ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 4 giugno 2020

Piace alla gente che piace!

Cina-Vaticano, si procede per il rinnovo del "patto segreto"

Il Papa è sempre più convinto della bontà del "patto segreto" con la Cina. L'ipotesi è che l'accordo venga rinnovato. Sullo sfondo, però, dimora il complesso sistema geopolitico. Quello per cui gli Stati Uniti vorrebbero una scelta di campo da parte del Vaticano

Papa Francesco non ha intenzione di rivedere la posizione del Vaticano sulla Cina. La Santa Sede ed il "dragone" hanno stipulato un accordo provvisorio nel settembre del 2018.
Un'intesa che non piace ai sovranisti ma che sancisce la formalizzazione di un riconoscimento: il Papa ora è Papa anche per Pechino.
Un elemento, questo della legittimazione come autorità spirituale del pontefice universale, che contribuisce a chiarire la portata del patto, che è "segreto" nella misura in cui non è mai stato pubblicato. Non è possibile indagare con esattezza i contenuti di un accordo che avrebbe avuto bisogno di ventiquattro mesi per essere verificato dalle parti. Un pezzo di strada è stato fatto, ma l'ultima parte del percorso è stato interessato dall'avvento della pandemia, che non ha consentito al Vaticano ed alla Cina di procedere secondo i piani.
Alcune cose sono successe: il Papa ha invitato a Roma alcuni vescovi cinesi; il Papa ha creato nuovi vescovi e nuove diocesi; il Papa ha iniziato a parlare dell'eventualità di un viaggio in Cina; sempre Bergoglio ha ringraziato le autorità cinesi per l'impegno messo in campo per contrastare la diffusione del Covid-19. Non si tratta di banali indizi, ma di fatti in grado di raccontare meglio cos'è stato deciso per mezzo dell'"accordo provvisorio". Con ogni probabilità, nel documento c'è scritto nero su bianco che il Papa ha la facoltà di nominare presuli, per esempio. Prima di settembre 2018 non era possibile affermare lo stesso. Ma ora qual è la situazione? L'indiscrezione lanciata oggi su Il Corriere della Sera da Massimo Franco racconta di come "dragone" e Santa Sede vogliano concedersi altro tempo per fare ogni valutazione. Il SarsCov2 ha fatto da barriera naturale al naturale svolgimento degli affari diplomatici. E settembre non è più il mese buono per constatare come sia andata.
Il fronte conservatore e tradizionale contrinua a sbracciarsi, segnalando la pericolosità del quadro. Chi si oppone all'accordo sostiene che la Chiesa cattolica non debba assecondare le velleità cinesi, puntanto piuttosto all'accettazione della sofferenza, per poi esercitare, semmai dovesse essere, un ruolo nella ricostruzione post-comunista. Il principale teorico di questa linea è il cardinale Joseph Zen, ex arcivescovo di Hong Kong che, differentemente da quanto scelto dalla Santa Sede, si è schierato dalla parte delle proteste dei giovani anche sulla Rai: "Noi anziani siamo contro la violenza, ma i giovani sono pronti a morire", ha dichiarato il cardinale, che è entrato in polemica con la Segreteria di Stato per via delle diverse idee sull'"accordo provvisorio".
Il "patto segreto" non è rilevante solo in termini di comunanza spirituale con la comunità cattolica cinese, che per qualcuno adesso può essere definita "pacificata" e che per altri invece subisce le conseguenze di un accordo che avrebbe acuito le sofferenze, ma è importante anche sul piano geopolitico. In più circostanze, ci siamo occupati dell'insorgenza di una "nuova guerra fredda". Donald Trump, in quanto leader della "potenza dominante", e Xi Jinping, in quanto vertice della "potenza emergente", hanno già avuto modo di confrontarsi sul piano economico, che è poi il terreno su cui si gioca la partita principale della nostra epoca. Ma ora la polarizzazione tra i due colossi potrebbe divenire sempre più tangibile. Cosa farà la Chiesa cattolica?
Papa Francesco, come il segretario di Stato Pietro Parolin del resto, è un teorico del multilateralismo diplomatico. La sensazione è che l'Ecclesia non voglia gettare alle ortiche quanto costruito nel corso di questi quasi due anni. Un "vezzo occidentalista", insomma, non verrà assecondato. Ecco perché il rinnovo dell'"accordo provvisorio" è lo scenario più probabile. E gli Stati Uniti? Secondo più di qualche retroscena, l'ultima visita di Mike Pompeo in Vaticano è servita pure a domandare del posizionamento della Santa Sede.
In un eventuale quadro dicotomico tra Oriente ed Occidente, quale sarà l'opzione preferita del Vaticano? Una domanda cui il multilateralismo - come fatto notare dallo stesso Franco - non può rispondere in maniera diretta. Poi a novembre si terranno le elezioni presidenziali: se a vincere dovesse essere Joe Biden, il discorso si semplificherebbe. Forse in Vaticano qualcuno ci spera.
Cronache dal paradiso cinese


È una storia di “ordinaria persecuzione” (da parte della Cina comunista) e di “straordinaria fede”, quella vissuta da Rose Hu, testimone e protagonista a un tempo, quale è dato leggere nel suo libro stampato in cinese, poi in lingua inglese, francese, ora tradotto in italiano e pubblicato da Edizioni Piane (pagine 247, euro 25,00) con l’emblematico titolo La gioia nella sofferenza, sottotitolo Con Cristo nelle prigioni della Cina.

