Di fronte allo sfascio inarrestabile dell’istituzione vaticana (non della Chiesa, la quale deve rimanere – nel suo cuore inviolabile – fino alla fine dei tempi) molte persone sembrano rimanere sconcertate e sorprese.
Sbagliato, cari amici! Le forme del mondo si dissolvono necessariamente, e così deve essere anche per “l’abito esteriore” che la Chiesa ha assunto negli ultimi secoli.
Del resto, non sapete che questo DEVE ACCADERE? Non è scritto forse a chiare lettere nelle Scritture, nei testi dei Padri, persino nel Catechismo (cfr. la grande apostasia, l’inganno finale, ecc.)? E allora: di cosa davvero abbiamo paura?
Abbiamo letto i Vangeli? Il “calice della Passione” che va bevuto “fino in fondo”; Pietro e Giuda – che non sono solo individui, ma figure di ciò che “deve avvenire” – fughe, rinnegamenti e tradimenti… è già tutto preannunciato da 2000 anni! Anche la Morte, anche l’Istante terribile in cui “tutto sembra perduto” (che precede quello glorioso in cui “tutto è salvato”).
E allora, di cosa ci sorprendiamo? Secondo me – ve lo dico sinceramente – la paura nasce dalla poca Fede e dal timore di veder crollare quell’illusione che chiamiamo “vita ordinaria”. Ma questo non è ciò che ha detto il Cristo. Il Cristo ha detto: “quando accadranno queste cose, alzate lo sguardo, perché la vostra liberazione è vicina!”.
P.s.
Quando andò in rovina il “vecchio Israele” con il suo Tempio ormai “vuoto” (della Divina Presenza), per Quarant’anni si susseguirono segni, presagi e avvertimenti celesti (ne parlano dettagliatamente storici come Flavio Giuseppe e Tacito). Fu tutto inutile: i Sacerdoti del vecchio Israele ne ridevano, finché non giunsero i Romani e “non rimase pietra su pietra”.
I Cristiani di Gerusalemme, però, si salvarono: ricordandosi degli avvertimenti del Maestro, fuggirono verso le montagne, in Siria e in Arabia.
“Chi ha orecchi intenda”.
di Gianluca Marletta
Quale Chiesa? La vicenda di un libro da rileggere umoristicamente
di Samuele Pinna
Se oggi non si guardasse la realtà con gli occhi di un umorista ci sarebbe poco da stare allegri, ma se lo si fa lo spasso è garantito. Anche nelle cose serie. Soprattutto nelle cose serie.
Era infatti prevedibile che il libro del cardinal Sarah e di Benedetto XVI avrebbe alzato un polverone ed è successo. Nel mondo globalizzato e mediatico tutto deve prendere i toni drammatici da melodramma. Per un paio di giorni è lecito a tutti dire tutto e disquisire di ogni caso in maniera puntata, discettando dai pulpiti più diversi. Prima dell'oblio inevitabile a riguardo della notizia, mi inserisco, controvoglia, nel filone delle opinabili opinioni.
A chi non ha il cuore da umorista potrebbe accadere di risentirne dinanzi a quelle che nel politicamente corretto nessuno definirebbe mai essere delle balordaggini belle e buone. Ma chi possiede uno spirito umorista non può che farsi sonore risate. Perché l’umorista sa guardare la realtà per quello che è e per come si offre, senza le lenti dell’ideologia. Del resto, ha dichiarato un addetto ai lavori come Giacomo Poretti in Filastrocche e canarini: «l’umorismo è una vera e propria chiave di lettura della realtà» (p. 223). E il primo aspetto in tutta la vicenda che salta subito all’attenzione riguarda un non trascurabile particolare: nessuno ha letto il libro di cui tanto si discute. Gli elementi offerti dalla Casa editrice francese servivano solo per stuzzicare la notizia, ma non certo per andare in profondità. Come rimanere seri, allora, verso chi da un lato definisce il Porporato africano e il Papa emerito come due tradizionalisti impertinenti e dall’altro come due neo-modernisti moderati? Quando si sente di tutto, mi vien da dire, non bisogna fidarsi di nessuno.
