Chi è don Gabriele Bernardelli, il parroco che ha commosso e dato speranza con il messaggio ai parrocchiani di Castiglione d'Adda, chiusi in casa per l'epidemia da Coronavirus? Ha benedetto sul sagrato, suonato le campane e non ha rinunciato alla Messa, «che niente può toglierci, perché è il bene più grande che abbiamo. E questa privazione ci aiuterà a desiderarla ancora di più». La Nuova Bussola Quotidiana lo ha incontrato.
«L’ho fatto perché l’Eucarestia è la cosa più importante che abbiamo nella vita». Si dice stupito per la improvvisa notorietà conquistata con un semplice audio di WhatsApp. Ma don Gabriele Bernardelli, parroco di Castiglione D’Adda, nel piccolo del suo gesto ha dato la testimonianza di fede più bella: la Messa ci salva e non saranno i dispacci prefettizi e gli adempimenti vescovili a cancellare con un colpo di spugna questo tesoro insostituibile.
Cronache dal Nord Italia che ha iniziato la settimana per la prima volta – da secoli? millenni? – senza Messe: da Torino a Udine, da Trieste a Modena, passando per Ivrea, Lodi, Verona, Milano, Bologna, Trento: siamo senza Messa. Il Coronavirus ha potuto fare ciò che invasioni islamiche, guerre e Massoneria non erano riuscite ad ottenere. E nel caos delle fredde comunicazioni vescovili, così arresesi facilmente alla Ragion di stato, sono davvero pochi i vescovi che si sono raccomandati con i preti di continuare a celebrare le Messe: Ivrea, Pavia e pochi altri. Per tutti gli altri la comunicazione ha il sapore del tana liberi tutti che ai preti sa tanto di rompete le righe.
Don Gabriele invece ha stupito tutti, perché ha ricordato che in questo clima di lassismo spirituale nel quale la Messa equivale né più né meno ad un servizio come il mercato rionale, da togliere quindi alla bisogna, è invece il centro della nostra vita. E il suo audio ha confortato tanti fedeli e dato coraggio a tanti sacerdoti di ricordare ai propri parrocchiani che al suono delle campane, la Messa sarà lì per loro, rimedio anche all’epidemia in corso. In poche ore il suo audio è diventato virale e don Gabriele si è trovato a dover fare i conti con il plauso di tantissimi cattolici sparsi per il Paese che lo hanno lodato. La Nuova Bussola Quotidiana lo ha trovato a Castiglione, pieno focolaio lodigiano dell’epidemia, nello studio della sua abitazione dove vive blindato da venerdì. «Non ho fatto niente di eclatante…», dice.
Eppure, non abbiamo sentito tanti vescovi dire che le Messe dovevano continuare…
Forse perché implicitamente ritengono che i loro preti siano consapevoli che la Messa la devono celebrare.
Ma il fatto è che non siamo abituati a sentire un prete parlare con così tanto ardore e trasporto della Santa Messa. E a fare di tutto per non rinunciarvi. Ci racconti di lei.
Sono parroco a Castiglione d’Adda, che è un paese di 5000 anime e di Terranova, di appena un migliaio. Venerdì ho ricevuto la notizia del contagio di Codogno e abbiamo saputo che la persona era originaria di Castiglione, anche se non viveva qui.
E ora avete molti contagiati?
Bè, sì… un certo numero.
Che cosa ha fatto?
Venerdì ero a Lodi dalle monache del Carmelo per le confessioni, io lavoro anche in curia al tribunale ecclesiastico. Ma ho capito che dovevo rientrare immediatamente dalla mia gente.
E quando si sono complicate le cose?
Sabato, con la chiusura di tutte le attività e il comunicato del vescovo. A quel punto ho capito che domenica avrei dovuto celebrare da solo con gli altri confratelli.
Quando ha pensato all’audio?
