Il presidente polacco Andrzej Duda ha definito l’omosessualità (intesa come omosesualismo, ndr) e il transgenderismo un’ideologia “ancora più distruttiva per l’essere umano” del comunismo. La Polonia è stata una dittatura comunista dopo la seconda guerra mondiale fino al 1989.
Se ne parla in questo articolo di Martin Bürger, pubblicato su Lifesitenews, che vi presento nella mia traduzione.
Durante un discorso di campagna (elettorale, ndr), Duda ha paragonato l’indottrinamento avvenuto durante il comunismo con l’indottrinamento dell’omosessualità e dell’ideologia di genere.
“Questo era il bolscevismo. Era l’ideologizzazione dei bambini. Anche oggi ci sono tentativi di spingere un’ideologia su di noi e sui nostri figli, ma diversa. È una novità assoluta, ma è anche neo-bolscevismo”, ha spiegato.
Dopo numerosi articoli negativi da parte dei media internazionali, Duda ha inviato diversi tweet in inglese a Reuters, al New York Times, all’Associated Press, al Guardian e al Financial Times, chiarendo la sua posizione.
“Ancora una volta, come parte di una sporca lotta politica, le mie parole sono state messe fuori contesto. Credo veramente nella diversità e nell’uguaglianza”, ha detto Duda. “Allo stesso tempo, le credenze di qualsiasi minoranza non possono essere imposte a una maggioranza sotto la falsa pretesa di tolleranza. Ai nostri giorni, la verità è diventata una piccola creatura spaventata che si nasconde da una correttezza (il politicamente corretto, ndr) molto più forte”.
“Credo in un mondo in cui le verità, come MeToo, possano avere una piattaforma sicura. Dove possiamo dire quello che pensiamo, dove le parole non vengano storte. Credo nella tolleranza a qualsiasi opinione, quindi per favore smettete di distribuire notizie false”, ha aggiunto.
Come parte della sua campagna per essere eletto presidente per un secondo mandato, Duda si è impegnato a proteggere i bambini dall’agenda dell’omosessualità (omosessualismo, ndr) e dall’ideologia gender.
La sua piattaforma di campagna include una “Carta della famiglia” che elenca le sue numerose politiche a favore della famiglia. Include una sezione intitolata “Protezione dei bambini dall’ideologia LGBT”.
Quella sezione promette “la fine della propaganda ideologica LGBT nelle istituzioni pubbliche” e “il diritto dei genitori di decidere in quale spirito formare i propri figli”. Essa comprende la convinzione che “sono soprattutto i genitori i responsabili dell’educazione sessuale dei loro figli” ed esprime il sostegno per “l’influenza decisiva dei genitori sulla forma e la sostanza delle classi facoltative nelle scuole”.
La “Carta famiglia” offre anche “un aiuto per le famiglie che vogliono che l’istruzione avvenga secondo la scuola parentale”.
In altre sezioni, la “Carta della famiglia” impegna il sostegno finanziario per le famiglie, l’aiuto per gli anziani e l’aiuto per i genitori single.
Secondo il presidente, la famiglia è fondamentale per la Polonia, e la tradizionale definizione di matrimonio prevarrà.
“La famiglia merita un sostegno speciale da parte dello Stato”, ha sottolineato. “La famiglia protegge e costruisce la società”.
“La nostra identità ci ha aiutato a superare i momenti più difficili dell’infanzia”, ha aggiunto Duda. La famiglia polacca ha preservato i nostri valori. La famiglia è un valore speciale, che richiede una protezione speciale da parte dello Stato… Il matrimonio è un rapporto tra donne e uomini, e così rimarrà”.
Duda, cattolico praticante, ha iniziato la sua presidenza nel 2015 facendo un pellegrinaggio alla Madonna di Częstochowa, venerata come Regina e Protettrice della Polonia.
Per la festa del Corpus Domini del 2015, è stato visto salvare un’ostia consacrata che era caduta a terra durante una messa all’aperto.
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I cattolici credono che dopo che le parole della consacrazione vengono recitate durante la Messa, il pane viene cambiato sostanzialmente tutto in Cristo – corpo, sangue, anima e divinità. Questa convinzione spiega la massima cura che la Chiesa dedica all’Eucaristia.
Duda ha in programma un incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca mercoledì prossimo, pochi giorni prima delle elezioni presidenziali in Polonia.
Di Sabino Paciolla
SI SCRIVE ZAN SCALFAROTTO, SI LEGGE BIBBIANO.
A Bibbiano la signora Federica Anghinolfi ha anticipato il ddl Zan Scalfarotto, si è comportata se il ddl fosse già stato approvato. Ce ne parla Antonio Margini, che ha rischiato di perdere i suoi tre bambini per l’accusa di essere omofobo.
Prima del ddl zan Scalfarotto questa accusa non poteva far perdere la patria podestà, e infatti il signor Antonio Margini che ha avuto il buon senso di registrare ogni sillaba , è riuscito a dimostrare che stava subendo un arbitrio, e a ricuperare i suoi figli. Dopo il ddl Zan Scalfarotto il comportamento delle assistenti sociali della Val d’Elsa sarà perfettamente legale, sarà perfettamente legale che un’assistente sociale accusi di essere un uomo di essere omofobo, perché “si vede dalla faccia che lei è omofobo” e distrugga per sempre il suo diritto a essere padre.
