Instrumentum Diaboli - l'apostasia, le eresie dello 'Instrumentum laboris per l'Amazzonia' denunciate da autorevoli cardinali, vescovi, teologi e da studiosi e saggisti - sintesi e approfondimenti di Paolo Pasqualucci
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Instrumentum diaboli - l’apostasia, le eresie dello ‘Instrumentum laboris per l’Amazzonia’ denunciate da autorevoli cardinali, vescovi, teologi e da studiosi e saggisti – sintesi e approfondimenti di Paolo Pasqualucci
Sommario : Nota Previa. 1. Condanne dal significato magisteriale. 2. La “teologia india”, pseudoteologia dal taglio modernista. 3. La memoria di mons. Javier Lozano Barragán sulla “teologia india”. 3.1 Il tratto modernista della “teologia india”. 3.2 Una “tipologia” contraddittoria. 3.3 Il cosiddetto “metodo teologico indio”: ibrido pagano-cristiano, stravolgimento dei fatti storici. 3.4 Eresie nella “teologia india”: Dio è duale, Padre-Madre; la Natura è divinizzata dalla Dea Madre; l’Amazzonia è “luogo teologico” ossia Terra della Rivelazione; lo Spirito Santo ha già illuminato i pagani, la Chiesa non deve fare proselitismo, non è l’unica Arca della Salvezza; la vera fonte della religione è il mito... 3.5 Le giuste critiche di mons. Barragán alla “teologia india”. 4. Lo ‘Instrumentum laboris’ dà corpo alle profezie anticristiane dei letterati decadenti e neopagani del Novecento affascinati dalle tenebrose religioni amerindie. 5. Le quattro accuse del cardinale Brandmüller, piú una quinta. 6. L’apostasia: si dissolve il cattolicesimo nel culto panteistico di un Dio androgino, Padre-Madre Terra, nel quale riappare la religiosità pagana dell’America precolombiana, uno dei paganesimi più crudeli mai esistiti. 6.1 La falsa citazione di san Giustino martire, per giustificare l’irruzione dei culti pagani nella nostra fede. 7. La vera natura dei culti indigeni meso e sudamericani. 8. L’autentico spirito missionario: la testimonianza di mons. Marcel Lefebvre nell’Africa Equatoriale Francese – la replica di mons. Schneider alla caramellosa retorica dei “teologi indi”. 9. L’estinzione del celibato ecclesiastico, nei progetti ereticali dello ‘Instrumentum laboris’. 10. L’eresia del “sacerdozio femminile”, tappa essenziale per “render femminile” la Chiesa.
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Nota previa
Il presente contributo viene pubblicato quando il tristo Sinodo per l’Amazzonia è iniziato da una settimana. Esso ha assunto la dimensione di un libro. Nonostante ciò, lo pubblico in tutta la sua interezza. Il suo scopo è soprattutto quello di fornire ai fedeli ampi materiali per poter rendersi conto dell’abisso nel quale stiamo precipitando. Ci dicono ora che dobbiamo venire istruiti nella “teologia india”e dare ampio spazio alle donne nella struttura gerarchica e di insegnamento della Chiesa ossia alla “teologia femminista” professata dalla gran maggioranza di loro. Queste pseudo-teologie sono e restano per ovvie ragioni un oggetto misterioso per la stragrande maggioranza di tutti noi. Quest’ignoranza favorisce l’azione eversiva di pastori che da troppo tempo sono cattolici solo di nome, ci lascia senza difesa contro l’assalto dei lupi travestiti da agnelli oggi pullulanti nella Gerarchia, a cominciare dai vertici. L’esposizione analitica della “teologia india” ha implicato anche un’esposizione aderente ai fatti delle antiche religioni amerindie, culti satanici se mai ve ne furono, sulle quali i ‘teologi indi’ glissano alla grande, limitandosi ad elogiarle sobriamente in quanto culti della supposta “sapienza” degli antenati, da venerare per questa ragione.
Ho anche richiamato l’attenzione sulla dottrina dei c.d. “semi del Verbo” da reperirsi nelle culture e nelle religioni non cristiane. Questa dottrina è stata male intesa e applicata, dal Concilio in poi, per giustificare le aperture indiscriminate alle altre religioni, che hanno portato alla fine, come dimostrano anche i recenti eventi, ad una “inculturazione” del cattolicesimo ad esse, capovolgendo il senso originario della suddetta dottrina, concepita per favorire le conversioni a Cristo.
