Nel documento finale del Sinodo sull’Amazzonia colpisce il silenzio sulla missione della Chiesa: la salvezza delle anime. Si parla di dialogo, ma non di vita eterna. La moltiplicazione dei ministeri e le “quote rosa” confermano la linea mondana. Riguardo a diaconesse e preti sposati (senza continenza), i registi del Sinodo hanno usato cautela, perché l’obiettivo immediato era, secondo l’espressione cara a papa Francesco, “avviare processi”.
Intervenendo sabato scorso nell’aula sinodale, papa Francesco ha chiesto ai giornalisti di valutare il documento finale nella sua parte più rilevante e profonda, cioè quella che ha definito essere “la diagnosi” della situazione amazzonica. Il motivo centrale del documento è quello della conversione integrale, che viene declinata secondo altri quattro aggettivi: pastorale, culturale, ecologica e sinodale
Si tratta di cinque capitoli molto verbosi, dove gli slogan si rincorrono e si ripetono, slogan in gran parte mutuati da questo pontificato; non a caso papa Francesco e le sue encicliche sono il riferimento quasi esclusivo del testo. Ma a colpire maggiormente, oltre a questa ridondanza, è il totale silenzio su quella che è la vera natura della missione della Chiesa, ossia la salvezza delle anime.
Il secondo capitolo, dedicato all’azione missionaria della Chiesa, parla di dialogo, ascolto, accompagnamento, nuovi cammini, persino di evangelizzazione, ma da nessuna parte si apre la prospettiva della vita eterna. La conversione è richiesta ai missionari, affinché vivano una vita semplice e sobria, alimentando una spiritualità mistica nella scia di un san Francesco più idealizzato che reale (cfr. § 17), un Poverello d’Assisi che appare intento a edificare un regno di quaggiù, piuttosto che raggiungere quello di lassù. Nel medesimo paragrafo, infatti, si precisa che la meditazione della Parola di Dio è finalizzata ad ascoltare i non meglio precisati “gemiti dello Spirito” e ad incoraggiarci nell’impegno per la cura della “casa comune”: la preghiera, la grazia, la parola di Dio e persino i sacramenti sono orientati all’edificazione di un regno immanente, un regno che coincide con uno sviluppo “armonico” dell’umanità.
È per questo che la cultura amazzonica viene particolarmente elogiata: con il suo “buen vivir”, essa sarebbe un esempio di armonia “francescana” degli uomini «con se stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l’essere supremo» (§ 9). Non solo la parola di Dio, ma anche l’Eucaristia diventa funzionale al raggiungimento di obiettivi terreni. Il paragrafo 110 si fa eco della rivendicazione delle comunità amazzoniche di poter avere la celebrazione eucaristica, in quanto essa è «punto di arrivo (culmine e consumazione) della comunità; nello stesso tempo è punto di partenza: di incontro, di riconciliazione, di formazione e catechesi, di crescita comunitaria».
Povertà, violenza, discriminazione, disoccupazione, sostenibilità, democrazia, consumo di droga e alcool, diventano così gli ambiti in cui questa azione missionaria deve spendersi e in ultima analisi esaurirsi: è da queste miserie e non dal peccato che dobbiamo essere redenti, e la fede diventa funzionale a questi obiettivi.
Dal documento emerge, infatti, una prospettiva che non sembra più distinguere tra progresso sociale e Regno di Dio. Venute meno l’urgenza per la salvezza dei popoli e l’azione apostolica per spingere le genti ad entrare alla cena del Padrone di casa (cfr. Lc 14, 16-24), la Chiesa deve cercare nuovi domini “orizzontali” di azione e impegno: appare questa la chiave di lettura del documento e si deve perciò ammettere che, se si deve parlare di diagnosi, si tratta di una diagnosi gravemente manchevole, che non ha colto la malattia e di conseguenza non sa dare una vera cura.