La terribile accusa è stata mossa da Federica Anghinolfi, la assistente sociale della Val d’Elsa, i fiore all’’occhiello dei Servizi Sociali, il fiore all’occhiello del PD. In una delirante audizione tenuta alla camera il 4 luglio del 2016 la dottoressa Anghinolfi ha dichiarato con orgoglio che in poche settimane la Val d’Elza è passata da nessuno bambino sottratto alla sua famiglia al record di bambini sottratti alle famiglie, e ha proclamato che al minimo dubbio, alla minima voce in Val D’Elsa i servizi sociali piombano sulla famiglia e la distruggono portando via i bambini. Una frase atroce, come un chirurgo che dichiari che al minimo foruncolo, alla minima distorsione della caviglia lui si precipita a amputare un arto, perché sottrarre un bambino alla sua famiglia equivale ad amputare un arto. Amputare un arto è un gesto atroce che qualche volta occorre compiere, perché c’è un sarcoma o una gangrena, ma che è criminale se è fatto senza causa. La dottoressa Anghinolfi sa che i bambini sottratti alle loro famiglie per essere trascinati, a volte di peso, con quattro carabinieri che li prelevano a scuola, passano le prime notti in casa famiglia a piangere e a battere la testa contro il muro? Poi si rassegnano e i loro occhi si perdono nel nulla.
Antonio Margini si è sposato nel 2008 dopo 12 anni di convivenza. Dal matrimonio sono nati tre figli. Nel 2016 Antonio ha scoperto che la moglie aveva una relazione con un’altra donna e ha chiesto la separazione, una separazione consensuale, per riguardo ai propri figli, perché ci sono i figli di mezzo e i bambini ci rimettono nella separazione giudiziaria. La ex moglie dopo la separazione denuncia il marito per maltrattamenti. Un’accusa falsa che viene archiviata, ma la denuncia anche se archiviata, fa da segnalazione al tribunale dei minori di Bologna e scatta l’attenzione dei servizi sociali.
Antonio Margini e i suoi figli vengono in carico dai servivi sociali della Val D’Elsa, e subiscono la visita domiciliare come è prassi, e poi ci sono due colloqui, e qui succede l’imprevisto. L’imprevisto è che Antonio Margini vive in un casa con le video camere di sorveglianza e durante i colloqui registra tutto, ogni singola parola, quindi è registrata e ricuperabile. Durante gli incredibili colloqui a un cittadino dello stato italiano viene rimproverato di essere di Reggio Calabria, perché è “impossibile nascere in Calabria e non avere a che fare con la ndrangheta”. Antonio Margini viene invitato a presentarsi al famigerato centro la “Cura”, quello dove impazzano il laureato in lettere Foti Claudio e la sua signora, questa almeno laureata in psicologia, arrivati fin da Moncalieri perché in tutta l’Emilia Romagna non c’era un professionista valido, e con un tariffario stratosferico, tanto sono soldi dello stato, peccato che gli diano l’indirizzo con il numero civico sbagliato, per cui arriva con pochi minuti di ritardo. Mentre cerca disperatamente il posto che non riesce a trovare, viene osservato e deriso dall’alto. Il ritardo verrà segnalato sulla sua scheda come segno inequivocabile di disinteresse per i figli, ma anche questa volta il signor Margini ha registrato tutto. L’assistente sociale Beatrice Benati e la psicologa di riferimento dicono ai bambini che ora li avrebbero portati dalla mamma. I bambini non vogliono andare dalla mamma, si trovano malissimo con la compagna di lei, uno dei bambini, il più piccolo scappa, mentre il maggiore dichiara che non vuole andare dalla madre. Nella relazione è stato scritto il falso, cioè che i bambini insultano il padre, ma, come ho già detto, il signor Margini stava registrando tutto.
Il 18 giugno del 2018 la signora Federica Anghinolfi informa il signor Margini che avrebbe visto i suoi figli un ‘ora ogni venti giorni” in maniera protetta. Con un provvedimento di una violenza gratuita e micidiale, sarebbe stato infranto, spaccato, frantumati, il legame padre figli, ridotte alla quota ridicola di un’ora ogni venti giorni, da trascorrere sotto l’occhio vigile di un’ educatrice, nel timore che il signor Margini se lasciato da solo possa fare qualcosa di sconveniente con i bambini, potrebbe parlare loro in calabrese, oppure arruolarli nella ndrangheta: le due cose nella mente degli assistenti sociali di Bibbiano sono probabilmente la stessa cosa. La colpa però questa volta non è la provenienza etnica. È molto più grave, tragica , definitiva.
La motivazione è che lei è omofobo”, dichiara Federica Anghinolfi. La omofobia del signor Margini l’ha dedotta guardandolo in faccia, lei quelli come lui li conosce, la condanna è definitiva e senza appello, “Perché io quelli come lei li conosco, se lei vede un ragazzo e una ragazza al parco che si baciano lei non dice niente, mentre se vede due ragazzi che si baciano lei sghignazza. Se le sta bene sta bene, altrimenti faccia ricorso”. E poi aggiunge la ciliegina finale: La legislazione sta andando in questa direzione e lei deve farsene una ragione.
Il diritto di un bambino a vivere la sua infanzia può essere quindi infranto perché l’assistente sociale, che è anche accusatore e giudice di un processo inappellabile, ritiene, guardandolo in faccia, che il genitore si possa essere macchiato del delitto atroce di lesa omosessualità.. Chi sono coloro cui non si può mancare di rispetto? I padroni.
La legislazione sta andando in questo senso, dice Federica Anghinolfi, che sa, ovviamente, che il ddl Zan Scalfarotto, prima o poi passerà, come è passato in altri paesi. La legislazione sta andando in questa direzione! Sta andando, ma non è ancora arrivata. Quindi per giustificare la sospensione della patria podestà occorre inventarsi una scusa, che la casa di Antonio Margini è fatiscente, che la stanza di bambini è sporca. Peccato che la casa sia molto bella e dotata di videocamere di sorveglianza, videocamere che riprendono gli assistenti sociali che girano per stanze impeccabili ricche di libri e giochi, che descriveranno come sudice e insufficiente in resoconti falsi la cui menzogna è genialmente dimostrata da una banale videocamera. I due assistenti sociali che hanno falsificato la relazione sono stati denunciati.
