ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 11 giugno 2020

Una nuova tappa del processo rivoluzionario

Covid-19. Homo homini virus e dissoluzione della società



Gregorio XVI e l’epidemia del suo tempo




(Roberto de Mattei) Il colera, che flagellò l’Europa nell’Ottocento, partì nel 1817 dalle rive del Gange, in India. Il cammino del morbo fu lento, ma inesorabile. La pandemia si diffuse fino alla Cina e al Giappone, entrò in Russia, e da lì si estese ai paesi scandinavi, all’Inghilterra e all’Irlanda, da dove con le navi degli emigranti raggiunse l’America, colpendo, negli anni Trenta, Canada, Stati Uniti, Messico, Perù, Cile. Nel 1832 raggiunse Parigi, poi la Spagna, e finalmente, nel luglio 1835 varcò i confini dell’Italia del nord, a Nizza, Genova, Torino. 


Lo storico Gaetano Moroni (1802-1883), nel suo celebre Dizionario di erudizione, parlando del «distruggitore e desolante flagello del Cholera morbus, indiano o asiatico», lo definisce «peste» e lo presenta in questi termini: «Peste significa ogni sorta di flagelli, castigo divino che incute a tutti salutare spavento e timore, scuotendo i peccatori ostinati a verace penitenza, con mirabili effetti, essendo i peccati la perenne sorgente di ogni avversità» (Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Tipografia Emiliana, Venezia 1840-1861, vol. 52, p. 219). Gregorio XVI, eletto nel 1831 al soglio pontificio, fin dal 1835 inviò una commissione medica a Parigi per avere un resoconto scientifico sulla malattia, di cui era ignota la natura. In Italia, alla prima comparsa del morbo, si era aperto un acceso dibattito tra due scuole mediche, i “contagionisti” e gli “epidemisti” per stabilire se il colera era un morbo contagioso o epidemico. I “contagionisti” ritenevano che la diffusione della malattia avvenisse per contatto diretto o indiretto con i malati, e che, di conseguenza, le misure per contenerla dovessero consistere nell’istituzione di cordoni sanitari e quarantene. Gli “epidemisti” affermavano invece che la causa delle malattie andava ricercata nelle cattive condizioni igieniche e nei miasmi dell’atmosfera, ed erano contrari alle misure di isolamento e di quarantena, dal momento che è impossibile impedire all’aria di circolare (Eugenia Tognotti, Il mostro asiatico. Storia del colera in Italia, Laterza, Roma-Bari 2000). Generalmente i governi monarchici propendevano per l’ipotesi contagionista, mentre i liberali e i carbonari, che ritenevano tiranniche tutte le iniziative lesive delle liberà individuali, sostenevano l’ipotesi epidemista, e quando il morbo colpì il Regno delle Due Sicilie, diffusero la notizia che il colera sarebbe stato provocato da un veleno propagato dallo stesso governo borbonico.
Gregorio XVI, che nell’enciclica Mirari vos del 15 agosto 1832 aveva condannato il liberalismo, era incline all’ipotesi contagionista. Il 12 agosto la Congregazione Sanitaria istituita dal Papa pubblicò un Regolamento e metodo per l’attivazione dei cordoni sanitari per impedire ai confini dello Stato pontificio, e anche in alcune zone al suo interno, il passaggio in entrata e in uscita di uomini e cose che in qualche modo potessero trasmettere e propagare il contagio. I cordoni sanitari erano costituiti da due barriere successive, larghe un miglio (il cordone “infetto” e il cordone “sano”), controllate da una serie di sentinelle, che impedivano rigorosamente l’accesso a chicchessia. Tra i due cordoni erano previste almeno tre case, dove le persone avrebbero dovuto passare quattordici giorni di quarantena. All’editto erano allegate ulteriori