In questa luce, si dovrebbero meglio comprendere i suggerimenti di natura “disciplinare” che i vescovi hanno presentato al Papa, che traducono questa assenza di prospettiva escatologica e soprannaturale. Anzitutto, l’uso, usque ad nauseam, dei termini «ministerios» e «ministerialidad», con la richiesta di promuovere ministeri esistenti e di istituirne di nuovi: si chiede di istituire il «ministero dell’accoglienza nelle comunità urbane» (§ 36); si promuove «un ministero giovanile rinnovato e audace» (§ 32); si domanda di creare «dei ministeri per la cura della “casa comune” in Amazzonia» e un nuovo ministero «dell’accoglienza per quanti sono sfollati dai propri territori verso le città» (§ 79); ancora, si insiste sulla creazione di «ministeri speciali per la custodia della “casa comune” e dell’ecologia integrale a livello parrocchiale in ciascuna giurisdizione ecclesiastica» (§ 82). E poi l’idea di un ministero «per l’esercizio della cura pastorale» (§ 96), ossia dei parroci laici, che dovranno essere nominati dai vescovi, ma che svolgeranno il loro compito a rotazione, per evitare personalismi; e infine la richiesta di creare il «ministero istituito della “donna dirigente di comunità”» (§ 102). La moltiplicazione di questi “ministeri” corrisponde a una mentalità mondana; la Chiesa entra nella logica degli Stati secolari, che istituiscono e sopprimono ministeri, a seconda delle esigenze del momento. E che la mentalità sia questa, lo si capisce anche dal paragrafo 95, quando si afferma che «per la Chiesa amazzonica è urgente che si promuovano e conferiscano ministeri per uomini e donne in modo equo». Siamo in piena logica “quote rosa”.
È in questa linea di istituire ministeri per ogni cosa, osservando l’equa ripartizione tra uomini e donne, che va compresa anche la richiesta di rivedere il motu proprio di san Paolo VI, Ministeria quaedam, affinché possano essere conferiti anche alle donne il Lettorato e l’Accolitato (cfr. § 102). Nel paragrafo successivo si fa poi presente che diversi padri sinodali hanno avanzato la proposta del diaconato permanente per le donne; pertanto si richiede di potersi confrontare con la commissione di studio sull’argomento, istituita da papa Francesco nel 2016. Questa formulazione prudenziale del paragrafo è probabilmente dovuta alla necessità di aggirare una certa resistenza, che è rimasta comunque visibile nei 30 non placet. Ma non ci si deve illudere. È importante infatti comprendere che questo Sinodo non aveva l’obiettivo di far saltare il banco, ma, secondo l’ormai nota espressione di papa Francesco, di “avviare processi“.
A confermare la linea sono stati anche due vescovi, molto influenti in questo Sinodo. Durante l’ultimo briefing, il neo cardinale Michael Czerny ha infatti esplicitamente fatto presente che si tratta di «un processo in corso» e che «i processi stanno andando avanti». Stessa musica da parte di monsignor Erwin Kräutler, il quale, in una breve video-intervista con Edward Pentin, non ha nascosto la propria soddisfazione e ha precisato che questo Sinodo «è una tappa verso una nuova epoca. Ritengo che la Chiesa non possa essere compresa senza questo Sinodo. È una nuova apertura per la regione amazzonica, ma anche per tutto il mondo». Tant’è che, sulle diaconesse, Kräutler si è detto sicuro che si farà.
Il paragrafo che ha decisamente prodotto più clamore mediatico è però il 111, nel quale si propone «di stabilire criteri e norme da parte dell’autorità competente [...] per ordinare sacerdoti uomini della comunità idonei e riconosciuti», al fine di assicurare la predicazione e i Sacramenti nelle zone più remote. Nessun obbligo di continenza, ma semplicemente si afferma che possano continuare «ad avere una famiglia legittimamente costituita e stabile». Alcuni vescovi hanno chiesto un «approccio universale» della questione. È evidente che anche in questo caso si è usata cautela. E furbizia. Si è evitata l’espressione viri probati, e si è fatta una magia: si sono resi non permanenti i diaconi permanenti. Che, tradotto, significa ordinare uomini sposati, senza chiedere loro la continenza. Ancora una volta, il problema della carenza dei sacerdoti vuole essere risolto secondo una logica secolare, quasi aziendale: se non bastano i laureati per coprire i bisogni dell’azienda, basta estendere le assunzioni anche ai diplomati.
È importante notare che questa “apertura” viene avanzata in nome di un «diritto della comunità alla celebrazione» (§ 110), un diritto che non può però essere considerato come assoluto e non può essere impugnato contro altri diritti e obblighi, nella fattispecie l’obbligo del celibato.
