Dal Sogno (cristiano) di Martin Luther King al caos odierno
Io mi chiedo perché mai le nostre emittenti televisive abbiano dei corrispondenti negli Stati Uniti, se poi ripetono più o meno a pappardella il messaggio dei main stream media americani. Tanto vale che se li guardino e leggano da qua. Io da qua seguo le vicende di là, e vedo che vi sono anche altre voci, anche se mediaticamente minoritarie. E non è detto che la maggioranza abbia sempre ragione. Non solo bisognerebbe che tenessero conto di quello che le parti contrapposte sostengono, ma almeno di quello che sostiene la parte che esse ascoltano.
Ieri sera, a Prima Pagine del TG5, ho visto un servizio che mi ha lasciato esterrefatto.
Riportava le immagini di Martin Luther King che il 28 agosto 1963 pronunciava al Lincoln Memorial, di fronte a una folla oceanica, il famoso discorso “I have a dream”: il sogno che coloro che i figli di coloro che erano stati schiavi e i figli di coloro che avevano posseduto schiavi siedano insieme al tavolo della fratellanza, in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ma soprattutto degno di nota oggi è il finale di quel sogno: «che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno». Per chi non lo sapesse, queste ultime immagini del sogno sono da Isaia 40,3. E il predicatore King conclude: «E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud». A cui potremmo aggiungere oggi gli altri punti cardinali.
Che cosa c’era da rimanere esterrefatto? È un “sogno” sempre valido, suggeriva il servizio mostrando un bambino bianco e uno nero che si correvano incontro abbracciandosi. Certo che è sempre valido, ma che cosa ci dice dei violenti disordini scatenatisi in questi giorni nelle città americane? Forse che sono “proteste razziali” dovute all’esasperazione per la sua incompiuta realizzazione? O che ne sono l’esatto opposto? Qualche parolina al riguardo da parte dei nostri corrispondenti non avrebbe guastato. Ci sono ragioni di dubitare del carattere razziale della violenza, degli incendi e dei saccheggi di questi giorni, malgrado i connotati razziali dell’omicidio che ne è stata l’occasione; o quanto meno valeva la pena di investigare.
Segnalo innanzitutto due momenti che mettono questi disordini in opposizione al sogno di Martin Luther King. Il primo è la dissacrazione del Lincoln Memorial, imbrattato di graffiti: quello che viene imbrattato non è solo il monumento dal quale egli pronunciò il suo famoso discorso; imbrattata è la Costituzione, in nome della quale egli condusse la sua battaglia per l’abolizione delle leggi discriminatorie degli Stati del Sud, oggetto come l’America tutta di discorsi denigratori. L’altro momento è l’incendio appiccato all’antica chiesa di san Giovanni costruita vicino alla Casa Bianca duecento anni fa: è una dissacrazione del sogno stesso di Martin Luther King, di cui ho segnalato la radice biblica, in Isaia ed essenzialmente in Cristo.
Ancora una parola su quelli che pretendono di condurre avanti la lotta contro il razzismo: noi li chiamiamo “democratici”, in americano sono chiamati “democrats”. Fino a qualche tempo fa essi condividevano il consenso americano, con qualche differenza di enfasi su un maggiore o minore interventismo statale. Quel consenso si basava sulla Costituzione e sulla religione. La libertà di religione, garantita dalla Costituzione, era intesa essenzialmente come non intromissione dello stato nelle cose di religione. Il consenso era costituito da una interpretazione dei dieci comandamenti, intesi non soltanto come frutto di rivelazione, ma come rappresentativi del diritto naturale. Negli ultimi decenni questo consenso è saltato. I democrats ne sono lentamente, diciamo durante un mezzo secolo, usciti fuori. Lo vediamo essenzialmente nell’atteggiamento verso la libertà di religione: essa non è più stata intesa come prima, ma alla maniera francese divenuta la maniera europea, per la quale la neutralità o laicità dello stato si trasforma, paradossalmente, in quella che non posso chiamare altrimenti che la religione di stato, l’unica dottrina pubblicamente insegnabile che scarsamente tollera un insegnamento non statalista. Con la libertà di religione viene oggi anche rimessa in discussione la libertà di parola. All’immagine di un popolo di uomini e donne capaci di discutere, sostenendo anche opinioni divergenti, viene sostituta quella di un popolo di bambocci supersensibili, facili all’offesa dalla quale vanno perciò protetti. Salvo che l’offesa non sia quella di “razzista”, e allora uno deve solo farsi piccolo piccolo e chiedere scusa.
