I due papi e quella teologia incomprensibile
Cari amici di Duc in altum, propongo alla vostra attenzione e valutazione un contributo che mi è stato inviato dal professor Silvio Brachetta. Torna sulla questione dei due papi con una riflessione originale. Se ci fu un tempo – argomenta l’autore – in cui la contrapposizione era tra teologia ortodossa ed eterodossa, oggi siamo alla prese con una teologia incomprensibile. Perché senza basi.
A.M.V.
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Massimo Franco, sul Corriere della Sera dell’8 febbraio scorso, ha sostenuto la fine dell’«era dei due Papi», nel senso che, a suo parere, qualcosa si è rotto tra Ratzinger e Bergoglio, dopo la pubblicazione del libro di Robert Sarah assieme a Benedetto XVI. Ma davvero è esistita un’«era dei due Papi»? Non si direbbe proprio. L’«era dei due Papi» è stata sempre qualcosa di raffazzonato, artificiale, studiato a tavolino. Si è trattato e si tratta di una situazione imposta, non giustificata da nessun richiamo alla tradizione apostolica o alla Scrittura o a una qualche teologia; non spiegata, se non in maniera incatenata e contorta.
L’«era dei due Papi» consiste solo in una serie di fotografie, nelle quali i protagonisti ostentano affetto e bonarietà. Una semplice operazione di facciata, non più di quella della scopa che sposta la polvere sotto il tappeto.
La teologia è chiarezza. Se non è chiara, non solo non serve a nulla, ma è dannosa. La teologia è quello schermo di vetro oscurato che si mette davanti alla Scrittura – dicono i padri da qualche parte – per attenuare il troppo bagliore della Parola di Dio, accecante come il sole a mezzogiorno. Ma se lo schermo, invece che essere di vetro, è un corpo opaco, la luce della Parola si spegne e non si vede più nulla.
Dopo la teologia ortodossa, dopo la teologia eterodossa, siamo ora approdati alla teologia incomprensibile, che non ha bisogno di spiegare granché, perché non sa spiegare e, in fondo, non ha nulla da spiegare, e non confessa nemmeno di non sapere.
L’arcivescovo Georg Gänswein, a suo tempo (nel 2016), per giustificare la coesistenza di un Papa e di un Papa Emerito, aveva tentato di formulare quella che potrebbe essere chiamata la “teoria del ministero allargato”. Secondo questa teoria, il papato potrebbe anche prevedere il Papa Emerito, «membro contemplativo» accanto al «membro attivo», che sarebbe il Papa eletto. Su che base si regge la teoria? Su quale pagina della Scrittura? Su quale autorità dei dottori o dei padri della Chiesa? Gänswein, evidentemente, non risponde, poiché non può rispondere. E non può rispondere perché non c’è nulla da dire o da dimostrare, trattandosi di un’ipotesi partorita a tavolino.
Quando gli antichi teologi sapevano qualcosa, la dicevano apertamente, senza eccessive e stucchevoli piroette. Quando invece non sapevano rispondere, dicevano “non so”. Il passaggio dal normale avvicendamento tra due pontefici alla sceneggiata è un attimo, perché se la schiettezza viene sostituita dalla manovra, chi se ne accorge non è solo il Padreterno, ma anche l’universo mondo.
San Bonaventura, uno dei più grandi mistici della storia, non ha mai avuto visioni mistiche, né mai e stato vessato dai demoni. La sua fu una mistica completamente ordinaria, ma sufficiente per essere espressa in modo straordinario, nelle pagine inaudite che ci ha lasciato.
In san Bonaventura non c’è una sola collazione, una sola speculazione, che non sia stata dimostrata e redatta chiaramente. La sua parola è limpida, sempre sorretta dalla Scrittura e dai padri – o persino da una qualche autorità pagana. Il Serafico non si è mai permesso di esprimere opinioni in batteria, sebbene lo avesse anche potuto fare, vista la grandezza del suo pensiero.
Lo stesso può dirsi di san Tommaso e di molti altri dottori, che da sempre hanno interpretato il Testo sacro non sul privato convincimento, ma da quello che gli era stato trasmesso. E, nel caso nulla fosse stato trasmesso su qualcosa, nulla essi dicevano o scrivevano, ma riconoscevano umilmente il proprio limite.
Persino i teologi protestanti del Novecento superano, in umiltà, la novella teologia incomprensibile. Quando Karl Barth, ad esempio, fa a pezzi l’analogia dell’essere e presenta il suo Dio «totalmente altro», l’errore è subito riconoscibile. Lo si può indicare, come si indica una strada. Barth si fa capire, permette il dibattito, le sue tesi sono catalogabili e permettono una replica.
Dietro i concetti protestanti (e non) di «Weltanschauung», «demitizzazione», «critica delle fonti» o «Sitz im Leben», potrà anche esserci qualcosa d’incatenato o una certa commistione artificiosa tra le discipline bibliche e quelle sociologiche e storiche, ma si giunge sempre a qualcosa di comprensibile e, dunque, di contestabile. C’è tutto un lavoro speculativo che, quasi sempre, ha cercato di tenere conto, se non della tradizione apostolica, almeno di scoperte scientifiche condivise, nel campo dell’archeologia, della filologia o della psicologia.
Oggi non c’è più nulla di tutto questo. Non c’è più nulla nemmeno delle visioni eterodosse protestanti, laddove l’eterodossia è la presenza di errori. Ma che errori si dovrebbero mai scoprire nella confusione? Nella confusione non c’è errore, c’è confusione.
Massimo Franco si esprime solo sulla qualità funzionale della situazione in atto. Sullo sfondo del suo articolo s’intravvedono i due protagonisti che non sanno come gestire una reale o presunta «parità di rango». Tutto ruota attorno a terminologie esteriori, accidentali, a-teologiche, lontanissime dalla sostanza: «pasticcio del libro», «gestione maldestra», «equilibri già delicati», «ricalibrare e ridefinire i confini», «ombra del predecessore», «doppia fedeltà», «status perduto», «spartiacque nel pontificato». E con questi argomenti si vorrebbe arrivare a conclusione, quasi che la storia della salvezza fosse una caccia alla lepre tra ubriachi.
Se davvero è finita un’epoca, non è certo quella dei due Papi, ma di quelli che si sono sempre rifiutati di ammettere che c’è in atto la coesistenza di due Papi. Non fine, dunque, ma inizio della presa di coscienza di una situazione artificiosa e raffazzonata.
È iniziata, speriamo, l’era del sollevamento del tappeto e della scoperta di quanta polvere vi sia accumulata sotto.
Silvio Brachetta
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