disposizioni, tra cui l’uso di “passaporti sanitari”, rilasciati a chi, sottoposto a controllo, potesse poi circolare liberamente, e la segregazione immediata e completa dei comuni «dove per colmo di sciagura scoppiasse il male». Era poi ordinato che se nonostante tutte le precauzioni, il morbo fosse entrato in una parte della città, si sarebbe allora proceduto a “barricare le strade”, provvedendo al tempo stesso ai viveri della popolazione. Alla fine si ricordava la severità estrema con cui sarebbero punite le violazioni di queste disposizioni: le pene prevedevano fino all’ergastolo in caso di passaggio clandestino attraverso i cordoni, e la pena di morte per i casi di contagio colpevole (Marcello Teodonio, Francesco Negro, Colera, omeopatia ed altre storie, Roma 1837, Fratelli Palombi, Roma 1988, pp. 38-39). Il colera non aveva ancora colpito Roma, ma il 20 settembre 1836 il cardinale Anton Domenico Gamberini, ministro degli interni dello Stato Pontificio, pubblicò un editto in cui, a nome di Gregorio XVI notificava che per fare «tutto quello che l’umana prudenza consiglia» e «rendere meno dannosa l’invasione del morbo», se «questa, in pena dei nostri peccati, ci fosse riservata», veniva istituita un Roma una “Commissione straordinaria di pubblica incolumità”, presieduta dal cardinale Giuseppe Sala e composta da sei membri, tre religiosi e tre laici, affiancati da un Consiglio medico permanente. Roma era divisa in 14 sezioni sanitarie, corrispondenti ai rioni, ciascuna dotata di una commissione particolare, composta da medici, chirurgi e infermieri. Ogni commissione aveva come compito la pulizia delle strade, la vendita di commestibili e bevande, l’aiuto agli indigenti, il soccorso ai colerosi. Le farmacie dovevano fornire le medicine gratis ai malati, mentre i medici avrebbero dovuto tenere un registro quotidiano dei casi. Assisteva il cardinale Sala, nella sua missione di sorvegliante di tutti gli ospedali della città, il sacerdote don Gioacchino Pecci, futuro Leone XIII, che in quello stesso anno aveva conseguito il dottorato in teologia e diritto canonico. Il 7 gennaio 1837, la Commissione militare istituita da Gregorio XVI comunicò di aver comminato la galera a vita per sei persone, colpevoli di aver infranto il cordone sanitario e il 14 gennaio, tra le proteste di molti, venne pubblicato un editto con cui veniva proibita la celebrazione dello storico carnevale romano. Il mercoledì delle ceneri il cardinale Odescalchi ricordava ai romani di «voler placare con digiuni, orazioni e altre opere di pietà, l’ira dell’Onnipotente, provocata dalle gravi colpe, al fine di tener lontani i flagelli che ci minacciano».
Nel luglio del 1837 si segnalarono i primi casi di colera a Roma. L’opinione pubblica si divise tra chi ammetteva e chi negava l’esistenza dell’epidemia. Il colera però divampò tra luglio e settembre. Mentre i circoli liberali continuavano a spargere la voce che il governo pontificio avrebbe deliberatamente diffuso il morbo, Gregorio XVI ordinò di rafforzare i cordoni sanitari e sospendere tutte le sagre, le feste e ogni tipo di assembramento. Vennero mobilitate le milizie, chiusi i confini e gli approdi, e dato ordine ai corpi di cavalleria di battere i luoghi più remoti. Il 6 agosto fu fatta una solenne processione della Madonna di San Luca, dalla basilica di Santa Maria Maggiore alla chiesa del Gesù dove l’immagine miracolosa rimase esposta otto giorni. Alla Madonna, preceduta da un picchetto di dragoni a cavallo, recò omaggio, lungo il percorso, il Papa con tutto il Sacro Collegio e il governo romano.