Voglio forse dire che non c’è razzismo in America? C’è, e forse è anche endemico, il sogno di Martin Luther King è ancora lungi dall’essersi realizzato. Ma chissà come l’accusa di razzismo viene sempre da una parte, i democrats, bianchi o neri che siano. Chi dissente è suscettibile di essere subito apostrofato “razzista!”, a proposito o a sproposito. Così, gli stessi che sostengono la legittimità dell’aborto fino al momento della nascita, cercano di mantenere la loro egemonia.
di Giorgio Salzano
Usa, la rivolta, le mistificazioni e il Covid che scompare
La protesta americana contro l’uccisione di George Floyd, a Minneapolis, è ora un movimento mondiale anti-razzista. Ma l'episodio di brutalità della polizia era motivato dal razzismo? No. Il razzismo è frequente nella polizia? Nemmeno. La polizia e l'esercito si stanno ribellando a Trump? Quantomeno è esagerato dirlo. E il Covid che fine ha fatto, con tutti quegli assembramenti?
La protesta americana contro l’uccisione di George Floyd, a Minneapolis (Minnesota) da parte della polizia è già diventata un movimento mondiale. La causa iniziale, la brutalità dei poliziotti su un cittadino disarmato, è ormai superata. Il movimento chiede di più: chiede giustizia razziale, giustizia per i neri uccisi dai bianchi. E, stando alle notizie diffuse dai quotidiani italiani, polizia e anche esercito starebbero solidarizzando con gli insorti, contro il presidente Trump. Siamo dunque alla vigilia di una rivoluzione?
Vediamo, prima di tutto, quale è la causa iniziale delle proteste: l’uccisione di George Floyd a Minneapolis, accusato di aver pagato con una banconota falsa. Derek Chauvin, nel corso dell’arresto gli ha premuto la gola col ginocchio per più di otto minuti. Nonostante Floyd implorasse, lamentasse di non riuscire più a respirare e invocasse aiuto, l’agente zelante non ha mollato la presa finché è stato troppo tardi per poterlo salvare. Derek Chauvin è un agente di origine europea, bianco. George Floyd era un afro-americano. Di qui la protesta razziale. Degli altri tre agenti che erano con Chauvin, e che ora sono in carcere in attesa di processo, due sono di origine asiatica: Alexander Kueng e Tou Thao (vietnamita di etnia hmong). Negli Usa la mescolanza etnica è tale che è fin difficile trovare omogeneità in una stessa squadra di lavoro o di polizia in questo caso. Il capo della polizia di Minneapolis, per altro, è un afro-americano. Quindi una polizia multi-etnica che usa metodi brutali contro cittadini neri è una forma di razzismo? Di quale etnia contro quale altra?
Gli afro-americani lamentano di essere le vittime principali della polizia, non solo nel caso di Floyd, ma in generale. Il vicepresidente Joe Biden dà loro ragione, sulla fiducia, promettendo (come aveva fatto Obama nel 2016) che quando sarà lui alla Casa Bianca i neri potranno uscire di casa tranquillamente. Al sicuro dai poliziotti. Ma l’affermazione si basa su un dato falso. La maggioranza delle vittime della violenza della polizia è costituita da bianchi, in termini assoluti. In termini relativi, in rapporto alla popolazione, gli afro-americani lamentano il 26% delle vittime della violenza a fronte del 13% di afro-americani sul totale della popolazione. Ma si tratta di una statistica fuorviante, perché, come constata Heather McDonald sul Wall Street Journal, le vittime della violenza della polizia vanno calcolate in proporzione al numero degli arresti e, in generale, in proporzione ai crimini violenti commessi. I neri sono artefici del 53% degli omicidi, del 60% dei furti anche se sono il 13% della popolazione. Gli afro americani vittime di omicidio erano 7407 nel 2018, di questi solo lo 0,1% è stato ucciso da poliziotti. La McDonald calcola che sia 18,5 volte più probabile che un poliziotto sia ucciso da un civile armato nero, che non viceversa.
In un altro studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (e riportato dalla National Review) su 917 casi di uccisioni di civili da parte di poliziotti nel 2015, il 55% delle vittime sono bianchi, il 27% neri, il 19% ispanici. Secondo uno studio del Dipartimento di Giustizia di Philadelphia, si inverte la prospettiva: quanti sono i poliziotti bianchi che sparano? Anche qui il dato che emerge forse deluderà gli anti-razzisti, perché nella maggior parte dei casi sono agenti neri e ispanici che sparano a civili sospetti neri (67% più probabile che sia un agente nero, 145% più probabile che sia un agente ispanico).
Il pregiudizio razziale che è alla base di queste proteste, dunque, è ampiamente esagerato. Lo prova anche il colore della pelle delle vittime di queste proteste, perché già ad oggi i morti sono 17. Il primo agente ucciso da manifestanti armati si chiamava David Patrick Underwood, afro-americano. Come anche l’ultimo (ex) agente ucciso, David Dorn, 77enne, in pensione, intervenuto per fermare il saccheggio di un negozio. Se questa è una polizia "dei bianchi e per i bianchi"...
