ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 2 dicembre 2019

Lo spettro del maschio

NEL NOME DELLO SPIRITO VIRILE


Nel nome del padre, del figlio e dello spirito virile. Il testo dell'intervento di Roberto Pecchioli al convegno "Per una rivolta ideale". La parola maschio è oggi confinata nel recinto del Male in nome di menzogne, indottrinamento a verità capovolte  
  
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Uno spettro si aggira per l’Occidente: lo spettro del maschio. E’ in corso la guerra contro lo spirito virile. Colpevole, malvagio, violento, va rieducato, ri-costruito attraverso la vergogna e l’odio di sé. Iniziò Marcuse rivendicando un mondo liberato dalle costrizioni sessuali e dalla “personalità autoritaria” Il mix di marxismo in salsa borghese, freudismo e femminismo ha determinato l’attacco alla famiglia e ha detronizzato il padre, umiliandolo al ruolo di animale da riproduzione, bancomat dei figli. Sotto accusa è l’uomo in quanto tale. I suoi istinti ricevono lo stigma dell’assassinio e della violenza; il re è spodestato; guai ai vinti!

L’uomo è il perdente della contemporaneità: il “logos”, l’ordine, la legge sono in crisi da quando l’Occidente ha rovesciato i suoi valori e la tecnologia ha destituito la forza fisica ed elevato la ragione economica ad ethos della modernità. Molti ne hanno approfittato: assenza, indifferenza nei confronti dei figli, delega alle madri ed alle agenzie pubbliche per l’educazione. Risultato: una società senza padri, educata da donne, con valori e principi femminili, in cui i giovani uomini sono confusi, in bilico tra istinto e divieti, privi di figure di riferimento del proprio sesso. Il padre era la legge, colui che indicava ciò che si poteva o non si poteva fare. Insegnava il divieto, il rinvio, proibito da Freud, Marcuse, dai deliri di Wilhelm Reich.
Le madri intrattengono con i figli maschi rapporti di reciproca dipendenza. Da un lato, il desiderio di cura e protezione, dall’altro il cordone ombelicale mai reciso, la distorta convinzione che le donne siano madri di complemento. Ma dove sono i padri che spiegano la differenza, narrano con l’esempio il bene e il male?  La natura del maschio è territoriale, protettiva, detesta il rifiuto. Se il padre non insegna a capire, non guida, non addestra alle sconfitte (come si fa, con l’obbligo di essere vincenti, performanti); se la madre non sgomina il tirannello insensato, questi diventerà gelosissimo e insicuro. Esclusivo ed ombroso, l’ansia da prestazione lo affliggerà tutta la vita. Tutti ne hanno tollerato i comportamenti, nessuno ha spiegato il limite. Non è preparato al mistero insospettato dell’alterità femminile. Vivrà con angoscia separazioni ed abbandoni; alcuni precipitano nella violenza.  

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Roberto Pecchioli

José Ortega y Gasset, nella Ribellione delle masse, descrisse il “signorino viziato”, senza passato e senza futuro, pieno di pretese, incapace di andare oltre desideri e pulsioni, incurante dei perché, agito dalle cose. Può diventare un assassino poiché non comprende le azioni compiute senza libretto delle istruzioni, salvo pentimenti drammatici a posteriori. Il signorino viziato non conosce la forza fisica, perché l’opposizione di madri, insegnanti, psicologhe gli proibisce di esprimerla, (l’orrore, oh l’orrore del Cuore di tenebra).
E’ necessario invertire l’inversione, riportare il padre al centro, rivalutare i valori maschili, l’onore, la forza, il senso cavalleresco di donazione, altruismo, rispetto della donna. Ritornare a Parsifal, ad Ulisse che ristabilisce la legge sconfiggendo i signorini viziati, i Proci. Ci vogliono donne come Penelope, guerrieri come Ettore, di cui non è più santo e lagrimato il sangue per la patria versato (chi glielo ha fatto fare, direbbero le maestrine con il drappo arcobaleno e la scritta lasciateci in pace).
La postmodernità ha scomunicato i valori maschili e svalutato la paternità. Il mercato è fondato sul principio femminile della soddisfazione immediata. Siamo “macchine desideranti”, consumatori con la saliva in bocca al pensiero dell’acquisto. L’archetipo maschile è quello di iniziatore, creatore di forme, promotore ed agente dei cambiamenti. Inibirlo è la forma odierna della castrazione.
Oggi conta l’adattamento, la costrizione in schemi che escludono l’inesplorato in favore dell’immediato, trattenendo la spinta verso l’oltre. E’ il femminile, manifestato nella figura della Grande Madre.  Per i giovani maschi, non esistono più riti di iniziazione. Nella vita atomizzata, metafora di condizioni esistenziali prive di forma, spesso non c’è neppure il gruppo amicale dei pari, le fratrie un po’ ribalde e un po’ trasgressive nelle quali il ragazzo sperimentava il “sé”. I padri, quando ci sono, diventano “mammi” apprensivi, immaturi compagni di giochi, amiconi. Manca la verticalità, non più nani sulle spalle di giganti, i padri che descrivono il senso di ciò che il figlio scopre.
La società ha adottato valori femminili: il primato dell’economia sulla politica, del consumo sulla produzione, della discussione sulla decisione, il declino dell’autorità a vantaggio del dialogo, l’egemonia della materia. Si sopravvaluta il bambino, la protezione, l’umanitarismo generico, la prevalenza dell’apparire - immagine al posto di onore - il sospetto nei confronti della seduzione maschile, equiparata alla molestia. Di pari passo, si è sviluppata la prevalenza femminile nelle professioni educative, tra gli operatori sociali, nella psicologia.