L’autorevole teologo P. Thomas Weinandy OFM, in una recentissima intervista, riferendosi agli ultimi sviluppi negativi del presente pontificato – sinodo per l’Amazzonia, deriva eretica del sinodo dei vescovi tedeschi, cerimonie pagane in Vaticano e nelle chiese cattoliche, messa in discussione dell’etica cattolica – ha avanzato l’ipotesi dell’esistenza ormai di uno “scisma papale interno” alla Santa Chiesa. Ha detto: “L’unica espressione che posso trovare per descrivere questa situazione è “scisma papale interno”, perché il papa, proprio come papa, sarà effettivamente il leader di un segmento della Chiesa che attraverso la sua dottrina, l’insegnamento morale e la struttura ecclesiale, è a tutti gli effetti pratici scismatico. Questo è il vero scisma che è in mezzo a noi e deve essere affrontato”.[1]
Questa autorevole opinione sembra confortare l’ipotesi da me avanzata circa un mese fa, sotto forma di domanda, quella che tanti fedeli si sono sicuramente posti e si pongono: se approvare un documento infarcito di eresie come lo Instrumentum laboris per l’Amazzonia e chiaramente apostatico perché mirante a sottoporre la nostra bimillenaria religione ad una mutazione radicale, d’impronta neo-pagana, non significherebbe porsi oggettivamente fuori della Chiesa, attuare uno scisma di fatto o virtuale. Mi sembra che la tesi dello “scisma papale interno”, avanzata da una fonte così autorevole, risponda in modo positivo alla domanda, inquadrando il problema posto dallo Instrumentum in una prospettiva più ampia e in uno schema teologico suscettibile di significativi sviluppi, se i cardinali e i vescovi rimasti ancora fedeli al dogma della fede vorranno, a Dio piacendo, prendere finalmene le necessarie iniziative.
1. Condanne dal significato magisteriale
La dichiarazione in sei lingue diffusa da Sua Eminenza Walter Cardinal Brandmüller il 27 giugno scorso, non deve trarre in inganno a causa del suo titolo dall’aria interlocutoria, con il quale è apparsa su vari blog cattolici impegnati da anni nella difesa della vera dottrina e pastorale della Chiesa: Eine Kritik des ‘Instrumentum Laboris’ für die Amazonas-Synode’, ‘Una critica dello ‘Instrumentum Laboris’ per il Sinodo dedicato all’ Amazzonia’. Lo stesso si dica per la successiva critica anch’essa radicale del cardinale Gerhard Müller, già Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, da lui diffusa via blog in quattro lingue, il 16 luglio scorso.
Non si tratta di semplici “critiche”, da accogliersi o meno e quindi da discutersi in quanto opinioni personali, nell’ambito di un dibattito aperto alle varie interpretazioni, bensì di condanne senza appello dell’intero documento. Talmente radicali, queste condanne, da spingere alla fine il cardinale Brandmüller ad esortare tutti i vescovi a “rigettare con la massima fermezza” il documento stesso, nel quale il porporato vede riemergere l’errore modernista: “stiamo assistendo a una nuova forma del Modernismo classico dell’inizio del XX secolo”[2]. Il cardinale Müller non giunge a tanto, ma la sua damnatio del documento non è meno totale. Il valore magisteriale di queste condanne è, a mio avviso, innegabile.
Il cardinale Brandmüller, illustre storico della Chiesa e personalità di vasta cultura ed erudizione, è un emerito ossia, detto prosaicamente, in pensione: non ha quindi potere decisionale. Possiede però sempre l’autorità che gli deriva non solo dalla qualifica cardinalizia ma dall’esser un vescovo della Santa Chiesa, ossia un successore degli Apostoli. Con l’esser emerito non ha certamente perduto la qualità di Principe della Chiesa nè lo stato episcopale, che gli inerisce per via sacramentale: la sua, non è l’opinione di un privato cittadino qualunque. Sul fondamento di questa indiscussa autorità, di origine divina per quanto riguarda la componente episcopale, il cardinale ha emesso una condanna senza appello di un documento ufficiale dell’autorità ecclesiastica vigente.
Tale documento è stato reso pubblico il 17 giugno 2019 dalla Segreteria generale per il Sinodo dei Vescovi, organo permanente creato da Paolo VI nel 1965 in ottemperanza alle riforme indicate dal Vaticano II. IL suo segretario è attualmente il cardinale Lorenzo Baldisseri, stretto e fidato collaboratore di Papa Francesco. Si tratta di un documento ufficiale, preparato da un organo quale il Segretariato, dipendente direttamente dal Papa, cosa che lo rende in sostanza autonomo rispetto alla Curia. Esso stabilisce che i vescovi residenziali della Panamazzonia, e i presidenti delle relative 7 Conferenze Episcopali, nonché diverse categorie di esperti di vario tipo, laici ed ecclesiastici, debbano discutere e decidere la pastorale della Chiesa per la suddetta regione Panamazzonica, comprendente nove nazioni americane. Le discussioni e decisioni sono appunto quelle della Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi, che si stanno svolgendo dal 6 ottobre in Roma. L’elaborato finale verrà sottoposto al Papa, per la sua approvazione.