Quanto all’altra narrativa, quella dell’insurrezione che starebbe iniziando a serpeggiare anche fra esercito e polizia contro Trump, su cosa si basa? Su numerose immagini di poliziotti inginocchiati. E mettersi in ginocchio, come già vediamo fare dai calciatori di tutto il mondo (e dalla giornalista Myrta Merlino su La7) è il simbolo della solidarietà con il movimento di protesta. I poliziotti, però, si inginocchiamo in taluni casi per pregare assieme ai manifestanti. Non necessariamente per solidarizzare con la loro protesta, ma in segno di pace, per riportare la quiete nelle strade. Una polizia accusata di brutalità, sta invece dimostrando un’umanità che non ci si aspetta.
E la protesta dei generali? Per ora ad aver apertamente criticato la politica del presidente (e comandante in capo), giudicata “divisiva” e “immatura”, è stato l’ex generale ed ex segretario alla Difesa James Mattis. Il quale, essendo stato licenziato dall’amministrazione Trump, per divergenze politiche, ha più di una ragione per contestare. Ma Mattis non è “l’esercito”, bensì un generale in pensione e un ex ministro. Critico o quantomeno scettico sull’impiego delle forze armate è anche l’attuale segretario alla Difesa, Mark Esper. La divergenza con la Casa Bianca per ora è tutta politica e non giunge al punto dell’ammutinamento. Sarà l’ennesimo licenziamento dall’amministrazione? Probabile, ma non è una “ribellione dei generali”, come pare di leggere sulla nostra stampa. Così come non lo è il documento firmato dagli Stati Maggiori Riuniti, del 2 giugno, in cui vengono ribaditi diritti e doveri fondamentali: rispettare la Costituzione, proteggere il popolo, azione della Guardia Nazionale subordinata all’autorità dei governatori, rifiuto di ogni discriminazione razziale.
Almeno un indizio ci porta poi a pensare che l’informazione sulle sommosse negli Usa sia profondamente distorta: le proteste hanno cancellato il Covid-19. Se fino alla settimana scorsa uscire da soli a fare jogging o andare a Messa era considerato un gravissimo atto di irresponsabilità (e protestare contro il lockdown, praticamente, un atto di guerra), le decine di migliaia di manifestanti accalcati e senza mascherina di questa settimana non suscitano alcuno scandalo. Medici ed esperti cosa ne dicono? In questo caso, solidarizzano con chi manifesta: in una lettera aperta firmata (finora) da 1288 medici, operatori sanitari e rappresentanti comunitari, gli esperti sottolineano l’importanza della protesta, nonostante il virus. Perché, a detta loro: “Il suprematismo bianco costituisce un problema per la salute che precede e contribuisce al Covid-19”.
Stefano Magni
https://lanuovabq.it/it/usa-la-rivolta-le-mistificazioni-e-il-covid-che-scompare
USA: LA MODA DI INGINOCCHIARSI
Usa: "la moda di inginocchiarsi". Nella sedicente patria della libertà? L’orgoglioso uomo d’Occidente ha finalmente trovato qualcosa dinanzi a cui inginocchiarsi non è un Dio, ma una "para- ideologia" obbligatoria "l’antirazzismo"
di Roberto Pechioli
Non avremmo immaginato, in un’unica vita, di assistere alla quantità di cambiamenti, follie, ribaltamenti di prospettiva di cui ci è toccato essere testimoni. Negli ultimi anni, negli ultimi, fatali mesi, abbiamo sommato esperienze – quasi tutte negative – che, in altre epoche, avrebbero richiesto generazioni. Come sempre, le novità arrivano dagli Stati Uniti e si diffondono fulmineamente, come veri e propri contagi, nel resto del mondo americanizzato. L’ultima moda, l’ultima stravagante invenzione prescrive di inginocchiarsi per otto minuti e quarantasei secondi, il tempo in cui il povero George Floyd è stato costretto a terra dal poliziotto che lo ha fermato e poi soffocato.
L’orgoglioso uomo d’Occidente ha finalmente trovato qualcosa dinanzi a cui inginocchiarsi. Non è un Dio, ma una para- ideologia obbligatoria, l’antirazzismo. Mettiamo le carte in tavola: nessuno, tanto meno un poliziotto, può soffocare fino alla morte qualcuno sino a ucciderlo. La tutela della legge e dell’ordine ha sempre un limite, il rispetto della vita altrui, con l’ovvio limite della difesa della propria e di quella dei cittadini indifesi. Quanto alla motivazione razzista della condotta dell’agente bianco, l’episodio non è certo il primo, ma le statistiche attestano che gli atti di violenza poliziesca in America trascendono le razze a cui appartengono protagonisti e vittime.
