ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 30 luglio 2020

In Italia come in Argentina

ARGENTINA
Il Covid è una scusa: vescovo chiude il seminario modello

I fedeli e i seminaristi di San Rafael hanno protestato per la proibizione di ricevere la Comunione in bocca. Dopo un Rosario interrotto dalla Polizia il vescovo ha chiuso il seminario modello: 39 seminaristi, più di 150 famiglie vicine alla realtà attiva sul territorio e chiamata la Vandea delle Ande dove si vive un cristianesimo da Opzione Benedetto. Ecco perché c'è il sospetto che si sia colta la palla al balzo per chiudere una realtà fiorente di vocazioni e "troppo cattolica" per i nostri tempi.




L’obbligo di comunione in mano sta sfuggendo letteralmente dalle mani. In Argentina  addirittura ha portato alla chiusura del seminario. E non di un seminario qualsiasi, ma di una vera e propria perla nel deserto della carenza di vocazioni che anche in Argentina sta mietendo vittime.

A San Rafael, diocesi suffraganea della regione ecclesiastica metropolitana di Mendoza, il vescovo Eduardo María Taussig è stato categorico: basta proteste per ricevere la comunione in mano, basta polemiche dei fedeli, dei sacerdoti del seminario e soprattutto dei seminaristi. I quali sono tanti. Un piccolo esercito di 39 futuri sacerdoti, numeri effettivamente da far girare la testa per una diocesi di appena 230mila abitanti.

Ebbene: dopo le proteste e le richieste al vescovo, soprattutto dopo alcuni Rosari recitati davanti alle porte del seminario, il vescovo ha deciso di chiudere il seminario con la fine dell’anno accademico, che in Argentina finisce a dicembre.

Una misura decisamente drastica e ingiustificata a fronte di una richiesta dei fedeli e del clero legittima e in linea con la tradizione delle Chiesa e che avrebbe meritato ben altre risposte.

Certo, con la decisione di chiudere il seminario, il vescovo ha messo così un pesante macigno su una comunità fiorente di famiglie che proprio, appoggiandosi al seminario, hanno respirato un clima di un cattolicesimo che oggi si direbbe integralista, ma che in realtà è soltanto un cattolicesimo che non si è mescolato troppo con la mondanità.

Chi conosce la realtà la chiama addirittura la “Vandea delle Ande”, dove le famiglie, grazie ai padri del seminario respirano un clima apologetico e per nulla incline a scendere a patti con il panorama complessivo offerto da un certo modo di intendere oggi la vita di fede: liquido, per non dire molle. Una piccola e fiorente Opzione Benedetto, se vogliamo.

Logico pensare che l’imposizione di ricevere la comunione in mano non sarebbe stata digerita e avrebbe prima o poi portato a scontri, ma nessuno avrebbe mai immaginato che si sarebbe arrivati a tanto.

Certo, non è bello vedere dei fedeli che protestano, ma c’è anche da dire che protestano per un diritto che in questo caso e per troppo tempo, in Italia come in Argentina, è sospeso sine die.

Il 5 luglio scorso, circa 500 fedeli di 150 famiglie della diocesi, si erano dati appuntamento per pregare davanti all’istituto religioso in Avenida Tirasso per chiedere il ripristino della norma. Era intervenuta la polizia. Il procuratore Fabricio Sidoti ha accusato l’organizzatore di aver violato le misure sanitarie e di aver infranto l’articolo 205 del codice penale (reato che prevede dai sei mesi a due anni di carcere per propagazione della pandemia).

I fedeli hanno scritto al vescovo e hanno ricordato che nella diocesi di San Luis, il neo vescovo Gabriel Barba nella sua prima Messa ha somministrato la comunione in bocca. Si tratta della stessa diocesi dove nel 1996, anno in cui entrò in vigore anche in Argentina la possibilità di distribuire la comunione in mano, il vescovo di allora monsignor Laise si rifiutò di aderire al nuovo protocollo. Si vede che certe decisioni, alla fine hanno portato ad un radicamento.

I fedeli e i sacerdoti hanno ribadito al vescovo che la loro «non è una disobbedienza alla Chiesa che permette che il fedele riceva la comunione in bocca o nella mano. È un diritto che non si può negare. E ci sono modi per soddisfare le regole sanitarie senza minare quel diritto».

Niente da fare. Il vescovo ha risposto picche e ha chiuso il seminario, evidentemente ritenendolo un pericoloso centro di indottrinamento. E ora la comunità è sotto choc

Proprio l’indottrinamento di alcuni presbiteri, accennato dal vescovo, è alla base del video di giustificazioni di Taussig il quale ha giustificato l’esigenza di continuare con la comunione in mano difendendo il concetto di «comune sentire» e spiegando che cosa significa la definizione canonica del «modo opportuno in cui ricevere la Comunione» secondo il canone 843. «L’opportunità è data dalle condizioni di tempo o di luogo». E ha preso a modello la Conferenza episcopale italiana che ha persino firmato un protocollo con il governo. Protocollo però, come abbiamo già notato, che non prevede l’obbligo di distribuzione della comunione in mano.  