Quello che è impressionante è l’arroganza, la certezza dell’impunità. Il cittadino è nulla in mano a questi individui. Possono fare quello che vogliono del suo diritto di essere genitore, possono massacrare la psiche e l’infanzia dei suoi figli, sempre certi dell’impunità totale. Antonio Margini ha sempre registrato gli incontri protetti, con i bambini che all’inizio supplicano di essere riportati a casa, poi non più perché gli assistenti sociali hanno detto ai bambini che il padre non li vuole. .
Fortunatamente Antonio Margini ha registrato tutto. Fortunatamente ha il denaro per gli avvocati. Riesce a vincere e ottiene di nuovo i suoi figli, cinque giorni su sette. I bambini sono sconvolti e traumatizzati, ma può ricominciare il loro recupero. Sia gli insegnanti che il CTU hanno testimoniato che da quando sono con il padre i bambini sono più sereni.
Antonio Margini ha creato un gruppo di aiuto, si chiama Rete Protezione Bambini ; è un gruppo che si è formato in questi mesi con persone già impegnate da tempo nel difficile compito di difendere i bambini italiani dai servizi sociali, quei servizi che erano nati per difendere, e ora sempre più spesso vengono colti a predare, come a Bibbiano, come al Forteto, come nella Bassa Modenese, predare sia anime che denaro, fiumi di denaro. Portavoce è l’ Avvocato Patrizia Micai che sta seguendo il caso veleno, vale a dire il caso della Bassa Modenese, bambini strappati per sempre con accuse deliranti create grazie a tecniche di interrogatorio viziate.
Antonio Margini ha vinto la sua battaglia perché è un uomo forte, che ha avuto la corretta idea di usare registrazioni, e perché il ddl Zan Scalfarotto non era ancora passato.
Se passasse, non ci sarebbe più niente da fare. Un’assistente sociale vi accuserà di essere omofobi, e voi perderete i vostri bambini.
BY
Legge sull’omofobia: come e perché sul banco degli imputati finisce la libertà
È stato presentato al Senato anche a firma Zan il ddl che qualche anno fa portò il nome del solo Scalfarotto. Ma il pacco, nel senso gergale di imbroglio di bassa lega, rimane sempre lo stesso. Vi rimane impressa tutta la strategia attenta quanto sagace della potente lobby omosessualista, protesa alla conquista e al controllo dei gangli vitali della società, che da tempo ha stabilito il proprio quartier generale nella anticamera della presidenza del Consiglio, ma è intenta ad applicare direttive di respiro internazionale.
Il progetto ambizioso si concentra sulla elevazione della omosessualità e dei suoi derivati da fatto privatissimo a valore riconosciuto come proprio dalla società civile. Programma ambizioso, dal momento che per dritto o per rovescio è in gioco il sovvertimento degli schemi tracciati dalla natura o, più banalmente, dalla fisiologia. Schemi rimasti insuperabili fino a quando il delirio di onnipotenza ha indotto l’uomo moderno a prendere di mira proprio le leggi della natura.
Ed ecco la tenacia morbosa con cui l’omosessualismo cerca di rovesciare i canoni dell’etica sociale e famigliare e di ricavarsi un posto d’onore nella rosa dei valori morali consolidati attraverso l’accaparramento improprio di diritti e di una protezione particolare da parte della legge penale. Impresa grandiosa resa possibile grazie al lavorio dei mezzi di comunicazione sullo spettatore medio e soprattutto sulle menti permeabili dei più giovani, sempre sensibili alle suggestioni del possibile e dunque facili ad inserire la pratica omosessuale tra le risorse della libertà. Determinante ovviamente il sostegno della intellighentjia progressista che, secondo la religione giacobina, in nome della propria libertà nega come blasfema ogni possibile dissidenza, perché dal corto circuito sempre innescato della libertà senza orientamento al bene comune, non è dato uscire.
Tuttavia, una volta preparato per via mediatica il terreno della tolleranza morale ed estetica, che è un aspetto essenziale dell’etica, bisogna eliminare ogni resistenza. Bisogna impedire al bambino di gridare che il re è nudo, che l’omosessualità deve rimanere un affare privato, perché una volta uscita dalle pieghe delle pulsioni individuali, ed elevata a valore comunitario contro ogni evidenza di ragione, si distrugge la struttura etica della comunità, insieme all’equilibrio fisico e mentale di un paio di generazioni, in attesa che l’istinto di sopravvivenza non torni ad avere la meglio. E a questo scopo occorreva trovare una legittimazione giuridica capace di assicurarle lunga vita.
A questo scopo la ben oleata macchina dell’omosessualismo progressista ha trovato bell’e fatta, fra le tante confezionate dal cattoprogressismo di maniera, la sciagurata legge Mancino sulle discriminazioni per motivi razziali. Una legge palesemente incostituzionale, e in evidente contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento penale, ma perfetta per essere sfruttata a dovere con la sua carica repressiva ad ampio spettro contro ogni tipo di opposizione e di resistenza.
L’antefatto si colloca negli anni della lotta sanguinosa tra comunità bianca e nera in Sudafrica, legata alla famosa apartheid. Nel 1965 a New York viene sottoscritta anche dall’Italia una Convenzione con cui gli stati firmatari si impegnano a condannare la discriminazione razziale, con esplicito riferimento dunque ad una precisa situazione peraltro del tutto estranea alla realtà italiana. Infatti l’accordo internazionale prende le mosse dalla lotta sanguinosa tra comunità bianca e nera in Sudafrica negli anni della famosa apartheid.
L’Italia non aveva bisogno di adeguare la propria legislazione al principio di non discriminazione dal momento che è la stessa Costituzione ad impedire che il legislatore ordinario emani norme discriminatorie, secondo il ben noto articolo 3. Tuttavia la legge di ratifica non si limitò a ribadire il generico impegno programmatico sottoscritto a New York, ma formulò una norma penale del tutto insensata che tra l’altro punisce gli “atti di discriminazione” per motivi razziali e altro, e che ha aperto la strada ad un micidiale fraintendimento linguistico e giuridico.