Usa: "la moda di inginocchiarsi". Nella sedicente patria della libertà? L’orgoglioso uomo d’Occidente ha finalmente trovato qualcosa dinanzi a cui inginocchiarsi non è un Dio, ma una "para- ideologia" obbligatoria "l’antirazzismo"!
Nello specifico, la pattuglia che ha fermato il povero Floyd, che stava acquistando sigarette con una banconota che il venditore riteneva contraffatta, era formata da tre agenti, uno bianco – l’accusato di omicidio – e due asiatici. Entrambi non si sarebbero mossi in difesa di Floyd, il che è grave, ma non sostiene l’accusa di omicidio a sfondo razziale. C’è di più: il capo della polizia della città di Minneapolis è un nero, anzi afroamericano, come è obbligatorio dire. Gli incidenti che rendono incandescente, pre rivoluzionario, il clima degli Usa, hanno causato numerosi morti tra commercianti assaltati, manifestanti e poliziotti, diversi dei quali afroamericani.
Le dimostrazioni si sono risolte in vandalismi e distruzioni, ma soprattutto saccheggi. Ne hanno fatto le spese supermercati, negozi di quartiere, vetrine di lusso dei marchi più conosciuti, oltre a numerosissimi sportelli bancari automatici. Il comando della rivolta, dietro la quale si muovono certamente organizzazioni non governative “umanitarie”, settori politici e comunità etniche e razziali, ha obiettivi politici – in novembre ci saranno le elezioni presidenziali e quelle legislative - molti manifestanti di ogni etnia sono certo in buona fede, ma è un fatto che i disordini si sono trasformati in puro nichilismo distruttivo. Diciamola tutta: sono la dimostrazione più evidente del fallimento del modello economico, sociale e multiculturale americano.
Gli Usa sono un paradiso per alcuni, un luogo dove il pane è duro per molti e per tantissimi un vero inferno. Ecco dove e come finisce il sogno americano, l’ ”american way of life”. I poliziotti, bianchi, neri, ispanici, asiatici, sono violenti perché violenta è la società in cui operano. Milioni di americani sono detenuti, e diverse prigioni sono gestite da privati. L’imprenditore carcerario è una figura impressionante, niente affatto pittoresca, come i cacciatori di taglie e i fornitori di cauzioni per chi incappa nel sistema giudiziario.
I saccheggi sono il corollario dei tumulti quando manca un obiettivo politico preciso, ma diventano qualcosa di più profondo, la spia di un malessere sociale enorme, se coinvolgono tanto i generi alimentari e altri beni primari, quanto il denaro e la razzia di beni di lusso. Hanno rubato di tutto, indubbiamente con la regia criminale delle bande che sono parte del panorama esistenziale di interi quartieri sottratti alle leggi. Segno non di debolezza del sistema, ma del fatto che la violenza, il contropotere, l’appartenenza per tribù etniche, è in America elemento centrale nel modo di vivere della sedicente patria della libertà. Il problema razziale non è stato mai risolto per molti motivi. Uno è il fatto che alla tradizionale contrapposizione tra maggioranza bianca e minoranza di colore, si sono sovrapposte, negli ultimi cinquant’anni, enormi ondate migratorie provenienti da ogni altro angolo del pianeta, a cominciare dal Centro e Sud America e dall’Asia. Gli Usa si sono trasformati in una torre di Babele in cui – letteralmente- nessuno parla più una lingua comune.
Non avremmo immaginato, in un’unica vita, di assistere alla quantità di cambiamenti, follie, ribaltamenti di prospettiva di cui ci è toccato essere testimoni. Negli ultimi anni, negli ultimi, fatali mesi, abbiamo sommato esperienze – quasi tutte negative – che, in altre epoche, avrebbero richiesto generazioni. Come sempre, le novità arrivano dagli Stati Uniti e si diffondono fulmineamente, come veri e propri contagi, nel resto del mondo americanizzato!
L’ unico denominatore comune è il denaro, la ricerca della ricchezza, che scatena lotte, invidia sociale alimentata da diseguaglianze intollerabili, la volontà di ottenere il successo– che in America significa esclusivamente possedere molto denaro – con le spicce, con la violenza e l’ingiustizia. Nulla di strano: così sono nati, sono diventati grandi e potenti gli Usa. Hanno sottratto terra e pascoli agli indiani nativi, non si sono fatti scrupolo – da protestanti devoti – di praticare la schiavitù nelle sterminate piantagioni agricole, abolendola solo dopo una guerra e a seguito del sorgere della civiltà industriale che aveva bisogno di operai, non di braccianti. Lo stesso Floyd, la vittima, ha trascorso anni in carcere per rapina ed era uno dei milioni di americani a cui il Coronavirus ha sottratto il lavoro.
