ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 4 maggio 2020

Il giardino dei Finti-Contini

Conte, il "cattolico democratico" che vietò le Messe

Conte tratta le Messe al parti di spettacoli teatrali. Decisamente sorprendente per uno che in più di un'occasione ci ha tenuto a definirsi "cattolico democratico" e che non disdegna le ricostruzioni giornalistiche intente a ricordare la sua esperienza a Villa Nazareth. Con qualche omissione, però. 




"Ma se aprivamo le chiese avremmo dovuto aprire anche cinema e teatri". Sull'affaire Messe, dopo lo schiaffo dato con la proroga della chiusura nella Fase 2 e la vibrata protesta della Cei rientrata con l'appello all'"obbedienza" del papa, si è detto e scritto tanto in questi giorni ma questo virgolettato, attribuito da Augusto Minzolini a Rocco Casalino, portavoce ed ombra del presidente del Consiglio, fotografa alla perfezione la scarsa sensibilità verso i credenti dimostrata dal Governo e denunciata in questi termini dalla comunità islamica italiana. L'uomo di fiducia del premier, stando a quanto riportato dal notista de Il Giornale, avrebbe giustificato il prolungamento dello stop che ha fatto arrabbiare fedeli (e non) di tutt'Italia, confessando candidamente come il suo capo, in sede decisionale, abbia considerato le cerimonie religiose alla stregua di un film o di uno spettacolo teatrale.

Decisamente sorprendente per uno che in più di un'occasione ci ha tenuto a definirsi "cattolico democratico" e che non disdegna le ricostruzioni giornalistiche intente a ricordare la sua esperienza a Villa Nazareth. La reprimenda dei vescovi italiani sulla questione Messe non deve aver lasciato indifferente un personaggio come Conte, così affezionato a quella narrazione di sé che lo vorrebbe fortemente introdotto ed apprezzato nei Sacri Palazzi. La suscettibilità dell'uomo è ormai nota (la risposta piccata data ad una giornalista a Bergamo sta lì a confermarlo) e non sorprenderebbe, dunque, se fosse vero quanto raccontato sul Corsera dal generalmente ben informato Massimo Franco circa una presunta telefonata fatta a Santa Marta nella mattina successiva all'uscita della nota della Cei.

Un'altra possibile spia dell'irritazione di Conte per l'affondo dei vescovi italiani potrebbe essere un articolo uscito sull'edizione domenicale del La Repubblica a firma di Guido Alpa: sappiamo che l'ex presidente del Consiglio Nazionale Forense è stato il grande mentore del capo del Governo sin dai tempi dell'Università. Ebbene, il famoso avvocato ha dedicato il suo pezzo sul quotidiano di Largo Fochetti alla "laicità non intollerante ma intelligente" del maestro di diritto ecclesiastico Arturo Carlo Jemolo, concludendolo con questa citazione: "La nostra laicità non ha nulla di antireligioso, può essere praticata anche da una popolazione interamente cattolica alla sola condizione che essa accetti l'idea di una distinzione tra funzioni dello Stato e quelle della Chiesa".

All'inizio e alla fine dell'articolo, il maestro di Conte si è lasciato sfuggire un aggancio alle cronache odierne rievocando una citazione indicativa ("la politica, per essere fruttifera, deve avere una tecnica ai suoi servizi") e parlando di "attualità" del pensiero di questo giurista scomparso nel 1981.  Jemolo, peraltro, è stato un amico del cardinale Silvestrini, conoscenza risultata piuttosto preziosa - come vedremo più avanti - per il pupillo di Alpa, anche a quasi un anno dalla morte. Un'autorevole ciambella di salvataggio lanciata all'amico in difficoltà il cui ultimo dpcm è finito sotto attacco proprio sul terreno del diritto ecclesiastico (oltre che su quello costituzionale)? Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha sollevato la questione: la pretesa del Governo di decidere quali atti di culto si possono compiere e quale no potrebbe rappresentare una minaccia per la distinzione di competenze tra Stato e Chiesa riconosciuta nell'Accordo di Villa Madama.

