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sabato 13 giugno 2020

Fatti più in là/No, io non ci sto..

Legge anti-omofobia, cortocircuito tra Avvenire e CEI

Clamoroso dietrofront sul tema delle proposte di legge anti-omofobia: dopo la Nota della CEI molto critica sui progetti, Avvenire - giornale di proprietà della CEI - dedica una ampia intervista riparatrice al relatore di quei progetti, l'on. Alessandro Zan, per fargli spiegare la ragionevolezza delle proposte e fugare ogni timore. Una situazione paradossale che cancella qualsiasi speranza di vedere i vescovi combattere contro questo tentativo di imporre l'ideologia omosessualista cancellando la libertà d'espressione. E intanto l'agenda catto-gay avanza con il riconoscimento esplicito di atti omosessuali e unioni civili.



Qualcuno ricorda forse che al tempo del governo gialloverde, quando Avvenire contestava duramente il decreto legge su sicurezza e immigrazione, sul giornale dei vescovi sia comparsa una intervista al ministro Matteo Salvini, artefice di quel decreto, perché potesse spiegare le sue ragioni? No? Infatti, non c’è mai stata. È una più che legittima scelta editoriale: una volta maturato un giudizio chiaro e presa una linea si cerca anzitutto di darle forza con altri interventi che vanno nella stessa direzione. Benissimo, nulla da dire, è ciò che fanno tutti i giornali.

È per questo che ha molto sorpreso che ieri Avvenire riportasse in grande evidenza una intervista al deputato del Pd Alessandro Zan, relatore dei progetti di legge sull’omofobia, appena il giorno dopo aver pubblicato la Nota della Conferenza Episcopale (CEI) che criticava duramente quei progetti di legge. Peraltro, bisogna aggiungere che si tratta di una intervista fatta apposta per fare risaltare la ragionevolezza delle posizioni di chi vuole la legge e per rassicurare chi la teme. Dati i tempi, il tono e i contenuti potremmo ben definirla una intervista riparatrice. Tanto che alla fine della lettura viene da chiedersi: se stanno davvero così le cose, come è saltato in mente alla CEI di pubblicare una Nota così infondatamente critica?

Il problema è che le critiche contenute nella nota CEI non solo sono fondate, ma addirittura gravemente insufficienti, come abbiamo già scritto (clicca qui). Quindi, a che gioco stanno giocando al vertice della Conferenza Episcopale? Un giorno si pubblica un giudizio critico, il giorno dopo lo si sconfessa. Cosa c’è dietro?

In effetti, chi segue le vicende della Chiesa italiana si è piuttosto stupito della presa di posizione netta nei confronti dei progetti di legge sull’omofobia, tanto è evidente il potere che ha conquistato la lobby gay ai vertici della Chiesa stessa. Solo due settimane prima Avvenire aveva dedicato una intera pagina alla promozione del libro pro-Lgbt curato dal redattore “esperto” di Avvenire, Luciano Moia, con la prefazione del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna che gode di grande favore a Santa Marta, e con l’introduzione dello stesso direttore di Avvenire, Marco Tarquinio (clicca qui). E Avvenire è praticamente l’unico giornale a non aver neanche citato la lettera pastorale del vescovo di Sanremo-Ventimiglia, Antonio Suetta, che già qualche giorno prima aveva lanciato l’allarme sulla legge anti-omofobia in termini ben più esaustivi rispetto a quelli della CEI.

Inoltre la Nota riguardo ai progetti di legge sull’omofobia è firmata dalla presidenza della CEI, ma il presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti, non ha mai detto una parola – anche questo un fatto inusuale – né prima né dopo il comunicato, tanto meno su Avvenire.

Di certo possiamo dire che una presa di posizione su un tema così delicato non sarebbe stata possibile senza l’approvazione della Segreteria di Stato vaticana. Possibile che dalla Segreteria di Stato sia stata anche suggerita, nel qual caso per motivi politici: già nel caso del prolungarsi della sospensione delle messe con popolo, CEI e Segreteria di Stato erano state concordi nel protestare contro il governo, prima di essere riportati all’ordine dal Papa in persona che, in una omelia alle 7 del mattino a Santa Marta, aveva rimesso le cose a posto (per Conte).

Qualunque sia l’origine e l’iter che ha portato alla Nota della CEI, un fatto comunque è certo: la lobby catto-gay ha ripreso immediatamente il controllo della situazione e ha prodotto l’intervista riparatrice all’onorevole Zan. Chi, lietamente sorpreso dal comunicato dei vescovi, aveva gioito confidando sulla loro volontà di combattere una battaglia di libertà, temiamo resterà molto deluso. A meno di un sussulto di orgoglio da parte della presidenza CEI, avverrà quel che già è successo per le messe: la Nota critica resterà un episodio isolato, un “infortunio” senza seguito. E per salvare la faccia e l’unità della Chiesa, il cardinale Bassetti continuerà a tacere (gli viene abbastanza facile), mentre Avvenire continuerà a perorare la causa dell’onorevole Zan e del governo giallo-rosso: formalmente sarà un dialogo tra posizioni diverse, in realtà spianerà la strada alla legge sull’omofobia.