E’ significativa la circostanza che una banconota da venti dollari abbia dato la stura a una serie di eventi che attestano l’assoluta assenza di principi morali dell’intera società. Evidentemente il commerciante non poteva rifiutare il pagamento per paura di reazioni: ha chiamato la polizia, il cui intervento ha avuto gli esiti che conosciamo. E’ una società intrisa di violenza, con scarso rispetto della vita umana e assoluta sfiducia reciproca, specie se l’Altro appartiene a un diverso gruppo etnico. Le razze esistono, eccome e la reazione della società americana ne è la dimostrazione. Il potere americano ha seminato vento, adesso raccoglie tempesta. Ha diffuso, nelle università private, ogni sorta di idee, dal femminismo più esacerbato alla teoria del genere e all’uguaglianza-equivalenza, ha propagato la cultura della droga e quella dell’odio per qualsiasi autorità.
Pur nel darwinismo sociale liberista, ha costruito una gabbia in cui gli impieghi, le carriere, le funzioni, gli studi, seguono un doppio binario. Da un lato, domina il denaro: per i ricchi, porte aperte a prescindere e successo assicurato dall’inizio; per tutti gli altri, vige la “discriminazione positiva”, ovvero quote prefissate per razza, sesso, adesso anche per orientamento sessuale. Nel tentativo di assicurare una certa giustizia distributiva, si sono creati nuovi ghetti, nuove burocrazie, nuovi centri di potere, dunque anche ulteriori esclusioni. I vecchi valori americani – Dio, la famiglia, la legge, l’ordine, la stessa Patria - sono diventati carta straccia per un numero crescente di immigrati, estranei per provenienza, cultura (e incultura), religione. Nuove muraglie sono state erette, specie nei grandi centri urbani, divisi in tribù reciprocamente ostili, in cui la legge del sangue – respinta dalla legge e dalla cultura ufficiale - riaffiora nelle bande, nelle divisioni territoriali, nelle identità rivendicate come unico patrimonio comunitario.
Su tutto, il motivatore universale, il dollaro misura di tutte le cose. Sulle banconote è stampato un motto surreale: in god we trust, noi confidiamo in Dio. Un Dio pret-a-porter, fai da te, simboleggiato dall’infinito numero di confessioni, sette, non solo cristiane, che rendono l’America un labirinto spirituale. Bene o male, un fragile equilibrio è rimasto fintantoché l’egemonia bianca anglosassone ha retto, sia pure tra ingiustizie e macroscopiche contraddizioni: agli americani di certe razze era chiesto di morire in guerra per lo zio Sam, ma non avevano pieni diritti politici e spesso non potevano frequentare gli stessi ambienti dei bianchi. Adesso il tappo è saltato, e l’enorme quantità di armi che circolano fa presagire che il ritorno alla normalità non sarà facile né rapido. Un numero crescente di tribù, di minoranze ostili armate circola per il paese.
I poliziotti sono a loro volta vittime: la loro vita è costantemente in pericolo e sanno di non essere più supportati dal potere. Il rischio è che diventino imbelli, corrotti- un po’ per necessità e molto per convenienza – e che, come già avviene per l’esercito, il reclutamento finisca per privilegiare personalità disturbate, borderline, settori marginali della popolazione per i quali la divisa resta uno strumento di affermazione sociale. Dietro di loro, migliaia di quartieri e città “difficili”, ghetti etnici, il denaro da ottenere in fretta e a ogni costo come unico obiettivo comune, la diffusione endemica di sostanze stupefacenti. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso, giacché la cultura della droga venne diffusa nelle università dagli anni 60 con la complicità attiva dei servizi segreti.
La cosmogonia cristiana narra di una felice condizione umana originaria, seguita dalla volontà di diventare come Dio, fino a suscitare la collera del creatore allorché gli uomini intesero costruire un palazzo elevato sino al cielo. “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. (…) Questo è l'inizio della loro opera e quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro. Il Signore li disperse su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. (Genesi, 11, 1-9)
L’appartenenza per tribù etniche, è in America elemento centrale nel modo di vivere della sedicente patria della libertà!
I riferimenti veterotestamentari restano assai forti in America: impossibile che non occupino la riflessione di milioni di americani di ogni origine. L’incomprensione reciproca, la confusione di lingue, genti, modi di essere, è il naturale esito della folle scommessa multiculturale, multirazziale, multi religiosa priva di un centro di equilibrio e senza valori condivisi dalla maggioranza. Lo stesso sbandierato antirazzismo è un anti valore: si è contro qualcuno, non “per “qualcosa. Eppure, è diventato, in queste settimane, la parola d’ordine emotiva, utilizzata per giustificare i disordini, che hanno fatto tabula rasa innanzitutto della ridicola parola d’ordine del distanziamento sociale. Chi manifesta, cerca la folla, la contiguità; chi ha come obiettivo commettere reati – violenze, furti, saccheggi - preferisce l’anonimato della massa.