Nella mattinata di sabato: mi sono trovato a pensare che cosa sarebbe stato della mia comunità senza la Messa comunitaria. Abbiamo una realtà vivace, tante celebrazioni e avevamo molte iniziative per il gruppo famiglie in vista per domenica. Ci sarebbe stato anche l’incontro di un gruppo diocesano per la pastorale famigliare. Insomma, sarebbe stata una domenica molto ricca. Ma l’assenza della Messa mi ha molto addolorato.
E ha pianto al tabernacolo, come ha raccontato…
Ho immaginato la gente che vede la vita cristiana azzerata, così mi sono detto: devo raggiungerli in un qualche modo per dire loro che la Messa ci sarebbe comunque stata e sarebbe stata per loro.
Mai avrebbe pensato che questo messaggio sarebbe arrivato ovunque?
Assolutamente no.
Ha mai pensato di sospendere anche lei la celebrazione della Messa?
No, mai. Nessuno potrà mai chiedermi di non celebrare Messa…
E come l’è venuta in mente l’idea della benedizione eucaristica?
Ho fatto più considerazioni. Anzitutto non bisogna dimenticare che da noi non c’è solo paura, ma c’è lo sconforto di vedere che il virus è entrato nelle nostre case. E in questi casi al panico si aggiunge la sensazione di essere stati abbandonati da Dio. Ma abbiamo l’Eucarestia che è il bene più grande che c’è sulla terra ed è conforto e benedizione. Così ho voluto dire loro: «Guardate che non siamo stati dimenticati da Dio, Lui vi benedice». Bisogna aiutare i miei parrocchiani a superare questo momento di scoraggiamento e di dubbio, perché ci è capitata questa cosa. Non ci maledice Dio, ma ci benedice.
E l’altro motivo?
L’altro motivo è che noi purtroppo consideriamo l’Eucarestia come una cosa. Invece quel che mi ha sempre colpito è che Gesù non ha dato all’Eucarestia una forza d’inerzia, che va avanti per suo conto, ma quando la celebriamo, Gesù è lì con il suo amore palpitante e il suo dolore, la sua Passione. Per cui nell’Eucarestia dove c’è Gesù risorto c’è anche il suo dolore. Nell’Eucarestia c’è tutto. Anche la guarigione. La benedizione ci restituisce questo Tutto, questo dolore con l’amore della nostra vita.
Che reazioni ha avuto?
La mia gente mi ha risposto ed era quello che volevo, si è creata questa rete in cui l’aspetto principale che si è rimarcato è quello della preghiera e l’unione dei cuori. Anche l’idea di suonare le campane serve a ricordarci che con la Messa parte una rete di preghiera che ricopre tutta la città.
Che cosa pensa della decisione di sospendere le Messe presa da tante diocesi?
Capisco lo scoraggiamento e la delusione dei fedeli che vorrebbero invece più Messe, però riconosco che alcune azioni di contenimento nella nostra zona debbano essere Messe in atto con rigore. In ogni caso, non importa come la penso io. Importa cercare e trovare un risvolto spirituale anche in questa situazione di privazione che ci possa aiutare.
E lei l’ha trovato?
Credo che questa lontananza dal Santo Sacrificio per i fedeli servirà a far crescere in noi la “fame dell’Eucarestia”. Diciamo la verità: oggi ci si è abituati alla Messa in maniera meccanica. Ma c’è un’altra idea che vorrei suggerire.
Quale?
Mi auguro che serva a vivere questa esperienza comunicando spiritualmente con coloro che desiderano l’Eucarestia e non possono averla, coloro che sono privi dell’Eucarestia da tempo. C’è un passaggio di Papa Benedetto XVI di quando era ancora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede che diceva proprio questo: dare un valore spirituale a una privazione temporanea per condividerla con chi non può averla. Una sorta di solidarietà eucaristica.
Com’è la sua vita quotidiana ora che è costretto a non uscire di casa?