Ma, fin d’ora, non possiamo certo considerare Papa Francesco estraneo a questo Instrumentum, anche se formalmente egli non vi compare. Il 15 ottobre 2017 aveva preannunciato l’assemblea sinodale ora in corso. Il documento è il risultato finale di un’attività intensa e complessa, che ha visto impegnate, da alcuni decenni, le Conferenze Episcopali del Centro e Sud America, unitamente a teologi ed esperti di vario tipo, diversi dei quali europei di lingua tedesca – un lavoro coagulatosi in tante riunioni, commissioni, convegni, seminari, articoli di riviste. L’8 giugno 2018 c’è stata la Presentazione ufficiale di un Documento preparatorio del Sinodo per l’Amazzonia, fatta dal cardinale Baldisseri, preliminare allo Instrumentum laboris vero e proprio.
Lo Instrumentum laboris è stato reso noto al pubblico il 17 giugno 2019, in una conferenza stampa, sempre dal cardinale Baldisseri, con interventi illustrativi di un gesuita e di un monsignore. Nel Documento Preparatorio, gli scritti del Papa sono citati 61 volte per 20 pagine di testo, in modo diretto ed indiretto; nello Instrumentum, 73 volte per 61 pagine di testo e 7 nelle note, in modo diretto ed indiretto, con rinvio ad intere sezioni dei suoi interventi magisteriali, da studiare e mettere in pratica per la nuova evangelizzazione, la quale mira a una “conversione ecologica” dell’Amazzonia, che si ponga nello stesso tempo come modello da imitare per tutta la Cattolicità! Si può dire, senza tema di apparire eccessivi, che l’Instrumentum è in sostanza una esegesi ed applicazione del Bergoglio-pensiero, dalla A alla Z. Questo pensiero riflette, del resto, peculiari posizioni teologiche ed ideologiche preesistenti, quelle tipiche della c.d. teologia india e della teologia della liberazione, confluite poi a loro volta nello Instrumentum laboris, che recepisce anche istanze della c.d. teologia femmnista.
La dipendenza del documento dai testi di Papa Francesco è stata messa in chiara evidenza tra i primi da Julio Loredo, presidente dell’organizzazione Tradizione, Famiglia, Proprietà, sezione italiana: “l’enciclica Laudato si’ costituisce il fondamento dottrinale del Sinodo. Essa si ispira alla teologia della liberazione ecologica o eco-teologia e a documenti delle Nazioni Unite, tipo Agenda 21 e il Trattato sulla biodiversità”.[3] Il dr. Loredo fa giustamente notare come in Europa si tenda a sottovalutare la carica eversiva e velenosa del documento. Infatti, ci si concentra sulle sue scandalose aperture contrarie al dovere del celibato ecclesiastico e alla proposta non meno scandalosa di arrivare al sacerdozio femminile, senza porre troppa attenzione al fatto ugualmente incredibile e gravissimo che il documento addirittura propone la concezione pagana della vita, e non quella degli Stoici bensí quella dei primitivi e semi-primitivi popoli dell’Amazzonia, a modello per tutta la cristianità, come se tale modello rivelasse una autentica ispirazione divina: la Chiesa, ha detto più volte Papa Francesco, dovrebbe “assumere un volto amazzonico”! Questa “agenda neo-pagana” si ritrova anche nei programmi dell’ONU, oltre che in quelli della teologia della liberazione di tipo “indigenista”o “ecologico”, cosiddetti.[4] A questo fine, il documento fornisce un’immagine del tutto falsata delle tribù amazzoniche, “che ci insegnerebbero come si fa ad essere poveri e felici”, vivendo secondo il principio del “buen vivir”, sorta di sapienza ancestrale capace di realizzare una profonda armonia e “comunione” dell’uomo con i suoi vicini e la natura. Tale vivere sarebbe ovviamente incompatibile con quello del nostro mondo industrializzato, che va anzi combattuto in ogni modo, in nome del c.d “sviluppo sostenibile” e della “crescita negativa”.[5]
Ma la realtà degli indigeni amazzonici, delle periferie urbane e in special modo delle tribù interne e isolate, è del tutto differente dall’immagine mitizzata diffusa dallo IL. Si tratta di società ancora primitive, tribali, rigidamente sottoposte al controllo del capo (il cacicco) e dello stregone o sciamano della tribù. Esse sono martoriate dall’infanticidio, da una cultura del suicidio, dall’uso indiscriminato degli allucinogeni, dalla stregoneria. Alcune di loro ancora praticano il “cannibalismo rituale” (la cosa è documentata) mentre la “medicina indigena”, lodata nello IL quale componente essenziale del loro supposto buen vivir in armonia con la natura, è quasi sempre mescolata a pratiche magiche e divinatorie, impastate dall’uso intenso delle droghe.[6]
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Ma veniamo alle censure ecclesiastiche nei confronti dello Instrumentum laboris. Ci troviamo dunque di fronte a questo fatto inaudito: il documento ufficiale di lavoro di un importante Sinodo di vescovi, dedicato a risolvere in modo nuovo i problemi della regione amazzonica - assunti però (questo è un punto essenziale) a motivo di proposte di riforma rivoluzionarie anche per l’intera Chiesa - viene condannato in blocco da un cardinale perché promuove eresie e l’apostasia dalla stessa religione cattolica. La condanna si conclude addirittura con l’esortazione ai vescovi di rigettare questo Sinodo. Alla condanna del cardinale si è poco dopo aggiunta quella, ugualmente senza appello, di un vescovo svizzero, S E mons. Marian Eleganti, ausiliare di Chur, il quale ha dichiarato che un Sinodo del genere “potrebbe contaminare l’intero Corpo Mistico della Chiesa e danneggiarlo gravemente”.