I timori per la possibile violazione delle norme concordatarie devono aver agitato la Segreteria di Stato, deputata alla gestione dei rapporti con gli altri Stati, se dalla Terza Loggia del Palazzo Apostolico si è deciso di dare il via libera alla Cei per il duro comunicato di una settimana fa. Uno scenario che ha fatto traballare un'altra narrazione in voga alimentata dai giornali senza che lo zelante portavoce Casalino si sia mai speso per smentirla: quella secondo cui l'ex avvocato del popolo troverebbe nel cardinale Parolin uno sponsor e addirittura un amico in virtù del periodo comune trascorso a Villa Nazareth.

Bisogna fare chiarezza una volta per tutte sull'esperienza dell'attuale premier nell'istituto fondato dal cardinale Domenico Tardini nel Dopoguerra per aiutare nello studio i figli talentosi delle famiglie povere. Conte non è stato uno studente del Collegio Universitario ma fece soltanto il test d'ammissione nel 1983. Era l'anno della riapertura come residenza di universitari dopo lo stop iniziato nel 1969 ed il giovane pugliese venne esaminato da Angela Groppelli, la grande animatrice della proposta educativa ispirata all'esempio tardiniano scomparsa due anni fa. La professoressa, secondo quanto ha raccontato Conte nel 2018 a Panorama, dopo avergli dato la notizia del superamento dell'esame gli avrebbe comunicato che "in quella sessione qualcuno aveva più bisogno economico" di lui. Secondo Paolo Rodari di Repubblica, invece, "effettuò, senza averlo mai superato, solo il test d'ingresso". Lo stesso Collegio, in occasione dell'incarico ricevuto nel maggio 2018, si è limitata a riportare in un comunicato che "il giovane Giuseppe Conte partecipò nel 1983 al concorso di ammissione".

Comunque sia andata, il presidente del Consiglio non ha fatto parte di quella prima generazione post-chiusura accolta nella residenza di Pineta Sacchetti. L'esperienza di Conte a Villa Nazareth è iniziata, in forma di collaborazione volontaria, qualche anno più tardi con la telefonata della Groppelli in spirito di quella gratuità che - come ricordava il cardinale Silvestrini per spiegare il progetto formativo tardiniano - "non è qualità umana ma riflesso dell'amore gratuito di Dio". Dunque, l'ex avvocato del popolo non "si è formato" a Villa Nazareth, come molti scrivono, ma ha iniziato a frequentarla - senza mai risiedervi - dopo essersi laureato ed essere già divenuto assistente universitario. Si è accostato a questa comunità come amico ed ha avuto modo di conoscere da vicino il porporato di Brisighella, dominus dell'istituto e a lungo presidente della Fondazione che la controlla.

Dal 1992, come riportato nel suo discusso curriculum, Conte "ha curato, per il Collegio (...) gli scambi e le relazioni culturali con le università straniere, in particolare, americane" fino al 2013. E' probabilmente in virtù di questa generica collaborazione che il premier ha avuto modo di "incrociare qualche volta" (Parolin dixit) l'attuale Segretario di Stato, direttore dell'istituto ed assistente spirituale degli studenti dal 1996 al 2000. Incalzato sia da Telese su Panorama che da Vespa a Porta a Porta sul suo presunto antico rapporto con Parolin, Conte - di cui è nota la vanità specie nella comunicazione - ha preferito sorvolare e cambiare argomento. Non c'è dubbio che il presidente del Consiglio abbia visto il Segretario di Stato più volte in questi due anni da inquilino a Palazzo Chigi che nei quattro della direzione Parolin a Villa Nazareth, struttura presso la quale Conte non ha mai risieduto. Il premier sarebbe diventato tutor per gli studenti di diritto privato e membro del comitato scientifico della Fondazione Comunità Domenico Tardini Onlus in un periodo successivo alla partenza di Parolin dalla residenza di Pineta Sacchetti.

