ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 15 aprile 2020

Qual è il “nemico”?

La mano di Dio e la mano degli uomini


(Roberto de Mattei) Lo scenario internazionale della primavera del 2020 è nuovo, inaspettato e drammatico. Ciò che domina è la confusione perché nessuno può dire di sapere veramente che cosa è successo: da dove viene il Coronavirus, quando scomparirà e in che modo vada affrontato. È certo però che, sullo sfondo di questo scenario, due città continuano a combattersi nella storia, la Civitas Dei e la Civitas diabuli: il loro fine è di annientarsi a vicenda. Sono le due città di cui parla sant’Agostino: «L’una è la società degli uomini devoti, l’altra dei ribelli, ognuna con gli angeli che le appartengono, in cui da una parte è superiore l’amore a Dio, dall’altra l’amore di sé» (De Civitate Dei, lib. XIV, c. 13,1).

Questa lotta mortale è stata evocata con parole efficaci da Pio XII nel suo discorso agli uomini di Azione Cattolica del 12 ottobre 1952. Il Papa affermava che il mondo era minacciato da un nemico ben peggiore di quello rappresentato nel V secolo da Attila, “flagello di Dio”. «Oh, non chiedeteci qual è il “nemico”, né quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l’autorità; talvolta l’autorità senza la libertà. È un “nemico” divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio».
A questo terribile nemico, la scuola di pensiero contro-rivoluzionaria, richiamandosi all’insegnamento dei Papi, ha dato il nome di Rivoluzione: un processo storico plurisecolare che ha come meta la distruzione della Chiesa e della Civiltà cristiana. La Rivoluzione ha come suoi agenti tutte le forze segrete che lavorano in maniera pubblica od occulta a questo fine. I contro-rivoluzionari sono coloro che si oppongono a questo processo di dissoluzione e che combattono per l’instaurazione della Civiltà cristiana, l’unica civiltà degna di questo nome, come ricorda san Pio X (Enciclica Il fermo proposito dell’11 giugno 1905).
Lo scontro tra rivoluzionari e contro-rivoluzionari continua nell’epoca del Coronavirus. E’ logico che ognuno di essi cerchi di trarre il massimo vantaggio dalla nuova situazione. L’esistenza di inquietanti manovre rivoluzionarie per profittare degli eventi non significa però che queste forze abbiano creato la situazione in cui ci troviamo, la controllino e la dirigano. I rappresentanti dei governi più diversi, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna alla Germania, dall’Ungheria all’Italia, hanno imposto nei loro paesi le medesime misure sanitarie, come la quarantena, di cui pure, alcuni di essi all’inizio diffidavano. Questi leader politici sarebbero succubi di una dittatura sanitaria imposta loro dai virologi? Ma i virologi, a loro volta, che all’inizio erano divisi, perché alcuni di essi consideravano il Coronavirus solo come una “brutta influenza”, sono stati aggrediti dalla realtà e oggi concordano sulla necessità di provvedimenti più drastici per contenere il virus. La verità è che la scienza medica si è rivelata incapace di debellare il virus. La scelta della quarantena, la stessa che viene fatta da millenni di fronte a una grave epidemia, nasce dal buon senso, non dalla loro specifica competenza medica.
Il problema naturalmente non è solo sanitario e nella società interconnessa il virus potrebbe avere le sue conseguenze più gravi sul piano economico e sociale. Ma la soluzione di questo genere di problemi, che si aggravano in tutto il mondo, spetta ai politici, non ai medici. E se la classe politica internazionale, per prendere le sue decisioni, si ripara dietro lo schermo delle autorità sanitarie è a causa della inadeguatezza di coloro che oggi governano il mondo. Il fallimento politico è parallelo a quello sanitario. Come dimenticare che la suprema autorità sanitaria internazionale, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, trent’anni fa annunciava «un mondo senza epidemie» grazie al progetto “Salute per tutti entro l’anno 2000”, con la conseguenza che in molti paesi, i fondi dedicati alla sanità sono stati tagliati o dedicati prevalentemente alle malattie rare? Il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, politicamente vicino alla Cina comunista, il 28 gennaio 2020 si è recato a Pechino dove, al termine di un incontro con il presidente Xi Jinping, ha comunicato al mondo che a Wuhan tutto era sotto controllo, minimizzando la portata della catastrofe. Solo dopo molte esitazioni l’OMS ha preso atto della realtà continuando a mentire sul numero dei contagi e dei decessi da essa diffusi, che non sono certo sovrastimati, ma piuttosto sottostimati.
Ai problemi economici e sociali si aggiungono quelli, ugualmente gravi, di ordine psicologico e morale, come conseguenza di un prolungato lock-down e di un radicale mutamento di vita imposto dal Coronavirus. Ma qui la parola, più che ai medici e ai politici, spetterebbe ai sacerdoti, ai vescovi, e in ultimo al supremo pastore della Chiesa universale. Però l’immagine che papa Francesco ha dato nel Triduo pasquale è quella di un uomo abbattuto e depresso, incapace anch’egli di far fronte alla catastrofe con le armi spirituali di cui dispone. Lo stesso si può dire della larga maggioranza dei vescovi. La classe ecclesiastica, priva di seri studi teologici e di autentica vita spirituale, si rivela altrettanto inadeguata della classe politica a orientare il suo gregge nell’oscurità del tempo presente.
Che cosa dovrebbero fare in questa situazione, i contro-rivoluzionari, i fedeli della Tradizione, i cattolici zelanti, ripieni di spirito apostolico? Quale dovrebbe essere la loro strategia di fronte alle manovre delle forze delle tenebre?
Dovrebbero prima di tutto mostrare che sta crollando un mondo, quel mondo globalizzato che i progetti deformi di Bill Gates e dei suoi amici non riusciranno a tenere in piedi malgrado ogni sforzo. La fine di questo mondo, figlio della Rivoluzione, è stata annunciata cento anni fa a Fatima e l’orizzonte che abbiamo di fronte non è l’ora della dittatura finale dell’Anticristo, ma quella del trionfo irreversibile del Cuore Immacolato di Maria, preceduto dai castighi annunziati dalla Madonna, se l’umanità non si fosse convertita. Oggi, anche tra i migliori cattolici, c’è una resistenza psicologica a parlare di castighi, ma il conte Joseph de Maistre, ammonisce: «Il castigo governa l’umanità intera; il castigo la custodisce; il castigo veglia mentre gli uomini di guardia dormono. Il saggio considera il castigo come la perfezione della giustizia» (Le serate di San Pietroburgo, tr. it. Rusconi, Milano 1971, p. 31).
San Carlo Borromeo ricorda a sua volta che «tra tutte le altre correzioni che sua divina Maestà manda, suole con un modo più speciale essere attribuito alla sua mano il castigo della pestilenza», e spiega questo principio con l’esempio di David, il re peccatore, a cui Dio diede di scegliere, come castigo, tra la peste, la guerra e la fame. Davide scelse la peste con queste parole: «Melius est ut incidam in manus Domini, quam in manus hominum». Meglio è che io mi metta nelle mani di Dio che nelle mani degli uomini. Perciò, conclude san Carlo, «la peste, tra la guerra e la fame, molto specialmente si attribuisce alla mano di Dio» (Memoriale ai Milanesi di Carlo Borromeo, Giordano Editore, Milano 1965, p. 34).
È l’ora di riconoscere la mano misericordiosa di Dio nei flagelli che cominciano a percuotere l’umanità. 

