La morale capovolta e l’eutanasia ecclesiale
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Deus, converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus (Sal 79, 4).
«Convertici, o Dio; mostra il tuo volto e saremo salvi». Nella mia vecchia formazione modernista, da cui la Madre celeste mi ha miracolosamente disintossicato, sentivo ripetere insistentemente che il concetto di conversione era espresso, nell’Antico Testamento, con un verbo ebraico (šub) che designa l’inversione di marcia, nel Nuovo con un verbo greco che significa il cambiamento di mentalità (metanoeîn). Entrambe le osservazioni sono in sé vere, purché il loro contenuto implicito non venga confinato in un’interpretazione esistenzialistica, escludendo a priori la necessaria adesione ad una dottrina di fede e di morale, con il conseguente impegno di correggere abitudini e comportamenti ad essa contrari. Non per nulla la Vulgata, poi seguita dalla liturgia, traduce il verbo greco con il latino paenitentiam agere: ogni conversione genuina conduce inevitabilmente alla penitenza, mirante sia ad espiare i peccati commessi, di cui si è sinceramente contriti, sia ad evitarne di futuri. Nella tradizione cattolica, dunque, si tratta di una prassi concreta, piuttosto che di un’esperienza soggettiva legata a determinati sentimenti ed emozioni (i quali, ovviamente, nelle vere conversioni non sono assenti, ma non ne costituiscono l’elemento determinante).
Negli ultimi decenni, la sistematica omissione dell’insegnamento morale, in seminari, conventi e parrocchie, ha invece prodotto una situazione paradossale. Oggi molti – chierici o fedeli – rendono testimonianza a pretese conversioni che, dopo l’iniziale tocco della grazia, non giungono poi a piena maturazione con una radicale revisione di vita e un definitivo abbandono del peccato mortale. A un sacerdote può così accadere di ricevere confidenze di persone – giovani o meno giovani – che, pur asserendo di essersi convertite, dichiarano candidamente di trasgredire abitualmente la legge divina in materia grave perché, a loro parere, non sarebbe peccato. Quando c’è l’amore… Che si tratti di rapporti prematrimoniali, di commerci sodomitici o di convivenze adulterine, tutto è considerato non solo lecito, ma addirittura quasi sacro per via del fatto che ci si vuole bene. Se poi si frequenta la parrocchia e vi si presta pure servizio nel catechismo, in oratorio o nella Caritas, si può perfino venir scambiati per santi di imminente canonizzazione. Chi avesse qualcosa da ridire non sarebbe altro che un vile fariseo, legalista e duro di cuore.
È così che quanti vivono stabilmente in peccato mortale non soltanto sono tranquillamente ammessi ai Sacramenti (commettendo in tal modo sacrilegi senza numero), ma assurgono addirittura, quali esempi viventi del grado cui può giungere la misericordia divina, a modelli di vita evangelica da elogiare pubblicamente e da proporre all’imitazione dei comuni fedeli, pedissequamente ligi ai Dieci Comandamenti. La misericordia, qui, non consiste più nell’offrire incessantemente al peccatore mezzi e occasioni per ravvedersi e cambiare vita, ma nell’aver dichiarato una volta per tutte un’amnistia generale e, contestualmente, derubricato ogni peccato… e pensare che ci son voluti ben duemila anni per capire il vero significato del Vangelo! Le rare coppie irregolari che, in ossequio al Magistero, hanno optato per la continenza, così da poter esser riammesse alla vita sacramentale, sono invece guardate, con diffidenza e sospetto, come pericolosi cospiratori criptotradizionalisti, per non parlare di quegli integralisti di preti che le hanno insensatamente indotte a tale scelta disumana, oppure le incoraggiano a perseverarvi quando, in realtà, non ce n’è più alcun bisogno.
Questo ribaltamento etico sta venendo in piena luce nell’attuale emergenza sanitaria. Grazie a Dio, non mancano sacerdoti che rimangano sulla breccia, continuando a confessare e comunicare i fedeli che ne facciano richiesta per non abbandonare al suo destino chi ha bisogno di assistenza spirituale. Per molti altri, invece, la più alta virtù sacerdotale sembra diventata l’incondizionata acquiescenza ai decreti governativi, con la volontaria reclusione in isolamento totale e il completo abbandono delle anime a sé stesse. Nella morale capovolta ormai imperante, d’altronde, a che servono ancora i Sacramenti, la predicazione e la guida pastorale? Ognuno può far tutto da sé – anzi, è bene che faccia così in nome del sacerdozio comune di tutti i fedeli, tanto a lungo negletto e conculcato… Quando l’epidemia, a Dio piacendo, sarà cessata, quanti sentiranno ancora il bisogno di andare in chiesa, visto che se ne può – e se ne deve – fare tranquillamente a meno? A quanti mancheranno le prediche del parroco, se si può ascoltare comodamente in streaming chi si vuole?… per non dire che, spesso, non sono altro che insopportabili risonanze della propaganda mondana. Chi continuerà a mandare i figli a un “catechismo” da cui scappavano terribilmente tediati perché non vi imparavano nulla? Chi sarà ancora disposto a far da comparsa nelle stomachevoli parodie “liturgiche” che si trascinavano penosamente per mera abitudine o convenienza?