È scandita dalla preghiera e dal lavoro: ho del lavoro arretrato dal tribunale regionale per le cause di nullità, devo studiare. Insomma, ci sono tutte quelle attività che si rimandano e non si riesce mai ad approfondire.
E per il cibo?
Gli alimentari sono aperti e anche i supermercati, l’unica accortezza è quella di entrare pochi alla volta. Gli ingressi sono regolati per evitare assembramenti. Ho visto in un supermercato di Casalpusterlengo che ci hanno fatto entrare a flussi minimi e regolati.
Torniamo all’assenza della Messa. A lei che cosa dice personalmente?
Spiritualmente mi dice che proprio perché si rinnova il Sacrificio del Signore il poter celebrare è uno sguardo lanciato sul futuro e di conseguenza uno sguardo di speranza per la gente.
Si è sentito un po’ don Camillo che celebra Messa con la chiesa allagata e i fedeli fuggiti oltre argine?
Sì (ride) e la cosa non mi dispiace affatto. Del resto, il Papa stesso, parlando ai vescovi italiani, ha indicato don Camillo come modello di parroco.
Andrea Zambrano
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https://lanuovabq.it/it/don-gabriele-sfida-al-coronavirus-niente-puo-toglierci-la-messa
CORONAVIRUS. PEZZO GROSSO HA QUALCHE BRUTTO PENSIERO.
Carissimi Stilumcuriali, Pezzo Grosso ha riflettuto sulla strana epidemia di Coronavirus, e soprattutto ha riportato alla memoria tutta una serie di elementi alcuni lontani nel tempo, altri molto attuali, tutti uniti dal filo rosso del malthusianesimo, la teoria secondo cui il principale problema del Pianeta sono gli esseri umani. Non i maltusiani, o i neo-maltusiani, naturalmente: gli altri. Un po’ come la strana circostanza secondo cui i difensori dell’aborto sono sempre stati fatti nascere…E Pezzo Grosso unendo i puntini è arrivato a pensieri inquietanti. Che, per altro aleggiano da tempo nell’aria, proprio come il Coronavirus…Buona lettura.
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Caro Tosatti, cari stilumcuriali, a proposito di <coronavirus>, al fine di incuriosirvi, vorrei ricordarvi o raccontarvi alcune citazioni – brutte e cattive – di persone importantissime, garantendovi che questi pensierini brutti e cattivi sono molto attuali, e, per distrazione certo, persino hanno ispirato qualche considerazione di magistero della Chiesa negli ultimi tempi…
Scriveva il reverendo anglicano (padre del cosiddetto malthusianesimo) Thomas Robert Malthus, nei primi dell’800, che bisognava a tutti i costi impedire le nascite – in sovrannumero – (la sua?) incoraggiando la natura a produrre mortalità (infantile). Suggeriva di non insegnare ai poveri l’igiene, suggeriva di agevolare il ritorno della peste, far vivere i poveri in zone malsane, ecc.
Ma soprattutto predicava di scoraggiare la prevenzione e la cura di particolari malattie contagiose e mortali.
Scriveva il principe Filippo di Edimburgo, consorte della regina Elisabetta II, ma anche fondatore e presidente del WWF, che la conservazione dell’umanità può esigere la cernita e l’eliminazione della parte in sovrappiù.
Ma dichiarò anche nell’agosto 1988 alla Deutsche Presse Agentur, che se si fosse reincarnato avrebbe voluto diventare un virus mortale per risolvere il problema della sovrappopolazione.
In una intervista del 1984 Thomas Ferguson, capo del Bureau Affari demografici del Dipartimento di Stato, spiegava che il modo più rapido per ridurre la popolazione è con la fame, come in Africa, o con le malattie come la peste…
Nel 1980 in una intervista a Repubblica, il fondatore del Club di Roma Aurelio Peccei, dichiarò che <gli uomini continuano a vivere sul pianeta come i vermi sulla carogna: divorandola. Sanno che alla fine moriranno, ma continuano a divorarla>.