Le cronache registrano l’abnegazione del clero, secolare e regolare e la «evangelica dedizione del Pontefice che non esitava a recarsi ove il morbo più infieriva e a sovvenire anche di persona ai bisogni spirituali e materiali delle vittime» (Paolo Dalla Torre, L’opera riformatrice ed amministrativa di Gregorio XVI, in Gregorio XVI, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1948, vol. II, p. 70). Tra i sacerdoti che si distinsero nell’eroica assistenza ai malati e nel soccorso ai moribondi, furono san Vincenzo Pallotti e san Gaspare del Bufalo. Secondo il Diario di Roma dell’epoca, nello spazio di tre mesi, dal 28 luglio al 9 ottobre 1837, i colpiti dal colera nella città Eterna, sarebbero stati 8.090, i morti 4.446. Morì, il 28 dicembre anche san Gaspare del Bufalo, alla cui morte san Vincenzo Pallotti assistette, vedendo che la sua anima saliva al cielo come una fiamma. Tra coloro che furono colpiti di colera, in forma benigna, fu l’abate benedettino di Solesmes, dom Prosper Guéranger, che si trovava a Roma per ottenere l’approvazione ufficiale della sua fondazione. Una volta rimessosi e ottenuto il riconoscimento da Gregorio XVI, dom Guéranger cercò di tornare in Francia, ma il suo biografo racconta che le comunicazioni dello Stato pontificio con il resto del mondo erano sospese e il cordone sanitario bloccava il porto di Civitavecchia e tutte le altre strade. Solo il 4 ottobre Dom Guéranger riuscì a lasciare lo stato pontificio e dopo un interminabile viaggio, riuscì finalmente ad arrivare a Parigi (Dom Guy-Marie Oury, Dom Guéranger moine au coeur de l’Eglise, Editions de Solesmes, 2000, pp. 158-160). L’epidemia intanto si spense lentamente e il 15 ottobre nelle tre basiliche patriarcali di San Giovanni, San Pietro e Santa Maria Maggiore e in tutte le chiese parrocchiali, si cantò solennemente il Te Deum, con indulgenza plenaria, in ringraziamento della cessazione del colera.
Dodici anni dopo, nel 1849, l’uragano della Repubblica romana, ben peggiore dell’epidemia di colera, travolse la città di Roma, costituendo una nuova tappa del processo rivoluzionario che arriva ai nostri giorni. Solo nel 1884 il vibrione responsabile del colera venne individuato da Robert Koch e l’anno successivo fu possibile la realizzazione del primo vaccino da parte del medico spagnolo Jaime Ferran. 
https://www.corrispondenzaromana.it/gregorio-xvi-e-lepidemia-del-suo-tempo/
Il trionfo della Svezia: rimanere liberi in un mondo in “lockdown”


Perché i media sono così preoccupati per la Svezia? E perché sono così determinati a dimostrare che l’approccio svedese al coronavirus è sbagliato? Dobbiamo credere che gli stessi media “mainstream”che hanno accettato tutti i sanguinosi colpi di stato, interventi e guerre degli ultimi 30 anni, siano improvvisamente diventati sostenitori disinteressati degli anziani svedesi che combattono contro un’infezione letale?
Sciocchezze. La ragione per la quale i media pubblicano circa 15 articoli contro la Svezia per ogni articolo a favore è perché hanno un interesse a farlo. I media vogliono fugare l’idea che ci sia un’alternativa all’approccio autoritario del lockdown. Conseguentemente, il modello svedese che lascia aperte parti dell’economia e si fida della gente che segue le linee guida del governo sul “distanziamento”, deve essere stroncato. Questo è ciò che sta realmente accadendo. I media non hanno alcun interesse in un piccolo paese nordeuropeo di 10,4 milioni di persone. Quello che a loro interessa è l’esempio che la Svezia sta dando agli altri paesi del mondo. Se tali paesi seguono l’esempio e decidono di adottare un approccio basato sulla scienza e sulla fiducia, piuttosto che sulla politica e sulla coercizione, allora il piano elitario per prolungare la crisi e ristrutturare l’economia comincia ad andare in fumo. Quindi la Svezia deve essere annientata. Più semplice.
La prima linea di attacco contro la Svezia è il suo “tasso di mortalità” che è significativamente più alto rispetto a quello dei suoi vicini della Norvegia o della Danimarca. E mentre oggi ci sono solo 4.395 morti in Svezia contro gli oltre 100.000 negli Stati Uniti, le informazioni sono sempre presentate in termini sensazionalistici, come questa ridicolo trafiletto del National Review.
“Ci sono stati dieci volte più decessi per COVID-19 in Svezia che in Norvegia su base pro capite. Secondo il sito web Worldometers, 435 svedesi per ogni milione di abitanti sono morti a causa del virus, mentre solo 44 norvegesi per ogni milione” (National Review).