Infine, due parole sul paragrafo 119. In esso si domanda che il nascituro organismo ecclesiale per l’Amazzonia, realizzato in concerto con il Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam) e la Rete Ecclesiale Panamazzonica (Repam), preveda una commissione che elabori «un rito amazzonico, che esprima il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale amazzonico». Visti gli esempi di inculturazione durante questi giorni di Sinodo, c’è da preoccuparsi. La rassicurazione di «non perdere di vista quello che è essenziale» (§ 118), anziché dare sollievo, aggiunge ulteriori ragioni alle perplessità già sollevate (vedi qui). Perché un rito non è fatto solo di cose essenziali; un rito è come una cipolla: nessuno strato le è essenziale, ma tolti i diversi strati non rimane più nemmeno la cipolla. E le varie riforme, adeguamenti e creatività liturgiche degli ultimi cinquant’anni lo dimostrano. Se poi si giunge a proporre di arricchire un rito «con il modo in cui questi popoli si prendono cura del proprio territorio e si relazionano con le proprie acque» (§ 119), allora stiamo freschi. Anche in Amazzonia.
Luisella Scrosati
- E IL PAPA PENSA GIÀ AL PROSSIMO SINODO, di N. Spuntoni
https://lanuovabq.it/it/il-sinodo-che-ha-dimenticato-la-salvezza-delle-anime
Tutti per la pachamama. E noi cristiani perseguitati?
Nel mio Paese, come cristiani siamo appena l'1% e perseguitati. Noi stiamo morendo da anni difendendo la nostra fede in Cristo, ma per cosa? Il sangue versato dai martiri per difendere la propria fede, ma per cosa? Per poi vedere che la Chiesa si abbassa davanti agli idoli pagani? Questo è il mio dolore...
Ho letto molto in questi giorni quello che è stato scritto sulle statue della pachamama, che sono state gettate nel Tevere pochi giorni fa. Dalla “richiesta di perdono” di papa Francesco ai commenti degli amici di Facebook e i vari articoli scritti, a favore e non. Ho persino letto i tweet di sacerdoti che hanno fatto di tutto per difendere la presenza in chiesa di queste statue. I loro argomenti hanno creato un’enorme confusione nella mente di molti cattolici che ora - a quanto si legge sui social - non sono più in grado di distinguere tra una statua della Madonna e dei santi e gli idoli pagani.
Questa situazione mi fa molto male e voglio spiegare il perché. Sono una cristiana pachistana. Dal paese da cui provengo, come cristiani siamo appena l’1% della popolazione totale. Un numero così piccolo che fa impressione. E quell’1% è sempre a rischio di riduzione in un numero ancora inferiore a causa della persecuzione che ci circonda.
Dal paese da cui provengo, ogni cristiano è pronto a morire per la sua fede. Nessuno di noi ci penserebbe nemmeno una volta a dare la sua vita per ciò in cui crede. Insegniamo persino ai nostri bambini lo stesso amore per la nostra fede e di essere pronti a morire per essa, perché questo è ciò che rischiano ogni volta che vanno alla Messa con la loro famiglia. Lo so che è difficile pensare di dire una cosa del genere ad un bambino, ma lo facciamo. Anche io l’ho dovuto dire alla mia sorellina, e non una sola volta mi ha chiesto: «Ma perché devo morire?»
Noi cristiani stiamo morendo da anni difendendo la nostra fede in Cristo, ma per cosa? Il sangue versato dai martiri per difendere la propria fede, ma per cosa? Per poi vedere che la Chiesa si abbassa davanti agli idoli pagani?
Ecco il mio dolore! Quando vedo tutte queste modifiche apportate alla fede cattolica o vedo difenderle da fedeli che hanno solo sentito parlare di persecuzioni nei notiziari, ma non ne hanno mai fatto esperienza, provo un dolore estremo. Provo rabbia (anche se non vorrei) quando le persone dicono a me (o ad altri): «Stai calma. Prega. Abbi fede nel Santo Padre. Non parlare. Taci. Non commentare. Non alzare la tua voce. Silenzio!». Forse costoro pensano che io non abbia provato. Ma voglio sapere, fino a che punto dovrei stare zitta e guardare impassibile tutto ciò che sta succedendo?
Mi ferisce l’importanza che sia il Vaticano sia i giornali hanno dato alla pachamama mentre ignorano i cristiani che muoiono per la loro fede nel mondo, che pure sono centinaia di milioni. Su di loro esce una notizia, poi basta, non si sente più nulla.
Ogni volta che chiedo perché questo silenzio sul genocidio dei cristiani nel mondo, ci sono amici pronti con questa risposta: «Ma Papa Francesco alza la sua voce per i cristiani perseguitati». Sì, va bene, Sua Santità ha parlato dei cristiani perseguitati, ma non c’è confronto con l’intensità con cui parla per le persone fuori dalla Chiesa. Posso vedere con chiarezza la differenza tra gli sforzi fatti per gli altri e gli sforzi fatti per i cristiani perseguitati. C’è una differenza enorme.
