L’assunzione, cioè l’elezione di una persona alla dignità divina, è uno degli aspetti della più generale risurrezione dai morti. Per singolare privilegio del Cielo, la Beata Vergine Maria non conobbe la corruzione della carne, ma è opinione comune della tradizione cattolica che Ella si addormentò nel Signore, conoscendo in tal modo la morte. 

Tuttavia, l’aspetto essenziale è che la Madonna è la prima tra i risorti – assieme a Gesù Cristo – ed è viva di vita immortale in anima e corpo, rigenerata completamente nella carne e assunta alla dignità di Regina del Cielo. Si è realizzato per Lei, prima della fine dei tempi e del giorno del giudizio, quanto dice san Paolo nella prima lettera ai Corinzi: «Quando poi questo corpo corruttibile avrà rivestito l’incorruttibilità e questo corpo mortale avrà rivestito l’immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: “La morte è stata ingoiata nella vittoria”» (15, 54).
Dice inoltre l’Apostolo, nella stessa lettera, che «carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio» e nemmeno «ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità». Questa verità consegue il giudizio di Dio su tutte le realtà materiali, a seguito del peccato originale (e mortale) dei Progenitori. Non l’uomo è stato maledetto, ma la materia del suo corpo: «maledicta humus propter te» – «sia maledetta la terra a causa tua» (Gen 3, 17). La Provvidenza, per questi motivi, ha salvato la persona umana dalla dannazione eterna, se si converte e si pente, ma ha disposto che gli uomini «muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio» (Eb 9, 27), nel «giorno» stesso della risurrezione della carne.
Primigenia bellezza dei risorti
Nella settima parte, al capitolo cinque, del suo Breviloquium, san Bonaventura da Bagnoregio espone la teologia della sapienza arcana e provvidente, che sta a fondamento dei divini misteri circa la morte e la risurrezione della carne. I morti – scrive – risorgeranno tutti nel medesimo tempo (il giorno del Giudizio), ma non tutti nella medesima dignità. Difatti, «i cattivi risorgeranno con le loro deformità e con le pene, le miserie e di difetti, che ebbero in vita, mentre nei buoni sarà conservata la natura, seppure i vizi saranno eliminati». Il santo Dottore, quanto alla salvezza, allude alla risurrezione gloriosa dei giusti, i quali «risorgeranno con il corpo integro e nella pienezza dell’età e con la dovuta misura delle membra», cosicché «tutti i santi pervengano all’uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo».
I redenti, dunque, non conosceranno più nessuna imperfezione, né debolezza, né pianto, né rimpianto, né malattia, né vecchiaia, né mortificazione, né fatica. A tutti, però, dannati o redenti, sarà restituita la medesima carne trasformata, che si corruppe e andò dissolta: «in qualunque aura o seno della natura la polvere del corpo umano sia caduta», essa «ritornerà a quell’anima, che prima» animò la carne, «affinché vivesse e crescesse». Tutti risorgeranno nei «medesimi corpi», «nello stesso numero», «quali erano prima» e «costituiti dalle medesime parti». L’eccezione dei santi è che il volto, in particolare, giovane e perfetto, sarà rivestito della gloria divinizzante di Dio, che si esprime nella bellezza e nella proporzione somma, sul modello del Cristo risuscitato e glorioso: sarà allora del tutto evidente, in loro, l’immagine e la somiglianza primigenia con Dio, quanto alla forma, quanto alla sapienza e quanto alla volontà di ciascuno. Quali sono le ragioni profonde di tutto questo?
La risurrezione come opera della grazia e della giustizia
Essendo il primo principio – spiega Bonaventura – «potentissimo», «clementissimo» e «giustissimo», è necessario che l’«opera della retribuzione» – alla risurrezione – «avvenga secondo ciò che esige la rettitudine della giustizia, la riforma della grazia e il compimento della natura». In Dio, cioè, giustizia e misericordia «in nessun modo possono separarsi l’una dall’altra». Quanto alla giustizia, è necessario che l’uomo, meritando o demeritando, sia con l’anima che col corpo, «sia punito o premiato in entrambi». Quanto alla grazia, il corpo non può che essere «assimilato a Cristo capo»: l’uomo risorge per grazia, poiché Cristo è risorto e vuole che l’uomo viva per sempre. Quanto infine alla natura, la persona umana non può esistere che nell’unione di anima e corpo, secondo il volere sapiente di Dio. La persona, quindi, risorge per grazia, è premiata o punita per via della giustizia ed è l’unione di anima e corpo affinché la natura umana sia per sempre completa.
