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lunedì 15 giugno 2020

La “deconfessionalizzazione”

Il sinodo di Germania ha almeno tre antefatti. Tutti finiti con uno scisma



Il “Synodale Weg” in corso in Germania si rivela ogni giorno di più come un rischio serio per il “cammino” della Chiesa cattolica non solo tedesca ma universale.


Per rendersene conto, basta sfogliare i documenti che finora ha prodotto:
Come anche registrare le preoccupazioni che ha ingenerato in un papa pur filogermanico come Francesco:
Su Settimo Cielo, il professor Pietro De Marco ha criticato a fondo, a più riprese, le impostazioni teologiche ed ecclesiologhe dell’assise:
Ma anche un’analisi di carattere storico può essere illuminante. Ed è quella che tratteggia qui di seguito Roberto Pertici, docente di storia contemporanea all'università di Bergamo e specialista dei rapporti tra Stato e Chiesa.
L’agenda e gli obiettivi dell’odierno sinodo di Germania, infatti, hanno somiglianze impressionanti con le istanze riformatrici di tre correnti del cattolicesimo tedesco dell’Ottocento, tutte e tre poi sfociate in uno scisma.
Con una differenza, però, che Pertici fa notare. Mentre quelle tre correnti trovarono solo un minimo appoggio in rari e isolati esponenti dell’episcopato tedesco, oggi è la quasi totalità dei vescovi di Germania che si è schierata a sostegno delle spericolate riforme sinodali.
E ad accomunarli è il proposito di portare la Chiesa cattolica a un distacco dalla sua “romanità”, con un processo di “deconfessionalizzazione” già ampiamente compiuto dai protestanti, come lo stesso Pertici argomentò in un suo intervento su Settimo Cielo di due anni fa:

> La riforma di Bergoglio l'ha già scritta Martin Lutero
Con puntuale coincidenza, la scorsa domenica di Pentecoste 30 teologi cattolici e protestanti tedeschi – con loro portavoce Johanna Rahner – hanno sottoscritto un appello per la revoca sia della scomunica cattolica a Lutero, sia della designazione luterana del papa come “Anticristo”:
Buona lettura!
*
La Chiesa tedesca fra “richiamo nazionale” e primato romano
di Roberto Pertici
Gli interventi di Sandro Magister e di Pietro De Marco sul “Synodale Weg” in corso in Germania e sulla possibile deriva scismatica della Chiesa tedesca sono di grande interesse per chi cerchi di comprendere il rapporto fra la Chiesa cattolica e la società contemporanea.
Eppure lo storico, anche il non specialista della intricatissima storia religiosa della Germania, ha l’impressione di un “déjà-vu”. Sia pure con contenuti parzialmente nuovi, imposti dallo sviluppo socio-culturale degli ultimi cinquant’anni, siamo di fronte all’ennesimo tentativo di figure e ambienti – oggi, sembra, maggioritari – del cattolicesimo tedesco di costituire una sorta di Chiesa nazionale, con lo scopo di ricomporre sul medio-lungo periodo l’unità religiosa della Germania e di ricomporla con una sostanziale protestantizzazione della propria teologia, liturgia e struttura interna.
Se non si ha presente questa aspirazione – altri direbbe questa tentazione – nazionale, si rischia di ridurre tutto a una deriva teologica, a una lotta fra ortodossia ed eterodossia, a un conflitto intra-ecclesiale: cose tutte che ci sono, ma che forse non bastano a spiegare compiutamente il fenomeno che abbiamo sotto gli occhi.
Il cattolicesimo tedesco ha spesso oscillato fra questo “richiamo nazionale” (in pratica un’attrazione, magari non confessata, verso il protestantesimo, con cui – non bisogna dimenticarlo – vive in simbiosi) e il riconoscimento del primato romano: oscillazione resa ancor più dolorosa e drammatica dal fatto che da Lutero e da Ulrich von Hutten in poi, l’identità germanica si è costituita proprio in opposizione alla “Babilonia” romana. Si può essere contemporaneamente “buoni tedeschi” e cattolici, cioè obbedienti a un potere lontano e odiato da tanti connazionali? Questo interrogativo si è snodato nei secoli della storia tedesca, fino al Kulturkampf di Bismarck e alla politica religiosa del Terzo Reich.
Nei primi anni dell’Ottocento, la figura più eminente di tale “richiamo nazionale” e della proposta teologico-educativa che gli era sottesa fu Heinrich Ignaz von Wessenberg (1774-1860), vicario generale e amministratore vescovile della diocesi di Costanza, che propose e difese il suo programma di una Chiesa nazionale tedesca nientemeno che al congresso di Vienna. Egli aveva alle spalle le classiche tesi anti-romane della tradizione “febroniana” (riduzione delle prerogative papali a un semplice primato di onore e non di giurisdizione; maggior rilievo dato al corpo episcopale; supremazia del concilio sul papa; buon diritto delle prerogative statali contro le ingerenze della sede papale) e la polemica dell’illuminismo cattolico contro la mania dei pellegrinaggi, il culto delle reliquie, l’autoritarismo delle strutture ecclesiastiche.
Franz Schnabel, il grande storico della Germania ottocentesca, sintetizza così le idee religiose di Wessenberg: sostituzione della scienza razionalistica a quella scolastica; istituzione di parlamenti ecclesiastici nelle diocesi; formazione del clero secondo la scienza più moderna; messa in discussione del celibato ecclesiastico; riforma della vita liturgica, facendo della predicazione “la parte più importante della cura d’anime”; introduzione della messa in tedesco e germanizzazione del breviario, del canto e del libro di devozione; ostilità verso pellegrinaggi e ordini mendicanti; riforma dell’architettura ecclesiastica secondo l’uso protestante o puritano, austera e grigia quanto possibile (per l’altare maggiore non si ammetteva che Cristo, si evitavano le immagini dei santi, eccettuati i patroni delle chiese, i quali però dovevano esser collocati solo negli altari laterali “finché questi rimanevano”). Una sua ordinanza sui matrimoni permetteva la benedizione dei matrimoni interconfessionali, a condizione che i figli maschi seguissero la confessione del padre e le figlie quella della madre.
Senza operare dei cortocircuiti storici, non si avverte una qualche aria di famiglia rispetto alle tesi dell’attuale “Synodale Weg”?
Un altro clamoroso esempio del “richiamo nazionale” fu lo scisma del prete slesiano Joahannes Ronge a metà degli anni Quaranta dell’Ottocento, quando tre decenni erano passati dal congresso di Vienna, decenni in cui la coscienza nazionale tedesca si era enormemente sviluppata e sovreccitata, mentre l’ultramontanismo aveva dominato la politica papale.
