Tutti pazzi per Pechino
L’accordo Cina-Vaticano sdogana una chiesa scismatica prona al regime e un totalitarismo feroce
L’accordo (segreto) tra il Vaticano e la Cina comunista in fase di rinnovo ha due aspetti apparentemente diversi tra loro ma in realtà convergenti a renderlo tragico per la Chiesa non solo in Cina ma ovunque.
Dal punto di vista strettamente ecclesiastico questo quadro è più che sconcertante. Il suo mantenimento si fonda sulla menzogna e sul tradimento. Si tratta dell’abbandono alla deriva di una Chiesa nazionale e dell’inserimento nel corpo ecclesiale di una Chiesa scismatica i cui vescovi, fedeli esecutori del Partito Comunista Cinese, entreranno negli organismi della Chiesa universale, un domani anche nella Curia romana, e quando qualcuno di loro entrerà nel collegio cardinalizio potrà anche contribuire all’elezione di un nuovo pontefice. Una Chiesa non fedele a Roma non può far parte della Chiesa se non per guastarla dall’interno.
Dal punto di vista strettamente ecclesiastico questo quadro è più che sconcertante. Il suo mantenimento si fonda sulla menzogna e sul tradimento. Si tratta dell’abbandono alla deriva di una Chiesa nazionale e dell’inserimento nel corpo ecclesiale di una Chiesa scismatica i cui vescovi, fedeli esecutori del Partito Comunista Cinese, entreranno negli organismi della Chiesa universale, un domani anche nella Curia romana, e quando qualcuno di loro entrerà nel collegio cardinalizio potrà anche contribuire all’elezione di un nuovo pontefice. Una Chiesa non fedele a Roma non può far parte della Chiesa se non per guastarla dall’interno.
C’è però un altro aspetto che, come dicevo, viene spesso considerato di altro genere in quanto di carattere politico. Il regime comunista è un regime totalitario e disumano, al cui interno si pianificano forme di controllo della libertà, lotta alla vita nascente, segregazioni personali ingiustificate, sospensione delle garanzie dell’habeas corpus, violenza istituzionalizzata, spionaggio sistematico nella vita privata. La Cina, che ha inventato la pandemia da Covid-19, ora si presenta come modello per la sua soluzione, quello che molti chiamano il “modello cinese”. La Cina, che è il principale inquinatore mondiale, si presenta come un Paese affidabile anche per il Vaticano oggi così attento e sensibile all’ambientalismo, La Cina, che sta colonizzando l’Africa impossessandosi delle sue fonti di energia, è considerata molto meno pericolosa degli Stati Uniti di Trump e anche l’enciclica Fratelli tutti indica solo l’Occidente e non la Cina come fonte dello sfruttamento globale. La Cina, che tutti ritengono degna di far parte e di dirigere i consessi ONU sui diritti umani, è in realtà la principale loro minaccia. La Cina ha il più alto numero di esecuzioni capitali al mondo, ma questo non disturba il Vaticano, nonostante la recente (discutibile) condanna dottrinale della pena di morte fatta da papa Francesco.
Fino a Benedetto XVI la linea era la medesima su tutti e due i fronti, quello ecclesiale e quello politico. La dottrina non permetteva di accettare una Chiesa scismatica, e la Dottrina sociale della Chiesa non permetteva di accettare un totalitarismo feroce. I due aspetti si richiamavano l’un l’altro ed erano due facce della medesima politica. Già la Ost Politik iniziata con Paolo VI aveva abbassato il tiro: il silenzio sulla Chiesa del silenzio e lo svolgimento del Vaticano II mentre gloriosi vescovi cattolici erano ancora nelle prigioni comuniste assomiglia molto alla nuova Ost Politik cinese. Ambedue si configurano come una omissione sia in campo ecclesiastico che in campo politico. Allora di fatto la Chiesa accettò in qualche modo il comunismo sovietico, ora cembra accettare quello cinese.
Dicevo che le conseguenze non si limiteranno alla sola Cina, né per quanto riguarda la questione ecclesiastica né per quella politica. In Cina la Chiesa sta rinunciando alla propria unità di Corpo mistico di Cristo, che chiede anche una unità visibile attorno al papa, vero garante della successione apostolica. Ma sta anche rinunciando ai principi della propria Dottrina sociale, che infatti in questa fase della sua vita, viene ampiamente abbandonata se non stravolta. Nel febbraio 2018 la famosa espressione del Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali di allora, l’arcivescovo Sanchez Sorondo, sulla Cina come il Paese in cui meglio è realizzata la Dottrina sociale della Chiesa, ancorché strabiliante, non fu tuttavia un lapsus.
