ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 13 marzo 2020

Senso di irresponsabilità..

C.E.I.: Abbiamo chiuso le chiese non perché ce lo abbia imposto il Governo ma per senso di responsabilità

Conferenza episcopale italiana
La Conferenza Episcopale Italiana con un comunicato dell’8 marzo scorso aveva dichiarato:
Il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, entrato in vigore quest’oggi, sospende a livello preventivo, fino a venerdì 3 aprile, sull’intero territorio nazionale “le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”.
L’interpretazione fornita dal Governo include rigorosamente le Sante Messe e le esequie tra le “cerimonie religiose”. Si tratta di un passaggio fortemente restrittivo, la cui accoglienza incontra sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. L’accoglienza del Decreto è mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente, la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica.

Questa decisione aveva creato non poche critiche di cui abbiamo dato conto in vari articoli (si veda ad esempio quiqui,  qui e qui). Tali critiche, in particolare, mettevano in evidenza vari aspetti della questione, tra cui il fatto di non aver espresso alcuna obiezione pubblica dinanzi alla decisione del Governo di sospendere le messe, in particolare riguardo alla interpretazione del concetto di “cerimonia religiosa”. Ma ancor di più, per l’impressione data dalla Chiesa ai fedeli di un venir meno al mandato fondamentale ricevuto da Cristo.
Scriveva infatti l’avv. Fabio Adernò: “Negare il conforto sacramentale alle anime di quanti, tanto vivi quanto morti (sic!), sono nel bisogno è una gravissima omissione dolosa del mandato di Cristo alla Chiesa e ai suoi ministri che sono chiamati ad assolvere al dovere di dispensare i mezzi di salvezza in ogni umana circostanza, in pace e in guerra, rischiando anche la vita se necessario.
Eppure questa decisione annienta il mandato di Cristo, e lo subordina – per volontà di coloro ai quali è affidato, per divina volontà, di pascere il Popolo di Dio (cfr. can. 1008 CIC) – a una disposizione secolare di un governo che, nonostante l’indipendenza e la sovranità tra Stato e Chiesa consacrate dall’art. 7 della Carta Costituzionale, si spinge a interpretare da sé il significato dell’espressione ‘cerimonie religiose’ identificando con esse ‘ogni Santa Messa anche esequiale’”.
Scriveva a sua volta dom Giulio Meiattini: “Ma la cosa più triste, e preoccupante per il futuro dell’umanità, è che la stessa Chiesa (o meglio gli uomini di Chiesa) ha dimenticato che la grazia di Dio vale più della vita presente. Per questo si chiudono le chiese e ci si allinea ai criteri sanitari e igenici. La chiesa trasformata in agenzia sanitaria, invece che in luogo di salvezza. Ci pensino bene i vescovi a chiudere le chiese e a privare i fedeli dei sacramenti, dell’eucaristia, che è medicina dell’anima e del corpo: chiudere le porte ai cristiani e pensare di potersela cavare con la scienza umana, è chiudere le porte all’aiuto di Dio. E’ confidare nell’uomo, invece che confidare in Dio.”
Mons. Pope, infine, scriveva: “Alcuni mi definiranno irresponsabile per aver chiesto la ripresa delle messe pubbliche e comunitarie. ‘La gente sta morendo’, diranno. Posso rispondere solo dicendo che le anime muoiono per paura e per l’ossessione mondana della morte. La morte arriverà a tutti noi, e probabilmente non per un coronavirus. La domanda più profonda e più importante è questa: Siete pronti a morire e ad affrontare il giudizio [di Dio]?
Prendiamo ragionevoli precauzioni. Lavatevi le mani; evitate di toccarvi il viso; rispettate che alcuni non vogliano stringere la mano proprio ora. Ma soprattutto, non abbiate paura e non pensiate che Dio non abbia più il controllo. Andate a Messa e abbiate fiducia in Dio!”