Del resto, tutti concentrati sul giudizio relativo a tali progetti di legge, c’è un aspetto che è passato inosservato e che pure è di grande importanza. Ovvero, mentre nel riportare e commentare il comunicato della CEI si argomenta contro i progetti di legge, si buttano dentro titoli e frasi che danno per assodati alcuni concetti dell’agenda Lgbt in salsa cattolica. Due su tutti: omofobia e unioni omosessuali.

Titolava in prima pagina Avvenire giovedì 11 giugno, sintetizzando la posizione della CEI: «Contro l’omofobia le norme già ci sono». E il concetto viene ripetuto tale e quale ancora due volte nei titoli di pagina 4 e 5. Ovvero, si dà per scontato e si afferma che esiste un fenomeno malvagio e ben definito che si chiama omofobia. Ma è proprio questo il punto: omofobia è un artificio linguistico, una invenzione finalizzata a imporre l’ideologia omosessualista, per chiudere la bocca a chiunque consideri gli atti omosessuali – non le persone con tendenze omosessuali, ma gli atti omosessuali – contro natura. Accettare che esista una specie di malattia sociale chiamata omofobia - peraltro mai definita oggettivamente - è già una resa alla menzogna, è già aver posto le basi per la promozione dei reati di opinione.

Seconda questione: sia nella spiegazione della Nota dei vescovi, pubblicata dal sito di Avvenire, sia nelle domande all’onorevole Zan, si capisce che la preoccupazione principale riguardo alla libertà di espressione si riferisce soprattutto alla possibilità di poter dire “l’unione civile (omosessuale) va bene ma non possiamo chiamarla famiglia”. Si chiede infatti Luciano Moia, autore di entrambi gli articoli: «Sostenere, per esempio, che le unioni omosessuali sono scelta ontologicamente e biologicamente diversa rispetto al matrimonio fondato sul matrimonio tra uomo e donna, potrebbe diventare opinione sanzionabile?». E il giorno dopo domanda all’onorevole Zan: «Affermare la verità del matrimonio fondato sull’amore tra uomo e donna, senza attribuire identica valenza alle unioni omosessuali, diventerà un reato?». Ma per poter fare una domanda del genere si dà per scontato che le unioni omosessuali siano un bene (peraltro una tesi già sostenuta da Avvenire ai tempi della legge Cirinnà). Non una vera e propria famiglia ma comunque una cosa buona. È una vera e propria promozione degli atti omosessuali, contraria al Catechismo, alle Scritture e a tutta la Tradizione. Ma buttata lì, dal giornale dei vescovi italiani, con noncuranza, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Così avanza l’agenda Lgbt nella Chiesa: un passo alla volta, dando l’impressione di opporsi alla deriva, ma spingendo il limite sempre un pochino più in là. Fino a quando, senza neanche sapere come e quando è successo, i fedeli si troveranno un matrimonio omosessuale in chiesa.  

Riccardo Cascioli

https://lanuovabq.it/it/legge-anti-omofobia-cortocircuito-tra-avvenire-e-cei

Ferro testimonial in Cattolica: due stonature per un invito

Per promuovere un master postlaurea, l'Università Cattolica ha chiamato come testimonial il cantante Tiziano Ferro. Ma l'invito ha due stonature: gli atenei sono ormai a caccia di clienti e ragionano in termini di marketing. In secondo luogo il suo essere omosessuale e frontman della causa Lgbt lo pone in rotta di collisione con il portato culturale e dottrinale della Chiesa cattolica. 


L’università Cattolica lancia la prima edizione dell’Open Week Master & Postlaurea. Dall’11 al 26 giugno si terranno via web incontri e tavole rotonde per illustrare le proposte formative postlaurea dell’Università del Sacro Cuore.

Chi ha aperto le danze? Un cardinale, un vescovo, un teologo, un laico impegnato, un premio nobel, un super ricercatore? Nessuno di costoro, bensì Tiziano Ferro che in un breve video intitolato «Fai crescere la tua aspirazione» –  video dai contenuti anche apprezzabili – ha salutato gli studenti spronandoli a non mollare mai e a realizzare i propri sogni.

