ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 11 giugno 2020

Un raggio di sole farà primavera?

«La legge sull’omofobia un inganno, il fine è distruggere la famiglia»

Non c’è nessun vuoto normativo che giustifichi una legge sull’“omotransfobia” perché già «l’ordinamento italiano prevede che quando una persona viene lesa o discriminata per qualsiasi ragione la magistratura può intervenire». «Questa legge è un espediente… L’obiettivo più profondo è teologico, corrisponde alla ribellione di Satana al disegno di Dio. Dal punto di vista dei poteri mondani, lo smantellamento della famiglia apre la porta a qualsiasi manipolazione». Così la libertà della Chiesa è minacciata, ma il cristiano deve annunciare Gesù, «che è capace di accogliere l’uomo e di trasformarlo». La Nuova Bussola intervista monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-San Remo.



Luglio si avvicina e inizia ad entrare nella fase calda il dibattito intorno alla legge sulla cosiddetta “omotransfobia”, che nelle intenzioni dei proponenti dovrebbe approdare in Aula proprio entro il prossimo mese. Alla Commissione Giustizia della Camera sono ad oggi all’esame il Ddl Zan e altre proposte (Bartolozzi, Boldrini, Perantoni, Scalfarotto) che rischiano di limitare gravemente la libertà di chi afferma pubblicamente la verità su complementarità sessuale e, dunque, famiglia naturale.

Ci sono vescovi che stanno prendendo posizione. Ieri è intervenuta la presidenza della Cei per ricordare che esistono già le necessarie tutele normative verso ogni persona, che una legge sull’omofobia «rischierebbe di aprire a derive liberticide» fino a introdurre «un reato di opinione» a danno di chi difende la naturale compresenza di madre e padre.

E lunedì 8 era intanto intervenuto monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia- San Remo, con un bel messaggio pubblicato sul sito della sua diocesi, dal titolo - biblico - significativo: «Misericordia e verità si incontreranno». La Nuova Bussola lo ha intervistato.

Monsignor Suetta, lei ha ricordato l’esempio dei Santi martiri ugandesi, che cosa ci insegnano Carlo Lwanga e compagni?
Quello che insegnano i martiri, cioè che di fronte alle verità della fede occorre imparare a non adattarle, a non cedere in nome di quello che a volte viene superficialmente chiamato “dialogo”. Se i martiri avessero perseguito una malintesa “via del dialogo”, senza essere fedeli fino in fondo ai loro convincimenti, avrebbero probabilmente salvato la vita ma non avrebbero dato buona testimonianza al Signore.

Perché questo progetto di legge non può essere disgiunto dal tema della libertà della Chiesa?
La libertà della Chiesa, dal punto di vista teologico, poggia sulla Rivelazione: la Chiesa ha ricevuto il dono della verità ed esiste per annunciarla. Dal punto di vista semplicemente terreno, essendo un’istituzione con la propria visione del mondo, ha il diritto (che in Italia è riconosciuto anche dalla Costituzione) di insegnare la propria dottrina. Oggi la libertà della Chiesa viene conculcata in diversi modi, soprattutto con la pressione culturale riconducibile al “pensiero unico” o al “politicamente corretto”. Secondo questa concezione, specie se si tratta di sessualità e famiglia, la Chiesa può dire quello che vuole solo in casa propria. E questa ovviamente è una violazione della sua libertà.

Con questo tipo di leggi e il clima attuale, c’è pure il rischio che la Chiesa non possa più annunciare la verità in casa propria. Ce lo ricorda anche il recente caso della parrocchia canadese a processo per non aver ospitato un evento gay…
Per il nostro contesto nazionale, credo che quest’ultimo rischio sia forse un po’ remoto, perché immagino che la legge, in maniera un po’ subdola, potrà dire “va bene, la Chiesa nei propri ambienti può svolgere la propria missione”. Ma rimane il problema della mentalità alla base di questi Ddl, secondo cui sull’argomento dell’omosessualità non si può dire nulla di diverso da quello che si vuol far passare come acquisizione comune. E poi stabilire se una determinata espressione corrisponda all’enunciazione di principi morali o a una manifestazione di odio spetterà alla discrezionalità del singolo giudice, e questo è un rischio gravissimo.

