RIPARTIRE DAL "PECCATO"?
Dobbiamo tornare a chiamare peccato "il peccato". A parlarne: e non per umiliare l’uomo, ma al contrario per ricordargli la sua "vera condizione" e per riaprire davanti a lui "la prospettiva dell’eterno" oggi pressoché dissolta di Francesco Lamendola
L’uomo è peccatore. Lo è costituzionalmente, strutturalmente, quale conseguenza della Caduta. Non esiste alcuna possibilità, per lui, di oltrepassare la propria natura con le sue sole forze; non esistono accorgimenti educativi o esperimenti sociali che possano metterlo in grado di non essere più quel che necessariamente è, è sempre stato e sempre sarà, fino alla fine dei tempi: un grande peccatore. Egli può ottenere il perdono di Dio, ma non può vincere la sua natura di peccatore, se non con l’aiuto costante, indispensabile, della grazia divina: se pretende di bastare a se stesso, non può fare niente.
La teologia, la filosofia e la pedagogia dei grandi secoli della civiltà cristiana lo hanno sempre saputo. Da san Paolo a sant’Agostino e da san Tommaso d’Aquino a santa Teresa d’Avila, per una quindicina di secoli, pensatori ed educatori, e di conseguenza sacerdoti, madri e padri di famiglia, hanno insegnato ai giovani a tener conto della natura peccatrice dell’uomo, a non sopravvalutare le proprie forze e a non discostarsi mai dall’indispensabile sostegno della grazia divina.
Contro Dio l’uomo ha sempre torto, diceva giustamente Kierkegaard: dobbiamo tornare a chiamare peccato "il peccato" a parlarne: e non per umiliare l’uomo, ma al contrario per ricordargli la sua "vera condizione" e per riaprire davanti a lui "la prospettiva dell’eterno" oggi pressoché dissolta!
Ma poi, con l’avanzare della visione umanistica, gli intellettuali hanno cominciato a trovare che questa concezione era troppo triste e pessimistica, e che mortificava il magnifico slancio di cui l’uomo si sentiva capace per prendere in mano la propria vita; inoltre, quel che è più grave, hanno iniziato a mettere fra parentesi la dimensione soprannaturale della vita e a puntare tutto sulla dimensione naturale, fino a identificarla con la sola dimensione esistente della realtà. Dopo aver girato le spalle al soprannaturale, si sono scordati completamente della grazia e hanno ritenuto che l’uomo, liberato da simili pastoie, avrebbe potuto volare molto più in alto di quanto non avesse mai potuto fare in precedenza, e hanno predetto mirabilie per la storia futura dell’umanità. Così non è stato; anzi, se vogliono guardar le cose con obiettività, bisogna ammettere che l’umanità, nel suo complesso, non è mai scesa tanto in basso come quando ha preteso di fare come se Dio non esistesse. Infatti, anche a voler giudicare in una prospettiva puramente laica, senza il Dio cristiano che insegna l’amore disinteressato e che offre il suo Figlio quale misura e modello d’un simile amore, gli uomini non trovano ragioni sufficienti per amarsi, o anche solo per perdonarsi gli uni gli altri, sicché l’oblio del Creatore diviene inevitabilmente la fonte e la causa dell’incapacità degli uomini di vivere in pace coi loro simili. Viceversa, non ci sono limiti al male che possono farsi, e non per ignoranza o quale effetto collaterale dei loro desideri impuri, ma deliberatamente e scientemente, per il gusto malvagio di procurarsi un piacere infliggendo al prossimo umiliazioni, crudeltà e sofferenze d’ogni genere.
Giuda perdonato? Le chiacchiere insulse del signor Bergoglio sulla salvezza finale di Giuda Iscariota, valgono meno di zero, perché non tengono in alcun conto la sola cosa realmente necessaria: il pentimento e il perdono di Dio!