La prima osservazione è il modo, lo stile, della narrazione di una vicenda durissima, vissuta sulla propria carne, scorrevole, senza ricorrere a forti tinte, a espressioni retoriche, ma indicativa, nella sua semplicità narrativa, appunto, di una realtà forse da tanti (anche in campo cattolico) dimenticata o addirittura ignorata, perché fra accordi segreti (Vaticano-governo della Cina comunista) e dichiarazioni al limite della follia, secondo le quali nella Cina attuale la dottrina sociale della Chiesa troverebbe la sua ideale applicazione (!), il sacrificio, la testimonianza quotidiani di tantissimi fedeli sembrano infastidire certi occupanti dei “sacri palazzi” romani.

E quindi aggiungiamo subito un’altra osservazione: nel racconto di Rose Hu ricorrono due espressioni che un tempo appartenevano al vocabolario, per così’ dire, della Chiesa: “portare ognuno la propria la croce, nella sequela del Cristo”, e “non si possono servire due padroni”.

Ecco, queste affermazioni della protagonista non possono non restare impresse nel lettore attento, e beninteso, di fede, ancorché piccola, minima, non certo paragonabile alla sua fede, di Rose, che era certamente grande, tale da farle sopportare, per amor di Dio, tante sofferenze.

Nata nel 1933 a Shanghai ultima di una famiglia (pagana) di cinque figli e tre figlie, venne battezzata nel 1949, unendosi subito al movimento spirituale Legione di Maria. Compiuti gli studi superiori, si iscrisse all’università per laurearsi in chimica.

Fu arrestata l’8 settembre nel 1955 e imprigionata fino al 1957 nella sua città; successivamente, di nuovo, dal 1958 al 1962 nel laogai del Lago Bianco; infine, fino al 1982, in quello di Danghsand. Le esperienze vissute, dalla cella di isolamento alla risaia, dal lavoro nei frutteti all’infermeria dove curava detenuti come lei con una dedizione straordinaria, furono caratterizzate da alcuni elementi, per così dire, costanti, quali i tentativi di indottrinamento comunista, lo scarso e pessimo cibo fornito dai suoi carcerieri, le condizioni di vita, dal clima (da meno 35 gradi d’inverno, si passava ai più 50 d’estate) ai giacigli per il riposo notturno: sul nudo pavimento.

Complessivamente, ventisei furono gli anni trascorsi fra prigione e campo di lavoro, dove, fra l’altro, ovviamente, ebbe occasione di incontrare persone diversissime, non escluse ex suore diventate magari spie, sacerdoti, religiosi (oh, certi gesuiti esemplari!), stranieri e indigeni, animati da grande fede, che sapevano, con la parola e con l’esempio, trasmettere forza e speranza ai non pochi cattolici vittime del regime.

La testimonianza di Rose non ebbe mai incertezze, tentennamenti, e lo si constata fin dall’inizio del libro, leggendo, per esempio, “La natura umana ha la tendenza ad evitare la sofferenza. Nessuno ama lasciare la sua famiglia per andare in prigione. Tuttavia, questa situazione era ormai la mia e non potevo che scegliere se essere una martire o una traditrice; se non fossi stata una martire, sarei stata certamente un Giuda”.

Una determinazione nella scelta che non sarebbe mai venuta meno, come si diceva, in quei ventisei anni nei quali vennero esercitate su di lei tante pressioni per farla abiurare quella fede che l’avrebbe peraltro sorretta nell’avversità e resa pure serena.

Il fatto si è che Rose aveva capito tutto del cristianesimo, e che una volta abbracciata questa religione aveva abbracciato la croce che può comportare restando fedeli, sempre, comunque, dovunque, fino, se necessario, “ad effusionem sanguinis”…

Scorrendo le pagine di questo libro, si apre peraltro al lettore occidentale uno squarcio ampio sulla realtà della Cina comunista e di quei cattolici che non scesero mai a compromessi col regime, venendo perciò perseguitati. Al contrario di quel che succede spesso in Occidente, lì, il loro linguaggio era quello del sì-sì, no-no. Estraneo era loro quella sorta di “sì, ma anche”, “sì, però”, diventati da noi di uso (quasi) comune…

Scontata la pena, Rose visse qualche tempo a Shanghai, quindi, nel 1989 emigrò col marito architetto negli Stati Uniti, dove peraltro dovevano attenderla due situazioni particolari, constatate con sorpresa e disappunto: da un lato, una libertà sconosciuta in Cina, certo, ma anche un diverso materialismo (e nel libro lo avverte chiaramente), poi una chiesa “diversa” da quella conosciuta nella sua giovinezza in patria, con una liturgia che stentava ad accettare, e che non accettò, entrando (2001) in rapporti con la Fraternità Sacerdotale San Pio X. Nel 2003 fece addirittura la professione nel Terz’Ordine della Fraternità.

In quegli anni insegnò chimica e inglese, poi, ecco insorgere un tumore che, dopo una lunga dolorosa agonia, la portò a morte. Il trapasso avvenne il 13 ottobre 2012, anniversario di un’apparizione della Madonna a Fatima.Sino alla fine aveva offerto le sofferenze al Signore, consapevole del significato della sua offerta. Una vita e una morte, insomma, da vera cristiana.

Giovanni Lugaresi
Giugno 3, 2020

https://www.ricognizioni.it/cronache-dal-paradiso-cinese/

HK ATTENDE L’ARCIVESCOVO. SI TEME L’INTERFERENZA DI PECHINO.

4 Giugno 2020 Pubblicato da  1 Commento --

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, il M° Aurelio Porfiri ci offre un’intervista con un esponente del movimento democratico di Hong Kong, l’avvocato Duncan Ho, in relazione soprattutto alla nomina del nuovo arcivescovo di Hong Kong. In calce troverete anche l’annuncio di un evento per questa sera. Buona lettura.

