MACELLAZIONI E RITUALI
L'Islam avanza e pretende troppo sugli agnelli sgozzati
Anche a Ivrea i musulmani hanno festeggiato per la prima volta nel campo sportivo comunale nonostante il consiglio comunale sia fosse detto contario. A Viterbo si denuncia la macellazione rituale mentre a Magenta il parroco applaude. I fedeli per la festa del sacrificio pretendono infatti spazi pubblici. Se non li ottengono protestano, alzano la voce, si atteggiano a vittime di razzismo e xenofobia.
In tutto il mondo i musulmani stanno celebrando la loro Festa più importante, Eid al-Adha, la Festa del sacrifico, che ricorre nel mese dedicato a uno dei cinque pilastri dell’Islam, il pellegrinaggio alla Mecca. La festa si chiama del sacrificio perché ricorda quello di Abramo, il capostipite di Ebrei e musulmani disposto in obbedienza a Dio a sacrificare il figlio Isacco. Fermato all’ultimo momento dall’angelo, Abramo ha sacrificato un montone ed è quello che ogni capofamiglia musulmano deve fare in questa ricorrenza. Nel tempo, benché l’Islam esiga dai fedeli il rispetto rigoroso delle prescrizioni religiose, sono state introdotte delle deroghe. Non è indispensabile che si sacrifichi un montone, può essere un altro animale – una pecora, un agnello, una mucca, un dromedario… a seconda dei mezzi finanziari e della reperibilità – con l’esclusione ovviamente dei maiali.
Non è neanche indispensabile che l’animale sia sacrificato dal capofamiglia. Negli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, gran parte delle famiglie acquistano i capi di bestiame già macellati. L’amministrazione della capitale Abu Dhabi nei giorni precedenti la festa ha annunciato che nei macelli comunali tutto era pronto e si prevedeva una richiesta di oltre 25.000 animali sacrificali. Inoltre, tenuto conto dell’emergenza COVID-19, ha raccomandato di usare le app per ordinare e pagare gli animali: la app “il mio sacrificio” o la app “sacrifici dell’isola”. Gli animali prenotati vengono consegnati a domicilio oppure si possono ritirare ai macelli restando in macchina.
Ma su un punto l’Islam è irremovibile. L’animale deve essere cosciente e va sgozzato e tenuto fermo finché lentamente muore dissanguato. Tutto il sangue deve sgorgare dalla ferita.
In Italia, e non solo, questo modo di infliggere la morte, ostinatamente rivendicato come un diritto in deroga alle leggi, ripugna. In aggiunta, ogni anno si ha notizia di animali uccisi addirittura in casa, se possibile infliggendo ancora più sofferenze ai poveri animali: legati per ore, trasportati senza riguardo e infine sgozzati nella vasca da bagno, in giardino, sul balcone, in cortile. Molti musulmani rifiutano infatti di affidarsi ai macelli autorizzati, sfidano la sensibilità generale, violano deliberatamente la legge anche perché quasi sicuri di farla franca: “il livello di repressione della macellazione fai-da-te è bassissimo” denuncia Carla Rocchi, presidente dell’Ente Nazionale per la Protezione Animali. In effetti tante amministrazioni locali non intervengono per incuria, per inerzia, ma anche perché, ignorando chi protesta, scelgono i complimenti per aver garantito un malinteso diritto alla libertà di culto, il consenso di una minoranza esigua ma chiassosa. Sono le amministrazioni che mettono a disposizione spazi pubblici per la preghiera. Non contenti di trasformare per un giorno l’Italia in un macello di animali sgozzati, i fedeli per la festa del sacrificio così come per Id al-Fitr, la festa che conclude il Ramadan, il mese del digiuno, pretendono infatti spazi pubblici. Se non li ottengono protestano, alzano la voce, si atteggiano a vittime di razzismo e xenofobia.
È un sistema che purtroppo spesso funziona. Quest’anno, ad esempio, l’amministrazione comunale di Magenta aveva dapprima respinto la richiesta. Poi ha ceduto alle pressioni essendo ancora pendente il procedimento al TAR circa il diniego dell’anno precedente. Il sindaco Chiara Calati peraltro ha tuttavia sottolineato con fermezza le motivazioni del diniego e ha precisato che la concessione non “rappresenta nessun riconoscimento delle tesi e delle pretese avanzate dall’associazione Moschea Aby Bakar”.
Anche a Ivrea i musulmani hanno festeggiato per la prima volta nel campo sportivo comunale. Solo la determinazione di quasi tutti i consiglieri comunali di maggioranza ha impedito che fosse l’amministrazione comunale stessa a offrire la sede, in seguito a un pronto assenso del sindaco Stefano Sertoli. Ma il centro islamico eporediese ha poi comunque ottenuto il campo dall’associazione sportiva che ha in concessione lo stadio.
Il disappunto per la celebrazione in luogo pubblico di una festa il cui fulcro è l’uccisione degli animali con metodi spietati è generale. Inoltre, quest’anno in particolare, sarebbe stato apprezzato come segno di sensibilità e riguardo se i musulmani non avessero avanzato richieste, considerando che per settimane i fedeli cristiani non hanno potuto presenziare alla messa, hanno seppellito i loro morti, deceduti senza estrema unzione, rinunciando alle consuete cerimonie, non hanno potuto celebrare la loro festa più importante, Pasqua, a Ivrea come in tante città, si sono visti negare anche le cerimonie della festa patronale e tuttora la loro presenza in chiesa è controllata e subordinata al rispetto di precise regole di distanziamento.
A Magenta il presidente della Pro loco Pietro Pierrettori, il parroco don Giuseppe Marinoni e altri sacerdoti, in evidente polemica con l’amministrazione comunale, hanno presenziato alla cerimonia. Don Giuseppe ha preso la parola: “sono convinto – ha detto – che le religioni possano portare a Magenta un grande aiuto”. “Siete una comunità che fa sempre più parte di Magenta – ha commentato il presidente della Pro Loco – tutto deve continuare così nel rispetto delle tradizioni di ciascuno”.
“Rispetto delle tradizioni”: ecco l’imperativo a cui si dovrebbero piegare tutti, secondo una concezione malsana di integrazione. Ribellarsi è sempre più difficile. “Concorderete che non può esistere integrazione alcuna senza il rispetto delle leggi del paese di cui si è ospiti e una malsana tolleranza, che in realtà è far finta di non vedere, ha prodotto danni progressivamente gravi, sotto gli occhi di tutti – sono parole non di un sacerdote o di un amministratore pubblico, ma di Antonella Bruni, responsabile provinciale del Movimento ambientalista di Viterbo, pronunciate denunciando la macellazione rituale – in difetto saremmo tutti responsabili di tollerare la poligamia, i maltrattamenti femminili e tutte le pratiche contemplate dalla sharia, asseritamente prescritte da un Dio che non è il nostro e mai lo sarà”.
Anna Bono
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