Il 17 luglio mons. Nicola Bux, teologo consultore per la Congregazione per le cause di Beatificazione e liturgista, ha anch’egli attaccato duramente lo IL, schierandosi apertamente con le accuse del cardinale Brandmüller. In particolare, ha lamentato la mancanza di qualsiasi prospettiva soprannaturale nel documento e l’assurdità di voler “incolturare” la liturgia cattolica con riti non cristiani, cosa che comporterebbe “ibridazione e sincretismo tali da indurre i fedeli in errore”. Ha affermato, inoltre, che si resta sbalorditi nel leggere che la regione amazzonica sarebbe “un luogo teologico”, come se fosse una fonte speciale della “rivelazione”. Lo IL presenta l’inculturazione “in modo invertito”, facendo cioè ripiombare “la Chiesa in Amazzonia nell’animismo e nello spiritismo” mentre l’apprezzamento della cosiddetta “visione cosmica” dei popoli indigeni, ossia della loro visione (pre-razionale, magica, animistica e per certi aspetti barbarica) del mondo e della vita, rivela un vero e proprio “oscurarsi della ragione”.[7]
Il giorno 18 luglio, LifeSiteNews ha pubblicato la traduzione inglese di un documento di 8 pagine vergato originariamente in tedesco per il sito austriaco Kath.net da mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, in Kazachistan. Il testo si allinea sulle posizioni sopra citate, asserendo che si vuol far nascere una Chiesa “amazzonio-cattolica” la quale altro non sarebbe che “una setta” a fronte della vera Chiesa cattolica, setta dedita “all’adorazione della natura e all’instaurazione di un sacerdozio femminile”. Dopo aver polemizzato nel dettaglio e con i validissimi argomenti offerti dalla Tradizione della Chiesa e dalla sana dottrina, contro la difesa del proposto sacerdozio femminile fatta in una recente intervista da parte di uno degli artefici dell’Instrumentum stesso, il vescovo, anch’esso austriaco, mons. Erwin Kräutler alla TV austriaca e tradotta da LifeSiteNews il 16 luglio, mons. Schneider ha concluso il suo incisivo intervento esortando (ma in realtà ammonendo) il Papa a non approvare le parti malate dello IL e di fatto l’intero documento.
“Il successore di Pietro – ha scritto – ha lo stretto dovere, impostogli da Dio, in quanto titolare della Cattedra di Pietro (cathedra veritatis), di mantenere nella sua purezza e integrità la verità della Fede Cattolica, l’ ordine sacramentale come istituito da Cristo e l’eredità apostolica del celibato ecclesiastico, nonché di trasmetterli al suo successore e alla generazione successiva. Non può appoggiare anche in minima parte il contenuto di [certe] parti dello IL, né l’abolizione del dovere apostolico del celibato ecclesiastico (la quale da regionale si farebbe naturalmente per gradi generale). Se il Papa invece appoggiasse il programmato Sinodo per l’Amazzonia, allora violerebbe gravemente il suo dovere di Successore di Pietro e Rappresentante di Cristo, e causerebbe un temporaneo oscuramento spirituale nella Chiesa…”.[8]
Successivamente, il cardinale Raymond Leo Burke si è associato alla condanna, in un’intervista, affermando che il documento del Sinodo “è apostatico. Questa roba non può diventare insegnamento della Chiesa e con l’aiuto di Dio l’intera intrapresa verrà vanificata”. Del pari, il cardinale George Pell, in una Lettera Pastorale dell’1 agosto 2019 ha dichiarato che ci troviamo di fronte ad un altro inquietante documento “di scadente qualità” da parte del Segretariato del Sinodo dei Vescovi. Non è possibile, ha ribadito, andare contro la Tradizione Apostolica, come fa il documento in questione: “Amazzonia o non Amazzonia, in ogni parte della terra la Chiesa non può tollerare che alcuna confusione e ancor meno un insegnamento contrario, danneggino la Tradizione Apostolica.”[9]
Subito dopo il cardinale Brandmüller, come si è detto, il cardinale Müller ha rincarato la dose, affermando che “la struttura del testo presenta un’inversione radicale nell’ermeneutica della teologia cattolica” poiché “l’intera linea di pensiero” del suddetto documento non esprime concetti riconducibili alla Sacra Scrittura, alla Tradizione e al Magistero della Chiesa, bensì “si trasforma in percorsi autoreferenziali e circolari attorno ai nuovi documenti magisteriali di Papa Francesco, nei quali vengono inseriti alcuni riferimenti a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.” L’ intero documento, sottolinea il cardinale, appare dominato dalla “adulazione” nei confronti di Papa Francesco, attribuendogli anche “scoperte” teologiche, che non sono sue, e per di più in modo sbagliato. Si tratta dell’assioma bergogliano “la grazia suppone la cultura”, che sarebbe al più un suo peculiare calco del tomistico “la grazia presuppone la natura, così come la fede presuppone la ragione”(Summa Theologiae, I, q. 1, a. 8).[10]