Tutti elementi che fanno traballare fortemente la narrazione data quasi per scontata  ormai dai giornali secondo cui l'ex avvocato del popolo avrebbe il suo principale sponsor in Terza Loggia grazie alla "comune frequentazione" del Collegio, che non è comune ma piuttosto diversificata nei tempi e nei modi.  

Osservando la cronologia degli ultimi otto giorni appare piuttosto evidente come, per sbrogliare la matassa che lo stava mettendo in un angolo dando sponde ai suoi oppositori interni ed esterni, per Conte sia stato determinante l'appello all'obbedienza del pontefice regnante. Dopo la nota di rimprovero della Cei, Francesco - che non ama particolarmente l'episcopato italiano - deve aver avocato a sé la pratica Messe, lasciando filtrare da Santa Marta la sua non ostilità verso l'attuale esecutivo e portando i vescovi italiani a ritirare immediatamente il guanto di sfida lanciato domenica scorsa. L'esito di questa partita lo abbiamo visto nella giornata di sabato: le parole del papa interpretabili come filogovernative ("non si cambia cavallo in mezzo al fiume"); l'udienza concessa al presidente Cei dal quale Bassetti è uscito ammettendo de facto all'HuffPost il ruolo decisivo del papa che "in Italia è il capo, è vescovo di Roma e primate"; l'annuncio dell'accordo trovato con il Governo per la riapertura delle Messe senza date e dettagli, ma con un lungo ringraziamento alla presidenza del Consiglio e persino al Comitato Tecnico Scientifico (su cui c'era stato lo scaricabarile del premier).

Nella risoluzione della partita, Conte ha giocato l'asso nella manica: il rapporto diretto con il pontefice regnante. Francesco, infatti, ha sempre dimostrato di apprezzare l'avvocato pugliese sin dai tempi del non certo amato governo gialloverde, avendolo definito "un uomo intelligente che sa di cosa parla" già nel giugno del 2019. E nel giudizio positivo che il papa si è fatto sin da subito può aver influito la figura del cardinale Silvestrini, sponsor dell'argentino già al Conclave del 2005 e buona conoscenza di Giuseppi sin dagli anni Novanta. Il legame di Conte con Villa Nazareth, infatti, non si deve ad un soggiorno-studio nel Collegio ma all'amicizia con l'ex prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, come si legge tra le righe del comunicato pubblicato sul sito dell'istituto ai tempi del primo incarico affidato da Mattarella. Un'amicizia testimoniata anche da una fotografia di gruppo della festa per i 20 anni di episcopato di don Achille nella quale compare anche il giovane avvocato pugliese, non ancora avvezzo alla pochette alla quale preferiva una camicia hawaiana. 

Il primo incontro tra Bergoglio e Conte c'è stato due anni prima dell'approdo di quest'ultimo a Palazzo Chigi ed è avvenuto, in compagnia dell'ex moglie e del figlio, nella cornice della residenza di Pineta Sacchetti durante la visita pastorale fatta dal papa il 18 giugno del 2016. Quella fu anche una delle ultime uscite pubbliche del porporato di Brisighella che, già provato nel fisico, aveva accolto con un discorso di benvenuto il pontefice per il quale già da tempo simpatizzava e che ha ricambiato la stima con periodiche telefonate di cortesia al suo appartamento nella Palazzina della Zecca. I dpcm che hanno vietato la partecipazione della Messa ai fedeli considerandola - se è vero quanto Minzolini ha attribuito a Casalino -  alla pari di uno show sono in palese contraddizione con quello che il cardinale Silvestrini indicava essere uno dei valori intrinsechi della proposta educativa tardiniana; "il ripudio di ogni prevaricazione".

Riflettendo sul suo operato in questa fase d'emergenza, il "cattolico democratico" Conte dovrebbe prendere esempio dalle parole pronunciate da Benedetto XVI ricevendo in udienza la Comunità di Villa Nazareth che si vanta di aver frequentato: "La fede - disse il papa al cardinal Silvestrini e agli altri membri presenti in Sala Nervi l'11 novembre 2006 - scruta l’invisibile ed è perciò amica della ragione che si pone gli interrogativi essenziali da cui attende senso il nostro cammino quaggiù".