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Nel nome del padre, del figlio e dello spirito virile? Oggi occorre smascherare il femminismo di ultima ondata. Supportato dai cascami del post marxismo alleato con il libertarismo, diffonde un’antropologia fondata sulla lotta di classe, riprodotta nella guerra tra i sessi.

L’esito è un mercato dell’emotività e della compassione. Si nota un’insistenza nei giudizi precostituiti, applicare etichette senza fornire risposte. Dilaga il gusto per la commistione, l’ibridazione. La globalizzazione ha un’impronta femminile, flussi e riflussi, né frontiere né punti di riferimento. Un universo amniotico senza la consistenza ed il nomos della terra. La logica della Madre è quella del mare, estraneo alla Legge come mostrò Carl Schmitt.
Occorre fermare la deriva recuperando lo spirito maschile. E’ indispensabile costruire un equilibrio, un Tao dei sessi, sul modello dei due principi yin e yang, opposti ma intrecciati uno nell'altro. I numeri sono da brivido. Il 90 per cento dei senza fissa dimora e dei figli fuggiti da casa provengono da famiglie senza padri, come tre quarti dei giovani carcerati e due terzi dei suicidi precoci. Oltre un terzo dei matrimoni si conclude con la separazione. Il tribunale affida alle madri il 90 per cento dei figli, escludendo di fatto il padre dall’ educazione. L’insegnamento è professione femminile. Le generazioni maschili non conoscono più se stesse per assenza di figure in cui identificarsi. Diventano dipendenti dalla Madre che soddisfa i bisogni, elimina i rischi, esercita il controllo, diffonde conformismo.  
La società è contro il padre, lo esclude, lo ridicolizza, lo considera superfluo. Le tecniche riproduttive zootecniche lo riducono a macchina del seme. Si diffonde la scissione tra la psiche profonda, nella quale il padre è il legame con la dimensione transpersonale, e la coscienza superficiale dominata dalla madre. Tale scissione indebolisce lo spirito virile, in cui risiedono le forze attive e creative, con il rischio di smarrire l’identità sessuale. La deriva materialista si ripercuote sulla famiglia, il cui sistema simbolico aveva al centro il Padre terreno, riflesso del Padre celeste. Legge e diritto si risolvono in puro potere: l’argomento di Trasimaco nella Repubblica di Platone, “il giusto è l’utile del più forte”. La donna-madre appaga i bisogni, dona la cura. Non può essere anche fondatrice del senso del dovere, banditrice del sacrificio: l’esempio è il pacifismo che rifiuta il rischio, tanto più dei figli. Ma la pace è l’esito della giustizia, non condizione a cui sacrificare dignità e onore. 
Negata la trascendenza, la visione è orizzontale, fatta di egoismo e nichilismo. La vita è una, non la offro a nessuno, tanto meno ad una causa: fatti i fatti tuoi, ingiunge la madre, lascia agli altri l’impegno, il sacrificio, la scoperta. Tutto è “gestito”, famiglia, lavoro, tempo libero, un atto di mera conservazione, l’adattamento orizzontale. Il femminismo e la sinistra hanno lavorato per il Re di Prussia, il mercatismo post borghese. Maestri nel distruggere, hanno creato un clima e un diritto nemici della vita, legislazioni che spezzano la catena di trasmissione delle generazioni, sciolgono i vincoli, indifferenti alla continuità dei legami che generano, accolgono e amano la vita. L’anello da tagliare era lo spirito virile, principio creatore e produttore di idee.