È da osservare che la natura, da sola, non può portarsi a compimento, ma è richiesta l’azione della «somma potenza, clemenza e giustizia», l’azione di Dio. Né la natura può rinnovare ciò che è stato rovinato dal tempo, dalle malattie e dai vizi. Soltanto la grazia può sovvenire al danno della morte: essa ci «rende conformi a Cristo, nostro capo, nel quale – continua il Dottore – non vi fu alcun difetto nelle membra, bensì perfetta età e debita statura e formosa figura». Così pure i santi gli somiglieranno nelle divine proporzioni e persino l’età apparente del volto (poiché nell’eternità non c’è più il tempo) sarà ricalibrata «al numero di anni che aveva Cristo quando risorse».
Non è un caso, in questo senso, che a Lourdes o a Fatima la Madonna sia sempre stata descritta dai veggenti come una giovane e bella signora. Anche diversi altri santi si sono manifestati nella storia con le loro fattezze giovanili, come a indicare l’inefficacia distruttiva del tempo rispetto alla potenza risanatrice di Dio.
Le “quattro doti del corpo glorioso”
Una grande speranza, contro l’angoscia provocata dalla morte, giunge dallo stesso san Paolo, che prova a confortare Corinzi e Tessalonicesi svelando un «mistero». Ai Tessalonicesi dice: «Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore» (1Tes 4, 16-17). E ai Corinzi: «Non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati, in un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba» (1Cor 15, 51-52).
San Tommaso d’Aquino, nel suo Commento alla prima lettera i Corinzi, interpreta l’espressione «in un batter d’occhio» come esclusione dell’«errore di coloro» che negano la risurrezione contemporanea dei morti. Lattanzio, ad esempio, credeva che i martiri risorgessero mille anni prima degli altri. Secondo un altro errore, anche il giudizio universale si protrarrà per mille anni: la simbologia del battito dell’occhio, al contrario, esclude che nell’eternità vi sia un tempo percettibile. Tommaso ritiene poi che l’«ultima tromba», richiamata da san Paolo, non sia null’altro che la «voce di Cristo», ossia la «stessa presenza di Cristo resa manifesta al mondo», come del resto sosteneva anche san Gregorio Magno. In ogni caso, san Tommaso riprende la dottrina paolina delle «quattro doti del corpo glorioso», che sono «impassibilità, chiarezza, agilità, sottigliezza». Il corpo risorto nella gloria sarà dunque impassibile, poiché impossibilitato alla sofferenza e alla morte. Sarà chiaro, nel senso che sarà privo di ogni bruttura o vizio. Sarà agile, poiché obbedirà prontamente all’anima, senza la soma e l’inerzia che lo caratterizzava nel tempo. E infine sarà sottile, assomigliando alla realtà spirituale dell’anima.
Risurrezione della carne
Anche sant’Agostino d’Ippona, nel Discorso n. 362, propone la sua esegesi dei passi di san Paolo, specialmente a proposito dell’espressione «tutti saremo trasformati». È la carne – spiega Agostino – ad essere trasformata, non il corpo. La carne e il sangue, infatti, così come sono nel secolo, «non possono ereditare il regno di Dio», come dice l’Apostolo ai Corinzi. E quindi «carne e sangue non potranno ereditare il regno di Dio, perché la carne risorgendo sarà trasformata in quel corpo libero dalla corruzione mortale, che non potrà più essere detto carne e sangue». Sarà invece detto «corpo celeste», a differenza del «corpo terrestre», che invecchia e muore.
Agostino sostiene anche l’importanza di una precedente «risurrezione dello spirito», privilegio di coloro che rinascono dallo Spirito, che appartiene all’ambito della fede e senza la quale non vi può essere risurrezione beata. In assenza di una rinascita nello Spirito, a seguito della conversione e della penitenza, il corpo risorgerà per condividere la pena dei dannati. Sono allora due – dice Agostino – le risurrezioni: è in errore però colui che nega la risurrezione della carne, per il fatto che si è già verificata quella dello spirito.
La Beata Vergine Maria, senza ombra di peccato e già risorta nello Spirito, fu risuscitata e assunta al Cielo nella pace. La morte di Maria – scrive sant’Alfonso Maria de’ Liguori – «fu tutta pace e consolazione, perché la vita sua fu tutta santa». La nostra morte, invece, «non sarà così e i peccati ben verranno a spaventarci in quel punto». «Ma sentite», ci conforta il santo: «Per chi lascia la mala vita e si mette a servire Maria, sarà pensiero di questa buona Madre aiutarlo in quel punto, e farlo morire consolato».
di Silvio Brachetta