Ancora una citazione (del 1923), stavolta persino profetica, di Bertrand Russell il grande filosofo inglese. Scriveva che verrà tempo in cui le razze meno prolifiche dovranno difendersi da quelle più prolifiche, ricorrendo a metodi che sono disgustosi, pur essendo necessari.
Basta così. Insomma per una certa cultura dominante neomalthusiana il vero nemico dell’umanità (quella ben selezionata) è l’altra parte dell’umanità (quella inutile e difettata), che prolifica in modo “canceroso”.
Ricordando a memoria queste citazioni, ho pensato al <coronavirus >, chissà perché…
Lei che ne pensa Tosatti, sono un malpensante ?
Ah ! dimenticavo. Lei deve sapere che sul tema Amazzonia, papa Bergoglio, non è mica stato originale. Prima di lui le stesse cose la ha dette e scritte un suo competitore: l’allora Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, che, mi pare nel 2007, scrisse sul Guardian un articolo sull’Amazzonia, “polmone del mondo” che generava un quinto dell’ossigeno necessario all’umanità, ma che veniva distrutta (con incendi!!) per sostenere la crescita economica ed il lusso di pochi privilegiati.
Al che il nostro amico Filippo di Edimburgo sentì il dovere di dichiarare che bisognava sostenere le religioni pagane, perché quelle cristiane non insegnano a difendere la natura… Oh!
Ma allora ‘sto Sinodo amazzonico di Bergoglio arriva solo in ritardo plagiando gli anglicani o ha voluto confermare il loro pensiero? Misteri romani…
Marco Tosatti
DELIRIO DA CORONAVIRUS
Prudenza sì, panico no
Strade semideserte, locali chiusi, supermercati presi d'assalto, incontri pubblici e privati annullati: in Italia c'è ormai il panico da Coronavirus. Ma la realtà dei fatti non giustifica questa isteria. L'epidemia è molto circoscritta e al momento non è prevedibile una diffusione a tappeto. Essere prudenti ed evitare rischi inutili è doveroso, ma il panico diffuso è segno anche di una fragilità personale diffusa.
Mentre si moltiplicano le notizie allarmanti sulla diffusione del Coronavirus e ancora più rapidamente si moltiplicano i provvedimenti restrittivi nei confronti della popolazione del Nord Italia, è doveroso chiedersi se sia giustificato il panico che ormai ha investito tutta la popolazione. Strade semideserte, supermercati presi d’assalto come non ci fosse un domani, annullato qualsiasi tipo di incontro anche lavorativo tra poche persone. Lo scenario è da The Day after e promette di peggiorare ulteriormente.
Ma torniamo alla domanda: è giustificato tutto questo? La risposta è decisamente no. C’è una grande differenza tra il prendere sul serio una questione, come in questo caso la diffusione di un virus, e diventare isterici; c’è un abisso tra una giusta prudenza e il panico. Alla fine l’isteria e il panico conducono a comportamenti irrazionali che provocano danni peggiori del problema a cui si reagisce. Basti pensare che mentre si vietano assembramenti di persone, nel fine settimana tantissimi cittadini spaventati si sono concentrati nei supermercati per l’accaparramento di generi alimentari, creando assembramenti peggiori di quelli che ci sarebbero stati normalmente.
Oppure bastano i sintomi di una normale influenza stagionale per fare cadere le persone in stato di angoscia, con il risultato che ci sono ormai migliaia di cittadini che chiedono di fare il tampone: così i tamponi cominciano a scarseggiare e magari rischiano di mancare per quanti ne avranno effettivamente bisogno. Senza contare i laboratori di analisi intasati da un super lavoro in parte inutile.
ma guardiamo ai fatti così come ci si presentano oggi. Anzitutto i numeri: l’infezione a ieri sera aveva colpito in Italia 229 persone, 172 nella sola Lombardia. Ripeto: 172 infetti – concentrati soprattutto in una zona specifica - su una popolazione (quella lombarda) di oltre 10 milioni di persone (meno dello 0,002%). Stiamo cioè parlando di un focolaio molto circoscritto. Certo, il numero è destinato a crescere, il rischio di una diffusione vasta esiste per quanto poco probabile con le misure prese, ma è pur sempre una dimensione molto ridotta.