Nico Spuntoni

https://lanuovabq.it/it/conte-il-cattolico-democratico-che-vieto-le-messe

    La Cei e la truffa dell'Affidamento in diretta. Perché?
L'Atto di affidamento alla Madonna di Caravaggio è stato registrato il 27 aprile e mandato in onda il 1° maggio. Ma la Cei lo ha presentato per un evento in diretta tv. Un testimone conferma alla Nuova Bussola Quotidiana: «Ho visto troupe e vescovo lunedì. Invece venerdì sera al santuario non c'era nessuno». Resta da capire il perché di un gesto senza senso che ferisce proprio quel popolo cristiano per il quale il presidente Bassetti aveva detto di aver voluto compiere la solenne preghiera alla Vergine. 
La querelle tra affidamento e consacrazione era nulla in confronto alla beffa che è emersa in queste ore sulla differita della messa in onda dell’Atto di Affidamento alla Vergine Maria al Santuario di Caravaggio spacciato invece come evento in diretta. Una differita di ben cinque giorni della quale non si sapeva nulla e che non è stata giustificata, come ha denunciato il vaticanista Aldo Maria Valli.
In fondo ci eravamo cascati tutti: il cardinale Bassetti che annuncia l’Atto di affidamento perché così hanno richiesto i fedeli e gli organi di stampa Cei che danno notizia della diretta (Avvenire e Tv2000). Invece, il Rosario recitato dal vescovo di Cremona Antonio Napolioni si è svolto sì, ma lunedì 27 aprile. E poi è stato mandato in onda su Tv 2000, su Radio in Blu e su Facebook il 1 maggio, giorno simbolico scelto per l’atto di devozione. Una beffa, una frode della buona fede del santo popolo di Dio che era convinto di assistere ad un evento in diretta.
«I pastori hanno il compito di guidare il loro gregge, il popolo cristiano, ma spesso è il popolo cristiano che spinge i pastori, come è avvenuto in questo caso», aveva detto Bassetti il 20 aprile nell’annunciare la preghiera corale che si sarebbe dovuta svolgere in comunione con tutti i vescovi. Infatti, ci si aspettava che sarebbe stato proprio il presidente Cei in persona a presenziare l’atto solenne, fatto anche a Fatima, ma sotto forma di Consacrazione, dalle Conferenze episcopali portoghese e spagnola e altre, e sempre il primo maggio anche da quelle americana e canadese.
Invece il giorno prima si è scoperto che sarebbe stato presente soltanto il vescovo di Cremona. Ma quel che è più incomprensibile è stato scoprire che mentre l’Italia cattolica si radunava davanti alla tv venerdì per partecipare in comunione con i propri vescovi (concetto peraltro mai espresso da Napolioni) all’affidamento dell’Italia (mai nominata nella preghiera del prelato), le luci del Santuario in provincia di Bergamo erano già drammaticamente spente.
Alle voci che si rincorrevano in questi giorni, anche la Nuova Bussola Quotidiana ha trovato conferma da una fonte che era presente a Caravaggio sia lunedì che venerdì e può confermare i fatti essendone stato testimone diretto.
La foto che pubblichiamo qui a fianco è stata scattata lunedì 27 aprile e ritrae un operatore televisivo in chiesa. «Nel pomeriggio di lunedì c’è stato un via vai al santuario di troupe televisive e persone – spiega alla Bussola la fonte -, ho chiesto a un padre del santuario che cosa stesse accadendo e lui mi ha risposto genericamente che si doveva svolgere un Rosario».
Nel corso del pomeriggio è stato annunciato che il momento di preghiera di solito trasmesso in streaming non poteva essere fatto per “motivi tecnici”. La pagina con la notizia è rimasta visibile sul sito fino alle 23 di ieri sera, poi misteriosamente è stata tolta. Ma è visibile qui sotto. 
Veniamo alla sera: «Ho visto arrivare il vescovo Napolioni e diverse auto e ho così pensato che stessero facendo le prove per l’Atto di affidamento del venerdì successivo. Sentivo la musica provenire dall’interno della chiesa».