Si prenda il caso, per fare un esempio tratto dalle cronache di queste settimane, di Jeffrey Epstein e di Ghislaine Maxwell, la sua amica e, chiamiamola così, collaboratrice nel procurargli le prede sessuali delle quali il pervertito miliardario era insaziabilmente a caccia. Questa donna insensibile, narcisista e spietatamente cinica si è macchiata di colpe perfino più ripugnanti, in un certo senso, di quelle del suo amante e padrone, poiché si adoperava con satanica abilità a carpire la fiducia di ingenue ragazzine di condizione sociale modesta, e perciò bisognose di denaro, gettandole con la massima indifferenza nelle fauci del mostro; a volte si univa a lui nel molestare sessualmente le disgraziate, traendo un sadico piacere dal loro imbarazzo e dalla loro vergogna. Il fatto che questa coppia infernale abbia potuto imperversare per anni e anni, abusando di centinaia e, come sospettano gli inquirenti, di migliaia di minorenni, tacitandole poi con una manciata di dollari o con promesse di borse di studio, bloccando o neutralizzando qualsiasi iniziativa delle autorità inquirenti, perché Epstein era informato preventivamente di ogni inchiesta che venisse aperta a suo riguardo, mentre la Maxwell sfruttava le sue potentissime amicizie, in particolare quella col clan dei Clinton (era stata fra i selezionatissimi invitati alle nozze della figlia di Bill e Hillary, Chelsea), mostra fino a che punto le loro azioni malvagie godessero dell’impunità grazie alla rete di complicità omertose che esistevano nella magistratura e nell’ambiente politico. Ci siamo soffermati su questo caso, fra gl’infiniti che avremmo potuto citare, per mostrare come in una società che di fatto è rimasta orfana di Dio, non ci sono limiti morali che gli uomini non possano calpestare, né ci sono elementi di deterrenza che li possano trattenere dal percorrere la china del vizio e della colpa, in apparenza senza provare nemmeno un po’ di rimorso. È significativo, infatti, che in una società ricca come quella americana, nessuna autorità abbia espresso rammarico per le sofferenze delle giovanissime vittime e nessun risarcimento sia stato deciso nei loro confronti, benché i criminali disponessero di un patrimonio immenso al quale i magistrati avrebbero potuto attingere e benché siamo trascorsi molti anni da quando la polizia ricevette le prime denunce a carico del diabolico Epstein e della sua degna complice di scelleratezze.
Il diabolico Jeffrey Epstein: è significativo che in una società ricca come quella americana, nessuna autorità abbia espresso rammarico per le sofferenze delle giovanissime vittime !
E che dire di quei predatori sessuali che non vengono dal “bel” mondo della finanza e delle feste mondane di altissimo livello, ma che indossano la veste di sacerdote, di vescovo, di cardinale? Vien fatto di pensare – benché sia un pensiero non troppo cristiano, e quindi vada respinto come una tentazione – che se pure l’Inferno non esistesse, dovrebbe tuttavia esistere appositamente per accogliere anime talmente rotte alla malvagità, a meno che si pentano in tempo. Perché il punto, naturalmente, è questo: se c’è o se non c’è il pentimento, condizione necessaria per il perdono divino. Tutte le elucubrazioni sul destino delle anime dopo la morte, e specialmente le chiacchiere insulse del signor Bergoglio sulla salvezza finale di Giuda Iscariota, valgono meno di zero, perché non tengono in alcun conto la sola cosa realmente necessaria: il pentimento e il perdono di Dio. In altre parole, se c’è il perdono di Dio non esiste colpa che possa condannare un’anima all’Inferno; ma se non c’è, non esiste attenuante che la possa salvare. E anche da questo si comprende quali siano le perfide intenzioni di questo falso papa: ignorando la necessità del perdono di Dio e riportando sempre il discorso su di un piano meramente umano, costui riesce a piegare perfino la Rivelazione ai fini della sua contro-catechesi e del suo voluto, intenzionale stravolgimento del significato delle Scritture.
Il risultato della svolta antropologica è sotto gli occhi tutti: quando il signor Bergoglio s’affaccia alla finestra del Palazzo Apostolico per impartire la benedizione urbi et orbi, la piazza è ormai praticamente vuota!
