ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 22 febbraio 2020

Toglietevi il guanto il velluto!

Chiose e postille di padre Giocondo / 4


Cari amici di Duc in altum, scende di nuovo in campo il padre Giocondo da Mirabilandia. In primo piano l’esortazione di Francesco Querida Amazonia e il libro del cardinale Sarah e di Benedetto XVI sul celibato sacerdotale. Con una richiesta a cardinali e vescovi: quando muovete osservazioni critiche, per favore, evitate l’ipocrisia curiale. Gesù, quando ha rimproverato Pietro, non ha indorato la pillola. E che l’articolo di padre Giocondo compaia oggi, 22 febbraio, nel giorno in cui la Chiesa cattolica festeggia la Cattedra di San Pietro, non è certamente un caso!
A.M.V.

***
Il libro a quattro mani
Caro dottor Valli, ho letto e riletto con sommo interesse il libro Dal profondo del nostro cuore, scritto a quattro mani da papa Benedetto e dal cardinale Sarah, a difesa del sacro celibato, dedicato «a tutti i sacerdoti» e pubblicato in italiano alla fine di gennaio.
Le assicuro: una vera goduria spirituale!
L’opera è composta da due capitoli più corposi (il primo del papa, il secondo del cardinale), preceduti da una breve introduzione e seguiti da una breve conclusione, entrambe formulate al plurale (e quindi fatte proprie dai due autori).
Entriamo un po’ di più nello specifico.
Nell’introduzione, intitolata Perché avete paura?, i due autori cercano anzitutto di giustificare la loro iniziativa apologetica, nata nel contesto del Sinodo per l’Amazzonia, rifacendosi alle parole di sant’Agostino: «Silere non possum! – Non posso tacere!». Essi inoltre si ispirano al quadro evangelico della tempesta sedata, in modo da descrivere il forte smarrimento di molti sacerdoti nella bufera presente, e far così risuonare il forte rimprovero di Gesù: «Perché avete paura, uomini di poca fede?» (Mt 8,26).
Nel primo capitolo, intitolato Il sacerdozio cattolico, Benedetto XVI si impegna a dimostrare che anche nel Nuovo Testamento esiste un sacerdozio specifico, che possiede un carattere eminentemente cultuale e sacrificale: e ciò viene realizzato attraverso una rilettura cristologica dell’Antico Testamento; e, soprattutto, attraverso un riferimento fondante a Gesù stesso, il quale instaura il nuovo culto in spirito e verità e, innalzato sull’altare della Croce, diventa simultaneamente Sommo Sacerdote e Vittima.
Il papa ricorda inoltre che, in modo analogo a quanto già avveniva per gli antichi ministri del tempio di Gerusalemme, anche per i sacerdoti neo-testamentari il contatto sempre più frequente con il Sacrificio eucaristico – memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore – ha richiesto fin dai primordi della Chiesa: la completa astinenza sessuale ai ministri coniugati (il cosiddetto “matrimonio di san Giuseppe”); e, dopo qualche tempo, la rinuncia preventiva alla stessa condizione matrimoniale.
Sulla base di queste premesse, Benedetto XVI spiega e commenta poi tre espressioni, ispirate a testi dell’Antico e del Nuovo Testamento, che si riferiscono in vario modo alla vita e al ministero dei sacerdoti. Sono le seguenti: «O Signore, tu sei mia parte di eredità e mio calice, tu che restituisci a me la mia eredità» (cf. Sal 16,5-6); «O Signore, ti offriamo il pane della vita e il calice della salvezza; e ti rendiamo grazie perché ci hai ritenuti degni di stare davanti a te per servirti» (Preghiera eucaristica II, con riferimenti a Dt 10,8); «Padre Santo, consacrali [o santificali] nella verità!» (cf. Gv 17,17).
E nello spiegare queste frasi, il papa ribadisce più volte che il sacerdote – anche per mezzo del suo stato celibatario – è chiamato a vivere soltanto di Dio e per Dio; a stare continuamente alla sua presenza; e a svolgere un servizio liturgico, che includa anche l’offerta completa della propria vita, in unione all’offerta della Vittima divina.