Inoltre, il cardinale Müller stigmatizza anch’egli il fatto inaudito che lo IL, al n. 19, pretende addirittura di considerare l’Amazzonia e i suoi popoli “luogo teologico”, nel quale si deve riconoscere una “epifania divina”, innalzando in tal modo entrambi a fonte della Rivelazione! Così, “accanto alla confusione dei ruoli sia del Magistero che della Sacra Scrittura, l’IL arriva addirittura a pretendere che ci siano nuove fonti di Rivelazione. Il territorio amazzonico “è un luogo teologico da cui si vive la fede ed è anche una fonte peculiare della rivelazione di Dio. Questi spazi sono luoghi epifanici dove si manifesta la riserva di vita e di saggezza per il pianeta, una vita e una saggezza che parlano di Dio””(IL 19). Questo insegnamento, chiosa il cardinale Müller, “è erroneo, in quanto per 2000 anni la Chiesa cattolica ha infallibilmente insegnato che la Sacra Scrittura e la Tradizione Apostolica sono le uniche fonti di Rivelazione e che nessuna ulteriore Rivelazione può essere aggiunta nel corso della storia”.[11]
Il cardinale, che conosce bene la realtà della Chiesa in Sudamerica, avendovi svolto periodica azione pastorale per un certo numero di anni, ci rivela che gli ecclesiastici della REPAM o Rete Ecclesiale Panamazzonica, fondata nel 2014 proprio per preparare lo IL, al pari degli autori “della cosiddetta Theologia india, nel testo citano principalmente se stessi”. Il documento è stato perciò preparato da “una ristretta società di persone con la stessa visione del mondo, come si evince facilmente anche dalla lista dei nomi di coloro che hanno partecipato agli incontri pre-sinodali a Washington e a Roma, dove troviamo un numero sproporzionato di europei per lo più di lingua tedesca.” Si delinea quindi una certa strategia, del tutto estranea al bene religioso e anche comune degli indios dell’Amazzonia. “Tra costoro, continua il Nostro, non tutti conoscono il Sud America e partecipano solo perché pensano che ciò sia in linea con la strategia ufficiale e possa servire a controllare i temi dell’attuale percorso sinodale della Conferenza episcopale tedesca e del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (abolizione del celibato, accesso delle donne al sacerdozio e a posizioni chiave di potere contro il clericalismo e il fondamentalismo, adattamento della morale sessuale rivelata all’ideologia di genere e apprezzamento per le pratiche omosessuali).”[12]
In effetti, trasformando il cattolicesimo in un culto pagano e di tipo ancestrale, notoriamente aperto a tutte le promiscuità, dalle orge pro-fecondità conseguenti ai riti (spesso sanguinosi) dei culti agrari alla poligamia alla bisessualità sciamanica, alla sodomia e al lesbismo veri e propri, ci si può allegramente spingere assai innanzi sul “percorso sinodale” propugnato dalla attuale Conferenza Epicopale Tedesca e dal Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi.
Il cardinale Müller ridicolizza l’esaltazione che il documento fa della “cosmovisione” degli aborigeni amazzonici (ma, a ben vedere, dei “primitivi” in generale), “con i suoi miti e la magia rituale di Madre “Natura” o con i suoi sacrifici agli “dèi” e agli spiriti che spaventano il nostro intelletto o che ci attirano con false promesse”. Infatti, conclude: “Ma davvero, nella formazione dei futuri pastori e teologi, la conoscenza della filosofia classica e moderna, dei Padri della Chiesa, della teologia moderna, dei Concili sarà ora sostituita dalla cosmovisione amazzonica e dalla saggezza degli antenati coi loro miti e rituali? “.[13]
Temo che in molti luoghi di istruzione della Chiesa, tutta questa pseudo-cultura ed altra ad essa collegabile (femminismo, retorica dei diritti umani, demonizzazione dell’intera cultura occidentale da sostituirsi con “il primitivo”, “l’ïndigeno”, lo “spontaneo”, il supposto “naturale”, il “diverso”) sia già ampiamente penetrata.
