Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna ancora una settimana senza messe con popolo, malgrado i vescovi lombardi avessero espresso la volontà di "aprire" almeno quelle feriali e alcuni vescovi già lo avevano fatto. Ma la CEI ha interpretato nel modo più restrittivo possibile il decreto del governo e ha imposto una linea rigida, esautorando i singoli vescovi che dovrebbero essere loro autorità magisteriale nelle proprie diocesi.
Effetto Coronavirus
Nei giorni scorsi lo abbiamo detto molto chiaramente: la privazione eucaristica forzata di questi giorni può e deve essere vissuta dai fedeli come una fenomenale occasione di conversione, per approfondire il significato dell’Eucarestia e anche per scoprire o riscoprire la pratica della comunione spirituale. Ciò non toglie però che il balletto “Messa sì, Messa no” a cui si è assistito in questi ultimi giorni lasci sconcertati non poco.
Ieri pomeriggio è arrivata la decisione di prorogare fino al 7 marzo - per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna - il divieto di popolo alle messe feriali. Lo hanno deciso le Conferenze episcopali regionali, seguendo l’interpretazione offerta dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) al decreto del governo del 1° marzo. In questo modo anche quei vescovi dell’Emilia Romagna che avevano riaperto al pubblico le messe di domenica scorsa, hanno dovuto fare una nuova marcia indietro.
La decisione ha colto un po’ di sorpresa molti fedeli perché i movimenti degli ultimi giorni lasciavano presagire un allentamento delle restrizioni, almeno per le messe feriali. I vescovi della Lombardia, infatti, sabato avevano firmato un appello alla Regione perché considerasse la partecipazione dei fedeli alle messe feriali che «a differenza delle messe festive, non costituiscono una forma di assembramento». E il decreto firmato domenica sera dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte lasciava ben sperare perché, come il precedente, offriva possibilità di manovra.
Il decreto sospende infatti fino al prossimo 8 marzo «tutte le manifestazioni organizzate, di carattere non ordinario, nonché degli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico, quali, a titolo d’esempio, grandi eventi, cinema, teatri, discoteche, cerimonie religiose». Poi prosegue: «L’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro».
Ce ne è dunque abbastanza per una interpretazione che salvi la capra delle misure sanitarie di sicurezza e i cavoli della Messa feriale. Non c’è neanche da adottare particolari misure per garantire alle Messe feriali una presenza scarsa e geograficamente diffusa in tutta la chiesa. Ma la comunicazione della CEI di ieri mattina rimetteva tutto in discussione, perché interpretava invece in senso restrittivo le disposizioni del governo. E dopo aver elencato le limitazioni previste, concludeva affermando che «sono escluse durante la settimana le Messe feriali». In realtà la costruzione della frase era tale che si poteva interpretare anche come esclusione delle Messe feriali dalle limitazioni previste.
Evidentemente non era così e di interpretazione in interpretazione, dapprima la Conferenza Episcopale Lombarda, poi le altre si adeguavano alle indicazioni della CEI. Fino al punto di far tornare indietro quei vescovi – vedi Reggio Emilia – che già avevano aperto le chiese anche alla Messa festiva. E questo malgrado «il nostro desiderio più profondo – dice il comunicato dei vescovi lombardi - era e rimane quello di favorire e sostenere la domanda dei fedeli di partecipare all’eucaristia».
La vicenda presenta diversi aspetti incomprensibili: senza neanche citare il significato della Messa - in nessun modo paragonabile ad eventi culturali o sportivi - che però sembra sfuggire anche ai vescovi oltre che alle autorità civili, ancora una volta i vertici della Chiesa hanno dimostrato la loro sudditanza allo Stato. Come abbiamo già spiegato alcuni giorni fa, è il segno che la Chiesa si concepisce ormai come un elemento della comunità politica e non il suo fondamento. Così si trova a dipendere dallo Stato anche in ciò che rappresenta la sua identità, e questo malgrado non siano pochi i giuristi che ritengono ingiustificata questa dipendenza anche solo dal punto di vista delle leggi italiane attuali.
Soprattutto colpisce la prontezza dei vertici della Chiesa italiana nell’interpretare nel modo più restrittivo possibile le direttive del governo. Neanche ponendo sul piatto il significato della Messa, e le sue ricadute positive per il bene comune. Davvero si può considerare sicuro, tanto per fare un esempio, l’ingresso dei turisti nel Duomo di Milano e pericoloso un numero inferiore di persone che nello stesso Duomo per una mezz’ora prendono posto disperse nelle numerose panche? L’incongruenza è evidente, così come l’atteggiamento da “Chiesa in ritirata” che si è impadronito dei vertici della Chiesa italiana.