Nel secondo capitolo, intitolato «Amare fino alla fine. Sguardo ecclesiologico e pastorale sul celibato sacerdotale», il cardinale Sarah, riferendosi all’ipotesi avanzata nel Sinodo per l’Amazzonia, dichiara senza mezzi termini che l’eventuale ordinazione di uomini sposati (i cosiddetti viri probati) «rappresenterebbe una catastrofe pastorale, una confusione ecclesiologica e un arretramento nella comprensione del sacerdozio».
Nello sviluppare questi tre punti, egli ricorda che: il sacerdozio ministeriale è uno “stato di vita” che esige il dono totale di sé per amore, ad immagine del Signore Gesù; tra celibato e sacerdozio esiste un legame non tanto funzionale, quanto ontologico; celebrare la Messa non significa soltanto realizzare un rito, ma immolare se stesso, anche per mezzo del celibato; se un sacerdote non si consegna completamente al Signore pure grazie al celibato, non potrà mai consegnarsi completamente ai propri fratelli. L’esperienza missionaria insegna che la fede delle comunità può sussistere anche senza la presenza assidua di un sacerdote; l’opposizione tra “pastorale della visita” e “pastorale della presenza” è stata esasperata e strumentalizzata; la Messa non è mai un qualcosa di dovuto (cfr il cosiddetto “diritto all’Eucaristia”), ma un dono sempre gratuito e immeritato. Nel prete celibe i fedeli possono scorgere più chiaramente la presenza di Cristo-Sposo della Chiesa, che si consegna loro per completo; per molti vescovi occidentali e sud-americani, privi di vera fede, il celibato è diventato un peso che non si sentono di trasmettere ad altri; anche i popoli dell’Amazzonia – come quelli dell’Africa e di ogni luogo di missione – hanno il diritto di incontrarsi con la radicalità del vangelo, incarnata nel sacerdozio celibatario; il celibato sacerdotale è un potente motore di evangelizzazione, che rende il missionario più libero e credibile.
E ancora: il celibato non è una disciplina imposta tardivamente dalla Chiesa latina ai propri chierici, ma una esigenza di origine apostolica; se nei primi secoli venivano ordinati uomini già sposati, era perché essi si impegnavano alla perfetta continenza anche nei confronti delle proprie mogli; le decisioni dei Concili dei primi secoli sull’argomento testimoniano che la richiesta della perfetta continenza era già ampiamente conosciuta, anche se non sempre rispettata; ritornare all’ordinazione di uomini sposati creerebbe molti problemi non solo per i diretti interessati, ma pure per le loro mogli e i loro figli; anche l’esperienza delle Chiese orientali, sia cattoliche che ortodosse, conferma la problematicità della sovrapposizione tra condizione matrimoniale e ministeriale.
Proseguendo, il cardinale Sarah ribadisce e amplia questi medesimi concetti, ricorrendo al Concilio Vaticano II (Presbiterorum Ordinis), Paolo VI (Sacerdotalis caelibatus), Giovanni Paolo II (Pastores dabo vobis) e Benedetto XVI (discorsi e omelie varie).
E in questa ampia riflessione, egli affronta anche il tema del ruolo della donna nella Chiesa, osservando che: l’eventuale accesso delle donne all’ordinazione sacerdotale già è stato precluso definitivamente da Giovanni Paolo II (Ordinatio sacerdotalis); l’idea di un “diaconato femminile”, ipotizzato dal Sinodo per l’Amazzonia, è priva di qualsiasi fondamento storico; il ruolo specifico della donna nella Chiesa va ricercato sulla base della diversità e complementarietà che esiste tra l’uomo e la donna, e nel rispetto della allegoria mistica che unisce il Cristo-Sposo con la Chiesa-Sposa, e non – invece – in una logica di contrapposizione ideologica tra i due sessi, propria di un certo femminismo, la quale condurrebbe a una sorta di clericalizzazione della donna stessa.
Il cardinale, infine, fa capire molto chiaramente che: la missione della Chiesa è essenzialmente spirituale, e non sociale, politica o ecologica; molte richieste del Sinodo per l’Amazzonia non nascono da quel preciso contesto socio-ecclesiale, ma da ambienti universitari (europei?) che proiettano su quelle popolazioni i propri dubbi religiosi e le proprie pretese rivoluzionarie; l’apertura ai preti sposati per l’Amazzonia non sarebbe una “eccezione” alla regola generale, ma uno “strappo” con la migliore tradizione della Chiesa Cattolica; tale apertura non sarebbe neppure una soluzione alla penuria di Clero, ma una contro-testimonianza rispetto al radicalismo evangelico; alla base di certe richieste del Sinodo per l’Amazzonia c’è un’idea distorta di “inculturazione” e una mancanza cronica di vera fede e di autentico fervore apostolico.