Diventa farsesco, nella remota provincia dell’impero chiamata Italia, attaccare la destra in piazza perché senza mascherine, ravvicinata, sudata, come ha detto lo scrittore “sinistro” Gianrico Carofiglio, ed applaudire freneticamente i tumulti d’Oltreoceano. Si sono distinte le Sardine, il cui nome evoca un pesce assai facile a cadere nella rete, ginocchioni a pugno chiuso. Pugno di mosche, presumiamo. Il caso Floyd ha dimostrato a chi ha occhi per vedere e cervello per ragionare, quanto sia fragile la nostra civilizzazione e fino a che punto è pervenuta la riduzione a gregge cretinizzato dai riflessi unificati, pavloviani. Impressiona l’immagine di artisti, sportivi, finti e veri intellettuali, gente di buona fede e nessuno spirito critico, prostrati in ginocchio. E’ non solo l’immagine icastica, ma il racconto, il ritratto simbolico del tempo che ci è toccato di vivere e soffrire. E’ vietato dire che chi grida in strada contro la polizia e poi distrugge negozi, assalta l’esposizione di Louis Vuitton o il centro di vendita di Apple, aggredendo selvaggiamente chi difende se stesso e il suo pane, è l’esercito del crimine. E’ chiaro– ma bisogna aver conservato l’uso degli occhi in un tempo di ciechi, anzi di non vedenti – che i loro padroni e mandanti ci vogliono in ginocchio di fronte ai loro piani criminali di dominazione, di ingegneria sociale, di riconfigurazione dei cervelli, o di ciò che ne resta. In ginocchio, come schiavi (gli schiavi in molte società, dovevano portare una maschera) o come, nel buio passato da cui il magnifico progresso ci ha liberato, ci si poneva davanti a Dio.
Ecco il nuovo Dio: un mondo folle, violento, dominato da un’oligarchia che ci ha reso schiavi e adesso, con il pretesto dell’omaggio a un poveraccio morto per venti dollari con su scritto il sacrilego motto “in God we trust”, pretende l’omaggio più servile. Abbiamo visto immagini da vomito: agenti della Guardia Nazionale americana in ginocchio di fronte ai manifestanti, donne che baciavano le scarpe dei nuovi guerriglieri urbani del Bene e dell’Antirazzismo. Chi ha messo in piedi questa disgustosa ordalia è il Foro di San Paolo, che dal 2000 riunisce la galassia del sinistrismo politico, culturale e religioso, foraggiato da ONG come quelle legate a George Soros e ad altri membri della plutocrazia, i re del denaro.
La via è tracciata e non è affatto quella del paradiso multi, pluri e trans ad uso dei gonzi inginocchiati. Hanno minato lo spirito della libertà e il criterio della democrazia, corrono spediti verso un super stato mondiale in cui ci saranno solo schiavi e iper padroni, ricchissimi e poveri, ceti dirigenti onnipotenti e masse indottrinate pronte a inginocchiarsi al fischio del padrone, felici di seguire gli slogan del momento sotto pena di scomunica sociale. E’ l’incredibile neo comunismo oligarchico, utopia di miliardari decadenti con pose progressiste. Nella solita America, chiamano sindrome FOMO (fear of missing out, il timore di perdersi qualcosa), un’ansia patologica caratterizzata dalla necessità di rimanere attaccati alle mode altrui, di essere esclusi da eventi o contesti sociali di massa, considerati gratificanti. E’ sempre più facile manipolare masse di neo alfabeti a cui non interessa leggere, informarsi seriamente, indifferenti o addirittura plaudenti alla repressione più o meno violenta contro chi si oppone alla dittatura riciclata in giustizia da sofà e a parole d’ordine ripetute a pappagallo, più gradite quanto più generiche ed in grado di attivare il facile registro emozionale di cervelli addormentati
Nessuno di questa massa amorfa si inginocchierà dinanzi al vile assassinio del capitano di polizia in pensione David Dorn, nero anch’egli, settantasettenne, che era accorso in aiuto di un amico commerciante, colpito da un giovane bianco. La sua agonia, ripresa con un apparato telefonico, non risveglierà alcun senso di umanità o commozione. La mandria progressista non si inginocchia dinanzi alle vittime, a loro volta costrette in ginocchio, assassinate per decapitazione o sgozzate dai gentiluomini dell’Isis. Nessuna manifestazione, nessun ginocchio a terra per i milioni di sudamericani affamati, impoveriti e senza cure in mano a governi narco marxisti.