A corroborare queste osservazioni critiche arrivano le storie dal “fronte” sanitario, dove in questi giorni gli operatori negli ospedali raccontano quanto si stringe loro il cuore nel vedere i pazienti, coscienti, morire in completa solitudine, non solo senza la presenza dei parenti ma, aggiungiamo noi, anche senza i conforti religiosi. 
Eppure, quanti sacerdoti e religiosi cappellani militari hanno portato il conforto religioso ai moribondi sul campo di battaglia sotto le bombe di una guerra, rischiando la propria vita. 
Infine, un servizio giornalistico andato in televisione qualche giorno fa acutamente osservava che le verità della fede sono in ritirata lasciando il posto alle verità della scienza perché saranno queste ultime a salvarci.
Ieri la C.E.I., probabilmente dopo le critiche montate, ha sentito la necessità di precisare la sua posizione con un nuovo comunicato, chiarendo un punto importante:
È con questo sguardo di fiducia, speranza e carità che intendiamo affrontare questa stagione. Ne è parte anche la condivisione delle limitazioni a cui ogni cittadino è sottoposto. A ciascuno, in particolare, viene chiesto di avere la massima attenzione, perché un’eventuale sua imprudenza nell’osservare le misure sanitarie potrebbe danneggiare altre persone.
Di questa responsabilità può essere espressione anche la decisione di chiudere le chiese. Questo non perché lo Stato ce lo imponga, ma per un senso di appartenenza alla famiglia umana, esposta a un virus di cui ancora non conosciamo la natura né la propagazione.
Dunque, con questo comunicato cade anche la critica alla C.E.I. che diceva che essa avrebbe dovuto opporsi al Governo appellandosi al can. 838 del Codice di Diritto Canonico che sancisce che spetta «unicamente all’autorità della Chiesa» regolare la Sacra Liturgia. Molti fedeli, infatti, avevano chiesto alla Chiesa di farsi parte attiva di una controproposta tesa ad assicurare l’accesso dei fedeli ai sacramenti mediante una prudenziale autoregolamentazione che avrebbe potuto prevedere una moltiplicazione delle celebrazioni durante le giornate, in modo tale da permettere una partecipazione più diffusa e, al contempo, più controllata ai Riti. Si sarebbe potuto prevedere un numero massimo di fedeli per ogni messa in funzione degli spazi e della distanza di sicurezza di ogni posto a sedere. Sarebbe stato possibile prevedere anche un sistema di igienizzazione continua tra una celebrazione e l’altra. Del resto è proprio quello che è avvenuto negli spazi interni ed esterni ad alcune chiese domenica scorsa. 
E’ da tener presente che è proprio questa la posizione presa dal presidente della Conferenza Episcopale Polacca, l’arcivescovo Stanisław Gądecki di Poznań, il quale ha detto
“In relazione alle raccomandazioni dell’ispettore capo dei servizi sanitari, secondo le quali non dovrebbero esserci grandi raduni di persone, chiedo di aumentare – per quanto possibile – il numero delle Messe domenicali nelle chiese, in modo che un certo numero di fedeli possa partecipare alla liturgia … secondo le direttive dei servizi sanitari”
Poiché tra le funzioni di una chiesa c’è quella di curare le malattie spirituali, “è impensabile che non si preghi nelle nostre chiese”
Invece, la Conferenza Episcopale Italiana ha deciso diversamente. Questo comunicato ha il merito di aver chiarito le cose. 
Non stupisce dunque che, proprio agganciandosi a questo comunicato, la diocesi di Roma, ieri, 12 marzo, con decreto del cardinale vicario Angelo De Donatis ha stabilito che:
Sino a venerdì 3 aprile 2020 l’accesso alle chiese parrocchiali e non parrocchiali della Diocesi di Roma, aperte al pubblico (cf. cann. 1214 ss C.I.C.), e più in generale agli edifici di culto di qualunque genere aperti al pubblico, viene interdetto a tutti i fedeli. Rimangono accessibili solo gli oratori di comunità stabilmente costituite (religiose, monastiche, ecc.: cf. can. 1223 C.I.C.), limitatamente alle medesime collettività che abitualmente ne usufruiscono in quanto in loco residenti e conviventi, con interdizione all’accesso dei fedeli che non sono membri stabili delle predette comunità.
Dunque, nella diocesi di Roma, secondo questo comunicato, sarebbe stato “interdetto a tutti i fedeli” l’accesso alle chiese. Pertanto, se prima non era permesso partecipare alle messe, ma almeno ci si poteva fermare nelle chiese a pregare, da quel momento in poi neanche questo sarebbe stato più possibile. 
Non sono uno storico, ma ho la netta sensazione che quella sia stata una decisione senza precedenti nella storia della Chiesa, presa addirittura nel cuore della cristianità.
Se oggi, con tutte le precauzioni, si può andare al posto di lavoro, all’ufficio postale, in banca o nel supermercato, per rifornirsi del cibo che alimenta il corpo, perché a Roma non si sarebbe potuto andare in un luogo sacro a pregare e alimentare lo spirito? 
Stiamo osservando la dedizione, il sacrificio, anzi, l’eroismo dei medici del corpo, e con loro i cappellani degli ospedali, ma desidereremmo vedere più presenza dei “medici” dell’anima nelle “corsie” delle strade cittadine, nelle “corsie” delle chiese?
Si comprendono benissimo le ragioni della gravità della pandemia. In questo momento, l’obiettivo cui tutti dobbiamo contribuire è quello di ridurre, limitare e infine azzerare la diffusione della infezione, ma la sensazione che in questo momento si percepisce è quella di una Chiesa in ritirata, di un affievolimento della sua prossimità verso chi soffre, verso chi ha bisogno, un bisogno che può essere anche solo spirituale in un momento di grande crisi.
Questa cosa deve aver colpito anche Papa Francesco (a proposito,auguri per il suo settimo anniversario sul Soglio Pontificio), il quale, durante l’omelia mattutina da Casa Santa Marta ha detto“E vorrei anche pregare oggi per i pastori che devono accompagnare il popolo di Dio in questa crisi: che il Signore gli dia la forza e anche la capacità di scegliere i migliori mezzi per aiutare. Le misure drastiche non sempre sono buone, per questo preghiamo: perché lo Spirito Santo dia ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio.”
“Le misure drastiche non sempre sono buone”. Ecco, questo il punto.
Lo stesso deve aver pensato l’Elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski, il quale stamattina ha aperto la chiesa romana di Santa Maria Immacolata all’Esquilino, di cui è titolare, dicendo: “Nel pieno rispetto delle norme di sicurezza – sottolinea il l’elemosiniere apostolico – è mio diritto assicurare ai poveri una chiesa aperta. Stamattina alle 8, sono venuto qui e ho spalancato il portone. Così i poveri potranno adorare il Santissimo Sacramento che è la consolazione per tutti in questo momento di grave difficoltà”.
Le parole del Papa ed il gesto del suo Elemosiniere ha fatto fare oggi dietro marcia al Card. De Donatis che ha pubblicato un nuovo comunicato che potete leggere qui.
Un gran pasticcio! (per non aggiungere altro). Evidentemente, tutto questo senso di responsabilità pare non essere condiviso dal Papa.
Che tenerezza vedere sui social un parroco che fa un altarino su un Apecar e gira le strade pregando e benedicendo, un altro che porta il Santissimo per le strade, benedicendo case e negozi, un altro che porta fuori dalla chiesa una grande croce con Cristo e con il megafono prega, benedice e conforta. 
Ringraziamo questi sacerdoti che ci mostrano la vicinanza carnale di Cristo. Perché il timore è che chiuse le chiese, spariti i sacerdoti, negati i sacramenti, cancellata l’adorazione del Santissimo, si rimanga soli con le app del telefonino.