Nella conclusione, intitolata All’ombra della Croce, i due autori, dopo aver innalzato alcune struggenti invocazioni a Gesù Crocifisso, tornano a ribadire che, se hanno preso posizione a difesa del celibato sacerdotale, è avvenuto «in spirito di pace, di unità e di carità», cioè per dovere di coscienza, per amore verso la retta dottrina e per fedeltà alla Chiesa. Infatti: «Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9,16).
Un sonoro schiaffo morale…
In estrema sintesi, il libro costituisce un sonoro schiaffo morale, nei confronti di colui che è stato chiamato dalla Divina Provvidenza a “confermare i fratelli nella fede”, e che invece li sta confondendo e sviando, come nessun altro papa in precedenza.
Ora, possiamo e dobbiamo dire che questo schiaffo ha sortito l’effetto desiderato.
Infatti, se si leggono con attenzione i numeri 85-90 dell’esortazione post-sinodale Querida Amazonia, pubblicata da papa Bergoglio il 12 febbraio scorso (cioè un paio di settimane dopo l’uscita del libro di cui sopra), si comprende immediatamente che tutto era pronto per il varo dei preti sposati; e che il numero 90 deve essere stato cambiato nella sua disposizione normativa proprio all’ultimo momento.
Alla fine dunque papa Bergoglio ha frenato improvvisamente; ma la sua precedente intenzione è emersa chiaramente grazie a tre circostanze clamorose: 1) la reazione furibonda che egli avrebbe avuto appena venuto a conoscenza dell’uscita imminente del suddetto libro; 2) la sua pretesa folle di far ritirare la firma di Benedetto XVI dal medesimo testo; 3) e il siluramento in tronco di monsignor Georg Gänswein dal suo incarico di Prefetto della Casa Pontificia. Tutte cose di cui questo blog ha già parlato.
… dato con un morbido guanto di velluto
Ma, tornando all’analisi del nostro libro, dobbiamo notare con un po’ di rammarico che un siffatto schiaffo morale è stato inferto – specie da parte del piissimo e mitissimo cardinale Sarah – indossando un morbido guanto di velluto.
Intendo riferirmi al fatto che, nel corso dell’esposizione, si tende ripetutamente a ossequiare e quasi scagionare il papa regnante, come se lui non avesse nulla a che fare con il putiferio che si è scatenato attorno al Sinodo per l’Amazzonia. E questo avviene: giustificandosi a più riprese per il fatto che si è voluti intervenire sull’argomento; incolpando i mass-media di aver creato una sorta di Sinodo parallelo rispetto a quello reale; attribuendo le responsabilità del conflitto in atto a non meglio precisati «ambienti universitari» e «missionari occidentali»; e citando, specie nella conclusione del testo, alcune frasi di papa Bergoglio, sfacciatamente favorevoli al celibato sacerdotale.
Come uomo di Chiesa – ricordo a tutti che, se anche indegnamente, sono un frate –, io comprendo perfettamente questi toni un po’ untuosi e diplomatici; ma posso assicurare che a molti laici essi danno fastidio, perché appaiono del tutto falsi e ipocriti.
La mia umile richiesta
Ecco allora la mia umile richiesta, rivolta non solo al cardinale Sarah, ma anche a tutti gli altri cardinali di buona volontà, e a qualsiasi altro prelato cosciente della grande apostasia che è in atto a partire dal vertice stesso della Chiesa: se in un prossimo futuro dovrete ancora dare un sonoro schiaffo morale al vescovo emerito di Buenos Aires (e sicuramente ce ne sarà l’occasione!) … beh, allora, per favore, toglietevi il guanto il velluto! Gesù infatti, quando ha inteso rimproverare Simon Pietro, non ha usato nessun guanto, ma l’ha chiamato «Satana» (Mt 16,23); e non l’ha usato neppure l’apostolo Paolo, che gli si oppose «a viso aperto» e «in presenza di tutti» (Gal 2,11.14).
Grazie!
Padre Giocondo da Mirabilandia

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.