Invece non erano le prove, ma l’evento stesso. «Arrivato il venerdì, nel corso del pomeriggio, ho visto alcuni sacerdoti del santuario e ho chiesto loro se erano emozionati per l’evento della sera. Mi hanno guardato con stupore chiedendomi: “Perché?”. Alla sera passando davanti alla Basilica, con mia grande sorpresa ho visto che non c’era nessuno. Tutto chiuso, nessun’auto, tutto buio. Soltanto la proiezione di un’immagine della Madonna sulla facciata della chiesa. Sono tornato in casa e ho acceso la televisione. E ho capito tutto: le immagini che vedevo erano state registrate lunedì».
La notizia della differita dell’evento è stata confermata alla Nuova Bussola Quotidiana anche da un sacerdote della diocesi di Cremona, che ha commentato con una buona dose di sarcasmo l’incomprensibile “frode” fatta ai danni dei fedeli: «Hanno dovuto accontentare il popolo bue. Una fetta di salame in bocca per farlo tacere», ha detto riferendosi alle richieste di tanti fedeli esaudite in questo modo così poco partecipativo.
Resta da capire una sola cosa: perché? Perché spacciare per diretta un evento che si era svolto cinque giorni prima? Quale motivazione richiedeva una registrazione e soprattutto l’annuncio di una diretta inesistente? C’è chi ha ipotizzato i costi di gestione della diretta, ma risulta francamente assurdo che, mentre si spendono soldi per eventi ben più costosi e verrebbe da dire inutili, la Conferenza Episcopale si sia messa a fare la cresta su un evento di appena un’ora a inquadratura fissa.
Altri hanno ipotizzato che movimentare troupe televisive e giornalisti il 1° maggio, uno dei pochi giorni dell’anno in cui i giornali sono chiusi sarebbe stato proibitivo: anche qui, si sarebbe potuto ovviare cercando soluzioni diverse.
Oppure, la scelta potrebbe essere anche legata allo stato di salute di Napolioni, il quale è reduce dal Covid, e potrebbe aver richiesto la differita per timore di non riuscire a portare a termine un evento in diretta. Ma allora, se questo fosse stato il motivo, perché non far venire direttamente da Perugia, Bassetti? E comunque, perché non dirlo chiaramente? Anzi, perché mentire annunciando una diretta creando attesa nei fedeli e puntando sull’aumento di audience assicurato in prima serata?
Quale che sia la motivazione è evidente che, come è stato notato, venerdì 1 maggio non è stato fatto un atto di affidamento, ma è stato mandato in onda un atto di affidamento già precedentemente registrato come si trattasse di una puntata de l’Eredità.
Comprensibile se adesso qualche fedele, giusto qualche migliaio davanti alla tv, si senta preso in giro e si chieda che valore possa mai avere una minestra riscaldata presentata come appena uscita dalla cucina. Ma anche questo è uno dei frutti della spersonalizzazione a cui sono sottoposti i fedeli da ormai due mesi, costretti a Messe “virtuali” in cui i preti invece che guardare a Dio guardano in camera.
La sensazione è quella di sentirsi frodati nelle cose a cui si tiene di più, la devozione a Maria, concessa per bontà dei pastori, ma fatta dai pastori con una modalità che sa di prepotenza e menefreghismo. È l'atteggiamento verticistico di chi si riempie la bocca di popolo, di teologia del popolo, di pastorale del popolo, di fede del popolo, salvo poi gabbarlo con mezzucci da monarca borioso e annoiato.
Una Chiesa che scivola sempre più verso il secolarismo per piacere al mondo, non può che mondanizzarsi anche in questi gesti. Pertanto, una chiesa ormai si apre e si chiude quando si accendono i fari dello show, spenti i quali, non resta nient’altro. Non serve l’oggettività dell’atto di preghiera, nemmeno la comunione di intenti nella lontananza. Basta apparire, è la cultura della videocracy e i vescovi sembrano averla imparata per bene: il popolo vuole queste devozioni? E noi diamogliele, così se ne sta un po’ buono.
Andrea Zambrano
Truman show della Cei: l'Affidamento a Maria “IN DIRETTA” di Mons. Napolioni è stata invece una registrazione?


