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giovedì 2 luglio 2020

Dai parenti ci salvi Iddio!..

SORELLA MORTE ?!




Morte di San Francesco

Qualche anno fa, nella chiesa parrocchiale della nostra città, nel corso dell’omelìa domenicale, il celebrante, commentando la morte di alcune persone a séguito d’un attentato terroristico, parlò, sì, di un evento tragico, segno del male, ma disse che – prescindendo dalla dinamica e dalle cause - la morte, in sé, è “un fatto naturale” di cui bisogna accettare l’inesorabilità.
Non condividendo tale affermazione, nel post Missam, in sagrestìa, ci premurammo di chiedere al sacerdote su quali verità fondasse questa sua convinzione. Rispose, sorridendo quasi per compatire l’ingenuità di chi poneva la domanda, che la morte è un evento a cui soggiacciono uomini, animali e vegetali talché, dàtasi come categorìa afferente all’universale, essa morte, tagliò corto, è un “fatto naturale”.


Quindi, obiettammo, Dio, creatore di ogni natura – angelica, umana, vegetale, minerale - è da ritenersi l’autore della morte, cosa che contrasta con la Sapienza che – ci ricordammo – dice che Dio non ha creato la morte né gode per la rovina degli esseri. Al contrario Egli formò le creature del mondo sane e perfette sicché, sottolineammo, non può definirsi la morte come “fatto naturale”. Il dibattito non si concluse con questa citazione – che, poi, era un’aggiunta a un ragionamento precedente e più ampio – ma continuò.

Ora, quella lontana contesa dialettica ci è tornata alla memoria assistendo, in questi giorni di pandemìa, alla Santa Messa celebrata nella basilica di Santa Maria degli Angeli, in Assisi e trasmessa via tv.

Nell’introduzione, in cui il celebrante annuncia le intenzioni e le motivazioni del santo rito, si fa riferimento alla chiesuola della “Porziuncola”, collocata all’interno della basilica stessa, dove frate Francesco andò incontro a “sorella morte”, sintagma che riproduce un punto del famoso “Cantico delle creature” in cui il Santo loda il Signore “per sora nostra morte corporale”.

La spiritualità che pervade la composizione è talmente elevata che non ci azzarderemo, per alcuna ragione, a sezionarla sotto lente critica ché ben sappiamo con quale afflato san Francesco trasmettesse sensi di fratellanza ad ogni realtà creata, morte compresa. Tuttavìa, con somma reverenza e con previo “absit injuria verbis”, ci accingiamo ad esprimere la nostra opinione per la quale, a dirla tutta, non condividiamo quel “sora nostra morte corporale”.
E lo spieghiamo:
il termine ‘sorella’ – parimenti: fratello, padre, madre - indica un legame genetico, una koiné intima e indissolubile per il quale una persona, in questo caso una donna, possiede elementi di stretta consanguineità naturale che la descrive come compartecipe e condividente di uno o più individui nati dalla stessa madre e dallo stesso padre. Il che significa sensi di comunione, di affetto, di vita quali caratterizzano la famiglia.
Quello che diremo è, a un dipresso, ciò che costituì la trama delle nostre controdeduzioni che opponemmo al sacerdote, di cui all’inizio, a proposito della morte intesa come “fatto naturale”.

Narra il sacro scriba che il Signore, nel sesto giorno crea l’uomo e la donna “a sua immagine e somiglianza” (Gen I, 26), vale a dire che il Creatore, per l’analogìa espressa da ‘immagine’ e da ‘somiglianza’, costituisce l’umanità connotata dell’immortalità. E Dio, osserva lo scriba, si compiacque della sua opera giudicandola ‘molto buona’.

La morte, quale creatura, non appare in alcuna delle sei giornate ‘lavorative’ durante le quali Dio formò l’universo. Essa irrompe con tragica veemenza e indefettibile inesorabilità come ‘castigo’ conseguente alla disobbedienza dei nostri progenitori all’ordine di Dio, il quale aveva diffidato la sua ultima creatura dal mangiare “dell’albero della scienza del bene e del male” (Gen. II, 17), pena, appunto, la morte. Ora, in quanto castigo, essa si mostra realtà negativa opposta ad altra realtà positiva. E, se le opere del Signore, create dal nulla, perfette e pure, parvero a Lui stesso ‘buone’ ne consegue che l’azzeramento di questa ‘bontà’, verificatosi con il peccato dei progenitori, comporta il capovolgimento dei valori sicché l’essere immortale, quale è Adamo nel suo ‘bereshit’ – inizio - diventa l’essere mortale nel suo ‘dopo’.
È evidente, allora, che l’immortalità è il vero “stato naturale” mentre la morte, per il capovolgimento di cui sopra, è uno “stato innaturale”, cioè contro natura. E questo è tanto vero che, nel destino ultimo e definitivo dell’uomo, Dio ha posto la resurrezione del corpo che restaurerà, quindi, lo stato originario.

Tornando alla francescana “sorella morte” è da dire che il santo Poverello di Assisi colse, nel di lei approssimarsi, una funzione liberatrice che gli affrettava il ricongiungimento a Dio al quale saliva la lode per questa grazia, onde ne sentì affetto e gratitudine quali si provano per un familiare, una sorella, appunto. Perché se così non fosse, non comprenderemmo l’orazione di re Ezechia il quale, malato gravemente e in pericolo di morte certa, sconsolato, supplicò il Signore Dio che gli concedesse qualche anno di vita in più (Is. XXXVIII, 10/20). E che la morte non sia proprio un’amorevole sorella lo testimonia addirittura il Figlio di Dio, Gesù che, nell’agone del Getsemani (Lc. XXII, 44), avendo presenti le indicibili sofferenze dell’imminente Passione e, soprattutto, la crudezza suprema della morte, ne ebbe tale spavento che sudò stille di sangue ed acqua, rarissima sindrome, detta ‘ematoidrosi’, che si verifica in stati di totale terrore.
Sicché, la testimonianza di Gesù stesso prova che la morte non può, assolutamente, definirsi “fatto naturale”, né tanto meno “sorella”, diversamente non sarebbe risorto.

Questo opponemmo al nostro contraddittore, nel dibattito, tenutosi nella sagrestìa sul tema che abbiamo illustrato. Parvero, a lui, opinioni personali di nulla rilevanza contro cui, però, non volle – o non seppe – argomentare.

Articolo di
 L. P.

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