Si fa ogni sforzo per dialogare, per non ferire il popolo amazzonico, per promuovere e difendere la pachamama. Il Vaticano si è pure mobilitato per ritrovare questi idoli nel Tevere. Chi ha notato lo stesso sforzo o entusiasmo per altre questioni molto più importanti?
Faccio un semplice esempio: dove sono tutti i nostri sforzi per proteggere la vita dei bambini innocenti nel grembo materno? Possono proteggere e difendere la dea della fertilità, ma a che serve essere fertili, quando le donne alla fine uccideranno ciò che è dentro il loro grembo?
Tutti a parlare di dialogo e pace, ma vorrei proprio sapere che cosa intendiamo esattamente per dialogo e pace. La pace si ottiene promuovendo valori morali, etici e religiosi, cosa che nessuno fa più.
Stare seduti attorno a un tavolo, firmare accordi, parlare di pace e poi stringere la mano e tornare a casa, non è un modo di dialogare per la pace o la promozione della pace. Nel corso degli anni, tutti i dialoghi fatti per la pace nel mondo, che frutto hanno portato? C’è più guerra, più depressione, più crimini, più odio tra le religioni, più persecuzioni, più violenza, più intolleranza. Allora ditemi, dov'è il frutto di tutto questo cosiddetto dialogo per la fraternità umana?
Abbiamo dimenticato di essere umani e poi parliamo di umanità. Santa Madre Teresa dice: «Cosa puoi fare per promuovere la pace nel mondo? Vai a casa e ama la tua famiglia». Attraverso il battesimo siamo accolti nella più grande famiglia della Santa Madre Chiesa. Il che ovviamente significa che noi cristiani siamo una grande famiglia. Ecco, la “Chiesa in uscita” non ha capito che sta facendo tanti sforzi per promuovere la pace all’esterno, ma la sua famiglia è rimasta abbandonata e senza amore.
https://lanuovabq.it/it/tutti-per-la-pachamama-e-noi-cristiani-perseguitati
Ambientalismo e preti sposati: il Sinodo rivoluziona la Chiesa
Diaconi sposati che possono divenire sacerdoti, rito amazzonico, donne dirigenti di comunità ed ecologia integrale: il Sinodo vuole cambiare la Chiesa. Ma la scelta finale è nelle mani di Papa Francesco
Diaconi sposati che possono divenire sacerdoti, rito amazzonico, donne dirigenti di comunità ed ecologia integrale: il Sinodo vuole cambiare la Chiesa. Ma la scelta finale è nelle mani di Papa Francesco
Il documento finale del Sinodo panamazzonico è stato stilato: ora bisogna che Papa Francesco lo approvi.
Ma c'è comunque aria di svolta per la Chiesa cattolica.
Le statistiche sul voto raccontano di come tra i padri sinodali non siano emerse grosse spaccature: se esiste un malessere è del tutto esterno alle logiche dell'assemblea convocata per questo ottobre da Jorge Mario Bergoglio. Le maggioranze sono sempre state schiaccianti. Due riforme in senso progressista ed un rimando: queste le due principali misure avallate nella prima fase. Una, la più importante, riguarda l'estensione del celibato ai diaconi permanenti e sposati, che sono presenti sul territorio panamazzonico. Significa, con ogni probabilità, che a breve gli indigeni potranno contare su nuovi sacerdoti. Proprio quella che in molti si auspicavano.
Vuol dire però che la stessa novità potrebbe essere adottata altrove. E questa è la principale preoccupazione dei conservatori e dei tradizionalisti. C'è chi predica prudenza, come l'arcivescovo austriaco Schonborn, e chi, come il cardinale brasiliano Hummes, può dirsi soddisfatto. Vale comunque la pena evidenziare come si sia scelto, per ora, di evitare l'espressione "viri probati".
Poi c'è il secondo grosso elemento d'innovazione: la cosiddetta "elaborazione" di un modo di celebrare che possa tenere a mente le esigenze e la prassi degli amazzonici. Qualcosa di diverso, per quanto comparabile, era spuntato tempo fa, con l'ipotesi di una "messa ecumenica", che doveva essere valida per cattolici e protestanti. I tradizionalisti sollevarono critiche: "Protestantizzazione". Ma non è mai stato troppo chiaro se una commissione istituita ad hoc stesse lavorando o no. In questo caso, la certezza c'è.