Infatti un conto è affermare, come fa l’articolo 3, che non devono essere emanate norme discriminatorie tali da introdurre disparità di trattamenti nei limiti segnati, altra cosa è stabilire che il singolo individuo non deve comportarsi in modo discriminatorio altrimenti sarà punito. Per la ragione evidente che nell’agire quotidiano di ciascuno è normale discriminare, che vuol dire scegliere, e fino a prova contraria, tutti noi, vivendo, facciamo scelte continue in base a valutazioni che rimangono nella nostra coscienza e che in ogni caso a nessuno è dato sindacare perché sono e devono rimanere insondabili.
Insomma, se la Costituzione vieta al legislatore di emanare leggi discriminatorie nel senso dell’articolo 3, il singolo è libero di adottare qualunque comportamento discriminatorio, che sta semplicemente per libertà di scelta. Discriminazione non è affatto in sé una brutta parola, significa solo che come individuo posso scegliere il barbiere magari in ragione delle sue preferenze calcistiche, posso evitare un venditore perché troppo assillante o un locale perché rumoroso, un mediatore che ritengo inaffidabile.
Questo in generale dal punto di vista logico. Ma se ci spostiamo sul piano giuridico la faccenda acquista un peso ben più significativo. Sappiamo come la legge penale possa diventare e sia diventata di fatto una potentissima arma impropria nelle mani del potere costituito. Sicché le società più evolute, come si pregia di essere la nostra, si sono dotate di principi capaci di assicurare che la legge penale metta il cittadino al riparo dall’arbitrio del legislatore e del giudice. Anzitutto il principio di legalità, che offre al singolo la mappa dei comportamenti tipici vietati, e dunque sottratti alla improvvisazione del tiranno. Ma anche il principio di oggettività per cui può essere punito solo il fatto che avendo una struttura concreta sia anche oggettivamente verificabile, e sia ridotta al minimo anche la discrezionalità del giudice. Gli aspetti per così dire psicologici che determinano le azioni umane non possono e non devono essere oggetto di persecuzione autonoma per evidenti esigenze di garanzia.
Non per nulla tutti i regimi totalitari hanno potuto eliminare i possibili oppositori attraverso la condanna delle idee e delle intenzioni. La punizione del pensiero assicurava al regime sovietico e a quello nazista l’eliminazione fisica del dissidente, l’internamento, il carcere, il manicomio. I motivi che hanno guidato il comportamento possono entrare in gioco solo per graduare la gravità del fatto, non per costituire essi stessi un fatto punibile. Il diritto penale che viene meno a questa esigenza di oggettività diventa strumento di oppressione nelle mani del potere costituito. Il codice Rocco, per avventura emanato in tempi ritenuti tanto sospetti, che piaccia o no, e dovrebbe piacere a chiunque tiene a non finire in galera solo per quello che gli passa per la testa, prevede che siano puniti i fatti e non le opinioni, la libera manifestazione delle quali, tra l’altro, pare sia ancora garantita dalla stessa Costituzione.
Nonostante ciò, lo zelante cattoprogressista Mancino, secondo il vezzo per cui ogni politico nostrano a corto di argomenti e di programmi si autolegittima con la immarcescibile professione di antifascismo, sentì il bisogno di farsi promotore, a distanza di qualche lustro da quella impropria legge di ratifica, di un’altra legge, la 205 del 1993, modellata sulla prima e altrettanto anacronistica e incostituzionale, che porta ancora il suo nome. Essa prevede tre ipotesi di reato:
- La diffusione in qualunque modo di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.
- L’incitamento a commettere o la commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
- L’incitamento a commettere o la commissione di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Una legge, dunque, che nella sua ottusità ideologica stravolge i principi fondamentali di un sistema penale come il nostro dove sono puniti i fatti e non le idee o le intenzioni.
In particolare, vi torna il riferimento a quegli atti di discriminazione difficilmente intelligibili se riferiti al privato cittadino che, bisogna ripeterlo ha il diritto di compiere qualunque azione lecita in base a motivi insindacabili da parte di qualunque pubblica autorità.
Non meno anomalo è il caso della violenza, che viene qualificata in ragione dei motivi razziali, etnici, religiosi e via discorrendo, in cui questi diventano perciò stesso elemento costitutivo del reato. Eppure, già da molti anni era stato abrogato l’unico reato del quale il motivo a delinquere era elemento costitutivo, cioè il delitto commesso per causa d’onore. La legge Mancino è sfuggita al controllo di legittimità costituzionale che, come è noto, nel nostro ordinamento può essere sollevato soltanto in sede processuale, e questo dimostra quanto lontana dalla realtà e dalla applicabilità essa sia stata. Ma è sfuggita anche, per la prima parte del primo comma, all’intervento abrogativo del 2006 che ha abolito numerosi “reati di opinione”.
Intanto si è andato formando il curioso fenomeno linguistico, per cui la parola “discriminazione”, grazie agli slittamenti normativi che abbiamo visto e alla contiguità con pregresse questioni razziali, ha assunto il significato eccentrico onnicomprensivo di comportamento pregiudizialmente ostile e vessatorio verso le componenti ritenute più deboli della società, e quindi oggettivamente esecrabile. Così, di equivoco in equivoco, è approdata alla evocazione di fenomeni che ogni coscienza mediaticamente istruita non al senso ma al suono delle parole si sente in dovere di combattere anche se non sa che cosa sta combattendo. Così, in assenza di un sistema normativo discriminatorio, o di effettive consuetudini sociali vessatorie verso chicchessia, ha cominciato ad aleggiare il fantasma di una diffusa quanto inafferrabile discriminazione minacciosa e incombente, quella che ha ad oggetto la minoranza oppressa degli omosessuali, gaiamente dilaganti in oceaniche sagre estive, a reti unificate sugli schermi televisivi, immancabili in qualunque produzione cinematografica, in qualunque programma educativo promosso dall’Oms per l’infanzia e dalla buona scuola per tutti.