I sacramentali non possono andare in differita  e l'affidamento dell'Italia a Maria non può essere una finzione come il film Truman Show. 
Quanta devozione del popolo cattolico che si è spontaneamente unito, davanti alla TV, per pregare Maria Santissima in questi tempi così difficili.
Alleghiamo sotto lo scoop di Aldo Maria Valli che rivela che la "diretta" non era diretta ma...differita.
Siamo rimasti increduli sulla notizia, ma conoscendo la serietà di Valli, abbiamo verificato con fonti in loco: sembra essere tutto vero.
Sotto il video della Diocesi dove al minuto 3.39, Sua Eccellenza Mons. Antonio Napolioni proclama "qui  [...] questa sera all'inizio del Mese di Maggio".
Le nostri fonti confermano  (saremmo lieti di essere smentiti) che NON era una diretta: il 1° maggio non c’è stato alcun affidamento a Maria ma il tutto registrato  lunedì 27 aprile (salvo una fonte che parla del 26). 
Forse nulla di grave, ma le bugie non si dicono. Molti glissavano, Avvenire, come è scritto, ha parlato di diretta, idem l'annuncio della stampa nazionale QUI;  QUI la cosiddetta diretta su Il Sussidiario;   QUI addirittura Vatican News e QUI l'annuncio - foto sotto - della diretta sul quotidiano locale La Provincia).
Hanno giocato sull'equivoco, anzi, sull'inganno.
Così QUI il sito della Diocesi: "Così, nella tiepida serata dell’inizio di maggio, il Santuario di Santa Maria del Fonte presso Caravaggio ha raccolto un’intera nazione, duramente provata da un’emergenza che nessuno pensava potesse fare tanto male". Era tiepido, ma non era maggio, ma aprile.
E molti di noi si sono commossi, come in Truman show, pensando che IN QUEL MOMENTO la Chiesa affidava alla Vergine Maria in Caravaggio la nostra Patria.
Noi immaginiamo la scena: il Vescovo seduto sul sofà che commenta con il suo segretario la sua performance, mentre il popolo di Dio devotamente crede di partecipare ad una atto "una cum" con i pastori della Chiesa italiana: questo è un Truman Show, non una celebrazione.
Ci piacerebbe sapere se la stampa, soprattutto nazionale, che ha parlato - esplicitamente o implicitamente - di preghiera in diretta, era al corrente della cosa, coprendo la bugia, o non lo era ed è stata ingannata.
Ribadiamo che saremmo lieti di essere smentiti.
Luigi


Venerdì scorso, 1° maggio, all’inizio del mese tradizionalmente dedicato alla Madonna, molti di noi hanno assistito in tv all’atto di affidamento dell’Italia a Maria deciso dalla Conferenza episcopale italiana. Luogo prescelto, il santuario di Caravaggio, nella diocesi di Cremona e in provincia di Bergamo, zone particolarmente colpite dalla pandemia. Abbiamo già parlato su Duc in altum della
differenza tra affidamento e consacrazione e so bene che molti lettori non sono stati contenti dell’affidamento, perché avrebbero desiderato una consacrazione. Torneremo prossimamente su questo aspetto. Qui vorrei invece occuparmi di un’altra questione. Mi risulta infatti che l’atto di affidamento sia stato trasmesso venerdì 1° maggio ma sia avvenuto in realtà lunedì 27 aprile. Non si sarebbe trattato dunque di una diretta televisiva, ma di una registrazione.