Il parroco di espone il crocifisso di e scrive: "Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza, faccia cessare la pandemia su Brescello, l’Italia e il mondo intero! Noi facciamo la nostra parte: restiamo a casa e preghiamo!"

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chiesa coronavirus 1
Disposizione in chiesa per mantenere la distanza di sicurezza per il coronavirus (domenica 8 marzo 2020)

chiesa coronavirus 2
Disposizione fuori la chiesa per mantenere la distanza di sicurezza per il coronavirus (domenica 8 marzo 2020)
di Sabino Paciolla

Stella Coeli extirpavit (Canto Gregoriano per i tempi di pestilenze)


PREGHIERA IN TEMPO DI PESTILENZA:
STELLA CŒLI EXTIRPAVIT
La preghiera ha origine nella città di Coimbra (Portogallo). Allorquando scoppiò una violenta pestilenza, le monache di santa Chiara elevarono questa supplica al Cielo e pressoché immediata fu la cessazione del contagio.
***
Stella caeli exstirpavit
Quae lactavit Dominum
Mortis pestem quam plantavit
Primus parens hominum.
Ipsa Stella nunc dignetur
Sidera compescere,
Quorum bella plebem caedunt
Dirae mortis ulcere.
O piisima Stella Maris
A peste succurre nobis;
Audi nos, Domina;
Nam Filius tuus nihil negans
Te honorat.
Salva nos Jesu pro quibus
Virgo mater te orat!
La Stella del Cielo,
che allattò il Signore,
distrusse la peste della morte, introdotta al mondo dal progenitore degli uomini.
Si degni ora la medesima Stella
placare il cielo,
che irato contro la terra, distrugge i popoli
con la crudele piaga di morte.
O pietosissima Stella del mare,
Tu salvaci dalla peste.
Sii propizia alle nostre preghiere,
o Signora, perché il tuo Figlio,
che nulla a Te nega, ti onora.
O Gesù, salva noi, per i quali
ti prega la Vergine Madre.
℣. Ora pro nobis, Sancta Dei Genitrix.
℞. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Oremus. Deus misericordiae, Deus pietatis, Deus indulgentiae, qui misertus es super afflictione Populi tui, et dixisti Angelo percutienti Populum tuum: contine manum tuam ob amorem illius Stellae gloriosae, cujus ubera pretiosa contra venenum nostrorum delictorum quam dulciter suxisti: praesta auxilium gratiae tuae, ab omni peste, et improvisa morte secure liberemur, et a totius perditionis incursu misericorditer liberemur.
Per te Jesu Christe Rex Gloriae, Salvator Mundi: Qui vivis, et regnas in secula seculorum.  Amen.
Di Sabino Paciolla

IL PAPA CHIUDE LE CHIESE A ROMA POI CI RIPENSA DICE DE DONATIS.

Marco Tosatti

 Cari amici e nemici di Stilum Curiae pubblichiamo qui sotto la lettera che il cardinale vicario di Roma ha scritto oggi ai fedeli, modificando la decisione di chiudere tutte le chiese della Capitale. C’è chi ha detto e scritto che il cambiamento di rotta era stato deciso dopo che il Pontefice aveva espresso la sua disapprovazione. È interessante notare che sin dalle prime righe il cardinale invece afferma che la decisione – chiudere tutte le chiese, interdire l’accesso ai fedeli – era venuta dopo una consultazione con il papa. E che probabilmente in seguito alle reazioni scandalizzate di molte persone e sacerdoti si è arrivati a cambiare un provvedimento che era sembrato eccessivo. Buona lettura.