Meluzzi: "In Italia clima da polizia fascista, così moriremo di fame"

Lo psichiatra critica le misure di contenimento adottate dall'esecutivo per arginare la pandemia di Covid-19

"Queste misure stanno portando il paese in una situazione devastante non solo per l’economia, ma anche per la salute mentale.


Quello da cui non usciremo è questa follia collettiva. O si fa ripartire il Paese o siamo fottuti. Non conteremo i morti di virus, ma moriremo di fame o di follia". Così Alessandro Meluzzi critica aspramente le misure di contenimento adottate dal governo giallorosso di Giuseppe Conte per arginare la pandemia di coronavirus che da oltre un mese sta tenendo sotto scacco il Paese, ma anche l’Europa e il mondo intero.
Ai microfoni di Radio Radio, di cui è stato ospite, il professore si scaglia contro i provvedimenti dell'esecutivo che hanno estremamente limitato le libertà personali, dal momento che ogni cittadino è costretto a rimanere chiuso in casa e gli è permesso di uscire, con modulo di autocertificazione in tasca, per motivi di salute, lavoro o reale necessità (come, su tutti, fare la spesa per riempire dispensa, frigorifero e pancia).
Il lockdown così come è stato fatto entrate in vigore in Italia non piace affatto al saggista, che critica anche le iniziative delle autorità di inseguire chi sgarra con i mezzi di polizia, ricorrendo addirittura all’uso degli elicotteri: "Un elicottero che insegue un uomo su una spiaggia o una donna che porta a passeggio il cane...Mah, adesso attiviamo i mezzi navali e i mezzi terrestri, ma sarebbe stato bellissimo vedere attivare un millesimo di questi mezzi durante gli sbarchi di settecentomila clandestini sulle spiagge italiane. Non mi sembra siano arrivati né gli elicotteri né droni né inseguimenti terrestri. Senza parlare, poi, della criminalità organizzata. Stendiamo un velo pietoso...".
Dunque, nel prosieguo della chiacchierata via etere, Meluzzi coglie una delle tante contraddizioni intrinseche alle contromosse adottate dalle istituzioni, parlando di una sorta di follia collettiva: "Di fronte a tutte queste misure non si può non cogliere un fondo di follia a cui si innestano reazioni sproporzionate epiche e da commedia. Una tragica-commedia. La logica delle misure: si può uscire col cane, ma per esempio un bambino per mano della nonna o del papà non può uscire neanche al guinzaglio. Di contraddizioni di questo tipo in queste misure ce ne sono un’infinità...".
Per lo psichiatra, insomma, le linee guida adottate non hanno molto senso e sarebbero giustificate solamente se avessimo avuto venti milioni di morti, non ventimila: "Non si distrugge un paese completamente, radendolo al suolo come stiamo facendo. Stanno favorendo un clima psichico da follia. Abbiamo ormai dei caposcala tipo quelli dell’Ovra del ventennio fascista. Temo l’arrivo dei caposcala, stiamo creando un clima di psicosi collettiva...".
 
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/meluzzi-italia-clima-polizia-fascista-cos-moriremo-fame-1854161.html

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