All’atteggiamento ostile che alimenta la discriminazione e tradisce una imperdonabile avversione verso il diversamente sessuato, è stato trovato un nome adeguatamente minaccioso capace di giustificarne la repressione: è nata l’omofobia. E se l’omofobia è un male da estirpare bisogna che essa offenda un valore riconosciuto, un bene, o meglio ancora un diritto. Occorreva dare all’omosessualità un valore civile, dato che il problema etico era stato ormai messo da parte dalla stessa chiesa costretta dai suoi vertici alla ritirata precipitosa dal fronte dei principi non negoziabili. A Scalfarotto è bastato aggiungere ai motivi razziali che per la legge Mancino giustificano la persecuzione penale, quelli cosiddetti omofobici per confezionare lo strumento ideale capace di elevare il fenomeno omosessuale e dintorni a valore penalmente protetto e per intimidire chiunque potesse mettere in discussione tale valore.
Il disegno di legge Salfarotto ha esasperato oltre misura l’illegittimità della legge Mancino in spregio ad ogni esigenza di determinatezza del fatto punibile, che mira anche a contenere l’arbitrio o la fantasia del giudice. Il risultato pratico, oltre al controllo delle coscienze, dovrebbe essere il restringimento delle possibili scelte individuali. Significherà non poter licenziare la baby sitter lesbica, o il maestro di pianoforte in sospetto di pederastia. Mentre anche l’eccesso di legittima difesa avrebbe una valutazione molto più severa qualora ci fosse di mezzo una personale pregiudiziale “omofobica” verso l’aggressore.
Però a questo punto il piano strategico della lobby omosessualista si è fatto più articolato e sapiente. Prendere di petto la materia penale poteva comunque essere ancora prematuro. Era prematuro elevare l’omosessualità a bene giuridico penalmente protetto. Anche se la Chiesa si limitava a non giudicare, anche se il Sinodo aveva insinuato l’idea delle belle cose che si possono ricavare dalle relazioni omosessuali. Meglio passare per la via dei diritti civili ormai aperta a qualunque conquista attraverso le famose coppie di fatto tutte alle prese con assistenze ospedaliere, problemi pensionistici e deleghe condominiali. Ora che un diritto non si nega a nessuno.
Le coppie di fatto erano state il cavallo di battaglia e di Troia della cattolicissima Bindi che, portandosi dietro l’esercito dialogante dei fedeli postconciliari, aveva spianato la strada a una signora tanto devota da giurare sui propri cani, capace di dare alla democrazia e alla storia d’Italia nientemeno che il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Conquista perfetta sul piano sostanziale nonostante l’impedimento ancora formalmente presente nel codice civile.
Dunque, se l’omosessualità e i suoi derivati è titolo giuridico capace di elevare a diritto ogni pretesa di categoria, significa che essa è stata ormai assunta nella costellazione dei valori riconosciuti. Dopo questa conquista si trattava di tornare a lavorare sul fronte del diritto penale per la eliminazione definitiva di ogni resistenza, e mettere a frutto i risultati ottenuti.
Intanto, sul finire della legislatura a primavera del 2018 viene aggiunto all’articolo 604 del codice penale, già manipolato dal governo Renzi con interventi dalle conseguenze devastanti, un 604 bis e ter che puniscono la propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica o religiosa e all’articolo 604 ter prevede, come aggravante del reato commesso, la finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso.
Rispetto alla legge Mancino, il presupposto di fatto che ispira la riforma è nuovo e individuabile. Là la questione razziale era solo formale in mancanza di un problema effettivamente presente alla sensibilità collettiva. Ora i problemi connessi con la immigrazione indotta a forza nel nostro paese, ha potuto innescare reali tensioni sociali ancora latenti ma reali e che una politica fortemente ideologizzata in senso immigrazionista vuole reprimere ancora una volta ricorrendo alla minaccia penale. Nulla di meglio per l’omosessualismo che inserirsi a rimorchio nel pertugio repressivo aperto da una politica con cui si trova in perfetta sintonia ideologica, impegnata per professione nell’antirazzismo attualizzato, ma sempre nella lotta imperitura contro l’eterno ritorno del leviatano fascista.
Ecco dunque giungere al Senato il disegno di legge già approvato in dicembre alla Camera che propone la estensione della normativa ai motivi fondati sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, equiparati ancora una volta a quelli razziali e religiosi. In altre parole, torna l’accostamento tra discriminazione razziale e quella di tipo “omofobico” che ora prende il nome di motivo fondato sul genere, l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Il presupposto “filosofico” è l’unicità del genere umano che non prevede distinzioni di sorta, sicché all’indifferentismo razziale, nazionale e religioso, corrisponde l’indifferentismo sessuale, e questo è un valore culturale da imporre a suon di anni di galera se necessario.
La macchina omosessualista ha cambiato registro. L’omosessuale è già da tempo un diversamente orientato e l’omofobia ha lasciato il campo ai motivi fondati sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Questo significa che le pretese di tutela siano ridimensionate? No, significa che il gioco si è fatto più sottile. Basti pensare che è sempre in vigore la legge Mancino con le sue aporie e che il disegno di legge Zan la include e la riutilizza secondo lo schema Scalfarotto, e non per nulla viene presentato come ddl Zan-Scalfarotto. Infatti all’articolo 3 prevede che il titolo della Mancino sia modificato con il riferimento al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
In conclusione, la lobby omosessualista, dopo essersi insediata saldamente nei più importanti centri della politica nazionale e internazionale, grazie anche ad terreno culturale ideologicamente propizio e a una classe intellettuale del tutto accondiscendente, ha puntato al rovesciamento della intera base culturale della società ancorata ai principi millenari dettati dal senso comune. Il momento, con l’eclissi del sacro in occidente e il dileguarsi del magistero della chiesa cattolica del post concilio, era favorevole per tentare l’impresa ardita di imporre ed estendere definitivamente un dominio culturale acquistato già in via mediatica.