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La postmodernità ha scomunicato i valori maschili e svalutato la paternità. Il mercato è fondato sul principio femminile della soddisfazione immediata.

L’abortismo, per vincere la sua triste battaglia, doveva togliere la parola al padre. Il femminismo ha diffuso la convinzione che il nascituro sia un grumo di cellule da espellere dal corpo che ne dispone; il padre non conta, ha partecipato ad un atto fisico, il suo ruolo è esaurito. Può perfino vendere il seme per trenta denari. Non può opporsi alla volontà della non-madre, e, deresponsabilizzato, si frega le mani. La coscienza virile, consapevole dei doveri, in nome dei quali rivendica diritti, deve essere rimessa all’onore del mondo. E’ l’uomo a decidere di dare la vita, deve difenderla, proteggerla, orientarla.  Maschile non è una parolaccia, un tabù impronunciabile. Basta con la rimozione degli istinti. Quello maschile è caccia, ricerca, competizione; si manifesta con qualche parola fuori posto, talora con il confronto fisico.
Non si deve inibire il maschietto, proibendogli il gioco pesante con lo sdegno di maestrine scandalizzate e madri tremebonde: è iniziazione, rito, sfogo. Non può indossare la camicia di forza del buonismo. Deve avere una soglia di accettazione della fatica e del dolore fisico, capire che la sua forza è a disposizione, sublimata in fortezza, resistenza, determinazione. E’ un percorso che ha bisogno di cadute, sperimentare la sconfitta e persino vedere il proprio sangue. In nome dell’Unico non ci sono più i sessi, travolti dall’androgino e dal transessuale. E’ respinto nella barbarie ciò che è vigoroso, potente, autorevole. Un assassinio calcolatoTutto deve essere contenuto, depilato con la ceretta del conformismo. Il giovane maschio deve scusarsi di essere com’è. Se lo fa, verrà perdonato, accolto alla fiera dell’Identico. Altrimenti, resterà un selvaggio, Enkidu nella Saga di Gilgamesh, o un deviante.
Beneficamente selvaggio è chi, attraverso il rapporto con le forze primigenie, è indipendente, libero, non chiede aiuto a enti assistenziali, non permette che la sfera prescrittiva colonizzi la vita. Rifiuta la mercificazione dei rapporti, conosce il dono di sé. Siamo prigionieri di due madri esigenti e protettive: quella naturale e la mentalità che assiste dalla culla alla tomba in cambio del cervello, del consumo imposto dal Mercato e dalla pubblicità, l’induzione di bisogni che Jacques Lacan definiva plusgodere. Noi italiani abbiamo un rapporto particolare con la madre. L’Italia non è patria, terra dei padri, ma matria. Il rapporto con la nostra identità non è verticale, ma ombelicale, rappresentato dalla lupa che allatta Romolo e Remo, fratelli coltelli, uno dei quali tracciò il confine e pose la legge.  
Faust è disposto a dannarsi per penetrare il mistero della conoscenza. Lo redime Margherita, che pure ha maltrattato. L’’Ulisse dantesco guida i compagni alla scoperta poiché “fatti non foste a viver come bruti, ma a seguir virtute e conoscenza”. Don Chisciotte lascia il suo mondo di hidalgo per rincorrere il sogno della cavalleria errante. Accetta le privazioni, trasfigura in Dulcinea la rozza contadina Aldonza, combatte. Chisciotte parte dal punto in cui finisce il principe Myshkin di Dostojevskji: la follia come autodifesa dinanzi al male. Uno lo affronta battendosi con giganti immaginari, l’altro caricandoselo sulle spalle.

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La società è contro il padre, lo esclude, lo ridicolizza, lo considera superfluo. Le tecniche riproduttive zootecniche lo riducono a macchina del seme.