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“Abbiamo paura di interferenze per la nomina del nuovo vescovo di Hong Kong”. 
Un’intervista con Duncan Ho
Duncan Ho è un avvocato e membro del Progressive Lawyers Movement di Hong Kong. È anche un membro attivo della locale comunità cattolica.
Come giudica l’atteggiamento della Chiesa di Hong Kong verso il movimento democratico?
Se parli del movimento contro la legge di estradizione del giugno dello scorso anno, la Chiesa cattolica di Hong Kong è stata generalmente al fianco della gente. Prima che sorgessero gravi conflitti, la diocesi aveva già chiesto al governo di ascoltare le preoccupazioni della gente e di non proseguire con il disegno di legge. Dopo che la polizia ha usato la mano forte per reprimere le proteste, la diocesi ha rilasciato una serie di dichiarazioni in cui esortava il governo a istituire una commissione d’inchiesta indipendente sul grave conflitto. Al culmine di gravi conflitti tra la polizia e i manifestanti, il vescovo ausiliare Joseph Ha è andato in prima linea per cercare di agire come un conciliatore e cercare una soluzione pacifica delle situazioni. Pertanto, sebbene alcuni ecclesiastici abbiano opinioni diverse, la diocesi e i vescovi hanno espresso le loro opinioni per il popolo e si sono affiancati accanto a noi”.
Come i cattolici di Hong Kong vivono il fatto di non avere un vescovo titolare dal gennaio 2019?
Tutti i cattolici di Hong Kong amerebbero avere un Vescovo titolare il più presto possibile. Tuttavia, cosa ancora più importante, vogliamo anche avere il pastore giusto per guidarci, soprattutto in questo periodo, il più buio da decenni per Hong Kong. Poiché Hong Kong è già una diocesi completamente sviluppata e non un’amministrazione apostolica, molti di noi sono già a disagio per la decisione di nominare un amministratore apostolico invece di consentire al collegio dei consulenti di eleggere un amministratore diocesano in conformità con il canone 421. Siamo per la maggior parte preoccupati, se tale decisione e l’attuale ampio ritardo nella nomina del vescovo titolare siano il risultato di interferenze politiche da parte del governo di Pechino nel prevenire l’elezione del vescovo ausiliare Joseph Ha, che crediamo sia un buon pastore e il candidato naturale. La maggior parte di noi delle nuove generazioni, ben sapendo della repressione della Chiesa cattolica nella Cina continentale da parte del governo di Pechino, temiamo che la libertà religiosa di Hong Kong sia già stata erosa”.
Quali sono i segni che la libertà della Chiesa cattolica è stata erosa?
Se stai parlando di Hong Kong, non ci sono segnali chiari come quelli nella Cina continentale. Ma come ho detto sopra, la nomina di un amministratore apostolico invece di consentire l’elezione di un amministratore diocesano in contraddizione con il Codice Canonico e il vasto ritardo nella nomina del vescovo titolare causano preoccupazioni e speculazioni tra i laici.
Una volta la polizia è qnche entrata nei locali di una Chiesa cattolica per cercare e arrestare presunti manifestanti senza mandato o consenso della Chiesa. Sebbene il governo e la polizia si siano scusati per aver sparato con un cannone ad acqua al cancello e alle scale di una moschea in un altro incidente durante le proteste, la polizia ha insistito sul fatto che avevano il diritto di entrare nei locali della Chiesa per effettuare l’arresto. Apparentemente non vi era alcun pericolo immediato che richiedesse l’ingresso della polizia in quella occasione. È allarmante che la polizia e il governo non dimostrino il dovuto rispetto per la Chiesa e la libertà religiosa che dovrebbero essere protette dalla legge.
Il governo cinese ha recentemente deciso di imporre una nuova legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong senza passare attraverso la legislatura locale. Ciò è in chiara contraddizione con il principio di ‘One Country Two Systems’ sancito dalla Legge fondamentale che è la mini costituzione di Hong Kong. Se questa nuova legge sulla sicurezza sia soggetta alla protezione dei diritti umani e della libertà religiosa garantita dalla legge fondamentale è altamente dubbio. Questa nuova legge sulla sicurezza criminalizzerà le attività e gli atti tra cui secessione, sovversione, terrorismo e interferenze con gli affari interni di Hong Kong da parte di forze straniere o esterne. Ciò è molto preoccupante poiché la nomina del vescovo di Hong Kong da parte del Santo Padre e qualsiasi direzione impartita alla Chiesa cattolica di Hong Kong può essere facilmente considerata come forze esterne o straniere che interferiscono con gli affari interni di Hong Kong. La Chiesa cattolica di Hong Kong potrebbe presto affrontare simili controlli e supervisioni delle autorità cinesi come la Chiesa cattolica nel continente”.
Ultima domanda. Sappiamo come il Vescovo emerito di Hong Kong, Cardinale Joseph Zen, sia molto deciso nell’attaccare il governo e nel difendere le libertà democratiche di Hong Kong. Qual è l’opinine su di lui dei giovani cattolici di Hong Kong?
Credo che la maggior parte dei giovani cattolici lo considerino un pastore saggio, coraggioso e premuroso e un combattente per i diritti umani. Ha una vasta esperienza personale sulle azioni malvagie commesse dal passato e dal presente del Partito Comunista Cinese. Nonostante l’età avanzata, è ancora disposto a lottare per la democrazia per Hong Kong e per i diritti umani e la libertà religiosa nel continente. A parte questo, chiunque lo conosca di persona sa che è un anziano molto gentile e amorevole. Possiamo dire quanto amore ha per il suo popolo e il Paese e anche ammirare il suo coraggio e determinazione nel proteggere e sostenere i nostri diritti fondamentali, la libertà e la dignità“.