Dal canto loro i fedeli hanno replicato con Redemptionis Sacramentum, l’istruzione in cui si ribadisce che non si può rifiutare il fedele che desidera ricevere la comunione in bocca, che resta la forma ordinaria della ricezione della Santa Ostia.

La decisione è una ferita nel corpo ecclesiale e non può essere altrimenti, Taussing ha anche detto di aver preso questa grave decisione in accordo con la Santa Sede. Sarà vero?

Di certo, quando negli anni ’60 le diocesi ribelli distribuivano la comunione in mano violando la legge della Chiesa, il Papa per cercare di andare incontro a loro e solo a loro, scrisse un indulto che è alla base della Memoriale DominiFu una disobbedienza legittimata.

Mutatis mutandis, cosa impedisce ora che, a fronte di un'altra disobbedienza, anche se legittima, si possa intevenire per i fedeli? Si arriverà a chiedere un indulto per poter fare ciò che fino a pochi mesi fa è sempre stato concesso? Improbabile: la questione della comunione imposta in mano senza alcun termine tocca il cuore della libertas eccleasie. E la Chiesa oggi non è più incline ad andare incontro al fedele che reclama. Bastona e basta. Soprattutto se deve punire quelle realtà "troppo cattoliche". 

Andrea Zambrano
https://lanuovabq.it/it/il-covid-e-una-scusa-vescovo-chiude-il-seminario-modello
Comunione in mano, Bettazzi e gli altri che criticarono Wojtyla

Dopo la pubblicazione della Memoriale Domini, Paolo VI ricevette moltissime pressioni per estendere gli indulti a distribuire la Comunione in mano. E anche con Giovanni Paolo II si insistette fino a criticare il Pontefice polacco. Come nel caso del vescovo di Ivrea, Luigi Bettazzi, che apostrofò duramente Wojtyla. 

Qualcuno forse si domanderà se un libro scritto come quello di monsignor Laise di cui abbiamo parlato qui e qui, scritto un quarto di secolo fa, non sarà ormai obsoleto. Le successive ristampe, con vari aggiornamenti e in parecchie lingue (cinque edizioni in spagnolo (1º a 3º 1997, 4º 2005, 5º (New York, 2014), due francesi (Paris, 1999-2001), due italiane (2015), una polacca (Krakow, 2007) e cinque inglesi (2010, 2011, 2013, 2018, 2020), prova, come l’autore stesso ha evidenziato, che ben al di là delle circostanze di tempo e luogo che suscitarono questo studio, ci sono aspetti permanenti che possono tuttora interessare il lettore, e fornire:
a) l’accesso alla legislazione autentica relativa a questa materia, assolutamente sconosciuta tra i fedeli e anche da parte di numerosi pastori;
b) la situazione storica nella quale questa legislazione si realizzò, 
c) alcuni spunti per intuire le drammatiche conseguenze che la pratica della Comunione sulla mano può avere sulla fede nella presenza reale e la pietà eucaristica;
d) alcuni elementi sul rapporto fra il vescovo e la sua Conferenza Episcopale, e la sua indipendenza nei confronti di essa in merito al governo della sua diocesi;
e) una riflessione sul funzionamento di alcuni “meccanismi di pressione” all’interno della Chiesa, capaci d’invertire una decisione papale, che riflettono una maniera di agire che fu ed è ancora utilizzata in altri campi.


Vorrei anche aggiungere altre due testimonianze della rilevanza che ancora ha il libro, il primo è un articolo del professor don Mauro Gagliardi (già consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice) nella Rivista della Facoltà di filosofia e teologia dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum intitolato "L'autorità legislativa del Vescovo diocesano circa la distribuzione della Comunione sulla mano. Note di diritto liturgico". Alpha Omega, XVI, n. 1, 2013 - pagg. 127-138. Non solo una sezione di questo articolo è dedicata al vescovo Laise e alle sue decisioni, citando pure il suo libro (n. 9, pp 135-136. "Un caso di non applicazione dell'indulto"), ma l'intero articolo coincide con la posizione e l’esegesi del prelato argentino. Come è noto in questa affermazione: “Se un Vescovo decidesse di non applicare l’indulto nella sua Diocesi, non sarebbe lui a vietare la distribuzione della Santa Comunione sulla mano, bensì la norma generale confermata dalla Suprema Autorità (il Sommo Pontefice Paolo VI), attraverso la Memoriale Domini. Il Vescovo semplicemente sceglierebbe di non avvalersi di un indulto a quella norma. Vale a dire che, nella sua Diocesi, si continuerebbe ad osservare senza eccezioni la norma tradizionale e vigente, riconfermata da Paolo VI e mai modificata fino ad oggi” (p. 135).