Il comunicato ufficiale della Cei diceva: “Raccogliendo la proposta e la sollecitazione di tanti fedeli, la Conferenza episcopale italiana affida l’intero Paese alla protezione della Madre di Dio come segno di salvezza e di speranza. Lo farà venerdì 1° maggio, alle ore 21, con un momento di preghiera, nella basilica di Santa Maria del Fonte presso Caravaggio”. E Avvenire, quotidiano di proprietà della Cei, titolava: “Il 1° maggio l’affidamento a Maria. Diretta su Tv 2000 e In Blu Radio”. Ma una fonte, che ovviamente non posso rivelare, mi ha fatto sapere che la sera del 1° maggio nella basilica non è avvenuto proprio niente. La basilica era buia e le telecamere interne, che solitamente mandano in onda le immagini del sacro speco in diretta, erano state disattivate per non meglio precisate “questioni tecniche”. L’atto di affidamento sarebbe avvenuto, ripeto, il 27 aprile. Sarebbe stato registrato e trasmesso il 1° maggio.

Perché?

Una persona che ha parlato con i tecnici impegnati nella registrazione televisiva riferisce che, quando ha chiesto i motivi della differita, ha ricevuto questa risposta: “È una questione di costi. La diretta costa molto di più, richiede l’uso di più strumenti e più personale. La registrazione offre poi la possibilità di rimediare nel caso ci fosse qualche problema tecnico”.

Questi i fatti, così come mi sono stati riferiti. Fatti di fronte ai quali è necessario fare qualche riflessione.

Un atto di affidamento non è una partita di calcio, uno spettacolo o un qualunque altro avvenimento di cronaca, ma è un gesto di devozione e di pietà che merita di essere svolto in assoluta trasparenza, per rispetto dell’azione stessa e del popolo che vi ricorre.

Se il 1° maggio alle ore 21 è stata mandata in ondata una “registrazione”, quello a cui il fedele ha assistito non è stata che una finzione, perché in quel momento non è stato affidato nulla a nessuno. Semplicemente, ci è stato mostrato quanto avvenuto il 27 aprile.

Dispiace constatare che è stata persa un’altra occasione per fare in modo che tutti insieme, a una sola voce e nello stesso momento, facessimo salire al Cielo la richiesta di affidare l’Italia alla protezione della Madonna.

Ora la domanda è: ma come è possibile che dei pastori abbiano escogitato tutto ciò? Non è che forse stiamo perdendo il valore oggettivo e puntuale delle azioni sacre rivolte a Dio, trasformandole in semplici racconti rivolti agli uomini? In questo senso possiamo dire che il 1° maggio i pastori non hanno affidato l’Italia a Maria, ma hanno solo raccontato/ricordato al popolo che siamo sotto la protezione materna della Madonna. Se scaviamo un po’, vediamo che in questo modo stiamo facendo nostra, magari senza accorgercene, la prospettiva protestante, per cui gli atti religiosi servono solo per “ricordarci”, per “ridestare la coscienza” di essere stati salvati, senza però che niente di oggettivo e concreto avvenga davvero fuori di noi.

Possiamo quindi concludere così: il 1° maggio quello che abbiamo visto in televisione non è stato un vero atto di affidamento, ma il racconto di un atto di affidamento; il 1° maggio l’Italia non è stata affidata a Maria, con la partecipazione orante del popolo; il 1° maggio il popolo fedele ha assistito a una rappresentazione. E questo, purtroppo, è un inganno.

Ovviamente, sarò felicissimo di ricevere eventuali comunicazioni in grado di smentire con dati di fatto ciò che mi ha rivelato la fonte.

A.M.V.