In questo senso c’è il rischio che dei passi del Catechismo e della Bibbia divengano, di fatto, fuori legge?
Sì, purtroppo, questo può essere frutto non solo di un iter legislativo ma del retroterra culturale che rischia di diffondersi sia tra coloro che non si riconoscono nella professione della fede cristiana sia pure all’interno della Chiesa. Nessuno va discriminato ma, come ricorda il Catechismo, questo non significa approvare determinate condotte. Allora va chiarita la distinzione tra condanna del peccato e accoglienza del peccatore: questa accoglienza ha un obiettivo finale, che è la conversione. Noi giustamente guardiamo a Gesù: Lui accoglieva i peccatori, ma proponendo loro un cammino di conversione. Il cristiano è chiamato a testimoniare con chiarezza la verità della fede.

Perciò lei ha scelto come titolo del suo messaggio - “Misericordia e verità si incontreranno” - le parole del Salmo?
Esattamente, perché contrapporle fa torto all’una e all’altra. Una misericordia che non tenesse conto della giustizia e della verità sarebbe una debolezza che fa male a colui che la riceve. Faccio il classico esempio del medico. Il medico che si pone in modo ‘pietoso’, sbagliato, verso il paziente, non rivela la giusta diagnosi, non dà la giusta terapia, e il paziente anziché guarire muore. Viceversa, la vera misericordia è quell’atteggiamento responsabile che si fa carico di una persona, anche nelle sue fragilità, ma per puntare al loro superamento. Ora, ci sono fragilità che non possono essere superate con l’intervento umano, ma - quando parliamo di peccato e di salvezza - sappiamo che dove non può l’uomo può la grazia di Dio. Noi dobbiamo annunciare la grazia di Dio.

A proposito della lettera del 1986 sulla cura pastorale delle persone omosessuali, Ratzinger avvertiva già allora dell’esistenza di gruppi che cercano di sovvertire l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Don Dariusz Oko ha definito questo tentativo “omoeresia”. Sette anni fa si riuscì a bloccare il Ddl Scalfarotto, ma oggi il clima sembra diverso anche in buona parte del clero. Che appello fa ai suoi confratelli nell’episcopato?
L’appello che faccio è di essere vigilanti per aiutare i fedeli e tutte le persone disposte a ragionare onestamente a fare in modo che l’inganno culturale alla base di questa legge venga smascherato. E poi è un nostro dovere di pastori sostenere e anche richiamare i politici che si professano cattolici ad essere coerenti. Purtroppo, leggi di questo genere sono passate alla chetichella anche a livello regionale, garantendo sostegno economico ad associazioni che poi vanno nelle scuole ufficialmente a combattere le discriminazioni, concretamente a proporre elementi di “educazione sessuale” completamente fuorvianti.


I sostenitori di questa legge dicono che è necessaria perché c’è un vuoto normativo. Secondo lei è così?
Come spiegano illustri giuristi, questo vuoto normativo non c’è perché l’ordinamento italiano prevede che quando una persona viene lesa o discriminata per qualsiasi ragione la magistratura ha la possibilità di intervenire per ripristinare la giustizia. Questa legge è un espediente. L’obiettivo di fondo, che non viene detto, è quello di distruggere la famiglia.

Quale ne è la ragione?
L’obiettivo più profondo è teologico, corrisponde alla ribellione di Satana al disegno di Dio. Dal punto di vista dei poteri mondani, lo smantellamento della famiglia apre la porta a qualsiasi manipolazione all’interno della società. Questo perché la famiglia, con i suoi legami naturali, è il presidio più sicuro di determinati valori, sia morali che materiali. Il più importante di questi è l’educazione dei figli, compito primario della famiglia, insieme alla cura degli anziani.