§§§


Con una decisione senza precedenti, consultato il nostro Vescovo Papa Francesco, abbiamo pubblicato ieri, 12 marzo, il decreto che fissa la chiusura per tre settimane delle nostre chiese.
Non ci ha spinto una paura irrazionale o, peggio, un pragmatismo privo di speranza evangelica. Ma l’obbedienza alla volontà di Dio. Questa volontà ci si è manifestata attraverso la realtà del momento storico che stiamo vivendo. È obbedienza alla vita, che è forse il modo più esigente con cui il Signore ci chiede di obbedirgli.
Il contagio da coronavirus si sta diffondendo in maniera esponenziale. In pochissimi giorni il numero degli infetti raddoppia, e di questo passo non è difficile prevedere che in due mesi raggiunga l’ordine di decine di migliaia di persone solo in Italia. È evidente il rischio di collasso delle strutture sanitarie, già ventilato da molti, soprattutto per la sproporzione tra le risorse di terapia intensiva disponibili e il crescente numero di malati. Potrebbe perdere la vita un numero elevato di persone, soprattutto anziani e soggetti vulnerabili. Possiamo arginare questa tragica eventualità solo applicando misure per frenare il contagio e permettendo al S.S.N. di riorganizzarsi. Gli italiani crescono nella consapevolezza che dietro all’invito di non uscire di casa c’è un’esigenza improcrastinabile di curare il bene comune. È questa la realtà che stiamo vivendo.
Cosa ci chiede il Signore, qual è la sua volontà, quella a cui siamo tenuti ad obbedire? Fare del nostro meglio e dare il nostro contributo per la salute di ognuno. Stringersi gli uni agli altri non fisicamente, ma con la solidarietà reciproca, perché gli anziani e i malati, che in questo momento sono i “piccoli” che Gesù mette al centro, possano percepire che c’è una società intera, Chiesa compresa, che non si rassegna alla loro morte. Di fronte a questo l’esigenza spirituale del popolo di Dio di radunarsi per celebrare l’Eucarestia diventa per noi cristiani oggetto di una rinuncia dolorosa. C’è prima l’esigenza spirituale della carità della cura per i nostri fratelli. Purtroppo, recarsi in chiesa non è differente dall’andare in altri luoghi: è a rischio contagio.
Sappiamo bene che questo ci turba ma non ci sconvolge. Il tempio è la Chiesa Corpo del Cristo, e lo Spirito di Dio è presente dove due o tre sono riuniti nel Suo nome. Adorare il Padre in spirito e verità, offrirgli il sacrificio della nostra vita, è il nostro culto spirituale, indipendentemente dal luogo in cui preghiamo. In questi pochi giorni è stato bello vedere come i cristiani di Roma sappiano inventare mille modi per rimanere in contatto, sostenersi reciprocamente, annunciare la Parola di Dio, celebrare l’Eucarestia a distanza… La Chiesa è un corpo vivo.
Un’ulteriore confronto con Papa Francesco, questa mattina, ci ha spinto però a prendere in considerazione un’altra esigenza: che dalla chiusura delle nostre chiese altri “piccoli”, questa volta di un tipo diverso, non trovino motivo di disorientamento e di confusione. Il rischio per le persone è di sentirsi ancora di più isolate. Di qui il nuovo decreto che vi viene inviato con questa lettera e che contiene l’indicazione di lasciare aperte le sole chiese parrocchiali e quelle che sono sedi di missioni con cura d’anime ed equiparate.
Cari sacerdoti, ci affidiamo al vostro saggio discernimento. Siate vicinissimi al popolo di Dio, fate sentire ciascuno amato e accompagnato, aiutate tutti a percepire che la Chiesa non chiude le porte a nessuno, ma che si preoccupa che nessun “piccolo” rischi la vita o venga dimenticato. Portate pure, con tutte le precauzioni necessarie, il conforto dei sacramenti agli ammalati, assicurate l’aiuto per le necessità ai poveri e a chi non ha nessuno su cui contare, evitate tutte quelle situazioni di contatto tra le persone che possano creare pericolo per la salute.
La preghiera in famiglia, tradizione dei nostri genitori e dei nostri nonni, venga recuperata e incrementata, attraverso anche i sussidi dell’ufficio liturgico e le iniziative sui social (#iopregoacasa#).
Affidiamoci ancora una volta all’intercessione della Madonna del Divino Amore. Preghiamo per il nostro Vescovo, Papa Francesco, nell’anniversario della sua elezione. Chiediamo per lui, come sette anni fa quando si affacciò dal balcone, la benedizione di Dio.
Con affetto e gratitudine
Angelo Cardinale De Donatis
13 Marzo 2020 Pubblicato da  14 Commenti --

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