Caspita, “435 su un milione di svedesi sono morti a causa del virus!” Quei barbari svedesi, stanno uccidendo il proprio popolo!
Questa è una assurdità allarmistica. Pensateci: “435 morti per milione” è solo 1 su 2.500. E’ sufficiente a giustificare la chiusura dell’economia e la sospensione delle libertà civili? Certo che no. E, tenete presente, la grande maggioranza di questi decessi si registra tra le persone che hanno oltre 70 anni e con patologie pregresse. Come in qualsiasi altra parte del mondo, circa il 90% dei decessi dovuti al Covid si verifica tra gli ultra sessantenni con comorbilità”.
Vi faccio una domanda: Un morto ogni 2.500 è un motivo sufficiente per strangolare l’economia e mettere il paese agli arresti domiciliari?
La risposta è “No”. L’isolamento non è stato solo un errore, ma è stata una reazione di paura, una reazione istintiva al picco esponenziale dei casi di positivi al Covid per i quali i politici erano completamente impreparati. Così, invece di consultare più esperti con opinioni diverse sull’argomento, l’amministrazione Trump ha adottato il modello cinese che è stato sostenuto dal dottor Fauci e dalla mafia dei vaccini. Di conseguenza, 40 milioni di americani hanno perso il lavoro, ogni settore dell’economia è in caduta libera e gli Stati Uniti sono destinati a un’altra Grande Depressione. In contrasto con questa follia, gli esperti svedesi di malattie infettive hanno sviluppato un piano ragionevole, basato sulla scienza, che è stato illustrato in un articolo del Dr. Johan Giesecke pubblicato su The Lancet. Eccone un estratto:
“È ormai chiaro che un rigido isolamento non protegge le persone anziane e fragili che vivono in case di cura, una popolazione che l’isolamento era stato concepito per proteggere. Non diminuisce nemmeno la mortalità da COVID-19, il che è evidente se si confronta l’esperienza del Regno Unito con quella di altri paesi europei…
Questi fatti mi hanno portato alle seguenti conclusioni. Tutti saranno esposti alla sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2, e la maggior parte delle persone sarà infettata. Il COVID-19 si sta diffondendo a macchia d’olio in tutti i paesi, ma non lo vediamo; si trasmette quasi sempre dai più giovani senza sintomi o con sintomi deboli ad altre persone che avranno anche sintomi lievi. Questa è la vera pandemia, ma continua sotto la superficie e probabilmente ora è al suo apice in molti paesi europei. C’è ben poco da fare per prevenire questa diffusione: un blocco potrebbe ritardare i casi gravi per un po’ di tempo, ma, una volta allentate le restrizioni, i casi ricompariranno. Mi aspetto che quando conteremo il numero di morti dovuti al COVID-19 in ogni paese, ad un anno da oggi, i numeri saranno simili, indipendentemente dalle misure adottate. 
Le misure volte ad appiattire la curva potrebbero avere effetto, ma un isolamento non fa altro che spostare i casi gravi nel futuro, non li impedirà. Certo, i paesi sono riusciti a rallentare la diffusione per non sovraccaricare i sistemi sanitari e, sì, farmaci efficaci in grado di salvare vite umane potrebbero presto essere sviluppati, ma questa pandemia è veloce e questi farmaci devono essere sviluppati, testati e commercializzati rapidamente. Molte speranze sono riposte nei vaccini, ma ci vorrà del tempo e, con la risposta immunologica all’infezione non chiara, non è certo che i vaccini saranno molto efficaci. 