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https://www.marcotosatti.com/2020/06/04/hk-attende-larcivescovo-si-teme-linterferenza-di-pechino/







Cina, Bergoglio e Merkel alleati di Xi: il virus avvicina la Chiesa e Berlino
Le difficoltà che la Cina sta attraversando con la ‘gestione’ dei ragazzi di Hong Kong, non impediscono al Vaticano di continuare un dialogo ben strutturato con Xi Jinping. Anzi, come scrive il Corriere della Sera, la “diplomazia del coronavirus” produce un prolungamento della loro intesa, in scadenza a settembre. Bergoglio e Xi infatti, avrebbero fatto slittare di almeno un anno il termine per ridiscutere il loro accordo biennale e verificarne i contenuti nel 2021. 

L’epidemia esplosa in Cina prima e in Europa poi, ha reso impossibile, si spiega in Vaticano, una serie di incontri preparatori come quelli del 2018. Ma il contenuto di quell’accordo, non è dato conoscerlo: si tratta di un documento definito temporaneo e tenuto segreto per volontà cinese. Le conseguenze dell’accordo, sempre come scrive il Corriere della Sera, si possono intuire e parzialmente notare: è improbabile che ci saranno prese di posizione vaticane sul pugno di ferro di Pechino a Hong Kong, o sulle responsabilità per il ritardo col quale il mondo è stato informato.
Non ci sarà neppure un allineamento vaticano agli Stati Uniti, se progredirà una nuova Guerra fredda tra Usa e Cina. Il che rappresenta la visione globale di Bergoglio che rimane convinto che non si possa prescindere dalla presenza cinese sullo scacchiere mondiale. E il Vaticano non vuole inserire elementi anche minimi che possano compromettere il mantenimento dell’accordo firmato a Pechino il 22 settembre del 2018. Quell’intesa è stata utilizzata per cercare di superare la dicotomia tra la Chiesa cattolica “patriottica”, di fatto controllata dal governo comunista di Pechino, e quella “sotterranea” fedele al Papa e perseguitata per decenni. L’operazione è riuscita nonostante arrivino a intermittenza voci di un giro di vite progressivo contro la libertà religiosa; e di una lobby antivaticana nel Partito comunista cinese, contraria a rapporti più stretti con la Roma papale.
Ma la strategia cinese in Europa comprende anche e soprattutto il rapporto da rafforzare con Berlino:
un impegno per la cooperazione nella battaglia contro il coronavirus e per rilanciare le economie. È questo, secondo i media ufficiali cinesi, l'impegno del presidente cinese Xi Jinping e della cancelliera tedesca Angela Merkel, che hanno ribadito il loro sostegno all'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Ieri, riporta l'agenzia Xinhua, durante un colloquio telefonico Xi si è detto pronto a rafforzare i rapporti con la Germania e l'Unione Europea per "aggiungere certezza nell'attuale mondo di incertezza". La Cina, ha assicurato, continuerà la politica di "apertura" e "creerà un ambiente favorevole per le aziende tedesche" affinché possano aumentare gli investimenti. La Merkel ha confermato che la Germania è pronta a rafforzare i rapporti con la Cina e ha sottolineato come "la solidarietà internazionale e il multilateralismo" siano cruciali nella battaglia globale contro il coronavirus. E' di ieri la notizia del rinvio, a causa della pandemia, del vertice Ue-Cina previsto per settembre a Lipsia.
https://www.affaritaliani.it/esteri/cina-bergoglio-merkel-alleati-di-xi-il-virus-avvicina-la-chiesa-berlino-676500.html?ref=rss

Il Vaticano ha finito per accettare le richieste del regime comunista. "SI ARRENDE ALLA CINA"


“Il 4 giugno 1989 è stato un giorno cruciale per i cinesi, poiché il governo cinese ha massacrato migliaia di dimostranti pro-democrazia nella piazza Tiananmen di Pechino” scrivono Nina Shea e Bob Fu. “Lo stesso giorno, i leader del Partito comunista videro i candidati pro-democrazia in Polonia soppiantare il dominio comunista – con l’indispensabile sostegno di Papa Giovanni Paolo II. Insieme, gli eventi hanno spinto Pechino a rafforzare il controllo sulla religione.Questo accadeva nel 1989, oggi siamo nel 2020 e non c'è più Papa Giovanni Paolo II, e nemmeno Papa Benedetto XVI,abbiamo un Gesuita che è pontefice romano che dovrebbe guidare e custodire il gregge a lui affidato,ma le cose non stanno come dovrebbero stare. 
Mentre a Hong Kong si manifesta per la democrazia, nella Cina continentale il PCC fa chiudere le chiese con la scusa di «prevenire le rivolte».