Quasi a voler dare il colpo di grazia di quest’eutanasia ecclesiale, i pochi sacerdoti che, fedeli al loro mandato, celebrano a porte aperte sono denunciati e multati dalle forze dell’ordine come criminali irresponsabili – senza alcun appoggio, anzi con il biasimo del proprio vescovo, dei confratelli e dei parrocchiani – mentre invece è proprio chi interrompe una cerimonia religiosa a commettere un reato penale, calpestando per giunta la Costituzione e il Concordato. È fuor di discussione che vada evitata ogni forma di imprudenza o temerarietà, ma non viola in alcun modo le norme chi, prendendo tutte le precauzioni del caso, assicura il culto a beneficio dei vivi e dei defunti. Il personale sanitario non corre forse e non fa correre dei rischi? Eppure nessuno si sogna di biasimarlo; al contrario, medici e infermieri sono giustamente considerati eroi. Ma la salute dell’anima non è ben più importante di quella del corpo? Da essa dipende l’eternità; la sua cura non può essere rimandata sine die, specie in circostanze in cui più alta è la probabilità di dover lasciare questo mondo e render conto della propria esistenza al Creatore. Il ministero sacerdotale, dunque, è ancor più urgente e necessario delle cure mediche. Che ciò non venga riconosciuto da istituzioni laiciste è pur comprensibile (astrazion fatta delle leggi vigenti); che non lo sia da parte di chi è stato espressamente consacrato per la salvezza delle anime, lascia sgomenti.
Il capovolgimento della morale, del resto, conduce inevitabilmente a un capovolgimento ontologico: se la legge umana è più vincolante di quella divina, lo Stato prevale sulla Chiesa, la salute fisica sulla salvezza eterna, l’ordine temporale su quello spirituale… e quel che sta sotto, a lungo andare, finisce col perdere ogni valore. Che bisogno c’è ancora della religione? L’unica realtà che rimane è una struttura ecclesiastica completamente sottomessa al potere e, grazie alla capillare distribuzione territoriale, utile ai suoi scopi, con un culto secolarizzato funzionale alla propaganda del regime… qualcosa di molto simile al modello anglicano. Questa è la sorte di chi rigetta la liturgia trasmessa dalla Tradizione per crearsene un’altra a gusto suo; la nuova Messa, non per nulla, assomiglia terribilmente a quella di Cranmer. Modificato il culto, però, cambia pure la fede e la morale: chi fa la volontà divina viene punito, chi se la mette sotto i piedi premiato. Per un soldato di Gesù Cristo, tuttavia, è un onore il sostenere opposizioni per Lui e per le anime acquistate col Suo Sangue prezioso: siamo ministri e discepoli di un Dio crocifisso.
Se davvero vogliamo essere salvati, in conclusione, bisogna che il Signore ci mostri il Suo volto, cioè ci conceda il Suo favore; ma, per poterlo vedere, è necessario che, con l’aiuto della Sua grazia, ci voltiamo verso di Lui. Ecco allora l’urgenza dell’inversione di marcia (per abbandonare la via del peccato) e del cambiamento di mentalità (per smettere di considerarlo normale). Solo così il nostro popolo può sperare di esser liberato e dal virus e dalla dittatura. A nome di tutti i nostri concittadini, imploriamo il dono in questo momento più urgente: per noi, un perfezionamento della conversione; per gli altri, una conversione piena, autentica e sincera. Chiediamo alla Vergine Maria, quale canale delle grazie, di riversarle su tutti e ciascuno in virtù della consacrazione al Suo Cuore Immacolato che abbiamo di recente compiuto nonché dell’atto di affidamento che sarà effettuato dai Vescovi il 1° maggio. Ci sono momenti storici in cui una ventata può spazzare via d’un tratto le costruzioni umane, lasciando in piedi solo ciò che è fondato sulla roccia: che se ne rendano conto anch’essi e ne traggano le conseguenze! Noi, ben abbarbicati ad essa, non smettiamo un istante di ringraziare il Risorto per questa grazia immensa, chiedendogli al tempo stesso di mantenerci saldamente radicati in Lui per la salvezza nostra, di tutto il Paese e del mondo intero. Vieni, Signore Gesù!
Pubblicato da Elia
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