In sintesi, il COVID-19 è una malattia altamente contagiosa e si diffonde rapidamente nella società. Spesso è abbastanza asintomatica e può passare inosservata, ma causa anche gravi patologie e persino la morte, in una parte della popolazione, e il nostro compito più importante non è quello di fermare la diffusione, cosa piuttosto futile, ma di concentrarci sul dare alle vittime sfortunate un’assistenza ottimale”. (“La pandemia invisibile”, The Lancet”)
Come potete vedere, il team svedese che ha sviluppato le linee di condotta non stava “scommettendo” sulle vite degli svedesi, come amano dire gli idioti dei media. Stavano applicando decenni di scienza a un problema che richiedeva loro di prendere decisioni difficili sul modo migliore per affrontare un’epidemia per la quale non c’è una cura conosciuta o efficace. E la loro scelta è stata chiaramente quella giusta. Hanno optato per mantenere l’economia il più possibile aperta, facendo ogni sforzo per proteggere i vecchi e i più vulnerabili. È stato un piano eccellente nonostante i notevoli problemi di attuazione, il più grande dei quali è stato l’aumento dei decessi nelle case di riposo, che è stato a dir poco catastrofico. Più della metà del numero di morti in Svezia proviene da questi centri per anziani, mentre 4.200 su 4.386 persone che hanno perso la vita a causa del virus erano ultrasessantenni. Questo NON È un errore di stampa (qui le statistiche ufficiali dello stato svedese): solo 186 persone sotto i 60 anni sono morte a causa dell’infezione.
Anche se queste statistiche possono essere scioccanti, non suggeriscono che la scelta sia stata sbagliata, ma solo che non ci sia stato uno sforzo sufficiente per proteggere gli anziani. Quindi, è giusto incolpare la Svezia per il suo tasso di mortalità più elevato?
Certo che lo è, a condizione che si conceda tempo sufficiente per capire se le misure di isolamento (degli altri paesi) abbiano effettivamente impedito le morti o se le abbiano solo rimandate fino alla revoca delle restrizioni. Solo così sapremo con certezza se hanno funzionato o meno. Alcuni esperti prevedono che la percentuale di morti si bilancerà a lungo termine e che il tasso di mortalità di Norvegia e Danimarca sarà molto simile a quello della Svezia. Ma solo il tempo ce lo dirà.
Vale anche la pena di notare che Belgio, Spagna, Regno Unito, Italia e Francia superano la Svezia in termini di “morti per milione”, che è la misura standard per valutare il successo o il fallimento di un particolare approccio. Allora perché la Svezia, che ha 405 morti per milione, è così spietatamente messa alla graticola, mentre il Belgio, che ha 817 morti per milione, se la cava senza problemi? Perché il Belgio non si è sottratto alla politica ufficiale di blocco che realizza il sogno elitario della legge marziale universale. La Svezia ha rifiutato questa opzione, ed è per questo che i media, asserviti al programma, le hanno appeso un bersaglio sulla schiena.
Sapevate che il Primo Ministro norvegese ha ammesso che il lockdown è stato un errore? È vero, ecco cosa ha detto:
“Nella serata di mercoledì scorso, il primo ministro norvegese Erna Solberg è andato in TV a fare una confessione: si era fatto prendere dal panico all’inizio della pandemia. La maggior parte delle pesanti misure imposte dall’isolamento della Norvegia si sono rivelate scelte esagerate, ha ammesso. “Era necessario chiudere le scuole?”, si è chiesta. “Forse no”. 
Non è il primo funzionario norvegese a riconoscere che l’isolamento non era necessario. Il 5 maggio, l’Istituto Norvegese di Sanità Pubblica (NIPH) ha pubblicato una nota informativa che riportava…. “La nostra valutazione ora… è che avremmo potuto ottenere gli stessi effetti ed evitare alcuni degli spiacevoli risultati non chiudendoci, ma tenendoci invece aperti, ma con misure di controllo dell’infezione”, ha detto Camilla Stoltenberg, Direttore Generale del NIPH in un’intervista televisiva all’inizio di questo mese…..
(“https://lockdownsceptics.org/2020/05/31/latest-news-47/)
Interessante, eh? Così, mentre la Norvegia è invariabilmente abituata a dimostrare che la Svezia “ha sbagliato”, il primo ministro norvegese pensa “che hanno fatto bene”. Non c’è da stupirsi che questa storia non sia apparsa da nessuna parte nei media occidentali.