Oppure ritorna alla ribalta il tormentone: ma Joseph Ratzinger non aveva detto che si sarebbe ritirato, perché dunque sentenzia ancora con i suoi scritti? Anche qui risate, forse un po’ più amare. Uno maliziosamente potrebbe intendere che siccome il Papa emerito dice quello che non piace dovrebbe stare zitto. Ma non bisogna seguire questa logica e mi scuso. A pensar male, infatti… Né proponiamo ora un difesa, non essendocene bisogno. Discorriamo come chi, grazie sempre all’umorismo, guarda con serena fanciullezza la cosa. Ci si domanda: Benedetto XVI non è un battezzato? Non è forse stato consacrato Vescovo? Non ha esercitato il ministero petrino? Perché, quindi, non dovrebbe dire il suo pensiero se lo fa per il bene della Chiesa, pensiero che non ha più la valenza di orientare la cristianità come prima, ma che rimane pur sempre un buon pensiero. Forse, mi chiedo ancora, dal momento che ha rinunciato a essere Vicario di Cristo ha perso anche l’uso dell’intelletto e la facoltà di parola? Ma lui aveva detto… appunto, aveva detto che avrebbe vissuto di contemplazione e forse questo è il modo di viverla in pienezza. Ha istituito lui il papato emerito (non è un ex-papa come qualcuno ha maldestramente sostenuto), chi può arrogarsi il diritto di fare un’interpretazione diversa dalle sue intenzioni o un’esegesi più corretta delle sue parole? Se qualcuno si sentisse defraudato in mondo dove tutti possono dire tutto, penso umoristicamente, ha uno strano concetto di libertà di parola e, cristianamente, di “comunione”. Forse, a ben ponderare la questione, non è proprio vero che tutti possono dire tutto, perché bisogna stare attenti a non dire quello che non deve essere detto.
Caro don Samuele, mi sembra sussurri ora la mia coscienza progressista (che non ho), ma non capisci che è un’ingerenza fatta ai danni di papa Francesco, alla sua opera riformatrice? Siccome non bisogna dare credito ai sussurri, come suggerisce la mia coscienza reazionaria (che vorrei avere), individuo quello che dal mio piccolo punto di visuale è il problema: considerare la Chiesa come un parlamento sulla scorta di una presunta democrazia. Questa, però, non è la Chiesa cattolica. E fa specie che quando era Pontefice regnate Benedetto XVI era tollerabile (pur essendo intollerabile) qualsiasi forma di dissenso e oggi lo stesso non vale più. I Vescovi, poi, non hanno il compito di ricreare il deposito divino, ma di difenderlo. Certo, se la Chiesa fosse un insieme di partiti, la logica sarebbe quella della maggioranza, ma la Chiesa non si fonda sulla maggioranza, ma su qualcos’altro, anzi Qualcun altro. La «visione “democratica” – scrivevo in un mio libro – è e rimane, in realtà, un’illusione: nella sua natura autentica la Chiesa non è una democrazia e non potrà mai esserlo». Poi citavo, destino della sorte, proprio Benedetto XVI: «Tutto quello che gli uomini fanno, può anche essere annullato da altri. Tutto ciò che proviene da un gusto umano può non piacere ad altri. Tutto ciò che una maggioranza decide può venire abrogato da un’altra maggioranza. Una Chiesa che riposi sulle decisioni di una maggioranza diventa una Chiesa puramente umana. Essa è ridotta al livello di ciò che è fattibile e plausibile, di quanto è fatto della propria azione e delle proprie intuizioni e opinioni. L’opinione sostituisce la fede. Ed effettivamente, nelle formule di fede coniate da sé che io conosco, il significato dell’espressione “credo” non va mai al di là del significato “noi pensiamo”. La Chiesa fatta da sé ha alla fine il sapore del “se stessi”, che agli altri “se stessi”, non è mai gradito e ben presto rivela la propria piccolezza».