Il proficuo intervento del cardinale (che tuttavia, mai si chiede se il Concilio, fonte di tutte le “aperture” e “riforme” che hanno terremotato la Chiesa, c’entri per qualcosa in tanto sfacelo) si conclude con un’articolata critica ad un altro grave errore dello IL: la confusione tra “inculturazione” e “incarnazione”. Un misfatto logico-teologico non da poco, osservo. Ciò deriva dal fatto che il testo presenta la nuova “inculturazione” da esso proposta (IL 113) come una sorta di “incarnazione più reale”[sic], come se il contenuto precipuo dell’Incarnazione del Verbo dovesse scoprirsi ora nel nuovo principio di “adattamento culturale”, che verrebbe a sostituirsi al contenuto di salvezza sovrannaturale della Incarnazione. Il “principio di salvezza” rappresentato dall’Incarnazione, ribadisce il cardinale, non ha in realtà nulla a che vedere con un principio del tutto “secondario” nell’economia della Salvezza, quale “l’inculturazione”.[14] Questo modo abnorme di intendere il principio della “inculturazione” provoca anche un modo “scandaloso o comunque sconsiderato” di intendere la liturgia, come risulta da frasi come questa: “Senza questa inculturazione la liturgia può ridursi in un ‘pezzo da museo’o in ‘un possesso di pochi’”(IL 124).
Giustamente, conclude il cardinale, contro le aberrazioni dell’Instrumentum, risolventesi alla fine in una visione solo terrena, materialistica dell’uomo, sicuramente non cristiana (e contraria a tutta la nostra più alta tradizione spirituale): “l’integrità dell’uomo non consiste solo nell’unità con una bio-natura, ma nella Divina Figliolanza e nella comunione piena di grazia con la Santissima Trinità in maniera tale che la vita eterna è la ricompensa per la conversione a Dio, la riconciliazione con Lui, e non solo con l’ambiente e con il nostro mondo condiviso. Non si può ridurre lo sviluppo integrale ad una semplice fornitura di risorse materiali, perché l’uomo riceve la sua nuova integrità solo attraverso la perfezione nella grazia, ora nel battesimo, per mezzo del quale diventiamo una nuova creatura e figli di Dio, e un giorno nella visione beatifica…”.[15]
Sono anche da ricordare tre altri interventi, sopravvenuti poco dopo. Il filosofo cattolico austriaco, prof. Thomas Stark ha messo in rilievo come nello Instrumentum sia confluita un’istanza tipica della teologia della liberazione, quella mirante ad instaurare una forma di socialismo di tipo “tribale”, fondata cioè sul collettivismo peculiare alla vita tribale dei primitivi. Nella tribù si praticano la poligamia, il concubinato, i figli vengono allevati in comune, si vive nella promiscuità, non c’è diritto di proprietà. Questo modo di vita arcaico e brutale, rimasto appunto in vigore presso tribù isolate nella sterminata foresta amazzonica, ma forse ancora presente nella mentalità degli indi ammassati in condizioni difficili nelle periferie delle città amazzoniche, viene ora addirittura proposto a noi Occidentali come un modello degno di imitazione! Questo lo si vede, annoto, dagli accenni sparsi nel documento, secondo i quali l’esperienza di vita e religiosa, la “cosmovisione” dei primitivi amazzonici potrebbe costituire un esempio per tutta la Chiesa e per tutta l’umanità.[16] La cosa è “assolutamente inaccettabile” ribatte giustamente il prof. Stark. Inoltrandosi su questa strada “si distruggerebbe ciò che è rimasto della cultura cristiana (ed anzi, aggiungo, ogni possibilità di cultura in generale). Il “tribalismo”, già indiduato e indagato come ideologia (ricorda il prof. Stark) dallo scomparso filosofo brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, annulla la personalità individuale, in tutti i suoi aspetti, e attua una forma di collettivismo implicante il dissolvimento dell’etica, in modo simile a quanto auspicato dai teorici del socialismo, fautori (ricordo) del libero amore, dell’eliminazione della famiglia e della proprietà privata, dell’allevamento in comune dei figli.
