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lunedì 14 ottobre 2019

La negazione del libero arbitrio

MARTIN LUTERO IL DISTRUTTORE


Lutero è il distruttore di qualsiasi morale. Il nucleo centrale della dottrina luterana non solo è incompatibile con il vero cristianesimo, ma con qualsiasi morale perché nega la libera scelta di ciò che è bene e ciò che è male 
di Francesco Lamendola  

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L’acqua doveva scorrere sotto i ponti per la bellezza di cinquecento anni perché la chiesa cattolica, diventata nel frattempo modernista all’insaputa della stragrande maggioranza dei suoi seguaci, finisse per dare ragione a Martin Lutero e per sostenere che quanto egli aveva fatto era stato una cosa bellissima, un vero dono dello Spirito Santo. Fino al pontificato di Bergoglio, nessun cattolico aveva mai osato esprimere un’idea del genere, e solo dopo il Concilio Vaticano II si erano levate delle voci di cauta apertura, specialmente dopo che l’ecumenismo era stato promosso da errore pernicioso e tendenzialmente eretico a magnifica virtù del cattolicesimo rinnovato dalla “seconda Pentecoste” dell’assise conciliare, quale segno dei tempi nuovi che gloriosamente stavano iniziando, sull’onda della Unitatis Redintegratio del 21 novembre 1964. 

Tuttavia anche se fino a cinquant’anni fa nessun cattolico si sarebbe sognato di dire quel che Bergoglio, Galantino e gli altri ora dicono, cioè che Lutero aveva ragione, senza sollevare voci chiare e decise per correggere una simile enormità, bisogna riconoscere che da molto tempo nelle file del cattolicesimo, e specialmente presso alcuni settori del clero, era diffuso nei confronti del protestantesimo un sentimento che mescolava simpatia, ammirazione, e una segreta invidia. L’esito della Seconda guerra mondiale, con la sconfitta e l’umiliazione dell’Italia cattolica da parte delle potenze protestanti, Gran Bretagna e Stati Uniti, aveva a che fare con quel nuovo atteggiamento, e più ancora vi contribuiva il graduale diffondersi dello stile di vita americano, che poi sarebbe ”esploso” negli anni del boom economico. Nessuno peraltro avrebbe mai riconosciuto lealmente questa connessione, grazie alla menzogna che l’Italia non era mai stata fascista; che non era stata sconfitta disastrosamente, ma era stato sconfitto il fascismo, mentre l’Italia “vera” era uscita vittoriosa anch’essa; che gli Alleati erano solo venuti a liberare il Paese, e che poi vi erano tornati per difenderlo dall’Unione Sovietica; che il legame tra fascismo e cattolicesimo era stato qualcosa di forzato, innaturale e comunque di sbagliato, mentre la vera declinazione politica del cattolicesimo non potrà mai essere altro che la democrazia.

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La negazione del libero arbitrio di Lutero implica una doppia, sconvolgente conseguenza, che conduce direttamente al di fuori del cristianesimo (e non solo del cattolicesimo in quanto tale): nei confronti dell’uomo e nei confronti di Dio! In una tale prospettiva, l’uomo non essendo libero, altro non è che un misero burattino abbandonato a se stesso, in balia dei suoi istinti peggiori, incapace di fare alcunché per risollevarsi dal fango del peccato e per volgersi verso la luce della Grazia.