Altra questione la pericolosità: è vero che il tasso di mortalità è superiore a quello della semplice influenza stagionale, anche se le percentuali differiscono a seconda della fonte e delle stime. Ma la differenza vera sta nei contagi: ogni anno in Italia si ammalano di influenza circa sei milioni di persone, e all’influenza e alle sue complicanze vengono attribuite mediamente 8mila morti, malgrado ci sia anche un’ampia copertura vaccinale (clicca qui). Ciò non vuol dire che vada presa sottogamba l’infezione da coronavirus, ma anche per questa infezione è ovvio che le persone maggiormente a rischio sono quelle anziane e con malattie cardiovascolari, respiratorie o immunodepresse. Come del resto le cronache italiane di questi giorni confermano.
Come ormai accade puntualmente in questi casi, c’è chi ha evocato la Spagnola, come il virologo onnipresente Roberto Burioni, secondo cui l’attuale infezione da coronavirus ha lo stesso tasso di mortalità. Fare queste affermazioni è semplicemente da irresponsabili. Ricordiamo che la Spagnola tra il 1918 e il 1920 provocò in tutto il mondo circa 40 milioni di morti (anche se alcune stime parlano addirittura di 100 milioni). Questa cifra significa che il tasso di mortalità fu sì del 4% (il 10 se prendiamo per buone le altre stime, in ogni caso superiore a quella attuale) ma quell’influenza colpì un miliardo di persone, vale a dire metà della popolazione mondiale di allora. E si propagò in quelle dimensioni per le condizioni politiche, sociali e igieniche legate alla Prima guerra mondiale. Condizioni che oggi non è neanche lontanamente possibile immaginare.
Quello che sicuramente crea più apprensione è il fatto che si tratta di un virus nuovo, per cui non si è trovata ancora una terapia specifica, ma è anche vero che basta osservare delle semplici precauzioni – che vengono ripetute da quando la vicenda è cominciata – per ridurre notevolmente i rischi di contagio. Tanto è vero che negli altri paesi europei – che non si pongono problemi di razzismo per il fatto di esercitare un controllo su quanti arrivano dalla Cina – non si assiste a misure drastiche come quelle prese in questi giorni in Italia, dove evidentemente c’è stata una falla nel sistema di sorveglianza. Basti pensare che a Londra, tanto per fare un esempio – quasi dieci milioni di abitanti e 150mila cinesi – la vita scorre assolutamente normale.
Dunque, prudenti si deve esserlo, evitare rischi inutili è più che giusto, anche sopportare qualche sacrificio per il bene di tutti. Ma il panico di questi giorni è assolutamente ingiustificato. Sicuramente indotto anche dai media con angoscianti bollettini minuto per minuto che sembra servano più ad accalappiare lettori che non a dare informazioni responsabili e proporzionate alla serietà. Sicuramente aumentato dalla sfiducia che generano politici la cui incompetenza è direttamente proporzionale alla capacità di strumentalizzare tutto a fini elettorali.
Però tale panico rivela anche una fragilità personale diffusa, tipica di chi si culla in false sicurezze; e all’improvviso, davanti a una minaccia ignota, si vede crollare tutto. Ci si illude di poter controllare ogni aspetto della vita, delirio accentuato dalle possibilità offerte dalla tecnoscienza, e invece all’improvviso basta un invisibile virus per mettere a nudo la nostra miseria e impotenza. Il nostro vero problema è l’aver smarrito quella certezza e convinzione che, fatto tutto quello che è giusto e doveroso fare, la nostra vita è nelle mani di Dio.
Riccardo Cascioli
https://lanuovabq.it/it/prudenza-si-panico-no
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