L'altra testimonianza è la tesi dottorale in Diritto Canonico di don Federico Bortoli, poi pubblicata come “La distribuzione della comunione sulla mano: Profili storici, giuridici e pastorali”. Cantagalli, Siena 2018). Anche qui troviamo un intero capitolo sul vescovo di San Luis (2.6.3.  “L’indulto in Argentina, p. 178-188). Dice don Bortoli di Mons. Laise: “da buon canonista, egli agì a norma del diritto, e la correttezza del suo operare venne confermato da due dicasteri della Curia Romana” e poi, sul libro: “Inoltre, dalle risposte delle conferenze episcopali all’inchiesta del 1976, oltre che dalla testimonianza di Mons. Laise, abbiamo visto chiaramente che la pratica della Comunione sulla mano è stata promossa e incentivata dalle conferenze stesse e presentata come il modo migliore per ricevere l’Eucaristia, facendo passare l’idea che questa era la volontà della Santa Sede e del Santo Padre. In realtà, come ha evidenziato lo stesso Laise, lo scopo, la finalità dell’indulto non era quello di promuovere l’uso della Comunione sulla mano, ma quello di aiutare le conferenze episcopali dove la pratica si era già estesa ed era difficile da rimuovere”. 

Il libro di don Bortoli costituisce un necessario “aggiornamento” del lavoro di Laise, poiché ha pubblicato materiale inedito, nel contesto della sua investigazione dottorale e che d’ora in poi sarà riferimento obbligato sul tema. Però questo “aggiornamento”, lungi dal correggere, o trascurare    aspetti del lavoro del prelato argentino, ne fa conoscere altri che confermano tutto quanto egli ha sostenuto e mostrano a quali conseguenze portarono, che egli non avrebbe immaginato.

E’ così che non solo risulta confermato il rifiuto di Paolo VI all’introduzione di questo modo di ricevere la Comunione negli anni ’60, sostenuto con testimonianze storiche da Mons. Laise, bensì la sua intenzione di limitarlo e sconsigliarlo, sì che il 19 gennaio 1977 fa inviare dalla Segreteria di Stato al Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, un pro-memoria con la seguente indicazione: «Trattandosi di materia sommamente delicata ed importante, Sua Santità mi ha incaricato di rimettere all’Eminenza Vostra Reverendissima copia dello scritto, con preghiera di studiare come si possa dare applicazione ai suggerimenti indicati dall’Em.mo Prefetto della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi (Card. Bafile)».

I suggerimenti erano i seguenti: “Sospendere la concessione di nuovi indulti, dire esplicitamente che dove non è stato accordato l’indulto la pratica della Comunione sulla mano è illecita e ricordare che, anche dove è stato concesso l’indulto, la prassi in questione è comunque da sconsigliare” le ragioni per questo erano “la diminuzione della pietà eucaristica, la dispersione dei frammenti, la facilitazione dei sacrilegi con l’asportazione dell’ostia consacrata e l’impossibilità da parte del sacerdote di rifiutarsi di distribuire la Comunione sulla mano, nonostante tutti questi inconvenienti”. Ma questa indicazione non fu accolta dal prefetto del Culto Cardinale Knox. Un anno dopo, il 1º febbraio 1978, c’è una nuova lettera del Segretario di Stato, che chiede nuovamente da parte di Paolo VI di vietare che si estenda l’uso della Comunione sulla mano, ma la risposta è nuovamente negativa.

Finalmente la Segretaria di Stato trasmette ancora una volta l’ordine del papa (questa volta Giovanni Paolo II) di sospendere la concessione di nuovi indulti, e questa volta con successo, ma tale disposizione ha trovato forti resistenze; per esempio, il 21 dicembre 1984, il vescovo di Ivrea, Mons. Luigi Bettazzi, scrive a Giovanni Paolo II per gli auguri natalizi e approfitta dell’occasione per manifestargli la sua opinione su quello che definisce «un problema, forse molto marginale ma emblematico», cioè la prassi della Comunione sulla mano. Bettazzi si duole che la conferenza episcopale italiana non abbia ancora ottenuto l’indulto e critica Giovanni Paolo II per aver sospeso nuove eventuali concessioni, dicendogli: «Non mi sembra giusto utilizzare in tal modo la Vostra autorità».

Dopo cinque anni, nel febbraio 1985, si ricomincia a concedere gli indulti come prima.

- 3/CONTINUA

Nicola Bux
- UNA DISOBBEDIENZA LEGITTIMATA/1
- ATTACCO DEI PROTESTANTI/2

https://lanuovabq.it/it/comunione-in-mano-bettazzi-e-gli-altri-che-criticarono-wojtyla

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