Analogamente le Conferenze Episcopali regionali si sono subito piegate alle indicazioni della CEI, malgrado avessero chiaramente espresso nei giorni precedenti la volontà di riaprire le Messe al pubblico e la convinzione di poter gestire le cose in modo da non provocare problemi per la salute pubblica. E allo stesso modo hanno dovuto allinearsi quei vescovi che già si erano esposti per la partecipazione del popolo alle Messe.
Questo pone ancora una volta il problema del potere delle Conferenze episcopali, che ormai si sostituiscono ai singoli vescovi nelle decisioni, vedi la liturgia, che invece sarebbero loro proprie. Si può comprendere che i vescovi favorevoli alle Messe con popolo, alla fine abbiano preferito l’unità nella decisione con tutti i vescovi piuttosto che creare un caso che avrebbe offerto l’inquietante immagine di una Chiesa spaccata. Ma che qualcosa non vada è comunque evidente. Un vescovo, che nella sua diocesi è autorità magisteriale, si trova scavalcato da un organismo (la CEI) che invece non ha tale autorità; eppure è “costretto” ad ubbidire.
È il segno chiaro di una burocratizzazione della gerarchia ecclesiastica, la realizzazione di un “centralismo democratico” che allontana sempre più i pastori dal loro gregge.
Riccardo Cascioli
- EPIDEMIOLOGIA DICE: LE MESSE NON SONO A RISCHIO, di Paolo Gulisano
- LA PREGHIERA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS, di Riccardo Barile
- SPECIALE CORONAVIRUS
https://www.lanuovabq.it/it/il-balletto-delle-messe-ridisegna-la-gerarchia-nella-chiesa
Chiose e postille di Padre Giocondo / 6
Un pericolo pubblico per la fede dei fedeli
Caro Valli, sto seguendo con attenzione le diverse testimonianze che le stanno arrivando a Duc in altum da tutta Italia, e persino dall’estero, sull’attuale emergenza sanitaria del coronavirus, con relativa chiusura generalizzata di chiese e oratori.
Nella nostra chiesa conventuale ancora non siamo arrivati a questi estremi, ma temo che presto anche noi dovremo sospendere ogni celebrazione pubblica.
Non c’è bisogno di dire che condivido al cento per cento i sentimenti di preoccupazione e di sconforto di tanti fedeli che, proprio in uno dei momenti più difficili della loro vita, si vedono privati all’improvviso degli aiuti spirituali e sacramentali che soltanto la Chiesa cattolica è in grado di offrire, Santissima Eucaristia in primis…
Però, caro Valli, c’è un però…
Più rifletto sull’incredibile situazione che si è venuta a creare, con intere Conferenze episcopali regionali che dalla sera alla mattina sospendono ogni Messa pubblica in ogni chiesa del loro territorio, e più sono tentato di credere che ciò sta accadendo non per pura fatalità, ma per una esplicita permissione divina.
Qui, sì, bisogna tirare in ballo la famosa “volontà permissiva” del buon Dio, e non in certe affermazioni farneticanti della Dichiarazione di Abu Dabi!
Arrivo al nocciolo della questione.
Credo proprio che Nostro Signore si sia stancato di assistere a determinate celebrazioni eucaristiche che fanno scempio della sua Presenza reale nel Santissimo Sacramento dell’Altare; come pure si sia stancato di ascoltare – stando nel Tabernacolo – i discorsi di certi preti che fanno scempio della sana dottrina della Chiesa! Ed essendosi stancato, ha permesso uno svuotamento completo e repentino delle sue chiese, obbligando così questi sedicenti ministri sacri a non fare altri danni in mezzo ai fedeli.
Sto esagerando? Non credo proprio! Venite con me… e ve lo dimostrerò.
Immaginate che ci troviamo vicino al Tabernacolo, posto in una cappella laterale di una chiesa dei Servi di Maria, in una diocesi delle Marche, in occasione di un mercoledì delle ceneri o di una domenica di quaresima: la chiesa è gremita di gente e un frate del suddetto ordine sta per iniziare l’omelia. Ascoltiamolo con attenzione…
«Con il mercoledì delle ceneri è iniziata la Quaresima. Per comprendere il significato di questo periodo occorre esaminare la diversa liturgia pre e post-conciliare. Prima della riforma liturgica, l’imposizione delle ceneri era accompagnata dalle lugubri parole “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai” (Gen 3,19). […] Oggi l’imposizione delle ceneri è accompagnata dall’invito di Gesù “Convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). […] E credere al vangelo significa orientare la propria esistenza al bene dell’altro. […] In queste due diverse impostazioni teologiche sta il significato della Quaresima.