Espellere il Guerriero, l’Errante ed il Ribelle dal cuore maschile attraverso la vergogna o la stigmatizzazione è un crimine cui porre rimedio, ristabilendo gli archetipi. Nell’incisione “Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo” un uomo a cavallo, spada al fianco e lancia in resta, incede lento e severo. La Morte ed il Diavolo non gli fanno paura. Il Maligno può provocare scontri, ma il cavaliere è avvezzo ai cimenti. La morte non lo atterrisce poiché ha superato la viltà. La sconfitta fa parte del gioco, conta la causa, non il successo.
La sua nobiltà, la calma gravità è incomprensibile a chi non scende nella mischia dove andrebbero in pezzi gli occhialini di miopi paurosi. Il cavaliere riassume ogni rotta tentata, il volo, i naufragi, le frontiere varcate e quelle inespugnate, sfide e sfidanti, temerità di soldati, gioco, amore, contemplazione, guerra, superbia di toreri, coraggio di navigatori. Suo erede è il poeta di Baudelaire, l’albatros schernito per il suo incedere goffo, che in volo spiega le ali e ride degli abissi. Il cavaliere porta in sé il bene ed il male, fiero della sua aristocrazia interiore; non sarà mai un puntino tra la plebe con maglia della salute. Cerca la vittoria, accetta la sconfitta.
Parsifal è il rifiuto del nichilismo. Siamo avvolti da un clima che veicola il peggio delle istanze individualistiche ed edonistiche di un arido ceto medio femminilizzato, declamante la retorica dei diritti, la liberazione da famiglia, Stato, religione, nazione, radici. In un’epoca attratta dalla contaminazione, il “melting pot” che frulla e dissolve, Parsifal rappresenta la purezza, ciò che è originario, di razza. La sua storia corrisponde al destino dell’uomo contemporaneo, generazione senza padre.  Orfano, è allevato dalla madre in una remota fattoria, ignaro del mondo. Evade dal microcosmo in cui è rinchiuso, e vive un intenso processo di iniziazione al senso virile, dagli aspetti materiali sino alla più elevata spiritualità. E’ insieme Guerriero, Errante e Ribelle: fugge dalla madre e abbandona il conformismo. Ristabilisce l’amore di fronte al potere, rivendica silenziosamente la diversità maschile adesso svalutata nelle dimensioni psicologiche, affettive e biologiche. 
E’ di moda il genere neutro, in un tempo fondato sul valore dell’individuo auto creato, possessivo, un “dividuo”, scisso dalla natura, alla deriva nel consumo- anche di sé- ridotto all’orientamento sessuale e al desiderio compulsivo. Pure la figura della madre è sotto attacco, con legislazioni che autorizzano compravendita di ovuli, affitto di uteri, maternità surrogate, tecniche tese a legittimare ogni forma di filiazione e convincere che la genitorialità non ha relazione con il sesso biologico, né con la diversità complementare. Dalla confusione dispiegata in pedagogie obbligatorie, il sistema attende la crescita di un soggetto antropologico neutro che sceglie il suo sesso.    

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Oggi per i giovani maschi, non esistono più riti di iniziazione. Nella vita atomizzata, metafora di condizioni esistenziali prive di forma, spesso non c’è neppure il gruppo amicale dei pari, le fratrie un po’ ribalde e un po’ trasgressive nelle quali il ragazzo sperimentava il “sé”. I padri, quando ci sono, diventano “mammi” apprensivi, immaturi compagni di giochi, amiconi!