Perciò torniamo sempre allo stesso punto: la necessità, per l’uomo, di sapersi peccatore e di essere sempre, sempre, assolutamente bisognoso del perdono di Dio, nonché del sostegno della sua grazia. Contro Dio l’uomo ha sempre torto, diceva giustamente Kierkegaard. Non c’è niente da fare: o l’uomo si riconosce peccatore, oppure non può sperare nel perdono di Dio. Ed è altamente significativo il fatto che quel signore vestito da papa che volentieri si getta bocconi a baciare le scarpe degli uomini, non s’inginocchia mai davanti a Dio: mai, neppure mentre celebra il sacrifico eucaristico, né quando fa “adorazione” (ma di chi o di che cosa, poi?, della Pachamama?) di fronte al Santissimo. Così com’è altamente significativo che il recente documento sul Coronavirus della Pontifica Accademia per la Vita non nomini mai, in tutto il testo dal principio alla fine – e sono 4.200 parole - né Dio, né Gesù Cristo, né il suo Vangelo: benché monsignor Paglia si sia indispettito di fronte a chi glielo faceva notare, la verità è che a questi signori poco importa che davanti a Dio si ha sempre torto; nella loro superbia luciferina, pensano di avere invece ragione e di poter procedere sulla splendida strada della fratellanza (massonica) universale, nonché su quella del cosiddetto nuovo umanesimo, espressione in codice che sta per Nuovo Ordine Mondiale, contando sulle forze puramente terrene e su una sorta di auto-redenzione da parte dell’uomo, infischiandosene del perdono di Dio verso l’umanità peccatrice.
Il Giudizio Universale nella famosa Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto nei primissimi anni del 1300.
Dobbiamo tornare alla vecchia abitudine di parlare del peccato e dell’umanità peccatrice: non per umiliare l’uomo o per mortificare la sua dignità, ma, al contrario, per ricordargli la sua vera condizione e per riaprire davanti a lui la prospettiva dell’eterno, oggi pressoché dissolta. Gli affreschi delle chiese medievali, specialmente il Giudizio universale, con la vivida rappresentazione delle pene infernali e con quella, dolcissima, della beatitudine celeste, era un continuo memento agli uomini sulla loro fragilità e sul bisogno incessante del perdono divino. Oggi purtroppo né al catechismo, né nelle omelie della santa Messa, si sente quasi più parlare del peccato e della indegnità sostanziale dell’uomo davanti a Dio; in compenso si sente parlare, anche troppo, della sua “dignità”, ma in termini puramente laici, come se l’uomo avesse qualcosa di cui andare fiero indipendentemente da Dio, e addirittura facendo a meno di Lui.
Si prenda il Giudizio Universale nella famosa Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto nei primissimi anni del 1300; e, in particolare, le scene dedicate all’Inferno, ai diavoli e agli atroci supplizi che questi infliggono alle anime dannate (da: Giuliano Pisani, I volti segreti di Giotto, Milano, Rizzoli, 2008, pp. 220-223):
Alcuni peccati sono chiaramente indicati, altri invece sono suggeriti dalle pene attraverso allusioni simboliche o per contrappasso: nello spazio tra le prime due lingue di fuoco ci sono dannati con al collo un sacchetto bianco, a sottolinearne l’avidità e l’attaccamento al denaro. In drammatica solitudine, poco sotto un gruppo di impiccati, Giuda Iscariota è appeso per il collo, le braccia abbandonate penzoloni, come se il suicidio della disperazione lo marchiasse per l’eternità: unico fra i dannati indossa una veste bianca che si apre sul davanti e scopre il ventre squarciato e gli intestini penzolanti.
Colpevoli di lussuria sono probabilmente il monaco cui un diavolo sta strappando i genitali con una tenaglia, o il religioso addentato al pene da un lucertolone, o quello che sta pattuendo una prestazione con una prostituta (il suo peccato terreno, che par continuare anche all’Inferno) mentre un diavolo lo afferra per i capelli e un altro gli strazia la schiena con uno strumento orto di lunghe punte metalliche. La medesima colpa pare riguardare la donna e il religioso appesi a testa in giù, con ganci che li artigliano nei genitali. Accanto a loro una donna e un uomo sono ugualmente appesi, lei per i capelli, lui per la lingua.
Il diavolo del Giudizio Universale di Giotto nella famosa Cappella degli Scrovegni
Dobbiamo tornare a chiamare peccato il peccato
di Francesco Lamendola
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