La Chiesa, invece, è un Mistero che si origina dal rapporto con il Signore Gesù: è Lui il Capo di quel Corpo di cui i battezzati sono parte. Se non si tiene presente questo legame essenziale si distrugge la realtà stessa della Chiesa così come fondata e voluta da Cristo. In altre parole: è il Mistero stesso della Chiesa a smarrirsi e a perdersi. Ma qui si entra in questioni di teologia che non appassionano quasi più nessuno e che non interessano specialmente a chi è affetto da ideologia (fosse anche un teologo di grido).
Il problema, però, rimane spinoso: è l’immagine di Chiesa il vero problema. E la suddivisione tra destra e sinistra (o tradizionalisti e progressisti) ne è un brutto sintomo. Nel politicamente ed ecclesialmente corretto, nell’epoca di chi proclama con disinvoltura la misericordia, l’apertura a trecentosessanta gradi, l’accoglienza indiscriminata non dovrebbe però discriminare le riflessioni di un Papa emerito, nonostante non piacciano. Poi si potranno criticare, nel caso, se non sono vere. Ma dubito (non sulla critica, ma sul non essere nella verità).
Se oggi non si guardasse la realtà con gli occhi di un umorista ci sarebbe poco da stare allegri, ma se lo si fa lo spasso è garantito. Anche nelle cose serie. Soprattutto nelle cose serie.
Era infatti prevedibile che il libro del cardinal Sarah e di Benedetto XVI avrebbe alzato un polverone ed è successo. Nel mondo globalizzato e mediatico tutto deve prendere i toni drammatici da melodramma. Per un paio di giorni è lecito a tutti dire tutto e disquisire di ogni caso in maniera puntata, discettando dai pulpiti più diversi. Prima dell'oblio inevitabile a riguardo della notizia, mi inserisco, controvoglia, nel filone delle opinabili opinioni.
A chi non ha il cuore da umorista potrebbe accadere di risentirne dinanzi a quelle che nel politicamente corretto nessuno definirebbe mai essere delle balordaggini belle e buone. Ma chi possiede uno spirito umorista non può che farsi sonore risate. Perché l’umorista sa guardare la realtà per quello che è e per come si offre, senza le lenti dell’ideologia. Del resto, ha dichiarato un addetto ai lavori come Giacomo Poretti in Filastrocche e canarini: «l’umorismo è una vera e propria chiave di lettura della realtà» (p. 223). E il primo aspetto in tutta la vicenda che salta subito all’attenzione riguarda un non trascurabile particolare: nessuno ha letto il libro di cui tanto si discute. Gli elementi offerti dalla Casa editrice francese servivano solo per stuzzicare la notizia, ma non certo per andare in profondità. Come rimanere seri, allora, verso chi da un lato definisce il Porporato africano e il Papa emerito come due tradizionalisti impertinenti e dall’altro come due neo-modernisti moderati? Quando si sente di tutto, mi vien da dire, non bisogna fidarsi di nessuno.
Oppure ritorna alla ribalta il tormentone: ma Joseph Ratzinger non aveva detto che si sarebbe ritirato, perché dunque sentenzia ancora con i suoi scritti? Anche qui risate, forse un po’ più amare. Uno maliziosamente potrebbe intendere che siccome il Papa emerito dice quello che non piace dovrebbe stare zitto. Ma non bisogna seguire questa logica e mi scuso. A pensar male, infatti… Né proponiamo ora un difesa, non essendocene bisogno. Discorriamo come chi, grazie sempre all’umorismo, guarda con serena fanciullezza la cosa. Ci si domanda: Benedetto XVI non è un battezzato? Non è forse stato consacrato Vescovo? Non ha esercitato il ministero petrino? Perché, quindi, non dovrebbe dire il suo pensiero se lo fa per il bene della Chiesa, pensiero che non ha più la valenza di orientare la cristianità come prima, ma che rimane pur sempre un buon pensiero. Forse, mi chiedo ancora, dal momento che ha rinunciato a essere Vicario di Cristo ha perso anche l’uso dell’intelletto e la facoltà di parola? Ma lui aveva detto… appunto, aveva detto che avrebbe vissuto di contemplazione e forse questo è il modo di viverla in pienezza. Ha istituito lui il papato emerito (non è un ex-papa come qualcuno ha maldestramente sostenuto), chi può arrogarsi il diritto di fare un’interpretazione diversa dalle sue intenzioni o un’esegesi più corretta delle sue parole? Se qualcuno si sentisse defraudato in mondo dove tutti possono dire tutto, penso umoristicamente, ha uno strano concetto di libertà di parola e, cristianamente, di “comunione”. Forse, a ben ponderare la questione, non è proprio vero che tutti possono dire tutto, perché bisogna stare attenti a non dire quello che non deve essere detto.