L’ imbroglio è smentito dalla fisiologia. I detti popolari circa la maggiore intuitività e multifunzionalità femminile, bilanciata dalla logica e razionalità maschile sono confermati, e gettano tra i rifiuti pericolosi le panzane di falsi profeti secondo cui il sesso è una costruzione artificiale della società patriarcale autoritaria. Gli studi scientifici confermano le differenze strutturali e funzionali tra il cervello maschile e femminile. I pregiudizi del positivismo materialista, (la donna è un uomo arrestato nel suo sviluppo) sono sconfitti quanto le elucubrazioni dei teorizzatori del carattere socio- comportamentale dei generi. Gli uomini hanno più neuroni (materia grigia) e le donne maggiori connessioni (materia bianca), i cervelli funzionano con modalità distinte.  I due sessi sono complementari. Camminando a braccetto, vedono più chiaro, scoprono insieme il mistero di cui sono parte.
La natura ha fatto le cose per bene; non sta all’uomo rovesciarla. Unificato tutto nel consumo, il modello della donna liberata, performante e piena di opportunità è una replicante dell’uomo. Osserviamo la pubblicità. Ci sono la donna –manager, vestita come un uomo, decisa, carrierista e senza cuore, la virago muscolosa ed esperta di arti marziali, la sportiva che gareggia e vince anche “in quei giorni”.
L’ uomo contemporaneo non lascia eredità, consuma ogni esperienza come una candela. A sua volta, non è erede di nulla: autocreato, cresciuto da due madri, quella biologica iperprotettiva, organizzatrice della vita, e quella del potere. Dice Paolo di Tarso, “Dio mandò il suo figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E se sei figlio, sei anche erede.”  La Legge rende anelli di una catena che non va spezzata.
La psicanalisi, pseudoscienza del sospetto, ci allontana dalla Legge e dall’eredità, attraverso la menzogna del complesso di Edipo. Sigmund Freud è il peggiore tra i cattivi maestri. La sua eredità è stata raccolta da Deleuze e Guattari, alfieri dell’eliminazione del padre attraverso la decostruzione di tutti i principi che avevano sorretto l’Europa per secoli, sostituiti da un magma informe, il rizoma, le cui colate incandescenti hanno ridotto a cenere le ultime generazioni. Non il dionisiaco di Nietzsche opposto all’apollineo, ma il caos. Rigettata l’eredità del padre, non si può che rifiutare di trasmettere qualcosa. E’ la generazione di figli narcisi, riflesso di genitori altrettanto narcisi, sottomettessi ai ritmi del bambino, idolo capriccioso che esige dalla famiglia di modellarsi attorno a lui. Si impone un’azione ri-educativa che parta dal padre. Il narcisismo è autopoietico, vive di sé, non conosce che l’immagine riflessa.

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Siamo avvolti da un clima che veicola il peggio delle istanze individualistiche ed edonistiche di un arido ceto medio femminilizzato, declamante la retorica dei diritti, la liberazione da famiglia, Stato, religione, nazione, radici.

Un altro archetipo è Ulisse. Vuole fortemente tornare ad Itaca dalla moglie, rinuncia a Circe che gli promette l’immortalità. E’ prima marito, costruttore di un progetto con l’altra metà del cielo, misteriosa donatrice di vita. Telemaco è il figlio; non conosce il padre, partito quando era in fasce, sa della sua forza e della legge che aveva posto. Lo cerca, si ricongiunge con lui e lo affianca nel ristabilimento della Legge. Dice: “Se gli uomini potessero scegliere da soli, per prima cosa vorrei il ritorno del padre.” 
Giusto erede è il figlio che rinnova il mondo a partire dal patrimonio paterno. “Ciò che hai ereditato, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero “(Goethe). La conquista, gesto maschile, ha bisogno di un atto di volontà, la decisione di intraprendere un percorso il cui destino si conoscerà lungo il tragitto. L’eredità è un movimento in avanti. La natura del giovane maschio è di andarsene per sperimentare. Rainer M. Rilke: “ma chi ci ha rivoltati così/ che qualsiasi cosa facciamo/ siamo sempre nell’atto di andarcene? “La risposta è Dio per i credenti, la natura per gli altri, più nobili del nudo caso, del materialismo zoologico.  L’essenziale è invisibile agli occhi, avverte Saint Exupéry, ma il padre deve addestrare all’ascolto della voce interiore.
La cura e il senso di conservazione femminile acquietano l’animo, forniscono istruzioni per la quotidianità. Prediligono il viaggio “tutto compreso” muniti di Bignami. Nell’eccesso di controllo si nasconde la perdita del Logos, della Legge. La soluzione è ritornare al reale, antidoto alla menzogna che nega il senso comune: due sessi destinati all’incontro, legge naturale, rispetto per il creato. In una fiaba dei fratelli Grimm, il gigante Giovanni di Ferro fugge con un bimbo nella foresta e impone al piccolo di cavarsela da solo. Sarà pronto ad aiutarlo; il percorso di iniziazione del fanciullo potrà contare sulla sua esperienza, coraggio ed energia. Coraggio ed energia sono virtù sospette, orientate ad una dimensione verticale e comunitaria dell’esistenza. L’individualista non è coraggioso, il coraggio è di chi si mette a disposizione, supera l’interesse e guarda al bene comune, spendendo le forze senza risparmio. L’uomo coraggioso va contro l’istinto egoista tendente alla conservazione ed alla soddisfazione immediata.
Parsifal è altruista, trattiene gli istinti sublimandoli. Diverso dall’ Homo consumens, sa rinviare, nutrire il desiderio. Insegna un’altra virtù screditata: la franchezza. Sincero, mai ipocrita, disprezza i riti conformistici; il suo posto resta la natura, sua regola l’esperienza diretta, i suoi occhi. Nel progetto postmoderno si svaluta l’esperienza personale a favore di modelli prefabbricati, si espropria la conoscenza. Il senso comune è subordinato al sapere tecnico. Ritrovare l’esperienza personale è la chiave della capacità di giudizio a cui il padre deve educare il figlio. Volontà di potenza depurata dalla smania di dominio, rigore, prudenza e senso del limite contro la dilagante volontà di impotenza. L’eredità è cosa seria: il padre vuol trasmettere al figlio ciò che ha e ciò che è. L’eredità degradata è responsabilità dei padri. L’identità passa per ideali positivi, che recuperino, con il maschile, l’umano.