Si trattava di ottenere la consacrazione giuridica. Questa è avvenuta attraverso la parodia dei “diritti civili” culminanti nella parodia tragicomica della unione di tipo matrimoniale tra persone dello stesso sesso che include la tragedia vera della adozione e della fabbricazione umana in vitro. Ma poiché l’appetito vien mangiando, l’obiettivo ultimo è l’imposizione forzata del proprio modello esistenziale ed etico alla intera collettività. Con la forza della legge penale che reprime ogni dissidenza attraverso la minaccia della sanzione. E non si tratta semplicemente, come po’ appare a prima vista, dell’attacco portato al diritto di libera manifestazione del pensiero. Questo non è garantito in via assoluta, perché conosce il limite dell’interesse superiore che il suo esercizio può andare ad offendere. Basti pensare come esso debba cedere di fronte al bene dell’onore e della reputazione personale per cui è vietata la diffamazione di chicchessia e con qualunque mezzo.
In realtà, come vorrebbe la nuova proposta di legge Zan-Scalfarotto, deve essere punito un determinato atteggiamento mentale, e persino sentimentale, come quello che viene definito il “motivo di odio”. L’odio come l’amore appartiene alla vita individuale più profonda e ai recessi insondabili della psiche umana, e deve rimanere al riparo dalle incursioni del giudizio umano. Ma se si arriva a punire, come vorrebbero questi avanguardisti della democrazia, il pensiero o il sentimento, in ragione del suo oggetto, significa che a tale oggetto deve essere attribuito un valore superiore a quello della libertà di opinione. Insomma, proprio come avviene nel caso dell’offesa all’onore e alla reputazione, o per i reati di vilipendio.
L’omosessualità e affini devono entrare, e forse entreranno senza pudore alcuno, nella costellazione dei valori superiori repubblicani, imposti manu militari dal parlamento. L’approvazione del ddl Zan-Scalfarotto segnerà la tappa decisiva per il ritorno trionfale al perfetto totalitarismo di stato è anche in virtù di un articolato sistema, di certo non meno inquietante della pena, di misure preventive e correttive da applicare al cittadino di dura cervice. Il sistema anch’esso tipico di ogni regime con forte vocazione redentrice. La normativa in via di approvazione prevede per il trasgressore tutto un programma di rieducazione morale volta al ravvedimento operoso e al risanamento dell’offesa recata alla buona causa attraverso opere riparatorie sulle quali non è il caso ora di soffermarci. Per il momento pare escluso soltanto l’atto di dolore.
Per il popolo rieducando non si baderà a spese: potrà godere persino della “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione”. E non è una trovata goliardica, perché, come è noto, la Goliardia è stata seppellita tanto tempo fa dal 68. E si vede.
Patrizia Fermani Giugno 20, 2020
In corso a Montecitorio, presso la Commissione Giustizia, l’esame delle proposte di legge contro l’ “omofobia”, ecc… La settimana prossima verrà presentato e votato un testo che unifica le cinque proposte sul tappeto. Di tale testo ha dato anticipazione ‘L’Espresso’ di giovedì 11 giugno. De facto proposte liberticide anche per la scuola, a partire dall’istituzione di una ‘Giornata nazionale contro l’omofobia, ecc…”
In questi giorni (prevedibilmente si voterà mercoledì 24) la Commissione Giustizia della Camera dei deputati si pronuncerà sul testo base del’agognato (per la nota lobby) disegno di legge contro la cosiddetta “omotransfobia”. Tale testo unifica cinque proposte in tal senso di Alessandro Zan (relatore pd), Laura Boldrini (pd)-Roberto Speranza (leu), Ivan Scalfarotto (Italia viva), Mario Perantoni (M5S), Giusi Bartolozzi (FI, unica firmataria).
Il testo unificato è stato anticipato da L’Espresso online di giovedì 11 giugno, il giorno seguente la decisa presa di posizione contraria della presidenza della Cei, di cui peraltro l’Avvenire della piumata coppia Tarquinio-Moia (struzzi di tutto il mondo, attenti ai nuovi cacciatori!) ha fatto strame alimentando un dibattito intra-cattolico surreale. Di fronte all’atto di ribellione la presidenza della Cei è stata zitta, confermando la sua connotazione sempre più visibile di conferenza episcopale della Chiesa patriottica sino-italica. Già sin d’ora si può osservare che le pesanti responsabilità per le conseguenze gravi su persone e associazioni (derivate dal collaudato giacobinismo terroristico lgbt) nel caso di approvazione della nuova legge ricadrebbero anche sul quotidiano cattofluido (che a vederlo ancora in chiesa fa venire l’orticaria a molti fedeli) e sui suoi editori (un po’ tappetini per vocazione e un po’ santabbondi per natura).
In questa occasione sentiamo di doverci occupare di un aspetto della prevista nuova legge fin qui trascurato nel dibattito: quello che riguarda le ricadute della norma proposta in ambito scolastico ed educativo. E’ qualcosa che aggiunge inquietudine a inquietudine e potrebbe portare all’imposizione alle nuove generazioni di una cappa plumbea di totalitarismo ideologico parente di quelli nazista e sovietico.
Il titolo del disegno di legge come apparso su L’Espresso è: “Modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale e misure di prevenzione e contrasto della violenza e della discriminazione per motivi legati al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere”. Già balza all’occhio l’indeterminatezza degli stati, delle condizioni evocate in fin di titolo. Ciò comporterà uno spazio di manovra tale nelle eventuali denunce e nelle eventuali sentenze che la nota lobby potrà cercare di azzittire via mass-media (in cui si è accaparrata una posizione dominante) o via magistratura (in cui pure è ben presente) chiunque a suo giudizio abbia intenzione di violare o abbia violato le nuove norme.
L’ARTICOLO 6: ISTITUZIONE DI UNA ‘GIORNATA NAZIONALE’. POVERE SCUOLE!
