ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 23 novembre 2019

La sfida più urgente

Senza mistica si muore

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Sede a dextris meis, donec ponam inimicos tuos scabellum pedum tuorum. […]. De torrente in via bibet; propterea exaltabit caput (Sal 109, 1.7).

Il mondo non potrà mai sopprimere il piccolo gregge a cui il Padre ha donato il Suo regno (cf. Lc 12, 32). Per quanto possiamo apparire deboli e sparpagliati, anche nell’attuale Chiesa militante, siamo in realtà invincibili, giacché il nostro essere e il nostro operare si collocano a tutt’altro livello rispetto a quello dei nostri avversari; tale fatto crea un’assoluta disparità di forze, una sproporzione ontologica tra noi e loro, indipendentemente dalla congiuntura più o meno a noi sfavorevole e dalla potenza dei loro mezzi. 
Il cristiano in stato di grazia agisce infatti soprannaturalmente: la grazia abituale, condizione stabile in cui si trova, sostiene ed eleva ogni suo pensiero, parola e azione che siano intrinsecamente buoni e vengano compiuti con retta intenzione, conferendo ad essi, così, una qualità che li rende affini ai pensieri, parole e azioni di Dio. Il vero cattolico opera in sinergia con l’Onnipotente, al punto che si può legittimamente affermare che le sue operazioni sono effettuate da due soggetti congiunti, sebbene l’uno sia infinitamente superiore all’altro. Ciò si verifica in modo ancor più pieno quando si acconsente alle grazie attuali, cioè a quegli impulsi momentanei della grazia che è data in particolari circostanze e per specifici scopi.

La sfida più urgente è allora quella di favorire sempre meglio la crescita nella grazia, mediante la preghiera, i Sacramenti e le opere buone, e di saper corrispondere sempre più fedelmente ad essa, imparando a riconoscerne il tocco soave e ad assecondarlo con prontezza e generosità. Al fine di acquisire una sensibilità sempre più acuta in questo campo è indispensabile coltivare con cura la vita di unione con Cristo, un’amicizia intensa e appassionata con Lui che conduca ad una profonda intimità di vedute e di sentire. Questo sforzo non ci estrania dalla realtà presente né ci ruba tempo ed energie da dedicare ai nostri doveri di stato o agli impegni derivanti dalle doverose battaglie che siamo chiamati a condurre; al contrario, esso è la condicio sine qua non perché ogni nostra attività sia veramente efficace e raggiunga il suo fine, ovvero sia conforme alla volontà di Dio e concorra alla realizzazione dei Suoi disegni, piuttosto che ostacolarla. Il nostro compito è nientemeno che quello di trasmettere alle generazioni future i germi della verità e del bene, i quali, passata l’odierna burrasca, potranno nuovamente fiorire e svilupparsi.

Una parola va necessariamente spesa per segnalare quelle deviazioni che, proprio per mancanza di una solida vita interiore, rischiano di vanificare perfino l’azione dei buoni. Ho già riflettuto, in altra occasione, su quella che ho denominato sindrome dell’eletto. Essa è tipica di quegli ambienti che si considerano detentori esclusivi della verità e si arrogano una sorta di monopolio della Tradizione, quasi che, al di fuori di essi, ci fosse unicamente modernismo e perdizione. Su questa via si cade inevitabilmente nella superbia del cuore e in una conflittualità permanente anche al proprio interno, dato che la propensione a dogmatizzare le opinioni personali provoca dispute senza fine e dai frutti cattivi. A livello collettivo, il risultato è l’autosegregazione in un ghetto, cosa che comporta di solito pure la separazione dalla Chiesa gerarchica. Lo sforzo impari di doversi contrapporre al mondo intero senza fruire delle grazie garantite dalla comunione con il Corpo Mistico ingenera, a lungo andare, un senso di frustrazione e di scoraggiamento che può sfociare nella disperazione, magari soffocata dall’acredine o esorcizzata da un volontaristico attivismo: illanguidendosi la fede nella Provvidenza, si punta tutto su un’azione puramente umana ispirata da imperativi razionalistici.

Un’altra pericolosa deformazione può esser causata dalla sindrome del perseguitato. Non intendo certo negare l’effettiva persecuzione di certi istituti né minimizzarne la portata e gli effetti, ma solo mettere in guardia dall’identificarsi con questa condizione e dal farne una ragione di vita. In tal caso si può gradualmente perdere la percezione oggettiva della realtà, creandosi un’immagine idealizzata di sé e cadendo in una visione esasperata del mondo esterno. Se poi si scivola nel vittimismo, diventa impossibile riconoscere elementi strutturali e modalità di governo che necessitano effettivamente di correzione in quanto nuocciono ai membri e all’istituzione, la quale, anziché rimanere strumento a servizio della Chiesa, assurge a fine assoluto e a realtà intoccabile. Questo atteggiamento sfocia in un’ottusa ostinazione, refrattaria a qualsiasi richiamo, anche motivato, e avente per esito la completa rovina di un’opera per altri versi encomiabile e benefica.