Anche Ronge aveva alle spalle la tradizione “febroniana”, ancora viva in Slesia. Nell’ottobre del 1844, scrisse una lettera aperta al vescovo di Treviri Arnoldi per denunciare l’ostensione da lui decisa di una celebre reliquia, la “Tunica di Cristo”, a cui erano accorsi mezzo milione di pellegrini. Ronge accusava Arnoldi di manipolare coscientemente lo sprovveduto fedele cattolico attraverso una “messa in scena non cristiana”, atta a impinguare le casse ecclesiastiche e a promuovere la “schiavitù materiale e spirituale della Germania” a Roma. Il prete slesiano si rivolgeva a due pubblici diversi, fornendo a ciascuno uno specifico obiettivo: invitava i razionalisti presenti nel clero cattolico a opporsi al conformismo teologico e i “compatrioti tedeschi sia cattolici che protestanti” a superare la divisione confessionale della Germania. In seguito alla scomunica, nel dicembre del 1844, annunciò la fondazione di una “Chiesa generale tedesca” separata (si veda in proposito: Todd H. Weir, “Secularism and Religion in Nineteenth-Century Germany: The Rise of the Fourth Confession”, Cambridge University Press, 2014).
Come molti seguaci di Wessenberg dopo il 1830, anche Ronge andò radicalizzando le sue posizioni politiche e religiose: partecipò alle vicende del parlamento di Francoforte nel 1848-49, poi andò esule in Gran Bretagna, dove divenne un campione del “secularism” e del libero pensiero.
Uno scisma di professori e di intellettuali – anche se non mancò l’adesione di un illustre prelato e storico come Ignaz von Döllinger – fu poi quello degli Altkatholiken, i vetero-cattolici, nel 1871, in opposizione alla proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia votato dal concilio Vaticano I il 18 luglio 1870. Secondo uno dei loro capi, il grande canonista Johann Friedrich von Schulte, quel dogma mutava la natura della Chiesa e la sua costituzione apostolica e costituiva una minaccia per gli Stati, perché avrebbe dato alla Santa Sede enormi possibilità di intervento nella loro vita interna, esigendo la cieca obbedienza di episcopato, clero e fedeli. Questo pericolo si profilava particolarmente per il nuovo Impero germanico fondato il 18 gennaio 1871, in cui esisteva una forte presenza cattolica, particolarmente influente in alcuni Stati, e un nuovo partito cattolico, il Zentrum, che rischiava di diventare la “longa manus” del Vaticano nella politica tedesca.
Preoccupazioni dogmatiche e religiose, quindi, e preoccupazioni nazionali e anti-romane convivevano in Schulte e negli Altkatholiken, nell’illusione di trovare un appoggio nell’episcopato tedesco, che invece – eccetto rarissime eccezioni – aderì alla maggioranza infallibilista. Allora gli Altkatholiken cercarono un interlocutore nei vertici del nuovo Reich, in particolare nel principe di Bismarck, ed è noto che questa alleanza fu poi una delle basi del successivo Kulturkampf.
Questi tre tentativi incontrarono la ferma condanna della Santa Sede, con processi canonici e scomuniche, ed ebbero scarso seguito nel clero e nel laicato, anche se la setta di Ronge, quella dei Deutschkatholiken, sopravvisse diversi decenni e la Chiesa vetero-cattolica esiste ancora oggi. Senza – lo ripeto – esagerare nei paralleli storici, sembra invece che il “cammino sinodale” oggi intrapreso (che certamente avrebbe stupito per la sua radicalità Wessenberg e forse anche il primo Ronge e Döllinger) abbia conquistato la gerarchia di Germania nella sua quasi totalità.
Credo che la filosofia di fondo dell’odierno “Synodale Weg” sia stata indicata anni fa da un eminente uomo di Chiesa tedesco come il cardinale Walter Kasper. Mi è già capitato di segnalare ai lettori di Settimo Cielo una sua conferenza su Lutero tenuta il 18 gennaio 2016 (W. Kasper, “Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica”, Brescia, Queriniana, 2016) e la proposta ivi contenuta di una “deconfessionalizzazione” sia delle confessioni protestanti sia della Chiesa cattolica: una specie di ritorno allo “status quo ante” il divampare dei conflitti religiosi del Cinquecento. Siccome una tale “deconfessionalizzazione” si è già ampiamente svolta in campo luterano, è al mondo cattolico che toccherebbe procedere con maggiore coraggio in questa direzione: Kasper parla di una “riscoperta della cattolicità originaria, non ristretta a un punto di vista confessionale”. È chiaro che le proposte di Kasper sono rivolte alla Chiesa universale, ma sono altrettanto evidenti le loro radici tedesche.
Il “cammino sinodale” che la gerarchia cattolica tedesca si propone è appunto in vista di questa “deconfessionalizzazione” e quindi anche di un incontro con le altre componenti del cristianesimo germanico. Esso ha senz’altro alle spalle i percorsi teologici nitidamente indicati da Pietro De Marco, ma sembra piuttosto un classico processo storico “per esaurimento”. L’impressione è che le ragioni e i motivi classici della teologia e dell’ecclesiologia cattolica che De Marco richiama non interessino più veramente nessuno nella maggioranza della gerarchia e del mondo cattolico tedesco, che ormai ha un approccio più “politico” – come anche De Marco avverte – che “teologico” alle questioni fondamentali, in linea, d’altronde, con la sempre maggiore centralità della politica nel discorso cattolico. Se il “cammino sinodale” andrà avanti e si compirà, cosa mancherà veramente per ricomporre l’unità religiosa della Germania, almeno nella vita dei fedeli rimasti?
E Roma? “L’intendance suivra!”. Ho l’impressione che questo pensino i vescovi tedeschi: che anche Roma, con le sue salmerie, prima o poi andrà loro dietro.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 15 giu

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