Le riflessioni sulle parole di mons. Paglia in merito all’accompagnamento pastorale di chi commette suicidio assistito vedono oggi il contributo di Ed Condon, pubblicato sul Catholic News Agency, che ipotizza nuovi fronti di uno scontro simile a quello in atto per l’accesso dei divorziati risposati alla Comunione secondo le varie interpretazioni di Amoris Laetitia. Secondo il giornalista ci sarà chi interpreterà le parole di Paglia in modo “aperturista” anche alla luce di alcune affermazioni di papa Francesco, e chi invece le riterrà contrarie al Magistero della Chiesa non ravvisando nelle parole del Pontefice alcuna apertura.
Le altre riflessioni che abbiamo pubblicato sulla questione le trovate qui e qui
Ecco l’articolo di Ed Condon nella mia traduzione. 
Annarosa Rossetto.  
Mons. Vincenzo Paglia
Mons. Vincenzo Paglia
La scorsa settimana l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha affermato che la Chiesa dovrebbe “andare oltre le regole” sul suicidio assistito, aggiungendo che i Cattolici hanno il dovere di “accompagnare” coloro che scelgono di porre fine alla propria vita.
“Credo dal nostro punto di vista, nessuno possa essere abbandonato, anche se siamo contro il suicidio assistito perché non vogliamo fare il lavoro sporco della morte”, ha detto Paglia ai giornalisti il ​​10 dicembre dopo un simposio di due giorni sulle cure palliative.
Paglia stava rispondendo alle domande su un recente documento emanato dai vescovi della Svizzera, in cui si diceva che gli assistenti spirituali non dovevano essere presenti durante la morte per suicidio assistito di una persona. Pur condannando il suicidio come “una grande sconfitta”, l’arcivescovo ha anche affermato che “accompagnare, tenere per mano chi muore, credo che sia il grande compito che ogni credente debba promuovere”.
Mentre Paglia ha recentemente condannato l’eutanasia e l’aiuto al suicidio in modo inequivocabile, le sue osservazioni di questo mese hanno portato alcuni a chiedersi se, con “accompagnamento pastorale”, egli non stia aprendo la Chiesa ad una sorta di tacita accettazione del suicidio assistito.
Parlando la scorsa settimana sulle linee guida dei vescovi svizzeri, Paglia ha affermato che vorrebbe “togliere l’ideologia da queste situazioni”.
“Si pensa alle leggi quando la cosa più grave è l’abbandono di migliaia e migliaia di malati, anche quando c’è la legge. Credo che nessuno dovrebbe essere abbandonato.”
Come, hanno chiesto alcuni commentatori, è possibile “accompagnare” qualcuno che pone fine alla sua vita e, allo stesso tempo, rimanere fedeli testimoni della santità della vita, del significato cristiano della sofferenza umana e della speranza della risurrezione?
Molti Cattolici hanno criticato Paglia, affermando che i suoi commenti rappresentano una deviazione dagli insegnamenti della Chiesa sulla vita che il suo ufficio è chiamato a portare avanti.
Ma quei Cattolici che sperano in una rapida correzione dell’insistenza di Paglia sulla necessità di “accompagnare” qualcuno che compie un suicidio assistito potrebbero rimanere deluso. E in assenza di chiarezza da parte del Vaticano, le osservazioni di Paglia potrebbero segnalare un altro campo di battaglia sulle esigenze pastorali, con l’utilizzo ambiguo di affermazioni ben selezionate di papa Francesco.
L’ “accompagnamento pastorale” di persone in situazioni difficili, anche gravemente contrarie all’insegnamento della Chiesa, è diventato un punto di scontro nel pontificato di Francesco.
Il disaccordo si concentra spesso verso quale direzione una persona venga “accompagnata” – se vi sia un reale spostamento verso un cambiamento della vita della persona in linea con l’insegnamento della Chiesa, o se una situazione peccaminosa venga invece tacitamente legittimata.
Forse la controversia più nota sui limiti dell’accompagnamento pastorale è stata la richiesta di ammettere alla Comunione i divorziati risposati civilmente.
I vescovi che sostengono una tale manifesta violazione dell’insegnamento e della disciplina della Chiesa si rifanno ad Amoris laetitia, l’esortazione apostolica post-sinodale del papa,  che, nel chiedere l’accompagnamento pastorale di tali coppie, ha affermato che ciò potrebbe comprendere “l’aiuto dei Sacramenti”.