Insomma, questa legge è pericolosa.
Sì, lo è. Non ho il timore così prossimo che dovrò controllare quanto dico nelle omelie. Magari, poi, di caduta in caduta si arriverà anche lì. Perché tutte le volte che dal punto di vista legislativo viene segnato un passo nel verso sbagliato si rafforza una mentalità che rappresenta un serio pericolo per le coscienze. La legge, da sola, non tutela il bene. Il bene corrisponde a una scelta autentica di libertà che fa la retta coscienza, però la legge - insegna la Bibbia - è come una siepe che protegge dagli sbandamenti verso zone sbagliate, ma anche dalle invasioni. L’immagine della Bibbia è molto bella. La vigna - che è oggetto della cura di Dio ed è protetta dalla siepe - rappresenta individualmente il cuore dell’uomo e comunitariamente il popolo di Dio. Queste incursioni nella vigna sono forme di pensiero sbagliate che distruggono ciò che la Chiesa cerca di comunicare alle coscienze. Oggi molti chiamano queste incursioni “conquiste di civiltà”, in realtà sono indice di un regresso.

Quindi, è una legge controproducente per gli stessi gruppi che intenderebbe difendere?
Sì, perché quello che oggi viene rivendicato, in nome dell’“orgoglio”, va oltre la legittima tutela della persona, e rovescia la corretta concezione della persona.

A proposito, emergono notizie di parrocchie che festeggiano il “mese dell’orgoglio gay” in contemporanea al Sacro Cuore di Gesù: che ne pensa?
Mi sembra una cosa tragicamente ridicola, nel senso proprio. Se noi pensiamo al Cuore di Gesù, pensiamo alla Misericordia di Dio che è capace di accogliere l’uomo e di trasformarlo. Quindi, accostare questo mistero di salvezza a una situazione che si vuole cristallizzata nell’errore, è inadeguato dal punto di vista logico e della fede. Anche se dietro ci fossero le migliori intenzioni, chi promuove questo tipo di “abbraccio” non si accorge che è un abbraccio che soffoca, perché si tratta di accostare un mondo con presupposti filosofici assolutamente contrari alla fede. L’esito non può essere che l’asfissia, anche della ragione.

Ex gay ed ex trans, che hanno scoperto Gesù, testimoniano proprio di essere stati trasformati e autenticamente liberati da Lui.
Infatti. Noi dobbiamo predicare questo.

Ermes Dovico


https://lanuovabq.it/it/la-legge-sullomofobia-un-inganno-il-fine-e-distruggere-la-famiglia
IL COMUNICATO
La Cei attacca il Ddl Zan, ma non si può criticare a metà

Il comunicato dei vescovi, pur essendo lodevole, non va alla radice del problema: si deve dire "no" al Ddl Zan non tanto perché non ci sono lacune normative sulla materia o perché sarebbe un attentato alla nostra libertà di parola, bensì perché l’omosessualità non fa il bene della persona e quindi contraddice il bene comune. Non si può dire "no" all’omosessualità solo a metà, solo sul versante giuridico. La Cei infatti più volte è rimasta inerte di fronte alle veglie arcobaleno tenute in molte chiese d'Italia.


Un raggio di sole dalla Cei. Un comunicato dei vescovi italiani sulla proposta di legge Zan sulla cosiddetta omofobia che è adamantino sin dal titolo: «Omofobia, non serve una nuova legge». Peccato solo per aver accettato di usare il termine “omofobia” che ha una accezione fortemente ideologica. Ma passiamo oltre e andiamo a leggere il contenuto di questo comunicato.

Dopo aver condannato giustamente ogni forma di ingiusta discriminazione verso le persone omosessuali, la Conferenza episcopale sottolinea il fatto che «un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio». E aggiunge che in merito ai nuovi reati che si vogliono introdurre «non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni».

Il comunicato della Cei addirittura rilancia e lo fa sul tavolo della liberta di parola e di opinione: «Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte». I vescovi italiani poi ricorrono ad un esempio paradigmatico e assolutamente azzeccato: «Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma - e non la duplicazione della stessa figura - significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso». In chiusura la Cei suggerisce di puntare non tanto sulla repressione penale, bensì sulla educazione delle coscienze.