Anche per il prof. Stark è del tutto “inaccettabile” presentare l’Amazzonia e i suoi popoli quali depositari di una rivelazione divina, cosa che giustificherebbe il suo imporsi a noi come modello di vita. Un punto particolarmente importante dell’intervento del prof. Stark è il seguente: in Europa, i seguaci di forme “socialistiche” di vita associata, nel senso del “tribalismo” appena menzionato, sono ora tra i più convinti fautori dell’imitazione dei costumi tribali amazzonici; ebbene, costoro sono in genere a favore del libero aborto, dell’eutanasia e di altri gravi crimini, insomma di tutta una serie di mali che ritroviamo nelle società tribali amazzoniche, se pensiamo p.e. alla diffusione dell’infanticidio e alla promiscuità sessuale che vi regna. L’allevamento comunitario dei fanciulli, dovuto all’inesistenza di veri vincoli familiari perché le coppie raramente si sposano ed è diffusa anche una sessualità “di gruppo”, nonché altri aspetti moralmente negativi del mondo tribale amazzonico arbitrariamente idealizzato dai “teologi indi”, sono tristi fenomeni che vengono ricordati anche da altri sacerdoti, missionari nella regione, e da altri studiosi.[17]
Tutti gli interventi critici finora visti mettono in rilievo come l’Amazzonia dello Instrumentum laboris abbia poco a che vedere con l’Amazzonia indigena reale, risultando piuttosto, sottolineo, da una rappresentazione del “primitivo” come inteso da un certo tipo di intellettuale europeo di tendenze eversive e nello stesso tempo decadenti, sulla scorta della figura letteraria, assurta poi a mito politico e mai venuta meno, del c.d. “buon selvaggio”, figura dell’uomo primitivo arbitrariamente assunto (dal XVIII secolo) a portatore di costumi supposti semplici e buoni, artefice sapiente di una vita supposta in armonia con la natura (e pertanto libera nei costumi). Ciò comporta un’impressionante falsificazione della realtà, e proprio sul piano umano, addirittura drammatico in Amazzonia, come risulta da un altro intervento ammonitore, quello del vescovo emerito brasiliano mons. José Luis Azcona, della prelatura di Marajó, situata proprio in Amazzonia, apparso su La nuova bussola quotidiana del 25 agosto 2019 con il titolo: Col sinodo sull’Amazzonia si rischia lo scisma. Egli conosce bene l’Amazzonia brasiliana, avendovi svolto la sua missione pastorale per tanti anni. La sua denuncia del carattere mistificante dello Instrumentum è senza scampo e ribadisce in modo ancor più grave quanto affermato dagli Autori sopra citati.
Innanzitutto, cosa solo accennata nella parte finale dell’ Instrumentum laboris (IL 133), egli ricorda che di fatto l’Amazzonia brasiliana da tempo non è più cattolica, avendo una maggioranza pentecostale che in alcune zone raggiunge addirittura l’80% degli abitanti. Inoltre, dove è ancora cattolica, la fede “non si vive né nella società né nella storia”. Vale a dire: la fede non è messa in pratica. Molto diffusa è poi la piaga tremenda della pedofilia, della quale l’IL non parla affatto. “Nella sola regione del Parà in un anno furono segnalati 25.000 casi di pedofilia”. Tuttavia, “sfortunatamente l’IL non conosce o conoscendo non capisce, la trascendenza per il presente e il futuro dell’Amazzonia, la faccia angosciata, vittimizzata, deturpata dei bambini dai propri genitori e parenti, soggetti a schiavitù”. Sembra di capire che la “pedofilia” qui menzionata implichi la “schiavitù sessuale” nelle sue diverse forme e quindi anche l’infierire della prostituzione minorile, maschile e femminile, persino con la condiscendenza delle famiglie. Il documento presinodale, anche secondo mons. Azcona, è del tutto “irreale” nelle sue analisi, animato com’è da uno spirito “neo-pelagiano” dal momento che “livella il Vangelo alle culture amazzoniche (indigene) ecclesiologicamente prive di fondamenti teologici e pastorali, con l’annullamento del Vangelo della salvezza”. Il documento va ben oltre il Decreto conciliare Ad Gentes, che - afferma egli - non contiene una “tendenza al livellamento tra culture (indigene) ed evangeliche”. L’utopia della “rinascita” delle religioni precolombiane rappresenta “un regresso”, mentre non occorrono viri probati (ossia ordinare uomini sposati) per la rinascita del cattolicesimo in quelle terre. “Approvarli sarà mettere un pezzo di stoffa nuova su un vecchio tessuto. Lo strappo sarà più grande. Al contrario, il clero amazzonico ha bisogno, come tutta la Chiesa, di pentimento, conversione, fede che salva in senso stretto. Il senso del ministero sacerdotale, e in particolare in Amazzonia, è stato perso, o è inefficace nella vita o nell’autentica conversione pastorale dei sacerdoti”.
In altre parole: la rinascita può avvenire solo se i sacerdoti torneranno a praticare essi stessi e a predicare la vera fede. E il pericolo di scisma? L’autorità del Papa, sottolinea mons. Azcona, è oggi contestata, viene addirittura accusato di essere un eretico, gli si chiede di dimettersi “per la mancanza di coerenza nella questione della pedofilia nella Chiesa! Non entriamo nella discussione della legittimità di queste domande”, conclude il prelato, che (si noti) non le dichiara a priori illegittime. Pertanto, “in un contesto del genere” aprire la discussione su un documento come lo IL potrebbe portare ad “un vero scisma nella Chiesa”. Conclusione ineccepibile: la “radice fondamentale” della presente carenza di vocazione nella Chiesa, Amazzonia compresa, incluse le popolazioni indigene evangelizzate, “è un’allarmante mancanza di fede”.[18] Sul piano civile, ciò di cui abbisognano le popolazioni amazzoniche è: lotta all’analfabetismo, un’agricoltura decente che crei posti di lavoro, sanità moderna e ben organizzata, in modo da sottrarle alla presa degli sciamani, alle loro superstizioni e paure ancestrali, oltre che alla miseria che le affligge. L’istruzione e l’uso corretto della scienza farebbero loro vincere la paura della natura (la foresta nemica, piena di pericoli), con la quale non hanno affatto il rapporto armonioso e c.d. sapienziale del quale farneticano i teologi indi.[19]
Infine, il 29 settembre scorso è uscito il numero di luglio-agosto 2019 del Courrier de Rome, mensile dottrinale on-line della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, dedicato all’infausto Sinodo amazzonico: Prof. Matteo D’Amico, Synode sur l’Amzzonie, commentaire de l’’Instrumentum laboris’. L’Autore vi riprende ed approfondisce spunti presenti nelle critiche sopra riportate, introducendone di nuovi, teologicamente rilevanti. Circa la sconcertante proclamazione della regione amazzonica “luogo teologico” portatore di una vera e propria “teofanía”, egli ricorda giustamente la dottrina autentica dei luoghi teologici, in modo da permettere al comune fedele di orientarsi.