E, sapevate che il governo britannico ha pubblicato i verbali riservati delle riunioni del SAGE (The Scientific Advisory Group for Emergencies) che dimostrano che la decisione del governo di rinchiudere il Paese non si è basata sulla scienza ma sulla politica? Date un’occhiata:
“…in nessun momento il SAGE ha mai parlato di qualcosa che assomigliasse ad un completo isolamento. In effetti, il SAGE ha sottolineato, in una riunione del 10 marzo, che vietare le riunioni pubbliche avrebbe avuto scarso effetto, dato che la maggior parte delle trasmissioni virali avvenivano in spazi ristretti, come ad esempio all’interno delle famiglie…” 
In altre parole, Boris Johnson e i suoi consiglieri non stavano seguendo “la scienza” quando hanno deciso di chiudere il paese il 23 marzonon stavano agendo in base ad alcuna raccomandazione specifica da parte del SAGE. Né il governo può sostenere che questa sia una delle alternative discusse alle riunioni del SAGE e che la sua decisione si basava, in parte, sull’analisi del SAGE sull’impatto di un blocco totale. Tale soluzione non è stata discussa in nessuna delle riunioni prima del 23 marzo. A tale riguardo, si è trattato di una decisione politica.”  (“Il governo stava davvero seguendo “la scienza”? Lockdown Skeptics)
Eccolo lì, nero su bianco: l’isolamento britannico non è basato sulla scienza così come l’isolamento americano. La strategia è stata adottata da politici isterici che hanno reagito in modo eccessivo a una crisi sanitaria per la quale erano totalmente impreparati. Questo è ciò che dimostrano questi documenti riservati SAGE.
Niente “Immunità del gregge”, dopo tutto?
“Il capo epidemiologo svedese Anders Tegnell, è stato ampiamente criticato per aver sostenuto che la Svezia avrebbe ottenuto “l’immunità del gregge” entro la fine di maggio. “Ma un recente studio ha scoperto che solo il 7,3% dei residenti di Stoccolma è risultato positivo agli anticorpi del coronavirus alla fine di aprile. “Credo che l’immunità del gregge sia molto lontana, se mai la raggiungeremo”, ha dichiarato alla Reuters Bjorn Olsen, professore di medicina infettiva all’Università di Uppsala. (Nationa Review)
Ma in questa storia c’è molto di più di quanto sembri. Non tutti coloro che sono esposti al virus manifestano una risposta anticorpale. Stando a Sunetra Gupta, professore di Epidemiologia Teorica all’Università di Oxford, (che ha prodotto un modello rivale alle spalle di Ferguson a marzo).
“Gli studi sugli anticorpi, sebbene utili, non indicano il reale livello di esposizione o il livello di immunità. In primo luogo, molti dei test sugli anticorpi sono “estremamente inaffidabili” e si basano su gruppi rappresentativi difficili da raggiungere. Ma, cosa ancora più importante, molte persone che sono state esposte al virus avranno altri tipi di immunità che non compaiono nei test anticorpali – sia per ragioni genetiche sia per il risultato di immunità preesistenti correlate ai coronavirus come il comune raffreddore.
Le implicazioni di ciò sono profonde: significa che quando sentiamo i risultati dei test sugli anticorpi la percentuale che risulta positiva agli anticorpi non è necessariamente uguale alla percentuale che ha immunità o resistenza al virus. Il numero reale potrebbe essere molto più alto. L’osservazione di modelli molto simili dell’epidemia in tutti i paesi del mondo ha convinto la professoressa Gupta che è proprio questa immunità nascosta, più che i lockdown o gli interventi governativi, ad offrire la migliore spiegazione della progressione del Covid-19: 
“In quasi tutti i contesti abbiamo visto l’epidemia espandersi, trasformarsi e sparire, quasi come un orologio. Paesi diversi hanno avuto politiche di blocco diverse, eppure quello che abbiamo osservato è un modello di comportamento quasi uniforme, molto coerente con il modello SIR. A mio parere, ciò suggerisce che gran parte della forza trainante in questo caso è dovuta alla crescita dell’immunità. Penso che questa sia una spiegazione più parsimoniosa rispetto a quella che vuole che in ogni paese l’isolamento (o vari gradi di isolamento, incluso l’assenza di isolamento) abbia avuto lo stesso effetto”. 