Cosa stona nella scelta di aprire questo Open Week con l’autore di Sere nere? Almeno due cose. La prima. Ormai gli atenei sono diventati come delle pizzerie a caccia di clienti. Dunque in questa prospettiva ha sicuramente più appeal un cantante che un cattedratico. E infatti a presentare il master Fare Radio hanno invitato Luca Bizzarri, attore e conduttore televisivo. Vecchia strategia di marketing che si può applicare senza bisogno di seguire un master in comunicazione d’impresa: usa come testimonial del prodotto che vuoi vendere un volto noto. Spiace questa scelta soprattutto perché la Cattolica non ha bisogno per farsi pubblicità di questi vip, essendo sufficienti il suo autorevolissimo pedigree, i risultati della ricerca scientifica accumulati negli anni, i piani formativi, la collaborazioni con prestigiose istituzioni italiane e straniere e la qualità assai elevata del suo corpo docente. Il rischio è quello di svalutare tutto questo patrimonio culturale e scientifico.

Secondo nota stonata che a molti sembrerà invece intonatissima. Tiziano Ferro è dichiaratamente omosessuale. Non solo: è unito civilmente in Italia con il compagno Victor Allen e “sposato” con lui a Los Angeles, desideroso di crescere un bambino con il compagno e più volte si è presentato come frontman della causa LGBT. Non vogliamo qui discettare se l’omosessualità sia condizione moralmente accettabile oppure no, ma vogliamo solo sottolineare che invitare in un ateneo, che sin dal nome si dice cattolico, una persona che apertamente e liberamente abbraccia una condizione e una condotta di vita che è oggettivamente in rotta di collisione con il portato culturale e dottrinale della Chiesa cattolica è quanto meno incoerente. È come invitare un macellaio alla inaugurazione di un ristorante vegano. Non c’entra nulla.

C’è poi da aggiungere che all’incoerenza si somma il pericolo di scandalo, non nel senso che la scelta della Cattolica potrebbe colorare di rosso porpora le gote di studenti, genitori e corpo docente – non viviamo di certo nel Paese delle Meraviglie –  bensì nel senso che molti sarebbero indotti a concludere che se un ateneo cattolico invita una persona che è apertamente omosessuale e promuove l’omosessualità allora vuol dire che cattolicesimo e omosessualità possono andare d’amore e d’accordo e che la Chiesa finalmente si è liberata dalla sua eteronormatività, si è aggiornata ed oggi benedice l’omosessualità.

Queste ultime due riflessioni non sono mere opinioni del sottoscritto pennaiolo – se fossero solo tali meriterebbero di riposare in un cestino – bensì esplicitano la disciplina canonica relativa alle università cattoliche. Infatti al paragrafo 1 del canone 810 del Codice di Diritto Canonico possiamo leggere: «È dovere dell'autorità competente secondo gli statuti provvedere che nelle università cattoliche siano nominati docenti i quali, oltre che per l'idoneità scientifica e pedagogica, eccellano per integrità di dottrina e per probità di vita, e che, mancando tali requisiti, osservato il modo di procedere definito dagli statuti, siano rimossi dall'incarico». Si obietterà che il Ferro non è docente alla Cattolica. Questo è vero, ma per analogia possiamo dire che se un professore deve avere idee e condotte confacenti all’insegnamento della Chiesa, parimenti questi requisiti devono essere richiesti a chi sponsorizza i corsi di una università cattolica perché è con la sua faccia che l’ateneo si presenta al mondo.

Inoltre questa obiezione si supera anche citando il secondo paragrafo del medesimo canone che così recita: «Le Conferenze Episcopali e i Vescovi diocesani interessati hanno il dovere e il diritto di vigilare, che nelle medesime università siano osservati fedelmente i princìpi della dottrina cattolica». Invitare uno sponsor delle rivendicazioni LGBT non ci pare un atto di fedeltà ai «principi della dottrina cattolica». Vero è che oggi molti in casa cattolica sono di manica larga, ma possiamo riconoscere la larghezza delle loro maniche proprio perché le regole delle verità morali sono, ahinoi, strette. E a queste noi dobbiamo attenerci, non ai costumi e alle sensibilità diffuse che largheggiano in quanto a sconti ed eccezioni.

Si rimanda al mittente anche una seconda, scontatissima ed assai abusata obiezione: abbiamo chiamato Tiziano Ferro come gesto di accoglienza verso una persona omosessuale. Posto che questa sia l’intenzione – e accettandola accettiamo pure di diventare ingenui come Cappuccetto Rosso – le modalità non sono consone al fine, ossia così facendo si provocano più danni che benefici. Esprimendoci in differenti termini, il fine di mostrarsi inclusivi verso il cantante pop poteva essere perseguito con altre modalità che evitavano palesi incongruenze con il mandato della Cattolica e il pericolo dello scandalo: il cappellano poteva e può ancora adesso invitarlo a fare con lui una chiacchierata in privato (e non in pubblico), i docenti più sensibili alla conversione dei lontani potrebbero intrattenere con lui un rapporto epistolare e via dicendo. In parole povere, tirar fuori dal cilindro il coniglio della inclusività appare, almeno ai meno sprovveduti, come una deplorevole scusa.

Tommaso Scandroglio
https://lanuovabq.it/it/ferro-testimonial-in-cattolica-due-stonature-per-un-invito

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