Ecco il nuovo Dio: un mondo folle, violento, dominato da un’oligarchia che ci ha reso schiavi e adesso, con il pretesto dell’omaggio a un poveraccio morto per venti dollari con su scritto il sacrilego motto “in God we trust”, pretende l’omaggio più servile!
Non ricordiamo folle ginocchioni in ricordo delle vittime del terrorismo, tutt’al più ridicole infiorate nelle piazze. In Italia, conclamati assassini sono in cattedra ad impartire lezioni e non pochi sono ospiti graditi di salotti televisivi e kermesse culturali. Sono tutti in piedi orgogliosi di sé, e vogliono noi in ginocchio, a chiedere perdono, supplicanti, impauriti per peccati che non abbiamo commesso. Vogliono che ci sentiamo colpevoli di qualsiasi cosa, del passato e del presente, sino alla confessione finale, l’autocritica di matrice comunista: siamo razzisti, fascisti, maschilisti, omofobi, violentatori eccetera eccetera.
Ebbene, resteremo soli, ma non ci inginocchieremo davanti all’orda. Saremo sempre dalla parte delle vittime, manifesteremo empatia a tutti i George Floyd del mondo, di tutte le razze, bianchi, neri, donne, uomini di qualunque credenza religiosa, vittime di ingiustizia, in un mondo nel quale siamo tutti potenziali vittime di assassini a cui troveranno attenuanti, esimenti, giustificazioni. Ma in ginocchio no, solo davanti a Dio! Un potere formidabile dall’intelligenza sopraffina è riuscito a farci prostrare di nostra volontà.
Brutti, pessimi tempi. Se potremo scegliere, chineremo il capo dinanzi al Cristo di Lepanto o al Cristo morto di Andrea Mantegna. Davanti ad altri uomini, mai, e quando capiterà di morire, che avvenga con la testa alta e lo sguardo diritto.
CARTOLINA DA WASHINGTON. LE MANIFESTAZIONI, LE VERE VITTIME.
7 Giugno 2020 16 Commenti --Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, un amico di Stilum Curiae, il dott. Maurizio Ragazzi, ci ha inviato questa Cartolina da Washington, la capitale in cui si sta svolgendo la protesta; nominalmente contro il razzismo, nei fatti contro l’amministrazione Trump, cioè quella che ha fatto segnare un drammatico incremento nell’occupazione nera negli Stati Uniti. Ma la strumentalizzazione è talmente evidente da non stupire più, non solo negli Stati Uniti, ma anche da noi, dove i mass media in grande maggioranza sono già scesi in campagna contro Trump in vista delle presidenziali…Buona lettura.
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Cartolina da Washington
Un saluto da Washington, recentemente assediata da teppisti/terroristi come molte altre citta’ americane, particolarmente quelle amministrate da compiacenti amministrazioni Democratiche, che fanno di tutto per ostacolare una risposta efficace alla violenza di questi giorni e preferiscono chiedersi se… non sia meglio dissolvere i corpi di polizia! (Mi sembra in effetti… il momento piu’ opportuno per questo tipo di sragionamenti!)
- Le vite nere contano (“black lives matter”), ma quali?
Le prime vittime di questa violenza sono state, oltre a poliziotti spesso di colore, i titolari e dipendenti afro-americani, ispanici, ed asiatici, di piccoli negozi (atti di violenza raramente ripresi dalla carta stampata e dalle TV). La scusa per questa violenza e’ stato il doloroso episodio (ancora da analizzare in tutte le sue sfaccettature per accertarne le responsabilità) della morte di George Floyd a Minneapolis, nel nord degli USA. I nuovi “sessantottini” (adesso millennials) figli di papa’ (quelli denunciati da Pasolini a suo tempo),[1] gli attivisti Democratici afro-americani, e le “celebrita’ di Hollywood” pronte a dare addosso alla polizia tanto loro hanno le loro guardie del corpo, si sono scatenati in fantasiose teorie su di un asserito razzismo “sistematico”. (Peccato che non si scatenino altrettanto per la percentuale stratosferica di bambini afro-americani fra quelli eliminati, in un silenzio assordante, tramite il crimine di aborto).[2] Queste loro elucubrazioni sembra proprio contrastino, pero’, con i dati di fatto che, seppur occultati, confermano invece che vengono uccisi dalla polizia piu’ bianchi che afro-americani.[3] A fianco di questi manifestanti “pacifici” (nel senso, cioe’, che molti di loro si “limitano” a provocare, intimidire e lanciare oggetti vari), ci sono teppisti di professione, equivalenti al Black Block ed ai violenti dei centri sociali tristemente noti in Italia. (Tutto il mondo e’ paese!).