Affidamento e consacrazione al Cuore Immacolato di Maria / La lezione di san Giovanni Paolo II

Cari amici di Duc in altum, sulla questione dell’affidamento e della consacrazione al Cuore Immacolato della Madre di Dio ricevo e volentieri vi propongo un contributo di padre Giulio Meiattini.
A.M.V.
***
Caro Valli, leggo nel suo blog l’articolo Consacrazione o affidamento? Padre De Fiores spiegava… del bravo padre Stefano De Fiores. Certo si tratta di questioni su cui la teologia deve ragionare con ponderazione, maturando un linguaggio il più possibile equilibrato e fondato nella Scrittura e nella Tradizione. Vorrei tuttavia richiamare l’attenzione su un fatto che il testo di De Fiores non menziona e che invece, per completezza, andrebbe ricordato.
Pur titolandolo Atto di affidamento al Cuore Immacolato della Madre di Dio, Giovanni Paolo II nella lettera accompagnatoria definiva così il testo e il gesto solenne che chiese a tutta la Chiesa di compiere il 25 marzo 1984: “Le parole dell’atto di consacrazione e di affidamento, che allego…”. Il papa usa la congiunzione “e”, non “o”, come se si trattasse di un’equivalenza o di un’esplicazione del primo termine alla luce del secondo (come se intendesse: consacrazione “ovvero” affidamento).
Lo stesso avviene all’interno del testo dell’Atto di affidamento, dove si dice a più riprese: “Questo nostro mondo che ti affidiamo e consacriamo” e ancora: “In modo speciale ti affidiamo e consacriamo quegli uomini e quelle nazioni che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno”.
Nel medesimo testo, anche parlando di Pio XII, il papa afferma che il suo predecessore, quarant’anni prima, “ha affidato e consacrato al tuo Cuore Immacolato tutto il mondo”.
Come si vede, in quella circostanza del 25 marzo 1984, che avrebbe avuto una serie di conseguenze immense per la storia europea e mondiale (come sa chi guarda gli eventi nella luce della fede e dei segni mandati da Dio), Giovanni Paolo II accostò i due termini in modo sistematico e intenzionale, come complementari, non equivalenti e non alternativi. In altri termini, anche se era in corso una discussione fra teologi, non solo non volle rinunciare all’espressione più forte, “consacrazione”, ma vi insistette, anche se la volle accostare sempre a quella di affidamento. Proprio perché i due termini non dicono esattamente la stessa cosa, la parola più impegnativa, e teologicamente più delicata, “consacrazione”, non fu mai omessa. Questo dovrebbe far pensare!
Inoltre, i termini “affidare/affidamento”, almeno nella nostra lingua, non implicano la consegna definitiva e irreversibile di una cosa o una persona a qualcuno. L’affidamento può essere anche temporaneo o revocabile, non comporta la consegna totale o una stabile condizione o relazione di appartenenza, come invece indica il termine consacrazione. Forse consacrazione può sembrare a qualcuno un termine eccessivo, ma, per i motivi indicati, il solo affidamento appare troppo poco.
L’ipotesi che la teologia recente abbia compreso meglio il termine “consacrazione”, e per questo motivo ne ridimensioni l’uso in campo mariologico, come suggerisce lo scritto di De Fiores, o addirittura legittimamente lo scoraggi, è una lettura possibile. Ma ce n’è un’altra, da non escludere: che la teologia possa comprendere ancora meglio il posto e il ruolo di Maria nel piano di salvezza, tanto da ritenere come del tutto plausibile la consacrazione a lei riferita, sia pur in forma analogica (ma non metaforica) a quella nei confronti di Dio.
Segnalo, infine, che anche le parole della Vergine a santa Bernadette Soubirous apparirono fin dall’inizio sorprendenti e problematiche per la teologia. Affermare “Io sono l’Immacolata Concezione” invece che “l’Immacolata concepita”, come si sa, suonò strano e suscitò comprensibilmente delle difficoltà. Contrariamente a quanto asserisce De Fiores,  io sono propenso a credere che la Vergine, anche a Fatima, non sia stata teologicamente imprecisa, per una presunta ma non dimostrabile accondiscendenza al milieu della devozione allora diffusa, quando parlò di “consacrazione” al suo Cuore Immacolato.
La ringrazio dell’attenzione.
dom Giulio Meiattini, OSB

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