Tra gli articoli del testo troviamo il numero 6, intitolato “Istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” (già di per sé tale titolo suona da emergenza, da nemico alle porte e spingerebbe a grasse risate se purtroppo non fosse espressione di una volontà seria – e profumatamente sovvenzionata dalla galassia sorosiana – di rivoluzionare in senso totalitario i modi di vita di una società). Ci si può chiedere naturalmente quale necessità ci sia di istituire una ‘Giornata’ per un fenomeno che riguarda in media una ventina di persone l’anno, secondo i dati dell’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, attivo presso il Viminale. Allora perché non istituire una Giornata contro la cristianofobia (un fenomeno in rapida crescita anche in Italia) o contro la famigliafobia (idem) ?
Al comma 3 dell’articolo 6 si legge: “In occasione della ‘Giornata nazionale ecc…’ sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado….”
ARTICOLO 7: L’UNAR LEGITTIMATA NORMATIVAMENTE A FAR PROPAGANDA ALLA NOTA LOBBY
Non basta. All’articolo 7 il testo rimanda al decreto legislativo 9 luglio 2003, che riguarda l’attività del noto Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, lo stesso il cui direttore Francesco Spano dovette dimettersi per aver finanziato un’associazione di omosessuali di cui era socio e in cui si praticava la prostituzione maschile). Ora verrebbe aggiunto un comma 2-bis del seguente tenore: “(…) l’ufficio elabora con cadenza triennale una strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere. La strategia reca la definizione degli obiettivi e l’individuazione di misure relative all’educazione e istruzione, al lavoro, alla sicurezza, anche con riferimento alla situazione carceraria, alla comunicazione e ai media (NdR: potevano mancare misure relative alla comunicazione e ai media nell’ottica dell’imposizione totalitaria?) La strategia è elaborata nel quadro di una consultazione permanente delle amministrazioni locali, delle organizzazioni di categoria e delle associazioni che svolgono attività nel campo della lotta alla discriminazione e alla promozione della parità di trattamento e individua specifici interventi volti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni di violenza e di discriminazione fondati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”.
Naturalmente per elaborare una ‘strategia nazionale’ ci vogliono soldi… ed ecco lì 4 milioni di euro per la bisogna (vedi articolo 8).
DOMANDE SUL COINVOLGIMENTO DELLE SCUOLE
Domande riguardante l’ambito scolastico e l’istituenda ‘Giornata’. Se la nuova legge fosse approvata, secondo voi i dirigenti scolastici sia della scuola pubblica statale che di quella pubblica paritaria – sempre che quest’ultima non venga assassinata prima – potrebbero de facto ignorare l’invito a festeggiare la Giornata con incontri particolari a beneficio di una larga popolazione studentesca? Potrebbero de facto gli stessi rispondere di no, per motivi educativi, a richieste provenienti da gruppi di docenti o di alunni (la nota lobby è rampante e ruspante), da amministrazioni regionali o comunali, da associazioni del ramo? Tipo ad esempio il noto circolo romano intitolato a Mario Mieli (1952-1983), l’ “intellettuale” che in “Elementi di critica omosessuale” (Einaudi, 1977) scriveva tra l’altro: “Noi, sì, possiamo amare i bambini, possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di eros (…) possiamo fare l’amore con loro”. Concreto il rischio che agli alunni vengano illustrate anche le tecniche migliori perché l’uno si accomodi nell’altro.
A tali richieste di disponibilità a collaborare certo dirigenti e docenti potrebbero rispondere di no. Ma quali le conseguenze? Le cronache degli ultimi anni e presenti insegnano: tensione alimentata ad arte dentro la scuola, attacchi giornalistici fomentati dalla nota lobby, pressioni dall’alto, conseguenze sul futuro professionale, emarginazione personale.
DA GUIDO BARILLA AI ‘MORETTI’ DELLA MIGROS: UNA CATENA DI FOLLIE
Questi sono tempi cupi per la libertà di pensiero. E la situazione peggiora sempre più. Ricordate l’umiliante autodafè cui fu costretto anni fa Guido Barilla? Al suo sono seguiti molti casi, in tutto il mondo. Con autodafè pubblici, la nuova gogna. Ora si è giunti all’imbrattamento o alla barbara decapitazione delle statue di ‘razzisti’, addirittura la catena di supermercati svizzera Migros ha messo al bando gli innocenti ‘moretti’ (dolcetti con panna, rivestiti di cioccolato), di cui eravamo ghiotti negli anni giovanili di Giubiasco. O Migros, come sei caduta in basso! Guai poi a chi si professa pubblicamente cattolico (cattolico, non cattofluido!), a chi si muove pubblicamente nel solco della dottrina sociale della Chiesa. E l’Everest di insulti per chi mostra i rosari e si richiama alla protezione di Maria?
Allora: questo passa oggi il convento laicista, la succursale giacobina sempre più à la Robespierre. Qualsiasi scuola (anche una scuola paritaria cattolica) potrebbe de facto essere invitata (ovvero costretta) a promuovere la ‘Giornata nazionale ecc…’. Con tanti saluti al defunto pluralismo educativo e di pensiero.
Quanto all’articolo 7 - quello riguardante l’allargamento normativo dell’attività dell’Unar – avrete notato come la prospettata strategia triennale anti-omofobia ecc… contempli l’individuazione di “misure relative all’educazione e all’istruzione”. E qui vale il discorso di cui sopra.
E ADESSO, SIGNORI DEPUTATI?
Ci chiediamo: ci sarà qualche deputato che evidenzierà in Commissione o in Aula la gravità delle conseguenze per il pluralismo educativo e per la libertà di pensiero dell’approvazione (anche) dell’articolo 6 e dell’articolo 7 del testo unificato anticipato anticipato da L’Espresso? Ci sarà qualcuno che si renderà conto che l’istituzione di una ‘Giornata nazionale ecc…’ equivale a legittimare un’azione di propaganda nazionale della nota lobby nelle scuole? Ci sarà qualche padre o qualche madre che si chiederà quali riflessi si potranno determinare in conseguenza di ciò sul comportamento del proprio figlio, della propria figlia?