Mai Gesù ha invitato a fare penitenza, a mortificarsi, vocaboli assenti nel suo insegnamento, e tanto meno a fare sacrifici. Anzi, ha detto esattamente il contrario: “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13; 12,7). Ciò che Dio chiede non è un culto verso lui (sacrificio), ma l’amore verso gli altri (misericordia). I sacrifici e le penitenze centrano l’uomo su se stesso, sulla propria perfezione spirituale, e nulla può essere più pericoloso e letale di questo ingannevole atteggiamento, che illude la persona di avvicinarsi a Dio quando in realtà serve solo ad allontanarla dagli uomini. […]
La Quaresima pertanto non è tempo di mortificazioni, ma di vivificazioni…».
E simili parole, come sono giunte ai nostri orecchi, sono arrivate anche al Tabernacolo che ci sta accanto, dove vive e permane la Presenza divina. E proprio in questo momento, ci sembra di sentire come un sospiro profondo che proviene dallo stesso Tabernacolo, insieme a una richiesta accorata: «Basta! Per favore, basta!…».
Ma chi è che sta predicando in quel modo?
Ma, certo, è lui: il sedicente biblista e teologo padre Alberto Maggi,vero maestro in argomentazioni neo-moderniste e neo-protestanti!
Vedete, dunque, che era come vi dicevo io! Il Signore è stanco e sfinito nel sopportare insegnamenti di questo tipo, proclamati in casa sua e alla sua presenza, da maestri che parlano secondo le voglie del mondo e il cui unico obiettivo è quello di demolire con malizia diabolica, concetto dopo concetto, la sana dottrina della Chiesa.
Per questo, ho il grave sospetto che il Signore stia disponendo le cose, per il momento presente e per un prossimo futuro, in modo tale che le sue chiese rimangano chiuse. A quel punto, i preti e i fedeli di buona volontà si organizzeranno in altro modo.
Io non entro nel merito delle cose dette dal padre Maggi: non voglio atteggiarmi né a biblista, né a teologo. Lascio che a correggerlo sia eventualmente il vescovo, sotto la cui giurisdizione territoriale egli ricade. A ognuno il suo mestiere.
Mi limiterò invece a ricordare un paio di cose che mi suggerisce un mio confratello di comunità, che ha frequentato quelle zone: 1) in passato c’è stato un vescovo di Macerata che ha formalmente richiamato il padre Maggi, alla presenza del suo superiore provinciale, sempre a causa dei suoi insegnamenti scritti e orali, tutt’altro che corretti e ortodossi; 2) anche attualmente ci sono laici, preti e persino dei vescovi che ricorrono scioccamente ai suoi testi e alle sue conferenze, prendendole per oro colato.
Basta! Per favore, basta!…
Fermate quell’uomo, perché è un pericolo pubblico per la fede dei fedeli!
Padre Giocondo da Mirabilandia
I cattolici al tempo del coronavirus / 8
Cari amici di Duc in altum, eccoci a un’altra puntata della nostra serie I cattolici al tempo del coronaviorus. Continuate a scrivermi via Facebook. Raccomando di precisare sempre da dove scrivete. Grazie.
A.M.V.
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Qui Mantova
Domenica mattina presto abbiamo ricevuto la notizia di una Messa clandestina. Per me e mio marito è stata una gioia incredibile. Ci siamo sentiti un po’ come i nostri fratelli dei paesi in cui i cristiani sono perseguitati. Personalmente avevo già deciso che non avrei seguito alcuna Messa in streaming o in tv, perché la sola idea mi provoca un misto di angoscia, depressione e fastidio. La Santa Messa clandestina è stata molto sentita e commovente.
Lettera firmata
Mantova
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Qui Milano
Vedo che nelle chiese, lì dove è ancora possibile celebrare le Messe, non è stata sospesa la raccolta dell’elemosina, eppure si pretende che l’Eucaristia sia ricevuta sulle mani. Quelle stesse mani che hanno toccato i soldi, le panche, la porta d’ingresso… Follia.
Lettera firmata
Milano
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Qui Lucca
Abito in Toscana, precisamente a Lucca, e qui, grazie a Dio, non ci sono state, finora, restrizioni. Tuttavia, pensando alle regioni in cui le Messe sono state vietate, e pur non volendo andare contro le disposizioni del governo e dei vari vescovi, mi sembra che quella di non celebrare le Messe con i fedeli e, a maggior ragione, tenere chiuse le chiese, sia pura follia. Non vedo il nesso tra contagio e chiesa. E allora gli altri luoghi pubblici? Caso mai, se si vogliono evitare assembramenti, il numero delle Messe andrebbe moltiplicato. Dunque, che riaprano le chiese e si lasci entrare la gente a pregare e a partecipare alla Santa Messa e alle varie funzioni.