“Fu elaborata in modo sistematico da Melchior Cano [domenicano spagnolo] nella prima metà del XVI secolo nell’opera De Locis Theologicis. Vi stabilisce dieci luoghi teologici, vale a dire, dei luoghi comprendenti “tutti gli argomenti teologici, con i quali tutti i teologi trovano tutte le loro argomentazioni, sia per confermare che per rigettare una dottrina”. Questi luoghi, egli li divide in propri e impropri. I primi sono: la Scrittura, la Tradizione, la Chiesa, i Concili, i Papi, i Padri, i teologi. I secondi: la ragione umana, la filosofia, la storia. Come si vede, chiosa il prof. D’Amico, “la geografia non è un luogo teologico”.[20] Si noterà che i “luoghi teologici” in senso proprio sono ordinati secondo una precisa gerarchia delle fonti della dottrina cattolica, dalla Scrittura alla teologia. Anche quelli “impropri” fanno chiaramente vedere una gerarchia delle fonti, scalata secondo il loro più logico utilizzo razionale. Da dove, allora, lo Instrumentum ha ricavato l’idea che anche la geografia possa costituire un “luogo teologico” ossia una realtà intrinsecamente “sacra” e quindi significativa per la Rivelazione di Dio e per forza di cosa in modo indipendente dalla vera Rivelazione? Secondo me, l’ha ricavata dalle religioni amerindie, si tratta di “teologia india” della più bell’acqua: gli Aztechi vedevano tra i loro dèi e il loro territorio, diviso per settori geografici, un rapporto particolare: praticavano una sorta di geografia sacra, se così si può dire, articolata sui quattro punti cardinali. Per loro, “l’universo era concepito più in senso religioso che geografico, e fu diviso orizzontalmente e verticalmente in aree di significato sacro.”[21]
L’articolo del prof. D’Amico, inoltre, mette ulteriormente in rilievo il panteismo dell’intero documento, con le sue implicite valenze gnostiche: esso batte e ribatte sulla necessità di ristabilire un rapporto armonioso con la natura (amazzonica e non) come se si trattasse di ristabilire l’unità di un plèroma originario, nel quale avrebbero vissuto gli indigeni prima dell’arrivo dei colonizzatori europei; un’unità umano-divina, dove “tutto si tiene”, già presente nelle religioni indigene (le cui pratiche spiritistiche, sanguinarie e antropofaghe vengono accuratamente taciute); la sua visione di tipo massonico della religione, che non privilegia più il cattolicesimo come unica religione rivelata ma lo vede come religione tra le altre, tutte da accettare purché nessuna pretenda di esser l’unica vera di fronte alle altre.[22] L’articolo insiste, inoltre, sul rovesciamento dell’idea di missione, chiarissimo e devastante nel documento: la Chiesa deve diventare “discepola” delle altre religioni e in particolare proprio di quelle amazzoniche cioè provenienti dai culti amerindi del passato, insomma dal paganesimo più radicale! “Non sono più i pagani a doversi convertire al Vangelo ed entrare nella Chiesa per salvare le loro anime, bensí è la Chiesa che deve convertirsi al culto panteista della natura tipico dei pagani”.[23] E deve farlo, postillo, per salvare la natura (supposta in pericolo di estinzione, secondo la vulgata ambientalista), come se questa fosse la sua missione! Altra conseguenza molto grave sul piano teologico è data dalla sostituzione del concetto tradizionale del peccato come ribellione a Dio e violazione delle leggi morali da Lui stabilite, con una “sociale” dello stesso. Il peccato lo si vede ora soprattutto come “rottura del tessuto di rapporti che legano l’individuo al tutto, nell’arrogarsi il diritto di dominare la natura”.[24] Diventa, in un certo senso, peccato contro la Natura, ora divinizzata, rottura dell’unità tra l’uomo e la natura.
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Paolo Pasqualucci
Filosofo cattolico
Sabato, 12 ottobre 2019
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