Il raggio di sole di cui sopra però fa fatica a fendere alcune spesse nubi. Ci spieghiamo meglio. Bene sottolineare il fatto che la persona omosessuale è già tutelata in quanto persona dal nostro ordinamento giuridico. Bene rimarcare il fatto che il Ddl Zan si presta a probabili derive liberticide. Ma quello che fa problema di questa proposta di legge non sono tanto questi due aspetti, o altri aspetti giuridici, bensì che il Ddl Zan volendo tappare la bocca a chi critica l’omosessualità e le condotte omosessuali presuppone che l’omosessualità sia una bene giuridico, che sia una condizione tutelata dallo Stato e che le condotte omosessuali siano diritti legittimi, tutte realtà giuridiche che in effetti sono state già introdotte nel nostro ordinamento dalla legge Cirinnà sulle Unioni civili. In breve il Ddl presuppone il fatto che l’omosessualità sia una variabile dell’orientamento sessuale moralmente accettabile.

Dunque il comunicato Cei, pur essendo lodevole, non va alla radice del problema: si deve dire No al Ddl Zan non tanto perché non ci sono lacune normative sulla materia o perché sarebbe un attentato alla nostra libertà di parola, bensì perché l’omosessualità non fa il bene della persona e quindi contraddice il bene comune. Il giudizio morale in questo caso si riflette anche in ambito giuridico-politico. In effetti questa critica di fondo difficilmente sarebbe potuta venire dalla Cei perché la stessa più volte è rimasta inerte di fronte alle veglie arcobaleno tenute in molte chiese di Italia, ai corsi parrocchiali che da inclusivi delle persone omosessuali si trasformavano di fatto in inclusivi dell’omosessualità, alla permanenza in ambito ecclesiale e parrocchiale di persone omosessuali che rivestivano ruoli importanti e che non avevano nessuna intenzione di abbandonare il loro stile di vita gaio (famigerato icaso del capo scout che si “sposò “ in comune, con benedizione del vicario parrocchiale presente alla cerimonia), contraddicendo in tal modo quanto disposto al n. 11 dal documento «Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali» della Congregazione per la Dottrina della Fede.

In breve non si può dire No all’omosessualità solo a metà, solo sul versante giuridico. Bene ha fatto la Cei a ricordare l’impegno educativo delle coscienze, ma questa educazione deve essere promossa non solo versante del rispetto delle persone omosessuali, ma ancor prima sul versante del rispetto della verità tutta intera sull’uomo. Dunque se non si ritorna a livello pastorale a formare rettamente le coscienze sul tema omosessualità si avranno sempre le armi spuntate sui vari Ddl Zan che verranno proposti. Infatti questi progetti di legge non nascono come funghi dall’oggi al domani, ma sono il precipitato giuridico di una sensibilità diffusa costruita nel tempo. Si propongono queste norme proprio perché ormai, ben prima, il percepito collettivo ha già accettato l’omosessualità. Per contrastare queste leggi certamente è meritorio appuntare aporie ed errori giuridici in esse presenti, ma appare come il tentativo di curare i sintomi e non la patologia. Il problema dunque sta a monte, sul piano culturale, non a valle, sul piano giuridico, piano che ha recepito solo i frutti di un lavoro pluridecennale volto a far accettare a tutti il mondo arcobaleno.

Dunque lodevole aver richiuso il recinto per non far scappare altre vacche, ma nella consapevolezza che la maggior parte della mandria è già scappata.