Passato, presente e futuro della Chiesa Cattolica di Hong Kong. Le decisioni che il Vaticano ha preso hanno grande peso sul destino della protesta.A Hong Kong continuano le manifestazioni, qualcuno ritiene che possano diventare la nuova Tiananmen.
Le autorità costringono le comunità religiose a firmare “accordi di donazione” delle chiese con cui tentano di “legittimare” le acquisizioni forzate, riducono drasticamente il numero delle chiese, per privare i credenti di luoghi in cui pregare, è il metodo più comune che il PCC usa per reprime e cercare di eliminare il cristianesimo. Oltre a demolirli con la violenza, le autorità destinano gli edifici sacri ad altri usi e convertono le chiese in ritrovi per intrattenimenti vari, oppure le occupano “legalmente” attraverso donazioni forzate, trasformando le sale per riunioni religiose in uffici governativi.
La chiesa cattolica del villaggio di Luojiazhuang prima e dopo le modifiche (immagine fornita da un informatore interno)

In aprile l’amministrazione locale ha cambiato idea e ha stabilito di trasformarla in un centro per attività culturali e sportive per gli abitanti del villaggio. Con la speranza di salvare almeno l’edificio, il responsabile della chiesa è stato costretto ad acconsentire.

Poco tempo dopo la chiesa è stata modificata fino a diventare irriconoscibile: le piastrelle smaltate di rosso sul tetto sono state dipinte di grigio e i muri esterni da gialli a bianchi; la finestra ottagonale è stata trasformata in quadrata. Sulle pareti esterne sono stati esposti dei cartelloni con l’elenco dei valori centrali del socialismo e altri slogan politici e sopra l’entrata principale è stata appesa un’insegna con la scritta «Centro per attività culturali e sportive per i residenti del villaggio».

L’altare che si trovava all’interno è stato demolito. Al suo posto sono stati portati tavoli da ping-pong o scacchi cinesi. Sulle pareti interne sono stati appesi dei poster che promuovono i divertimenti tipici cinesi, per esempio la calligrafia e la pittura oppure suonare strumenti e dedicarsi a giochi di tradizione cinese.Una chiesa delle Tre Autonomie del villaggio di Nanjialu, nella contea di Pucheng, è stata trasformata nell’ufficio della commissione del villaggio (immagine fornita da un informatore interno)


Un’altra chiesa delle Tre Autonomie nella stessa contea è stata forzatamente destinata diventare un ufficio per la commissione del villaggio. La croce in cima all’edificio è stata sostituita dalla bandiera nazionale e i caratteri cinesi per “Chiesa cristiana” con uno slogan di propaganda che recita «Il popolo ha fede, il Paese ha potere e la nazione ha speranza».Il governo ha destinato a un uso differente un’altra chiesa delle Tre Autonomie della contea di Pucheng (immagine fornita da un informatore interno)


Il governo ha requisito numerose chiese delle Tre Autonomie anche nella provincia centrale dell’Henan. In maggio, alcuni funzionari della Zona dimostrativa di integrazione urbana-rurale della città di Sanmenxia hanno dato ordine che fossero confiscate e trasferite allo Stato tutte le chiese e le sale per riunioni religiose prive di licenza. Secondo alcuni fedeli del posto, più di una decina di sale per riunioni delle Tre Autonomie sono state “donate” per forza al governo nel solo borgo di Yangdian, nel territorio della Zona.Le chiese vengono costrette a firmare “accordi di donazione” prima che il governo se ne appropri

il vescovo cattolico dopo essersi rifiutato di firmare un “accordo di donazione”, il presule con il clero  delle Tre Autonomie della Zona è stato minacciato dal segretario del villaggio: «Non puoi ragionare con il Partito Comunista! Se non firmerai, la chiesa sarà demolita!».La campagna del PCC per rimuovere la fede cattolica e i simboli religiosi dai luoghi di culto continua senza sosta. I fedeli vengono perseguitati nei luoghi di culto e nelle loro abitazioni, tutto con il consenso del Vaticano. Papa Francesco ha rinunciato al controllo della Chiesa cattolica cinese a favore del Partito comunista cinese (PCC). Sua Santità ha acconsentito a concedere al Partito una considerevole autorità sulle questioni relative alla nomina dei vescovi. Dopo aver rifiutato per decenni di concedere alla Cina il diritto di nominare i vescovi cattolici, come condizione necessaria per normalizzare le relazioni, il Vaticano ha finito per accettare la richiesta del regime di consentire al PCC di avere un ruolo decisivo nella selezione dei vescovi a capo delle diocesi cattoliche.

La concessione del Vaticano è avvenuta nonostante la continua persecuzione in Cina della Chiesa Cattolica non ufficiale, indipendente e clandestina – o sotterranea – da parte del Partito comunista. 

Il fatto che la Chiesa accetti di piegare la propria posizione politica indipendente all’apparato del Partito comunista del regime cinese concede a Pechino la facoltà di nominare dei vescovi che siano politicamente accettabili dal PCC. Nell’accordare alla Cina questo diritto, il Vaticano sta implicitamente legittimando il Partito comunista a infiltrarsi nel Cattolicesimo romano in Cina e a controllarlo attraverso uno strumento del regime qual è l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi (ACPC).

Papa Francesco ha inoltre riabilitato alcuni vescovi pro-regime che erano stati scomunicati dai suoi predecessori, "Giovanni Paolo II e Benedetto XVI" per aver accettato di buon grado di seguire le direttive della Cina comunista, abiurando la fedeltà alla Chiesa di Roma. Infine, la burocrazia della Santa Sede ha altresì accettato la richiesta di Pechino di ridurre e ristrutturare 137 diocesi della Chiesa cattolica in tutta la Cina.

