la sostanza del decentramento del governo ecclesiale è il segno più evidente che, per Francesco, il “cammino” – e i suoi cambiamenti – è ancora lontano dall’essere concluso”.
Così conclude Rocco Palmo in questo suo articolo pubblicato su Whispers in the Loggia che vi propongo nella mia traduzione.

Aula del Sinodo
Aula del Sinodo
Sei anni fa, proprio mentre divenne inizialmente chiaro che il Sinodo dei vescovi sarebbe emerso come “la chiave per la scossa” dell’ordine ecclesiale, percepire che un’assemblea allargata avrebbe potuto dare al Papa un mandato per esplorare le possibilità del clero femminile e un “approccio universale” ai sacerdoti sposati sarebbe sembrato un sogno di febbre liberale.
Eppure ora, siamo arrivati proprio qui.
Tempi lontani da quelli di una Rota pre-2013 che vedeva testi anodini tenuti all’interno di stretti “guardrail” dalla Curia, dato il passaggio completo di sabato di un documento finale che accennava anche a cambiamenti nella composizione gerarchica della chiesa e sollecitava un approccio ampio e radicale all’inculturazione, non sembra un’esagerazione dire che, se questo testo fosse stato presentato prima di Francesco, i suoi autori – e chiunque avesse votato per esso – probabilmente avrebbero rischiato di essere rimossi dall’incarico (o posti sotto indagine della CDF [la Congregazione per la Dottrina della Fede]). Alla luce di ciò, il fatto che ciascuna delle 120 proposte del documento abbia ottenuto l’approvazione di due terzi del documento è semplicemente stupefacente di per sé.
Sicuramente, e come previsto, il linguaggio finale degli elementi che creavano più tensione – la richiesta di una ripresa dello studio delle donne nel diaconato, e l’affermazione del luogo normativo del celibato sacerdotale nel mentre si cercava un adattamento locale per i “viri probati” “nelle zone più remote dell’Amazzonia” – è stato debitamente manipolato con condizionamenti sufficienti a rendere le proposte accettabili dei Padri più indecisi. Eppure, e a prescindere da ciò che accadrà da qui in poi, che proprio quei concetti siano diventati il prodotto finale e abbiano conseguito l’approvazione finale rappresenta uno spartiacque – [passo soppresso non molto comprensibile, ma non importante ]…. e che l’editore di detto Catechismo (card. Schönborn, ndr) sarebbe assurto “a mediatore” in questo scenario produce una distinta impressione di una storia che scrive dritto utilizzando linee storte.
Tanto più che la Chiesa ha conferito l’ordinazione sacerdotale a diverse centinaia di uomini sposati nella chiesa latina negli ultimi quattro decenni – prima attraverso il Provvedimento Pastorale di Giovanni Paolo II, poi con gli ordinariati anglicani di Benedetto XVI – è sorprendente che, secondo i conteggi dei voti, l’idea di ammettere le donne al diaconato permanente si è rivelata palpabilmente meno problematica per i Padri sinodali rispetto alla concessione di un’ulteriore, dispensa prettamente regionale per i sacerdoti sposati.
In ogni caso, le reazioni dei campi di guerra fuori dall’Aula hanno consentito un adeguato ultimo giro di pista del circo mediatico che ha circondato queste tre settimane: mentre la stampa italiana ha strillato che il risultato ha rappresentato “il trionfo dei riformatori” – e un gruppo di lobby progressista ha esultato (presumibilmente a viso schietto) che “Siamo pronti a consegnare nuove forme di ministero per le donne!…… Il cardinalato!……. Il papato!” – l’opposizione tradizionalista del Sinodo ha convocato una manifestazione fuori dall’odierna messa di chiusura “per impedire che il diavolo” delle statue amazzoniche rubate, recuperate dal Tevere il venerdì scorso, non comparisse per l’ultima volta in San Pietro.
Apparentemente per evitare qualsiasi disturbo della messa con il tentativo di rubare nuovamente l’attenzione, le statue, ormai famose, sono state evidenti per la loro assenza.
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Tornando a questioni di sostanza reale, tra gli altri vantaggi di essere l’unico legislatore del Sinodo romano, il presidente dell’organismo non ha solamente “l’ultima parola”, ma ne ha tre. 
Di conseguenza, mentre la messa di chiusura ha visto Francesco ammassare disprezzo sul fariseo nel Vangelo di oggi, il quale “sta nel tempio di Dio, ma adora un altro dio: se stesso” – aggiungendo per buona misura che “molti gruppi ‘prestigiosi’, ‘cristiani cattolici’, percorrono oggi questo cammino” – il discorso finale più significativo (finora) è arrivato ieri sera con la consueta chiusura programmatica del Papa in Aula.
A differenza dei suoi tre Sinodi precedenti, l’ordine del giorno e il ritmo degli sviluppi era tale che il pontefice non aveva un testo scritto per le sue osservazioni serali, ma le ha date a braccio. 
Ergo, ecco il video tradotto – ed è appena uscita una traduzione in inglese dei commenti:
 
Naturalmente, l’ultima “ultima parola” attende ancora – e in Aula, Francesco ha sorpreso il gruppo osservando che la sua Esortazione post-sinodale (la cui uscita era stata prevista per i primi mesi del 2020) probabilmente potrebbe essere terminata “prima della fine dell’anno”.
Come per il discernimento che ha prodotto Amoris Laetitia – frutto dei suoi primi due Sinodi – Papa Bergoglio affronta nuovamente la sfida di “infilare l’ago” tra quello che, in quel caso, ha definito “un desiderio smodato di cambiamento totale senza sufficiente riflessione o fondamento, [o] un atteggiamento che avrebbe risolto tutto applicando regole generali o traendo indebite conclusioni da particolari considerazioni teologiche”.
Per di più, però, con questo banco di prova per la piena capacità del Sinodo come agente di cambiamento, ora con un successo pronto per la distribuzione – almeno, come Francesco & Co. lo giudicherebbe – il Papa ha fatto scivolare un’altra “bomba” nascosta nel discorso, rivelando il suo pensiero che la prossima edizione del sinodo potrebbe concentrarsi solo sulla stessa “sinodalità”.
Poiché il processo riavviato è diventato, da solo, una crescente frustrazione per i suoi critici, la prospettiva di un futuro Sinodo che affronti pienamente la sostanza del decentramento del governo ecclesiale è il segno più evidente che, per Francesco, il “cammino” – e i suoi cambiamenti – è ancora lontano dall’essere concluso.
Di Sabino Paciolla