Tommaso Scandroglio
https://lanuovabq.it/it/la-cei-attacca-il-ddl-zan-ma-non-si-puo-criticare-a-meta
Il progetto contro l’omofobia, tappa verso il totalitarismo

di Carlo Manetti


Articolo pubblicato sul Corrispondenza Romana




Ci troviamo di fronte all’ennesimo tentativo del movimento omosessualista e dei suoi alleati di far passare una legge che criminalizzi (nel senso di rendere reato) la pubblica condanna etica dell’omosessualità, con conseguente pubblica disistima nei confronti di coloro che praticano il vizio sodomitico: è ripartito l’iter parlamentare, sospeso per la pandemia, del disegno di legge contro l’omofobia, di cui è relatore il deputato Pd Alessandro Zan, attivista LGBT; attualmente è ancora alla Commissione Giustizia della Camera, ma i promotori contano di arrivare in Aula a Montecitorio già nel mese di luglio. Qual è la logica che soggiace a questi tentativi?

Essa presume che, se non tutti, almeno la maggioranza dei reati commessi contro persone omosessuali sia dovuta ad una “pregiudiziale” ostilità nei confronti di coloro che hanno tendenze contro natura, senza distinzione tra chi ha comportamenti conformi a tale indole e chi, vincendo queste pulsioni, se ne astiene; si ritiene, di conseguenza, opportuno e, quindi, “giusto” colpire giuridicamente chiunque, in qualunque modo ed a qualunque titolo, condanni qualsivoglia libera determinazione dell’individuo nella propria sfera sessuale ed affettiva. Si prescinde da ogni valutazione oggettiva dei comportamenti e si nutre tutto alla logica del rapporto amico-nemico degli omosessuali, partendo dal rifiuto del concetto di natura e, conseguentemente, di quello etica naturale, discendente dalla prima; ci si rifiuta, dunque, di riconoscere la politica come parte della morale ed il diritto come scienza.

Nella filosofia realistica, di cui Aristotele (384-322 a.C.), cristianamente perfezionato da San Tommaso d’Aquino (1225-1274), è la massima espressione, tutto ciò che esiste è regolato da leggi interne, coordinate in una sorta di ordinamento, voluto da Dio nel momento della Creazione. Tale ordinamento raggruppa tutti gli esseri in gruppi omogenei, a loro volta regolati ciascuno da una propria normativa (natura); ciascun essere, quindi, appartiene alla propria natura e la sua finalità sarà quella di raggiungere la massima perfezione possibile all’interno di essa.

Anche l’uomo, quindi, deve tendere alla propria perfezione. Egli è l’unico essere razionale sulla terra e, dunque, questa sua finalità non può essere conseguita tramite leggi meccaniche, come per gli esseri inanimati, o attraverso il puro dispiegarsi di leggi vegetative, come per le piante, o, ancora, con il seguire incoercibili e perfetti istinti, come per gli animali, ma deve essere adempiuta con il continuo adeguamento delle proprie pulsioni istintuali alla ragione, le prime imperfette e manchevoli, proprio perché bisognose di adeguarsi a questa. Tale adeguamento, finalizzato, come si diceva, al perseguimento della perfezione della propria natura, prende il nome di etica; non si può, quindi, parlare di etica se non con riferimento all’essere umano, proprio perché egli è il solo, su questa terra, ad essere libero, in virtù della propria natura razionale.

L’uomo, oltre che natura razionale, ha anche natura sociale, tanto che Aristotele arriva a definirlo ζῷον πολιτικόν (zoon politcòn), vale a dire animale politico. Questa socialità si esprime, in primo luogo, nella famiglia, ma riveste ambiti più ampi, tanto nel campo materiale e del proprio sostentamento, quanto in quello spirituale; di qui discende la tendenza a costituire comunità, all’interno delle quali l’elemento di natura spirituale è sempre stato presente, sia pure in forme diverse; si pensi, ad esempio, alla presenza di sacerdoti e di poeti in ogni società umana. La più compiuta forma di organizzazione umana fino ad oggi conosciuta è quella statuale.