Quest’ultima concessione fatta dal Vaticano potrebbe distruggere l’autorità religiosa di molti vescovi segretamente nominati in alcune di queste diocesi eliminate da Papa Francesco e dai precedenti pontefici. Da quasi 70 anni, dopo la presa del potere in Cina da parte del PCC, i cattolici frequentano chiese riconosciute dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi o chiese allineate con il Vaticano. Alcuni cattolici partecipano perfino a messe celebrate in abitazioni private per evitare la sorveglianza da parte degli agenti del regime.L’accordo tra la Santa Sede e il governo di Pechino sta suscitando numerose e forti critiche da parte dei principali intellettuali cattolici e dei crociati dei diritti umani. Il cardinale Joseph Zen, emerito di Hong Kong, ha criticato aspramente l’accordo definendolo un “incredibile tradimento” il che sarebbe come dare “il gregge in pasto ai lupi”. Sophie Richardson, responsabile della sezione cinese di Human Rights, ha dichiarato che “il Papa ha di fatto dato al presidente cinese Xi Jinping il timbro di approvazione quando l’ostilità di quest’ultimo verso la libertà religiosa non potrebbe essere più chiara”.

Anche mentre Pechino e il Vaticano stavano negoziando il futuro status della Chiesa Cattolica in Cina, il regime comunista ha continuato a esercitare le sue pressioni sulla Chiesa Cattolica sotterranea affinché quest’ultima andasse avanti con i propri tentativi di convincere il Vaticano ad accondiscendere ai desideri dello Stato di gestire la Chiesa Cattolica in Cina. Il governo ha perseguitato e arrestato il vescovo Joseph Guo Xijin nel periodo dei negoziati tra la Santa Sede e la Cina. Durante i colloqui, un altro prelato cattolico, l’88enne vescovo filo-vaticano Peter Zhuang, è stato trascinato davanti all’Amministrazione statale per gli affari religiosi. Sebbene il vescovo Zhuang sia stato rilasciato sotto la custodia di una delegazione vaticana, il fatto è accaduto in presenza di funzionari del Partito comunista cinese e il prelato è stato costretto a dare le dimissioni e a lasciare la cattedra alla luce dell’accordo tra il Vaticano e la Cina.

https://intuajustitia.blogspot.com/2020/06/il-vaticano-ha-finito-per-accettare-le.html
Tienanmen, come ci hanno imposto il "modello cinese"

Ripercorrendo questi 31 anni che ci separano dal massacro di piazza Tienanmen dobbiamo riconoscere che il regime comunista cinese ha vinto la scommessa, imponendo la sua "legge" a livello internazionale e con la deriva dei paesi occidentali che ormai hanno sposato il "modello cinese". Si può solo sperare in uno di quegli eventi imprevedibili che spesso nella storia sconvolgono i piani degli uomini.

                            La foto simbolo degli eventi di piazza Tienanmen


«Rape of Peking», lo stupro di Pechino. Così titolava quello che allora era il settimanale più importante dell’Asia, la Far Eastern Economic Review, per raccontare il massacro di Piazza Tienanmen, nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989. Carri armati che passavano sulle tende che da due mesi facevano da tetto a decine di migliaia di manifestanti, all’inizio tutti studenti, a cui si sono uniti man mano insegnanti, operai e altri. Soldati, chiamati dalle lontane province, che sparavano su civili inermi. Una barbarie orribile, una prova di forza brutale da parte di un regime comunista deciso a giocare il tutto per tutto per mantenere il potere. Centinaia o migliaia di morti (un bilancio reale non è stato mai possibile farlo) quel giorno, e poi una spietata caccia all’uomo nei giorni successivi, casa per casa, alla ricerca di quanti erano scampati alla strage nella piazza. Con esiti facilmente immaginabili.

Le immagini e i racconti di quel giorno scioccarono l’opinione pubblica mondiale, sono restati impressi nella memoria e hanno costituito una ferita per il popolo cinese, mai più rimarginata; tanto è vero che quanto accaduto in piazza Tienanmen è ancora un argomento tabù in Cina. E ora, dopo 31 anni assistiamo al ripetersi di quelle dinamiche per Hong Kong: il rischio di una nuova Tienanmen è più reale di quel che si possa credere. E il motivo principale è che piazza Tienanmen non è stata soltanto una violazione clamorosa e impunita dei diritti umani, ma ha rappresentato l’inizio dell’irresistibile ascesa della Cina: non solo come potenza mondiale ma soprattutto come modello universale. E qualsiasi sopruso o violenza da parte del regime cinese non trova quasi resistenza tra le “grandi” potenze.

Per capire questa affermazione bisogna comprendere i passaggi chiave.
Anzitutto, il contesto in cui scatta la decisione del presidente Deng Xiaoping di rompere gli indugi e passare alle maniere forti. Da mesi la Cina era in fermento: non solo Pechino, anche in altre grandi città cominciavano manifestazioni pro-democrazia. Proprio le riforme economiche di Deng, con aperture al capitalismo, avevano alimentato le aspettative di riforme anche politiche, nel senso di una maggiore libertà. Ma il regime cinese vedeva con terrore la possibilità di uno sfaldamento del potere come stava avvenendo nell’Unione Sovietica di Gorbacev. Non era ancora crollato l’impero (il muro di Berlino sarà abbattuto di lì a pochi mesi) ma i segni erano inequivocabili: a Pechino si era convinti che se il Partito Comunista cinese avesse seguito le orme di Gorbacev, avrebbe firmato la sua fine.