Da ultimo: valorizzare le istanze della nota lobby significa anche a medio-lungo termine privare lo Stato del suo futuro. Che è garantito in primo luogo dalla famiglia con padre e madre, la sola che è in grado di procreare e anche di ‘trasmettere’ la memoria ovvero la storia della famiglia stessa e dunque del Paese Italia. Ci pensino i signori deputati.
SCUOLE/GIORNATA CONTRO L’OMOFOBIA? COME TI EDUCO IL PUPO - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 20 giugno 2020
La Chiesa apre alla Lega: trema l'alleanza tra il governo e i vescovi
Dallo scontro sul no alle messe alla bocciatura del ddl sull'omotransfobia: sempre più vescovi italiani guardano con interesse alla Lega. E Salvini vede i porporati: "Incontri riservati, cordiali e costruttivi"
"Da lombardo non riesco a descrive l'emozione nel vedere la delegazione dei rappresentanti delle istituzioni, dei medici, infermieri e volontari in udienza dal Santo Padre, è stato come se fossero lì i miei genitori e i miei figli a ricevere l'abbraccio del Papa".
Dallo scontro sul no alle messe alla bocciatura del ddl sull'omotransfobia: sempre più vescovi italiani guardano con interesse alla Lega. E Salvini vede i porporati: "Incontri riservati, cordiali e costruttivi"
"Da lombardo non riesco a descrive l'emozione nel vedere la delegazione dei rappresentanti delle istituzioni, dei medici, infermieri e volontari in udienza dal Santo Padre, è stato come se fossero lì i miei genitori e i miei figli a ricevere l'abbraccio del Papa".
Lo ha detto Matteo Salvini dopo l’incontro tra il pontefice e i camici bianchi lombardi, che in questi mesi hanno combattuto il Covid in prima linea negli ospedali della regione più colpita dal virus.
Mentre la sinistra manifestava in Piazza Duomo a Milano, per chiedere il commissariamento della Regione Lombardia per la gestione dell’emergenza sanitaria, sabato la delegazione guidata dal governatore Attilio Fontana varcava i cancelli di Porta Sant’Anna per essere ricevuta in Vaticano. Con medici e infermieri c’erano anche i vescovi delle diocesi che più hanno sofferto: Bergamo, Brescia, Cremona, Crema, Lodi.
Da Francesco è arrivato un abbraccio caloroso. "Siete le colonne portanti del Paese", ha detto a chi negli ultimi quattro mesi ha combattuto senza sosta per arginare gli effetti disastrosi della pandemia. Un incontro importante che si è concluso con l’invito al Papa in Lombardia, per portare conforto alle tante famiglie distrutte dalla tragedia del Covid.
Tra gli effetti dell'emergenza sanitaria c'è anche quello di aver rinsaldato i legami tra i vertici della Lega e il Vaticano. Soprattutto nelle ore più drammatiche, si apprende da fonti del Carroccio, "Salvini è stato in costante contatto con sacerdoti e vescovi, esprimendo il proprio ringraziamento per l’aiuto e l’impegno in prima linea offerto dai religiosi, in particolare negli ospedali". Contatti seguiti da incontri "cordiali, costruttivi e riservati", intercorsi in queste settimane con cardinali e vescovi, italiani e stranieri.
Non è un mistero che alle ultime elezioni il suo partito abbia fatto il pieno di consensi tra i cattolici praticanti, nonostante i numerosi attacchi da parte del mondo ecclesiastico, soprattutto sul tema dell’accoglienza. Ora però qualcosa sembra essere cambiato. Gli attriti con il governo Conte da una parte, e le politiche messe in campo dal Carroccio in materia di famiglia, natalità, disabilità e libertà civili, dall'altra, sembrano attirare anche chi prima guardava alla Lega con diffidenza.
Prova ne è il comunicato con cui la Cei ha bocciato i ddl sull’omotransfobia proposti da diversi esponenti della maggioranza e che il governo vorrebbe votare già a luglio. Una legge inutile secondo i vescovi italiani, che rischia di "aprire a derive liberticide". Osservazioni che ricalcano quelle dei parlamentari leghisti che si oppongono con forza al provvedimento. Per Simone Pillon, senatore della Lega, l’inizio della fine dell’idillio tra i vescovi e Conte è stato il manifesto del "nuovo umanesimo" scelto dal premier come stella polare del suo secondo mandato.
"Si tratta di un nuovo umanesimo anti-cristiano, fondato su basi laiciste, che ha portato ad una serie di azioni politiche discutibili: dal no alle messe all’aver affamato le scuole cattoliche paritarie durante la pandemia, minando il principio della libertà di educazione, uno dei punti fondamentali della dottrina cristiana", ci spiega al telefono. "Poi – va avanti – c'è la proposta dei cento parlamentari che hanno chiesto la legalizzazione delle droghe, la legge sull'omofobia". Iniziative che avrebbero irritato i vescovi italiani.
Così ora il nome di Matteo Salvini, nei Sacri Palazzi, non sarebbe più un tabù. "I suoi gesti sono stati compresi – assicura Pillon – e soprattutto su certi temi ormai è chiaro che la Lega, a differenza di altri, c’è". Anche la questione immigrazione non sarebbe più un ostacolo al dialogo. "Le nostre posizioni sono condivise da tanti presuli", assicura Pillon. Cita l’appello dei vescovi africani al Sinodo di Bari: "Ci chiedono di aiutarli a tenere lì i giovani e le famiglie". "Con l’immigrazione selvaggia in Africa si stanno spopolando interi villaggi e l’economia locale è al collasso", continua.
"Il loro discorso – assicura – ha segnato il discernimento di molti colleghi europei". Gli stessi che ora guarderebbero con più fiducia al partito.
Alessandra Benignetti
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