Lo Stato ha la funzione di facilitare il cammino di ogni persona umana verso il raggiungimento della perfezione della propria natura. La politica, quindi, è parte dell’etica e, per essere più precisi, ne costituisce la branca che regola i rapporti umani tra le singole comunità (Stati) ed all’interno di ciascuno di essi. Lo Stato deve, dunque, promuovere il «bene comune», vale a dire l’ordinata convivenza, in grado di fornire, nei limiti del possibile ed a seconda delle circostanze storiche in cui ci si trova a vivere, gli aiuti utili a ciascuno per conseguire il suo fine ultimo. Gli obiettivi di carattere materiale, quali la sicurezza ed il benessere economico, sono strumentali a questo fine.

In tutta la tradizione occidentale, il diritto non è mai stato concepito, almeno fino all’Illuminismo, come strumento nelle mani del detentore del potere politico per costringere i membri della propria comunità ad adeguarsi al suo volere; ma, fin dall’antichità romana, le norme poste dal legislatore sono sempre state viste come applicazione, alla concreta fattispecie trattata, del diritto naturale, discendente, a sua volta, dalla natura (jus naturale) o, in maniera più specifica, dall’umana ontologia (jus gentium). È solo con l’Illuminismo che, ad imitazione del totalitarismo cinese, si è voluti tornare alla barbarie della riduzione della legge a puro atto di volontà del potere; la teorizzazione di questo regresso va sotto il nome di «giuspositivismo» e trova il suo maggiore cantore nel giurista austriaco Hans Kelsen (1881-1973).

Il ridurre il diritto ad espressione della volontà politica, privandolo, quindi, della sua autonoma scientificità, significa sottrarre la politica al dominio della morale e, conseguentemente, invertire la naturale gerarchia tra di loro, facendo dell’etica una pura appendice della politica e del potere. È in queste dottrine, così seducenti per ogni governante ambizioso, che trovano le loro radici i totalitarismi, fino alla Rivoluzione francese sconosciuti in Occidente, ed i tentativi di giustificazione dei loro crimini. È qui che nasce anche il concetto di «politicamente corretto», che, già nel lessico, esprime chiaramente la sovversione della gerarchia di cui parlavamo, ponendo nella politica e non nella morale l’origine della correttezza o meno di un’azione o di un pensiero.

Da queste aberrazioni, passando attraverso la teoria Gender, che, contro ogni evidenza scientifica, nega la natura sessuata dell’essere umano, nascono il concetto di «omofobia» ed i vari tentativi di sua criminalizzazione. Per «omofobia», neologismo linguisticamente orrendo, si intende la paura-avversione nei confronti dell’omosessualità e delle persone omosessuali (anche qui senza nessuna distinzione tra i due concetti). Si passa dalla repressione di atti di violenza nei confronti delle persone, indipendentemente dalle loro pulsioni e/o atti sessuali, al reprimere come reato la condanna morale della sessualità contro natura. Il bene giuridicamente tutelato da tali eventuali norme penali non sarebbe, quindi, più la persona, tanto nella sua dimensione fisica, quanto in quella morale, ivi compreso il diritto all’onore, ma l’omosessualità come tale. La legge, dunque, si farebbe garante della liceità (cosa ben diversa dalla tolleranza) di un comportamento oggettivamente contro natura e, conseguentemente, malvagio nella sua ontologia.

Come per tutte le legislazioni che riconoscono l’aborto come diritto soggettivo della donna, anche tutte le normative tese a reprimere la cosiddetta «omofobia» possono acquisire il valore di legge solo a patto di prendere il potere politico (nel caso di specie quello legislativo) “sovrano” della morale e, quindi, legittimato ad imporre ai cittadini norme immorali. Ma, poiché l’etica deriva dalla natura, per poter imporre come bene ciò che è oggettivamente male, si è costretti a negare la realtà, anche scientifica.

Una volta fatto saltare anche quest’ultimo argine, la strada verso il totalitarismo risulta completamente spianata: il detentore del potere politico potrà, così, “stabilire” non solo ciò che è lecito o illecito, ma anche ciò che è giusto o ingiusto e, quindi, ciò che è vero e ciò che è falso. George Orwell (1903-1950) ha dato prova di impressionanti doti di chiaroveggenza, anche se la realtà rischia di superare le sue pur tetre previsioni.


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