Caro don Samuele, mi sembra sussurri ora la mia coscienza progressista (che non ho), ma non capisci che è un’ingerenza fatta ai danni di papa Francesco, alla sua opera riformatrice? Siccome non bisogna dare credito ai sussurri, come suggerisce la mia coscienza reazionaria (che vorrei avere), individuo quello che dal mio piccolo punto di visuale è il problema: considerare la Chiesa come un parlamento sulla scorta di una presunta democrazia. Questa, però, non è la Chiesa cattolica. E fa specie che quando era Pontefice regnate Benedetto XVI era tollerabile (pur essendo intollerabile) qualsiasi forma di dissenso e oggi lo stesso non vale più. I Vescovi, poi, non hanno il compito di ricreare il deposito divino, ma di difenderlo. Certo, se la Chiesa fosse un insieme di partiti, la logica sarebbe quella della maggioranza, ma la Chiesa non si fonda sulla maggioranza, ma su qualcos’altro, anzi Qualcun altro. La «visione “democratica” – scrivevo in un mio libro – è e rimane, in realtà, un’illusione: nella sua natura autentica la Chiesa non è una democrazia e non potrà mai esserlo». Poi citavo, destino della sorte, proprio Benedetto XVI: «Tutto quello che gli uomini fanno, può anche essere annullato da altri. Tutto ciò che proviene da un gusto umano può non piacere ad altri. Tutto ciò che una maggioranza decide può venire abrogato da un’altra maggioranza. Una Chiesa che riposi sulle decisioni di una maggioranza diventa una Chiesa puramente umana. Essa è ridotta al livello di ciò che è fattibile e plausibile, di quanto è fatto della propria azione e delle proprie intuizioni e opinioni. L’opinione sostituisce la fede. Ed effettivamente, nelle formule di fede coniate da sé che io conosco, il significato dell’espressione “credo” non va mai al di là del significato “noi pensiamo”. La Chiesa fatta da sé ha alla fine il sapore del “se stessi”, che agli altri “se stessi”, non è mai gradito e ben presto rivela la propria piccolezza».
La Chiesa, invece, è un Mistero che si origina dal rapporto con il Signore Gesù: è Lui il Capo di quel Corpo di cui i battezzati sono parte. Se non si tiene presente questo legame essenziale si distrugge la realtà stessa della Chiesa così come fondata e voluta da Cristo. In altre parole: è il Mistero stesso della Chiesa a smarrirsi e a perdersi. Ma qui si entra in questioni di teologia che non appassionano quasi più nessuno e che non interessano specialmente a chi è affetto da ideologia (fosse anche un teologo di grido).
Il problema, però, rimane spinoso: è l’immagine di Chiesa il vero problema. E la suddivisione tra destra e sinistra (o tradizionalisti e progressisti) ne è un brutto sintomo. Nel politicamente ed ecclesialmente corretto, nell’epoca di chi proclama con disinvoltura la misericordia, l’apertura a trecentosessanta gradi, l’accoglienza indiscriminata non dovrebbe però discriminare le riflessioni di un Papa emerito, nonostante non piacciano. Poi si potranno criticare, nel caso, se non sono vere. Ma dubito (non sulla critica, ma sul non essere nella verità).
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.