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Dopo la demonizzazione del maschio, abusatore e assassino in servizio permanente effettivo, la scelta del genere, distinto dal sesso (la neolingua prescrive il lessico per nuovi concetti) si trasforma in diritto individuale.

I padri delle generazioni precedenti deridevano la vanità ma insegnavano l’amor proprio. Considerata sbrigativamente attitudine femminile, si è diffusa come un’epidemia nel culto dell’immagine, del corpo, del successo. Una società senza padri ha la vanità nel sangue poiché riconosce solo se stessa. Ezra Pound: Strappa da te la vanità, ti dico strappala. Impara dal verde mondo quale possa essere il tuo posto.” Da padri, l’obiettivo è trasmettere, lasciare un testamento. Nessun altro è in grado di pronunciare i no che educano alla vita. Le biotecnologie rendono superflua la prestazione dalla quale scaturisce la paternità: bastano provette, siringhe e una mesta polluzione. Come può essere preso sul serio un padre simile? Perché ascoltarlo, dal momento che, screditato il legame di sangue, la sua unica funzione è fornire il seme?
Il passato è abolito, padri e madri sono “genitore 1” e “genitore 2”, il principio di piacere travolge quello di realtà, Esauriti i modelli, diffamati gli eroi, resta il vuoto, il silenzio di chi non domanda perché non avrà risposte. I più fragili sono i giovani maschi. Una femminista, Ida Magli, bollò con parole di fuoco quanto sia drammatico avere estirpato lo spirito virile. Moralismi, sensi di colpa. L’accusa di maschilismo atterrisce quanto quella di razzismo.
Occorre smascherare il femminismo di ultima ondata. Supportato dai cascami del post marxismo alleato con il libertarismo, diffonde un’antropologia fondata sulla lotta di classe, riprodotta nella guerra tra i sessi. Una curvatura ideologica alla base di parole come sessismo, l’intenzione antifemminile di atti, parole, comportamenti, della richiesta imperativa di leggi sulla cosiddetta violenza di genere, in cui il giusto rigetto per l’abuso sessuale si trasforma in odio per l’uomo e imposizione di una narrazione del maschio naturalmente incline all’abuso. E’ contigua all’ attivismo omosessuale e promuove il rifiuto della maternità. Le teoriche neofemministe sono lesbiche; tutte le donne, dicono, dovrebbero diventarlo. L’eterosessualità sarebbe un un’attitudine imposta dalla società eteropatriarcale.
La differenza femminile è rivendicata in forma agonale, rancorosa, senza riguardo per la biologia e la fisiologia. E’ rigettata la cosmogonia del Genesi, maschio e femmina li creò: la distinzione è frutto di un sistema normativo. E’ obbligatorio per la donna essere femminista e per l ‘uomo applaudirla, ma è proibito essere maschilisti. Il termine è associato a condotte autoritarie, misogine o assimilato alla violenza fisica. Il nuovo femminismo è escludente, anti solidale in quanto descrive una società basata sulla guerra tra i sessi, un antagonismo sorto dalla ribellione alla natura da parte di una civilizzazione malata di onnipotenza, l’hybris contro le leggi nel creato. La polemica è alimentata per ingegneria sociale, volontà di disordinare ciò che è ordinato per natura. La maternità, anziché essere esaltata per lo straordinario potere di accogliere la vita, è considerata una punizione del destino i cui rimedi sono l’aborto, lo sganciamento della sessualità dalla procreazione, la biogenetica.