Un ultimo accenno, infine, merita la sindrome dell’illuminato. Essa raccoglie un fascio di patologie spirituali accomunate dall’idea di esser depositari di una verità iniziatica o di una nuova rivelazione. Qui l’ostacolo maggiore al ravvedimento è la presunzione: qualunque obiezione è automaticamente neutralizzata non con un’argomentazione persuasiva, ma mediante la svalutazione dell’interlocutore, le cui osservazioni sono cassate a priori perché non è a conoscenza dell’arcana dottrina di cui gli iniziati sono in possesso, ma che all’analisi razionale risulta una ridicola invenzione. In questo ambito ci si imbatte in tutto un ventaglio di forme di manipolazione della psiche: dalle pretese apparizioni ai falsi mistici, dai revival neopagani alle versioni sincretistiche della “tradizione”, dalle tecniche di “meditazione” all’esercizio di presunti “carismi”… Sbocco di questa tendenza, nel migliore dei casi, è un disturbo mentale, nel peggiore l’infestazione diabolica: veggenti che parlano con la Madonna, santoni dotati di poteri straordinari, anime elette destinatarie di messaggi celesti, guaritori infallibili, corrispondenti con l’oltretomba… se non è imbroglio o follia, preoccupatevi ancor di più.

«Scopo della nostra vita è l’unione con Dio Trinità, con Dio Sommo Bene, eterno Amore. Ora, questa unione, che non si può descrivere né esprimere a parole, si può in qualche modo spiritualmente sperimentare. Questa esperienza del divino gli autori francescani sogliono chiamarla sapienza, perché è quasi il “sapore”, il gusto del Sommo Bene. […] Chiediamo a Dio con umiltà ma con costanza che si faccia conoscere da noi, che ci dia di Lui quella scienza spirituale, quella esperienza che Egli concede a chi lo ama e fedelmente lo serve; che ci dia questa virtù della sapienza, somma fra tutte, perché sintetizza in sé tutta la vita cristiana. La sapienza porterà un’imperturbabile pace nel fondo dell’anima, dove tutti i desideri, bene ordinati, si unificheranno, semplificandosi, per convergere costantemente al Sommo Bene. E l’anima si immergerà in un composto, sereno abbandono a Dio, misto a profonda letizia interiore; vivrà nella soavità della divina presenza e potrà dire veramente: Gustate e vedete quanto è soave il Signore! (Sal 33, 9)» (Marciano M. Ciccarelli OFM, L’ascensione a Dio, Milano 1952).

La vera mistica non ha nulla da spartire con quelle artificiose, ingenerate dalle sindromi sopra abbozzate. C’è un rapporto interpersonale cui il credente deve aprirsi, una reale relazione d’amore che coinvolga tutte le dimensioni del suo essere per porlo in comunicazione con il Santo dei Santi. Poiché, da un lato, c’è una misera creatura peccatrice, essa esige un lungo e doloroso processo di progressiva purificazione e illuminazione, fondato sulla verità rivelata e guidato dalla legge morale. L’Essere in sé sussistente, il Sommo Bene, ha un volto paterno pieno di tenerezza, ma l’uomo non può certo aderirvi rimanendo soggetto al male; viceversa, più egli elimina, con l’aiuto della grazia, i propri peccati e imperfezioni, più pienamente può unirsi a Dio. Senza una dura lotta per rendersi capaci di servirlo sempre più fedelmente, è impossibile pervenire a quell’unificazione interiore che assicura l’imperturbabile pace e il sereno abbandono evocati dall’autore francescano.

Quando l’avrai raggiunta, potrai sentirti dire: «Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi» (Sal 109, 1). La convergenza di tutte le tue forze e di ogni tuo desiderio nell’amore e nel servizio del Re avrà reso l’unione così intima che potrai assiderti accanto a Lui e attendere tranquillamente che annienti totalmente i tuoi nemici spirituali, già da te sconfitti nella tua battaglia personale: Dominus a dextris tuis; confregit in die irae suae reges. Iudicabit in nationibus; implebit ruinas, conquassabit capita in terra multorum (Sal 109, 5-6). Per giungere a tale stato di sicurezza dell’anima è indispensabile, lungo il cammino, abbeverarsi in abbondanza al torrente della grazia, così da poter rialzare il capo dopo ogni assalto (cf. Sal 109, 7). Soltanto così si può resistere all’attuale scatenamento del male, che rende le tentazioni molto più frequenti e violente anche per i giusti, dato che i demoni si sentono autorizzati dalle più alte autorità ecclesiastiche a scorrazzare spavaldi. Questa è anche l’unica risposta sensata che, accompagnata da una coraggiosa difesa della verità e da un costante esercizio della carità, possiamo dare al dilagare dell’errore e del lerciume nella Chiesa terrena: il Signore ha già giudicato e, presto o tardi, eseguirà la sentenza.


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