Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre
di Massimo Lapponi
Il Logos creatore è la sorgente divina del sacerdozio, come celebrazione delle opere meravigliose del Padre e come elargizione dei benefici celesti ad ogni creatura. Quando l’uomo, novellamente creato, dà il nome ad ogni essere vivente, mentre ne assume regalmente il governo, con la sublimazione della creazione inferiore nella luce della sapienza partecipata dall’eterna Parola di Dio e con l’opera benefica che da ciò scaturisce, incomincia ad esercitare il suo sacerdozio, quasi delegato dal Logos divino. Ma egli non trova un essere simile a sé, che possa dare un senso alla sua vita, finché Dio non gli presenta la donna. Anche a lei egli dà il nome, ma si tratta del suo stesso nome – Ish (uomo), Isha (donna) – perché veramente ella è carne della sua carne e osso delle sue ossa. Il nome conferito alla donna non è dunque segno di governo regale, allo stesso titolo di quanto avveniva per la vita inferiore. E’ piuttosto un conferimento di senso – scambievole, perché in lei egli ha trovato la rivelazione dello scopo della sua vita e in lui ella ha trovato il senso della sua missione: “e i due saranno una sola carne.”
“Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.”
L’immagine di Dio non poteva essere realizzata se non dall’unione dell’uomo e della donna: il “Primo Amore” non poteva rispecchiarsi adeguatamente se non nell’amore da cui inizia e per cui si perpetua e si eleva verso la sua apoteosi la storia umana, e il lavoro creativo dell’uomo non poteva rispecchiare adeguatamente il Logos se non quando diveniva generazione della vita, ad esempio della generazione eterna del Figlio di Dio. E’ solo in questo amore fecondo, dunque, che si esercita compiutamente il sacerdozio umano: sacerdozio “ascendente” nella gioia inesprimibile della lode per le opere meravigliose di Dio, e sacerdozio “discendente” per la partecipazione alla creazione e alla generazione della vita e alla diffusione di ogni celeste benedizione.
Fin dall’inizio il sacerdozio dell’uomo è segnato dalla parola, che, riflettendo il Logos, diffonde sul mondo la luce della sapienza. Ma già all’inizio l’uomo sembra smarrirsi nelle opere del mondo inferiore ed è la donna a riportarlo allo scopo più alto di amare e servire la vita umana, immagine della vita divina. Così il sacerdozio della donna, quale consacrazione celeste della parola e dell’opera dell’uomo, sembra fungere, insieme al sacerdozio dell’uomo con cui si compone in un’unica realtà, da culmine di tutta la creazione visibile.
Se dopo il peccato il sacerdozio si tinge di sangue, ciò rappresenta la necessaria purificazione della vita umana dal ripiegamento su se stessa conseguente al distacco da Dio. Nella dinamica del peccato l’uomo cerca se stesso in tutte le sue opere, e se nei confronti del mondo inferiore da re santo e giusto egli diventa tiranno, nei confronti della donna diventa possessore violento, che si avvale della sua superiorità fisica per ridurre colei che doveva essere la guida amorosa della sua vita verso il suo vero fine a strumento di perversa ebbrezza di auto-appagamento. Ma immediatamente ciò fa scattare nella donna, come arma di difesa del fisicamente più debole, lo sfruttamento della propria superiorità psicologica, fondata sulla propria irresistibile attrattiva, per rinnovare all’infinito il tentativo – spesso riuscito – di rovesciare le sorti e di sottomettere l’uomo al proprio perverso appagamento.
A questa situazione di peccato cerca di portare rimedio un sacerdozio purificatore, che, se nella donna si esprime attraverso la verginità della Vestale o l’ispirazione della Pizia, nell’uomo aspira, attraverso la mortificazione della carne, alla limitazione della nativa arroganza, fino all’eroismo del rinnegamento di sé.
Il sangue del capro espiatorio e dell’agnello pasquale trova la sua perfezione nel sacrificio di Cristo, che se da una parte imprime indelebilmente nell’uomo la presenza viva della vera e definitiva realizzazione di quella oscura aspirazione all’annientamento del suo io peccatore che da sempre lo aveva accompagnato, dall’altro risveglia nella donna l’incontenibile aspirazione ad esercitare finalmente il suo vero ruolo di guida celeste della vita umana, attraverso l’amore, alla superiore comunione spirituale.
Se è vero – come sostengono alcuni filosofi – che il rapporto dell’uomo con la natura adombra il rapporto dell’uomo con al donna, e quest’ultimo adombra il rapporto di Cristo con la Chiesa e con il genere umano, bisogna dire che il sacrificio di Cristo, purificando con il suo sangue l’empio orgoglio dell’uomo, ristabilisce la sua santa regalità nei confronti del mondo e l’amore sponsale nei confronti di colei che doveva condurlo, e da lui essere condotta, alla vera felicità condivisa, mentre nello stesso tempo celebra il mistero nuziale di Cristo con il mondo, creato “in vista di lui”, attraverso l’umanità redenta e raccolta nella santa unità della Chiesa.
Ora, come il sacerdozio della parola fin dall’origine segnò l’opera dell’uomo, così in Cristo, uomo e sposo che si sacrifica per la sua sposa, opera il sacerdozio del sangue. Sembra infatti che la purificazione della donna debba passare necessariamente attraverso l’annientamento sulla croce dell’orgoglio maschile, annientamento che risveglia la latente ma inesauribile auto-donazione dell’amore muliebre, liberato, attraverso il sacrificio del suo sposo, dal perverso ripiegamento sulla propria vanità.
“Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.”
E’ straordinario come, nella festa dell’Immacolata Concezione di Maria, la liturgia – senza un esplicito richiamo – riecheggi questo testo della lettera agli Efesini: “O Padre, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato…”
Se Maria rappresenta la Chiesa, anch’essa purificata dalla croce di Cristo, ambedue rappresentano ogni donna, purificata dall’amore santificato dell’uomo che, ad imitazione di Cristo, ha crocifisso il suo io arrogante e orgoglioso.
Così, attraverso il sacerdozio cristico dell’uomo – caratterizzato dal sangue purificatore e dalla parola rinnovatrice – e il sacerdozio mariano della donna – che riscopre nel volto del Crocifisso il vero volto, non più sfigurato dal peccato, dello Sposo a lei destinato da Dio fin dall’eternità e nella com-passione sul Calvario a lui si unisce in pura donazione, a lode della gloria del Padre e per mostrare nei secoli la straordinaria fecondità della nuova unione sponsale – viene gloriosamente rinnovato il sacerdozio originario dell’immagine trinitaria impressa nell’uomo e nella donna, uniti nella celebrazione delle grandi opere di Dio attraverso la parola e l’amore, il lavoro creativo e la generazione della vita, la comunione sponsale e la comunione con la vita infinita delle Persone Divine.