Si aggiunga pure la caduta della monarchia, altra connessione indicibile e perfino impensabile (nel senso che sarebbe politicamente scorretto anche solo pensarla): l’idea della sovranità regale di Cristo si associava naturalmente, nella mente dei cattolici italiani, alla forma di governo monarchica, la quale appariva come un riflesso di quella, com’era stato, del resto, per tutti i secoli che vanno dal tardo Impero Romano, con Costantino e Teodosio, fino all’inizio della modernità, quando la Francia rivoluzionaria aveva introdotto il modello repubblicano (e la Gran Bretagna, un secolo e mezzo prima, aveva mostrato che un re per diritto divino può essere arrestato, processato, condannato e giustiziato dai suoi sudditi come un volgare malfattore). Dopo la caduta delle monarchie, avvenuta come contraccolpo della Prima e della Seconda guerra mondiale (la monarchia sabauda, come quella della Romania, aveva ritardato di un quarto di secolo la propria fine schierandosi, nel 1915-18, dalla parte vittoriosa: quella della grande finanza e della massoneria internazionale), non erano rimasti sulla scena che due attori: la democrazia liberale e il comunismo. Scartato il comunismo per il suo proclamato ateismo, a quasi tutti i cattolici sembrò evidente che solo la democrazia è compatibile col Vangelo; e pazienza se non fu proprio un pensiero spontaneo ma suggerito dal clero, lo stesso che nel ‘29, all’epoca dei Concordato, aveva suggerito ai fedeli che non cera niente di più logico e naturale che la concordia tra la chiesa e il fascismo, avendo entrambi gli stessi valori fondamentali: il culto di Dio, della Patria e della Famiglia. E lo stesso clero, si può aggiungere, che a partire dagli anni del Concilio ha iniziato a suggerire che anche il comunismo dopotutto non era così cattivo (tant’è vero che nessun documento del Concilio lo aveva condannato, e questo grazie all’accordo segreto di Metz del 13 agosto 1962 fra il Vaticano e l’URSS), anche se proprio in quegli anni perseguitava i cattolici dell’Europa orientale. Però era un candidato forte, che avrebbe potuto vincere: meglio non bruciarsi i ponti verso di esso.

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Lutero è il distruttore di qualsiasi morale. Il nucleo centrale della dottrina luterana non solo è incompatibile con il vero cristianesimo, ma con qualsiasi morale perché nega la libera scelta di ciò che è bene e ciò che è male!

Ora, sarebbe cosa buona che i cattolici riflettessero, al di là delle questioni storicamente rilevanti ma teologicamente secondarie, come la questione delle indulgenze, sul nucleo centrale della dottrina luterana: cioè la totale impotenza dell’uomo di fronte alla scelta fra il bene e il male; la nullità del suo libero volere; la insignificanza radicale delle opere buone rispetto al destino finale dell’anima. Si tratta di un nucleo che non solo è incompatibile con il vero cristianesimo, ma anche con qualsiasi morale; perché qualsiasi morale, perfino la morale più lontana, culturalmente e storicamente, da quella di matrice europea, ad esempio quella buddista, riconosce una possibilità di scelta, sia pure entro certi limiti, di fronte al bene e al male e pertanto assegna all’individuo, sia pure in diverse forme e in differenti prospettive, una netta e precisa responsabilità riguardo a se stesso. Il che è quanto dire che qualsiasi morale ammette e riconosce che la scelta è possibile, la morale non essendo altro che la libera scelta di ciò che è bene o l’altrettanta libera scelta di ciò che è male, e che viene universalmente  giudicato tale.
Scriveva il dottissimo gesuita Hartmann Grisar (Coblenza, 1845-Innsbruck, 1932), quando i gesuiti erano ancora un ordine religioso molto serio e non avevano niente da spartire con i clown che oggi usurpano quel nome, nella sua monumentale opera Lutero. La sua vita e le sue opere (titolo originale: Luther, Freiburg im Breisgau, Herder, 3 voll., 1911-12; traduzione e riduzione dal tedesco di Alessandro Arrò, Torino, S.E.I., 1925, pp. 471-472):
Lutero concepisce il vangelo nel senso ch’esso sia essenzialmente perdono, cancellazione della colpa, e pacificazione della “coscienza atterrita”; e questo ha influito moltissimo sulla sua dottrina morale. Per lui, sempre angosciato, il bisogno sentito di conseguire la fiducia della salvezza fu il punto di partenza per la creazione della nuova dottrina. Il più alto guadagno, al quale giunse coi suoi dolorosi sforzi personali, fu la certezza d’andar salvo, ottenuta colla viva fede nell’appropriazione e nella applicazione a se stesso dei meriti di Cristo. Questo pensiero fu anche la sua stella polare nella creazione della morale. I protestanti affermano volentieri ch’egli ha posto la morale sulle sue basi vere, che fino allora erano state misconosciute.
Senonchè alcuni testi fondamentali di Lutero conducono piuttosto a domandarci se di fronte ad esse sia possibile escogitare una vera dottrina della morale. E per toccare di volo le più note: L’uomo di fronte al bene non è libero. È una “statua di sale” muta e morta. La grazia di Dio, o il dispotismo diabolico, che operano in lui, gli si impongono segretamente e senza una propria sua azione personale. La sua ragione nelle cose di religione è una povera pazza. Il peccato rimane sempre nell’uomo nella sensualità inferiore, in grazia del peccato originale inestirpabile; anche il giusto, ossia quello che Iddio considera come tale, rimane peccatore. Il peccato non gli si ricopre se non colla fede inconcussa nel sangue di Cristo. L’aurea veste dei meriti di Cristo fa tutto colla sua grazia; le opere qui non valgono nulla; non rappresentano un merito, non hanno importanza pel cielo. A tutto questo si aggiunge il tetro insegnamento sulla predestinazione, che ha luogo per opera della volontà, che ci rimane celata, di Dio.  Si domanda con ragione: Se è così, a che uno sforzo morale per reagire contro le tendenze perverse della natura? A che serve la responsabilità morale? A che cosa gli ideali della morale cristiana? In un tempo in cui la considerazione che si aveva di Lutero non era così grande, ma come quella in cui venne nelle ultime decine d’anni del secolo passato, il teologo protestante K. Federico Stäudlin nella sua “Storia della Morale” (1806) dichiarava espressamente che colle massime fondamentali di Lutero “non si poteva creare nessuna buona morale cristiana”; e taluni scrittori della sua stessa fede si sono dichiarati del suo parere. E veramente il libro di Lutero “De servo arbitrio” basta da sé  ad annientare la morale.