Secondo quanto riportato dall'Adnkronos, infatti, un cammino è già stato individuato: "Il nuovo organismo della Chiesa in Amazzonia - hanno scritto i padri sinodali - deve costituire una commissione competente per studiare, dialogare, secondo gli usi e i costumi dei popoli ancestrali, l'elaborazione di un rito amazzonico che esprima il patrimonio linguistico, teologico, disciplinare e spirituale dell'Amazzonia, con particolare riferimento a quanto afferma la Lumen gentium per le Chiese orientale".
All'interno di questo ultimo punto, rientrano in qualche modo anche le modalità di culto preferite da quelle popolazioni. Le Pachamame, che erano state scaraventate nel Tevere da qualche cattolico che non ne condivideva l'esposizione presso Santa Maria in Traspontina, continuano a tenere banco: ieri sui social sono emerse alcune immagini che ritraggono le statue indigene al centro della chiesa sopracitata. Dovrebbero, insomma, essere state ricollocate. Segno di come la "Chiesa in uscita" di Papa Francesco non sia disposta ad assecondare "rigidismi". Non è un caso che il Santo Padre abbia tuonato ieri contro quelle "élite", che dovrebbero oltrepassare quelle che Bergoglio ha chiamato "cosette".
Per quanto riguarda il diaconato femminile, invece, sembra di poter parlare di un vero e proprio "stop": il Santo Padre ha annunciato un'ulteriore convocazione della commissione che sta valutando ogni dettaglio attorno a questa ipotesi. La soluzione più semplice e meno soggetta a problematiche dottrinali, però, è quella di far sì che le fedeli di chiara e provata fede possano essere incardinate in un ruolo sinora atipico: quello di dirigenti di comunità. E i padri sinodali, in larga parte, sono concordi.
Le femministe che avevano domandato d'istituire un sacerdozio femminile, oltre che di partecipare alla fase decisionale del Sinodo, non saranno troppo soddisfatte. Una svolta parziale c'è. Tutte queste decisioni, però, avranno effetto, sempre in caso di placet papale, solo sui territori amazzonici. La domanda del futuro riguarda l'eventuale esordio di queste riforme nella intera Chiesa universale.
“Poiché il processo riavviato è diventato, da solo, una crescente frustrazione per i critici di Papa Francesco, la prospettiva di un futuro Sinodo che affronti pienamente la sostanza del decentramento del governo ecclesiale è il segno più evidente che, per Francesco, il “cammino” – e i suoi cambiamenti – è ancora lontano dall’essere concluso”.
Così conclude Rocco Palmo in questo suo articolo pubblicato su Whispers in the Loggia che vi propongo nella mia traduzione.
Sei anni fa, proprio mentre divenne inizialmente chiaro che il Sinodo dei vescovi sarebbe emerso come “la chiave per la scossa” dell’ordine ecclesiale, percepire che un’assemblea allargata avrebbe potuto dare al Papa un mandato per esplorare le possibilità del clero femminile e un “approccio universale” ai sacerdoti sposati sarebbe sembrato un sogno di febbre liberale.
Eppure ora, siamo arrivati proprio qui.
Tempi lontani da quelli di una Rota pre-2013 che vedeva testi anodini tenuti all’interno di stretti “guardrail” dalla Curia, dato il passaggio completo di sabato di un documento finale che accennava anche a cambiamenti nella composizione gerarchica della chiesa e sollecitava un approccio ampio e radicale all’inculturazione, non sembra un’esagerazione dire che, se questo testo fosse stato presentato prima di Francesco, i suoi autori – e chiunque avesse votato per esso – probabilmente avrebbero rischiato di essere rimossi dall’incarico (o posti sotto indagine della CDF [la Congregazione per la Dottrina della Fede]). Alla luce di ciò, il fatto che ciascuna delle 120 proposte del documento abbia ottenuto l’approvazione di due terzi del documento è semplicemente stupefacente di per sé.
Sicuramente, e come previsto, il linguaggio finale degli elementi che creavano più tensione – la richiesta di una ripresa dello studio delle donne nel diaconato, e l’affermazione del luogo normativo del celibato sacerdotale nel mentre si cercava un adattamento locale per i “viri probati” “nelle zone più remote dell’Amazzonia” – è stato debitamente manipolato con condizionamenti sufficienti a rendere le proposte accettabili dei Padri più indecisi. Eppure, e a prescindere da ciò che accadrà da qui in poi, che proprio quei concetti siano diventati il prodotto finale e abbiano conseguito l’approvazione finale rappresenta uno spartiacque – [passo soppresso non molto comprensibile, ma non importante ]…. e che l’editore di detto Catechismo (card. Schönborn, ndr) sarebbe assurto “a mediatore” in questo scenario produce una distinta impressione di una storia che scrive dritto utilizzando linee storte.