- Generali in pensione pontificano, mentre poliziotti anti-sommossa si danno da fare
Da un articolo dal titolo “Lo Stato profondo e i generali assediano Trump”, pubblicato in Italia,[4] sembrerebbe che generali in carica delle forze armate statunitensi fossero a favore del golpe strisciante di burocrazia (“deep State”) e teppisti/terroristi domestici contro un Presidente democraticamente eletto. In realta’, leggendo l’articolo, ci si rende conto che non si tratta di generali in carica ma di vecchie “glorie” ed amministratori inefficienti ai quali Trump aveva da tempo dato il benservito. (Una distinzione non di poco conto, mi pare). Nel frattempo, mentre le dichiarazioni rilasciate generosamente da generali a riposo trovano grande spazio sui giornali, passa sotto silenzio che chi deve liberare le strade e difendere i cittadini si trova con le mani legate ed oggetto di accuse pretestuose, se solo cerca di difendersi. E’ questo il caso di tutti i poliziotti di una brigata di Buffalo, nello stato di New York, che si sono dimessi dal loro corpo di prima linea[5] in solidarieta’ con due colleghi sospesi, assieme al solito coro di accuse non provate, per aver allontanato con una spinta un attivista settantacinquenne che non si sa cosa cercasse in mezzo ad una brigata di poliziotti anti-sommossa, ad un’ora ormai prossima al coprifuoco. (Se anche i poliziotti cominciano, comprensibilmente, ad averne abbastanza di questo buonismo collusivo, dicendosene “disgustati”, siamo fritti!).
- Ci si mettono anche gli “scienziati”
Oltre 1200 cosiddetti “professionisti” della salute, “esperti” di malattie infettive, e persone interessate a vario titolo, hanno firmato una lettera aperta contro la denuncia dei rischi di contagio, in piena pandemia, di manifestazioni pubbliche “anti-razzismo sistematico”, che non sarebbero condannabili “in quanto rischiose per il contagio”, a differenza di manifestazioni per altri fini.[6] Quindi, escluso che il virus sia talmente intelligente da decidere chi infettare considerando i fini perseguiti dall’infettando, il rischio sarebbe o no accettabile a seconda del tipo di manifestazione o di riunione pubblica: chi osa andare a Messa, tenendosi a dieci metri di distanza, o chi manifesta, sempre ordinatamente, per poter riaprire la propria attivita’ prima di fallire, e’ un bambino cattivo; mentre chi manifesta, uno in groppa all’altro, a favore delle campagne della “political correctness” e’ un eroe del nostro tempo. Che poi siano questi ultimi a correre e procurare un maggior rischio di contagio, con conseguente possibile intasamento dei reparti di rianimazione, e’ una valutazione che solo quanti sono bollati come “razzisti” insensibili ai presunti grandi “ideali” dei manifestanti osano segnalare.[7] (Evviva la “scienza nuova”, non quella di vichiana memoria basata sul rispetto del principio del verum-factum, ma quella degli “scienziati” che, ignorando il factum, trascurano la ricerca del verum!).
Dr. Maurizio Ragazzi
Washington DC (USA)
[1] https://www.facebook.com/Pier.Paolo.Pasolini.Eretico.e.Corsaro/posts/1511316448932383/.
[2] Ecco le tragiche statistiche: http://www.johnstonsarchive.net/policy/abortion/usa_abortion_by_race.html; https://www.kff.org/womens-health-policy/state-indicator/abortions-by-race/?currentTimeframe=0&sortModel=%7B%22colId%22:%22Location%22,%22sort%22:%22asc%22%7D. Questa, si’, e’ una forma di razzismo sistematico, come confermano i dati e la storia razzista del movimento abortista: https://www.provitaefamiglia.it/blog/genocidio-dimenticato-negli-usa-i-benpensanti-sono-i-veri-razzisti.
[3] https://www.statista.com/statistics/585152/people-shot-to-death-by-us-police-by-race/.
[5] https://www.usatoday.com/story/news/nation/2020/06/05/buffalo-new-york-police-officers-suspended-shoving-man-ground/3153626001/.
[6] Per il testo della lettera, si veda https://www.cnn.com/2020/06/05/health/health-care-open-letter-protests-coronavirus-trnd/index.html.
[7] Ma persino il direttore dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) ha osato ammettere che queste proteste “anti-razzismo” potrebbero essere all’origine di un’ulteriore diffusione del virus (https://www.cidrap.umn.edu/news-perspective/2020/06/cdc-warns-protests-and-covid-19-spread), e lo stesso ha ribadito l’ubiquo Dr. Fauci, direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive (NIAID) da quasi quarant’anni (https://www.foxnews.com/health/dr-fauci-says-george-floyd-protests-provide-perfect-recipe-for-new-coronavirus-surges).
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