Seconda questione: la reazione occidentale. Di fronte a un’azione talmente clamorosa, non si poteva certo fare finta di niente. La condanna fu netta, e furono imposte anche alcune sanzioni alla Cina, ma senza una reale convinzione. Il motivo principale è che era già cominciata la corsa al mercato cinese (un quinto della popolazione mondiale) che si stava aprendo grazie alle riforme economiche, e nessun paese occidentale voleva perdere terreno nei confronti dei concorrenti. La Cina appariva come l’ancora di salvezza per le economie dei paesi industrializzati che potevano contare sempre meno sui mercati interni.
Così le diplomazie occidentali sono state ben felici di assecondare e fare proprie le giustificazioni di Pechino, ovvero che se il regime avesse ceduto alla piazza, la Cina sarebbe sprofondata nel caos con conseguenze imprevedibili per tutto il mondo. Cominciò allora a prevalere la tesi che per convincere la Cina ad aprirsi alla democrazia sarebbe stato meglio mantenere i rapporti e impegnarla in un dialogo costruttivo piuttosto che la condanna e l’isolamento. Pechino comprese giustamente che si trattava di una debolezza dei paesi industrializzati, che quindi sfruttò a proprio favore.

E infatti il dopo-Tienanmen ha visto rafforzarsi e consolidarsi questa tendenza, e siamo al terzo passaggio. Il regime comunista ha intensificato le riforme economiche, che hanno visto negli anni ’90 l’economia cinese cominciare a crescere a tassi di due cifre, ma allo stesso tempo tenendo ben stretto il controllo politico e sociale.

Si affermava così il “modello cinese” che iniziava a far proseliti nel mondo occidentale. Il pragmatismo politico ed economico lasciava il posto a una convinta ammirazione per i successi del regime cinese nel mantenere la stabilità di un paese che equivale a un continente, coniugando crescita economica e controllo politico. Proprio questo pian piano è diventato il sogno delle élites occidentali, sempre più stanche della democrazia e dell’essere in balia della volontà popolare che – come abbiamo visto negli ultimi anni – spesso va nella direzione opposta a quella desiderata. Il sogno è l’uomo ridotto a oggetto di produzione e consumo, che come oggetto acquista dunque valore in rapporto alla sua funzionalità, e viene scartato se non adatto o a fine ciclo produttivo.

L’ammirazione e l’immedesimazione con le ragioni di Pechino si è costantemente rafforzata malgrado la crescente pericolosità della Cina: sia dal punto di vista militare, visto che nel frattempo ha acquisito un potere che ha già dimostrato la sua minacciosità nell’area Asia-Pacifico; sia sul piano commerciale, dove sta mettendo in difficoltà le economie occidentali che si erano illuse di avere trovato il Bengodi in Cina.
Così mentre la Cina è cresciuta notevolmente a livello internazionale – vedi la colonizzazione dell’Africa e gli investimenti nei paesi occidentali, soprattutto attraverso l’acquisto e la gestione delle infrastrutture, per non parlare delle telecomunicazioni – di pari passo l’Occidente è arretrato, oltretutto in una graduale, crescente imitazione del “modello cinese”. Nella pandemia da coronavirus abbiamo visto con chiarezza questo cambiamento di equilibri internazionali (con la Cina che guida anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il solo presidente americano Trump a cercare di contrastarla) e di acquisizione del “modello cinese” (l’Italia ne è stata il massimo esempio).

A completare il quadro va ricordato che il “modello cinese” ha conquistato negli ultimi anni anche il Vaticano: ne è un esempio l’accordo – ancora tenuto segreto – sulla nomina dei vescovi in Cina e la sconcertante tendenza delle conferenze episcopali nazionali (occidentali) a concepirsi come “Chiesa patriottica”, come la recente crisi del coronavirus ha ampiamente dimostrato.

A 31 anni dal massacro di piazza Tienanmen dunque, secondo una logica puramente mondana, dovremmo dire che il regime comunista cinese ha vinto quella scommessa. Anzitutto sul piano politico: oggi si può permettere di violare apertamente l’accordo sull’autonomia di Hong Kong senza che il Regno Unito (con cui aveva firmato la Dichiarazione congiunta per il ritorno dell’ex colonia britannica sotto la sovranità cinese nel 1997) dica una parola. E senza che un solo paese occidentale – esclusi gli Stati Uniti ma incluso il Vaticano – alzi anche un solo dito per protestare. Se a Hong Kong si ripetesse quello che abbiamo visto in piazza Tienanmen nessuno si potrebbe stupire, e le reazioni – per quanto di facciata – sarebbero ancora meno forti che trentuno anni fa. 

Ma il regime cinese ha vinto anche sul piano culturale: lungi dall’aver concesso anche una sola libertà ai suoi cittadini, sono piuttosto i cittadini occidentali – noi – a perdere gradualmente la libertà in stati sempre più invadenti e tendenti al totalitarismo.

Sappiamo però che nella storia agiscono elementi che sfuggono al controllo anche dei più attenti tiranni, accadono eventi imprevedibili capaci di cambiare un corso che appariva già definito. Che ci voglia un anno o cento anni, questo dipende anche dalla libertà degli uomini. Il più grande e decisivo evento è stato certamente il Cristianesimo e più volte nella storia il fatto cristiano è risultato determinante (basti pensare alla dissoluzione dell’Impero sovietico) per la libertà dei popoli. La più grande responsabilità delle gerarchie ecclesiastiche attuali è di non crederlo.

Riccardo Cascioli
Zen: «A Hong Kong rischiamo un’altra Tienanmen»

A 31 anni esatti dal massacro di piazza Tienanmen a Pechino, nubi scure volteggiano su Hong Kong: «I giovani coraggiosi che difendono l’autonomia e la libertà di Hong Kong, sono picchiati, arrestati, torturati». «Purtroppo, vista la situazione ai vertici del Partito comunista a Pechino, non ci possiamo aspettare molto di buono». «Come cristiani ci mettiamo nelle mani di Dio, difendendo la verità e la giustizia, pregando per la conversione dei nostri persecutori». Parla il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong.