Alla domanda su quale sia la sua stima aggiornata del tasso di mortalità da contagio, la professoressa Gupta risponde: “Penso che l’epidemia sia in gran parte andata e che sia in via di estinzione in questo Paese, quindi penso che sarebbe sicuramente meno di 1 su 1.000 e probabilmente più vicina a 1 su 10.000”. Si tratterebbe di una percentuale compresa tra lo 0,1% e lo 0,01%”. (“Sunetra Gupta: Covid-19 sta sparendo“, unherd.com)
Gupta fa un’osservazione importante, ma è necessario spiegarla meglio. Se, per esempio, “solo il 7,3% dei residenti di Stoccolma è risultato positivo agli anticorpi del coronavirus alla fine di aprile”, ciò non significa che solo il 7,3% dei residenti di Stoccolma sia immune. Alcune persone hanno un’immunità innata (dovuta alla loro composizione genetica) o hanno “immunità esistenti” legate a precedenti infezioni come la Sars. Gupta ritiene che l’immunità sia più diffusa di quanto non risulti dai test anticorpali. Questo suggerisce che la percentuale di residenti di Stoccolma che sono immuni potrebbe essere molto maggiore di quanto pensiamo. Data la virulenza dell’infezione, così come l’interazione della popolazione della città, Stoccolma potrebbe essere già molto vicina all’immunità di gregge. Il calo dei “nuovi casi” suggerisce fortemente che l’immunità sta bloccando la diffusione dell’agente patogeno, il che significa che il virus si sta gradualmente estinguendo. Se questo è ciò che sta accadendo attualmente, allora alla Svezia sarà probabilmente risparmiata una “seconda ondata” della pandemia.
L’economia della Svezia; non così brillante
Si prevede che l’economia svedese si contrarrà a un ritmo paragonabile a quello dei suoi vicini. Guardate questo estratto da un articolo di NPR:
“Anche senza un blocco a livello nazionale, l’economia svedese ha subito un duro colpo perché la gente continua a seguire le linee guida del governo e a rimanere a casa… La Banca Centrale svedese, la Riksbank, ha fornito due potenziali scenari per le proiezioni economiche del Paese nel 2020. 
“Nonostante le misure globali sia in Svezia che all’estero, le conseguenze economiche della pandemia saranno considerevoli. Le conseguenze per l’economia varieranno a seconda di quanto durerà la diffusione del contagio e di quanto a lungo saranno in vigore le restrizioni attuate per rallentarlo”, ha dichiarato la Riksbank in un comunicato di aprile.
Entrambi gli scenari prevedono un aumento del tasso di disoccupazione e una contrazione del prodotto interno lordo del Paese. La banca centrale prevede un aumento della disoccupazione dal 6,8% al 10,1% e una contrazione del PIL fino al 9,7% quest’anno a causa della pandemia”. (“La Svezia non raggiungerà l’immunità di gregge a maggio“, NPR)
 In conclusione: la Svezia sta per affrontare una profonda recessione, proprio come i paesi che hanno attuato misure più severe. Cosa si è guadagnato a contrastare questa tendenza?
Forse nulla, ma mi aspetto che sarà molto più facile e meno costoso per la Svezia attrezzarsi per raggiungere la piena capacità produttiva rispetto a qualsiasi altro Stato in isolamento. E la Svezia non dovrà fare i conti con le chiusure perturbanti dovute a sporadiche epidemie come quelle che abbiamo visto di recente in Germania, Corea del Sud e Cina. In realtà, questo potrebbe essere un problema ricorrente nei Paesi che ripongono le loro speranze nella ricerca dei contatti o nelle quarantene. Al contrario, la Svezia ha scommesso sull’immunità alla vecchia maniera, sviluppatasi grazie all’esposizione controllata di persone più giovani e a basso rischio che hanno rafforzato le proprie difese naturali interagendo con i loro amici e le loro famiglie come farebbero normalmente. È chiaro che hanno fatto l’unica scelta sensata.
La Svezia ha dimostrato che è possibile contrastare una pandemia mortale e allo stesso tempo preservare la libertà personale. Solo loro hanno trionfato dove altri hanno fallito.
MIKE WHITNEY – 1 GIUGNO 2020 – unz.com
Traduzione pro-bono di Cinthia Nardelli per ComeDonChisciotte

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