Silvana Russo
Lucca
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Qui Friuli
Egregio dottor Valli, anche nella diocesi di Trieste, guidata dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, sono state sospese le Sante Messe per tutta la settimana, domenica 1° marzo inclusa. Ho visto l’avviso esposto sulla porta della chiesa di San Giovanni Decollato e, leggendo l’ordinanza del governatore regionale Massimo Fedriga, mi pare di aver capito che chi non ubbidisce rischia pene severe, fino al carcere.
Ho scritto dunque all’arcivescovo Crepaldi dicendo tra altro: “Non per voler essere polemico, ma mi sembra che dalla divisione tra Chiesa e Stato siamo arrivati alla sottomissione della Chiesa nei confronti dello Stato. E proprio nei giorni di quaresima. E se questa situazione andasse avanti ancora per qualche settimana? Il 12 aprile sarà Pasqua. Seguiremo le celebrazioni per radio e televisione, come scritto nelle disposizioni della diocesi? Cosa possiamo dire ai cattolici perseguitati nel mondo, che mettono a repentaglio la loro stessa vita pur di andare alla Santa Messa? E che cosa possiamo dire ai preti che percorrono migliaia di chilometri per portare la Santa Eucaristia nei posti più remoti della terra?
Per noi fedeli di lingua slovena nel territorio regionale del Friuli Venezia-Giulia c’è poi una soluzione molto semplice, grazie a Dio: fare neanche dieci chilometri in macchina per partecipare alle Sante Messe nella vicina Sežana, a Nova Gorica, a Koper, dove, per ora, tutto prosegue normalmente. Mi è stato di grande conforto poter andarvi con la mia famiglia. Ceneri incluse. Ma devo dire che dei miei concittadini non ho visto nessuno. Spaventati? Scoraggiati?
Ho letto che lo Stato, in base al concordato, non può vietare nulla. Di fatto sono stati i vescovi a vietare. Dio mi perdoni, ma mi chiedo come abbiano potuto.
Nel frattempo, anche in Friuli Venezia-Giulia ci sono dei casi di coronavirus. Abbiamo dunque colto l’occasione per un pellegrinaggio al santuario di Sveta Gora (Monte Santo), dove abbiamo potuto confessarci e partecipare alla Santa Messa. All’ingresso era esposta una lettera della Conferenza episcopale slovena con le solite raccomandazioni: evitare di avvicinarsi troppo l’uno all’altro, non scambiarci il segno della pace (che certamente non rimpiango) e prendere la comunione sulla mano. Visto però che alcuni fedeli ricevevano senza problemi la comunione sulla bocca, l’ho fatto anch’io. Deo gratias! Alla fine della Messa il celebrante ha ricordato le raccomandazioni dei vescovi, ma a proposito del ricevere la Comunione sulle mani ha aggiunto “se possibile”.
Igor P. Merkù
Trieste
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Qui Canton Zugo (Svizzera)
Caro Aldo Maria, desidero far sapere che nel cantone svizzero di Zugo, dove vivo e dove non c’è stato finora nessun caso di positività al coronavirus, nelle chiese sono state svuotate le acquasantiere e sono apparsi cartelli, tipo quelli stradali, con il divieto di scambiarsi il segno della pace (comunque non necessario) e di distribuire la Santa Comunione sulla lingua. Così, poiché non voglio ricevere la Comunione sulla mano, mi sono trovato nell’impossibilità di comunicarmi.
Qui frequento la Santa Messa della Missione cattolica italiana.
Paolo
Cantone di Zugo (Svizzera)
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Qui Airuno (Lecco)
Qui ad Airuno (Lecco) don Ruggero Fabris, della parrocchia intitolata ai Santi Cosma e Damiano, ha deciso di disobbedire al vescovo Delpini e, con una lettera inviata sia al segretario dell’arcivescovo di Milano sia al vicario episcopale della zona pastorale di Lecco della Chiesa ambrosiana monsignor Maurizio Rolla, ha annunciato che presiederà almeno una funzione ogni giorno: “Se ci togliete l’Eucaristia – scrive – non ci resta più speranza. Non lo fecero neppure san Carlo Borromeo durante la peste né il cardinale Ildefonso Schuster durante la Seconda guerra mondiale. Invece di invitare a pregare e dar coraggio, ci fate alzare bandiera bianca”. Don Ruggero terrà però chiuso l’oratorio e forse diserterà il raduno dei cresimandi previsto allo stadio San Siro di Milano il 29 marzo.
Lettera firmata
Airuno (Lecco)
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