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Le generazioni maschili non conoscono più se stesse per assenza di figure in cui identificarsi. Diventano dipendenti dalla Madre che soddisfa i bisogni, elimina i rischi, esercita il controllo, diffonde conformismo.  

Il neofemminismo ha sottratto la donna alla donna, creato aspettative contro natura: un’esacerbata competizione; liberazione da ogni appartenenza ad un legame stabile; la decisione esclusiva di uccidere il figlio in grembo; la determinazione di ritagliare sempre più ampi spazi soggettivi in uno spasmodico inseguimento sociale; la scelta di liberarsi del coniuge anche in presenza di figli; il plauso per le unioni omosessuali. Eliminata la specificità sessuale, i peggiori comportamenti maschili sono estesi alla donna purché funzionali alla macchina del consumo.
La virilità è proscritta in quanto potenzialmente antagonista, disponibile all’azione diretta. Sulla spinta dei cascami del 68, l’Occidente ha aderito a disvalori come fragilità e debolezza screditando autorità e forza: una società flaccida, incline al cedimento mascherato da tolleranza. Indispensabile era distruggere la figura del Padre per aprire le porte alla cultura del piagnisteo, del politicamente corretto e del continuo innalzamento dell’asticella dei diritti. L’ Homunculus post virile, post borghese e post proletario è incapace di esprimere autorità, autorevolezza, forza oppositiva. La sua cultura è permissiva, devirilizzata come le donne sono de- femminilizzate, due atomi unisex. Per una singolare eterogenesi dei fini, il femminismo è una potente sovrastruttura del nuovo capitalismo. Mutata pelle come un serpente, da conservatore, maschile, si è trasformato in flessibile, libertario, femminile, a misura di consumatori interscambiabili a partire dal sesso.
La resa del padre non poteva che essere seguita dalla svalutazione della madre. Le due figure sono complementari. Cadono insieme, come la coppia stabile disponibile all’accoglienza della vita, alla solidarietà, all’educazione. La sessualità separata dalla procreazione viene proposta nel modello cangiante, indistinto, omo e bisessuale, i sessi ribattezzati generi. L’obiettivo è il piacere soggettivo, indipendente dall’altro, usa e getta. Significativa è l’espressione “fare sesso”, che evoca un atto materiale, ginnico. Nel gioco a somma negativa del rapporto uomo-donna, il neo femminismo vince per demonizzazione. Genera una cultura del risentimento, dell’ostilità, del processo alle intenzioni. Da una parte un uomo svirilizzato, debole e debosciato, dall’altro una donna de femminilizzata, alienati da se stessi, impauriti dall’incontro e dal confronto, armati di calcolatrice per misurare dare e avere.  
L’uomo senza virilità e la donna avversa alla maternità, transumani e transessuali, sono destinati a annegare nel mare magnum di una libertà senza scopi. Controparti di un conflitto permanente, non più coniugi, padri, madri, non più figli, non più persone. Schiavi degli istinti, hanno sconfitto il Super Io morale per consegnarsi al Caos, nell’ accattivante travestimento del Consumo, della Libertà, dell’Uguaglianza.  La crisi della virilità è rigetto delle tradizioni, dell’autorità, rimozione della figura paterna, senso di colpa. La nuova pedagogia ossessionata dall’uguaglianza induce confusione, semina il dubbio che istinti, sentimenti, pulsioni, il modo maschile di vedere il mondo siano negativi perché macchiati dalla violenza. Ogni uomo, è l’allusione scoperta, è un violentatore.

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Maschile non è una parolaccia, un tabù impronunciabile. Basta con la rimozione degli istinti.

Nel nome del padre, del figlio e dello spirito virile. 
di Roberto Pecchioli

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