Tanto più che la Chiesa ha conferito l’ordinazione sacerdotale a diverse centinaia di uomini sposati nella chiesa latina negli ultimi quattro decenni – prima attraverso il Provvedimento Pastorale di Giovanni Paolo II, poi con gli ordinariati anglicani di Benedetto XVI – è sorprendente che, secondo i conteggi dei voti, l’idea di ammettere le donne al diaconato permanente si è rivelata palpabilmente meno problematica per i Padri sinodali rispetto alla concessione di un’ulteriore, dispensa prettamente regionale per i sacerdoti sposati.
In ogni caso, le reazioni dei campi di guerra fuori dall’Aula hanno consentito un adeguato ultimo giro di pista del circo mediatico che ha circondato queste tre settimane: mentre la stampa italiana ha strillato che il risultato ha rappresentato “il trionfo dei riformatori” – e un gruppo di lobby progressista ha esultato (presumibilmente a viso schietto) che “Siamo pronti a consegnare nuove forme di ministero per le donne!…… Il cardinalato!……. Il papato!” – l’opposizione tradizionalista del Sinodo ha convocato una manifestazione fuori dall’odierna messa di chiusura “per impedire che il diavolo” delle statue amazzoniche rubate, recuperate dal Tevere il venerdì scorso, non comparisse per l’ultima volta in San Pietro.
Apparentemente per evitare qualsiasi disturbo della messa con il tentativo di rubare nuovamente l’attenzione, le statue, ormai famose, sono state evidenti per la loro assenza.
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Tornando a questioni di sostanza reale, tra gli altri vantaggi di essere l’unico legislatore del Sinodo romano, il presidente dell’organismo non ha solamente “l’ultima parola”, ma ne ha tre.
Di conseguenza, mentre la messa di chiusura ha visto Francesco ammassare disprezzo sul fariseo nel Vangelo di oggi, il quale “sta nel tempio di Dio, ma adora un altro dio: se stesso” – aggiungendo per buona misura che “molti gruppi ‘prestigiosi’, ‘cristiani cattolici’, percorrono oggi questo cammino” – il discorso finale più significativo (finora) è arrivato ieri sera con la consueta chiusura programmatica del Papa in Aula.
A differenza dei suoi tre Sinodi precedenti, l’ordine del giorno e il ritmo degli sviluppi era tale che il pontefice non aveva un testo scritto per le sue osservazioni serali, ma le ha date a braccio.
Ergo, ecco il video tradotto – ed è appena uscita una traduzione in inglese dei commenti:
Naturalmente, l’ultima “ultima parola” attende ancora – e in Aula, Francesco ha sorpreso il gruppo osservando che la sua Esortazione post-sinodale (la cui uscita era stata prevista per i primi mesi del 2020) probabilmente potrebbe essere terminata “prima della fine dell’anno”.
Come per il discernimento che ha prodotto Amoris Laetitia – frutto dei suoi primi due Sinodi – Papa Bergoglio affronta nuovamente la sfida di “infilare l’ago” tra quello che, in quel caso, ha definito “un desiderio smodato di cambiamento totale senza sufficiente riflessione o fondamento, [o] un atteggiamento che avrebbe risolto tutto applicando regole generali o traendo indebite conclusioni da particolari considerazioni teologiche”.
Per di più, però, con questo banco di prova per la piena capacità del Sinodo come agente di cambiamento, ora con un successo pronto per la distribuzione – almeno, come Francesco & Co. lo giudicherebbe – il Papa ha fatto scivolare un’altra “bomba” nascosta nel discorso, rivelando il suo pensiero che la prossima edizione del sinodo potrebbe concentrarsi solo sulla stessa “sinodalità”.
Poiché il processo riavviato è diventato, da solo, una crescente frustrazione per i suoi critici, la prospettiva di un futuro Sinodo che affronti pienamente la sostanza del decentramento del governo ecclesiale è il segno più evidente che, per Francesco, il “cammino” – e i suoi cambiamenti – è ancora lontano dall’essere concluso.
Di Sabino Paciolla
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