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Il discusso francobollo commemorativo della riforma luterna stampato dalle poste vaticane.

Un fondamento solo apparente della dottrina morale di Lutero, è l’umiltà, ch’egli raccomanda e perché la nostra natura è tutta impregnata del peccato, e perché dipendiamo completamente da Dio, senza potere e senza voler nulla che a noi si debba, di bene. La sua tesi fondamentale , che cioè il confidare nella salvezza, proprio della così detta fede speciale, conduca da solo ad una moralità pratica vera, e a quel portarsi coll’affetto verso Dio, che, secondo lui, è il solo che piaccia all’Altissimo, è un errore. La preziosa certezza della propria salute è per Lutero un sentimento che sostituisce tutti i comandamenti e tutte le opere buone. La mancanza di moralità, secondo lui, è una prova che difetta la fede nella propria salvezza. Tanto spesso questa sorta di fede prende presso di lui il posto della virtù e della perfezione cristiana.
Egli sconcerta su tutta la linea il cristianesimo pratico. Credere in Dio, lodarlo e ringraziarlo, secondo Lutero, è tutto ciò che possiamo e dobbiamo fare per onorare il Signore. Le altre opere devono avere “per oggetto il nostro prossimo”, ma non si danno opere buone al di fuori di quelle comandate da Dio. Senza la fede, esse sono propriamente dei peccati, come lo erano le virtù dei pagani (“splendida vitia”). La fede fa sì che Chiesa e mondo diano due regni completamente diversi, e tanto separati, che l’ufficio esterno di un cristiano per esempio quella del reggente di uno Stato, non ha che fare colla sua qualità di cristiano. Lo sforzo dei cattolici di giungere alla perfezione è un sogno. Non vi sono consigli evangelici; gli uomini più pii sono anch’essi dei peccatori. Anche i santi sono dei “buoni e forti peccatori”; una frase che ricorda quell’altra, pure di Lutero: “Pecca fortemente, ma credi ancora più fortemente”.

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Lo sdoganamento di Lutero parte anche dalle piazze!

Lutero è il distruttore di qualsiasi morale

di Francesco Lamendola


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