Il 4 giugno 1989 il governo cinese mise fine a mesi di proteste e richieste di riforme democratiche, inviando i carri armati a schiacciare letteralmente i manifestanti che da settimane occupavano l’enorme piazza Tienanmen, nel cuore di Pechino. Fu un massacro il cui bilancio reale non è mai stato accertato – va da poche centinaia a diverse migliaia di morti – e che sconvolse l’opinione pubblica internazionale.

A distanza di 31 anni si osserva con preoccupazione un’analoga dinamica che riguarda l’ex colonia britannica Hong Kong, tornata nel 1997 sotto la sovranità della Cina, ma con l’accordo che avrebbe mantenuto per 40 anni lo stesso sistema garantito dal Regno Unito.

Invece da alcuni mesi Hong Kong si trova in una situazione di grande disagio sociale e politico, minacciata di perdere l’autonomia promessa nella sua mini costituzione, la Basic Law, a causa dell’imposizione di una legge sulla sicurezza nazionale voluta direttamente dal governo centrale cinese: una legge non ancora scritta ma già approvata dagli organi legislativi di Pechino. Tutto questo desta enorme preoccupazione a livello internazionale. Il Cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong, è sicuramente una delle voci autorevoli della resistenza a questi cambiamenti nel territorio. Nell’anniversario dei fatti di piazza Tienanmen gli abbiamo rivolto alcune domande.

L’anniversario del massacro di piazza Tienanmen, sempre ricordato con una fiaccolata a Hong Kong, quest’anno sembra avere un sapore particolare. Che ne pensa?
Certo, quest’anno con tutte le cose che sono capitate, noi siamo quasi quasi alla vigilia di un’altra Tienanmen. Questo perché in questo tempo hanno veramente usato tutti i modi per schiacciare le nostre legittime proteste, la polizia è diventata quasi come le belve. Sono sorpreso nel vedere che i nostri giovani coraggiosi che vogliono difendere l’autonomia e la libertà di Hong Kong vengano arrestati, picchiati, torturati. Con questa minaccia della legge per la sicurezza nazionale, siamo veramente preoccupati. Quest’anno ovviamente non ci permettono la solita commemorazione che facciamo ogni anno, e questo aumenta la nostra inquietudine e anche la nostra indignazione per la privazione della libertà di cui abbiamo sempre goduto in tutti questi anni.

Secondo lei, la pressione internazionale può aiutare a risolvere i problemi molto complessi in cui si trova Hong Kong in questo momento e convincere la Cina ad avere un atteggiamento diverso?
Non lo sappiamo, anche perché c’è da tener presente che anche nel governo cinese, nel partito comunista, ci sono delle divisioni. Possiamo sperare che ci sia ancora qualcuno moderato che consigli di non essere troppo duri. Ma si ha l’impressione in questo momento che il leader cinese è in una situazione in cui ha paura e quindi voglia mostrarsi forte e di conseguenza voglia imporre questa legge che - dovrebbe essere chiaro - farà del male a tutti: non solo alla gente di Hong Kong, ma anche alla comunità internazionale, e alla Cina stessa. Ma in questo momento si fanno pazzie, ci si intestardisce per andare contro tutto il mondo, e quindi non c’è un granché di buono da aspettarsi.

La situazione che sta vivendo Hong Kong, che influenza può avere sulla nomina del nuovo vescovo titolare della città, dopo un anno e mezzo che si è ancora sotto amministrazione apostolica?
Noi sappiamo che a Roma sono in una situazione di incertezza. Noi non abbiamo notizie sicure, ma dai mass media apprendevamo che all’inizio ci fosse l’idea di fare vescovo mons. Joseph Ha, che sarebbe molto buono, in quanto fa le cose secondo l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa. In questo tempo è stato molto con i giovani, è un leader di cui abbiamo bisogno. Però, dall’altra parte, dicono che “questo vescovo Ha ha avuto posizioni critiche sul governo e invece ci sarebbe bisogno di un vescovo che gode della benedizione di Pechino”. Questo è sbagliato, perché non possiamo avere criteri politici sopra quelli religiosi! Noi dobbiamo avere un leader che ci guidi in questi tempi, non uno che ceda volentieri alle pressioni del partito comunista. È più di un anno e siamo sulle spine, anche perché in tutto questo tempo il Vaticano ha cercato di compiacere il governo di Pechino, non ha mai detto niente sulle cose malvage che sono state fatte. Ora tutto il mondo vede come la brutalità della polizia sta torturando i nostri giovani: li picchiano, li arrestano, e non è stata detta dal Vaticano una parola in loro soccorso. Questo ci lascia preoccupati.

Come un cristiano dovrebbe vivere tempi così difficili?
Un cristiano crede nella misericordia di Dio, crede in Gesù morto e risorto, crede che noi dobbiamo sempre fare in coscienza quello che il Signore si aspetta da noi. Noi abbiamo la dottrina sociale della Chiesa, per fortuna, che ci dice di essere buoni cittadini, ma sulla base della giustizia e dell’amore. Allora di fronte a questa situazione orribile ed apocalittica, alla vigilia quasi di un’altra Tienanmen, cosa possiamo fare? Noi ci fidiamo della bontà di Dio, noi ci mettiamo nelle sue mani, avendo il coraggio di difendere la verità e la giustizia, pregando anche per quelli che ci fanno soffrire, perché si convertano, perché capiscano che fare la giustizia e il bene è a vantaggio di tutti. Abbiamo solo questo da scegliere. Confidiamo anche nell’aiuto della Madonna Ausiliatrice.

Aurelio Porfiri

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