Molti hanno insistito sul fatto che ammettere alla Comunione i Cattolici che vivono quelle che sono, in senso stretto, unioni adulterine è un pericolo per le loro anime e, invece che aiutarli a regolarizzare la loro situazione, potrebbe convincerli che le cose vanno bene così come sono. Coloro che sostengono questo si rifanno ad una lettura di Amoris che suggerirebbe che “l’aiuto dei sacramenti” significa che prima ci debbano essere confessione e assoluzione, con la conseguente determinazione di chiudere in primo luogo con il peccato.
Altri, in particolare la conferenza episcopale argentina, hanno suggerito che il ricevere la Comunione da parte di coppie in unioni irregolari possa essere una forma accettabile di “aiuto”, e insistono sul fatto che Amoris lo consenta proprio, anche se i due intendano continuare nella loro relazione.
Sebbene abbia affermato che la piena integrazione dei divorziati risposati nella vita parrocchiale non significa ammissione alla Comunione, papa Francesco non ha mai pubblicamente scoraggiato coloro che comunque la richiedono.
Un dibattito sull’accompagnamento per chi chiede e ottiene il suicidio assistito potrebbe portare a polemiche simili a quelle di Amoris.
Papa Francesco si è espresso pubblicamente e coerentemente sia sull’eutanasia che sul suicidio assistito.
A settembre ha affermato che entrambe queste pratiche “si basano su una visione utilitaristica della persona, la quale diventa inutile o può essere equiparata a un costo, se dal punto di vista medico non ha speranze di miglioramento o non può più evitare il dolore.”
Tuttavia, parlando in particolare dell’illegittimità dell’eutanasia nel 2017, il papa ha anche insistito sul “comandamento supremo della vicinanza responsabile” e ha incoraggiato a rimanere accanto a coloro che stanno morendo.
“L’angoscia della condizione che ci porta sulla soglia del limite umano supremo, e le scelte difficili che occorre assumere, ci espongono alla tentazione di sottrarci alla relazione. Ma questo è il luogo in cui ci vengono chiesti amore e vicinanza, più di ogni altra cosa, riconoscendo il limite che tutti ci accumuna e proprio lì rendendoci solidali.”, ha affermato il papa.
“Si potrebbe dire che l’imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato”.
Collocato nel contesto dell'”imperativo categorico” di Papa Francesco, e riconoscendo che lo stesso Paglia ha insistito sul fatto che la morte assistita sia sempre e comunque sbagliata e una “sconfitta”, non è difficile vedere come l’arcivescovo potrebbe vedere le sue stesse dichiarazioni come in linea con il pensiero del papa – per quanto lontane dalla disciplina pastorale e dall’insegnamento della Chiesa, potrebbero sembrare.
Ciò che non è chiaro è quale forma di accompagnamento valido è possibile in tali circostanze. Molti sacerdoti sostengono che l’unico modo possibile per “accompagnare” una persona che cerca di porre fine alla propria vita è di cercare di fermarlo, fisicamente se necessario, e di pregarlo di confessarsi nel momento in cui sia troppo tardi per impedirne la morte.
“Tenere la mano” di una persona morente può fornire un po’ di conforto nei momenti di solitudine, ma sarebbe un conforto falso senza il pentimento di chi sta morendo, si potrebbe argomentare.
L’insistenza di Paglia sul non abbandonare mai una persona in punto di morte potrebbe, ad alcuni, sembrare emotivamente difendibile. Ma sarà oggetto di accesi dibattiti se si tratta di un’interpretazione fedele delle osservazioni del Papa sull’abbandono dei malati. Dicendo di non abbandonare mai i malati, il Papa voleva dire di rimanere presenti, anche se qualcuno ha causato la propria morte, o intendeva dire che i sacerdoti dovevano continuare fino alla fine a esortare tali persone a pentirsi?
Man mano che il suicidio assistito diventerà sempre più comune in Occidente, è probabile che questo dibattito acquisisca una rilevanza sempre più urgente.
Per rispondere a Paglia e ai vescovi di tutto il mondo che affrontano questioni pastorali di fine vita, il Vaticano potrebbe decidere di emanare linee guida per i sacerdoti che affrontano la situazione di cura pastorale verso coloro che hanno commesso, o tentato, il suicidio assistito. Fino a quando ciò non accadrà, si aprirà un nuovo fronte nel dibattito di Amoris, poiché i commenti di Paglia saranno visti da alcuni come una vicinanza pastorale e da altri come una pericolosa crepa nella difesa della vita in ogni sua fase da parte della Chiesa.
Di Annarosa Rossetto