Con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la Chiesa si era dimostrata coraggiosamente capace di impedire le secessioni interne (Ratzinger si era adoperato addirittura al contrario per dare un casa ai profughi della Chiesa anglicana che volevano riconciliarsi con Roma) e di fronteggiare a testa alta i totalitarismi, sia piccoli sia grandi. Oggi la Chiesa sembra essere in gravi difficoltà su ambedue i fronti, che sono poi un unico fronte.
di Stefano Fontana
Cina e Vaticano vanno fino in fondo: l’accordo sarà rinnovato
Nella giornata di giovedì 22 ottobre Cina e Santa Sede rinnoveranno gli accordi siglati due anni fa e destinati a normare le relazioni (per ora) informali tra Pechino e l’Oltretevere e a consolidare il processo comune della nomina dei vescovi nella Repubblica Popolare. Lo scrive il vaticanista Massimo Franco sul Corriere della Sera, citando le fonti diplomatiche vaticane da lui consultate secondo cui giovedì “alle ore 12 a Roma corrispondenti alle 18 a Pechino, la Santa Sede e il governo cinese comunicheranno in simultanea la proroga di due anni del loro Accordo provvisorio e segreto”.
La giornata del 22 ottobre era già estremamente importante per la Chiesa in quanto celebrazione liturgica di San Giovanni Paolo II nell’anno del centenario della nascita del Papa polacco. Ora la data acquisirà una valenza “politica” ulteriormente accentuata, sancendo il rinnovo dell’intesa tra la Santa Sede e l’Impero di Mezzo, fortemente cercata da Papa Francesco. Un’intesa che è funzionale alla grande strategia geopolitica del Vaticano di Francesco, intento a governare la transizione multipolare del sistema internazionale e a guardare nell’Oriente una frontiera fondamentale per la Chiesa. E che attende ancora un reale perfezionamento, dato che il processo di nomina dei vescovi che Santa Sede e Pechino stanno studiando implica impone concessioni notevoli da entrambe le parti.
La Chiesa cattolica, da un lato, mira a formalizzare un vero e proprio “Concordato” sulla scia di quelli conclusi in passato con diversi regimi (da quello napoleonico alla Germania nazista) o con governi aventi rapporti problematici con il Vaticano (ad esempio il Messico) ed ha concesso già nel 2018 l’obbligo, per il clero cattolico cinese, di firmare una registrazione all’Associazione patriottica cattolica cinese, dipendente da Pechino, e di riconoscere l’indipendenza della Chiesa locale da Roma. Al contempo, non è da sottovalutare il fatto che concedendo anche al Vaticano voce in capitolo per nominare i vescovi della Chiesa cinese, che saranno parallelamente figure episcopali e “funzionari” nazionali, per la prima volta nella sua storia la Cina ha espressamente concesso in maniera volontaria a un’altra potenza di scegliere figure di rango istituzionale nel suo contesto nazionale. Un processo, dunque, tanto complesso da poter far pensare che gli “imperi paralleli” che danno il nome a un omonimo saggio di Franco non siano più solo due (Vaticano e Stati Uniti) ma tre, con l’aggiunta della Cina, che al pari di Washington ritiene imprescindibile la ricerca di un accordo con la Santa Sede.
E proprio Washington appare la grande sconfitta del rinnovo dell’accordo sino-vaticano. Nelle scorse settimane abbiamo assistito al vero e proprio isolamento di Mike Pompeo da parte di Papa Francesco durante la sua visita romana. Pompeo, in un editoriale su First Things, aveva attaccato duramente l’ipotesi del rinnovo degli accordi, e Bergoglio si è rifiutato di dargli udienza durante la sua recente visita romana che lo ha anche portato a un simposio sulla libertà religiosa organizzato dall’ambasciata a stelle e strisce presso la Santa Sede. Pietro Parolin, omologo del Segretario di Stato statunitense, ha voluto rubricare alla necessità di Pompeo di fare campagna elettorale per Donald Trump tra i cattolici americani gli strali anti-cinesi dell’ex capo della Cia, ma la realtà di fondo è che le strategie geopolitiche degli Usa e del Vaticano targato Papa Francesco divergono notevolmente.
Bergoglio ha schivato con destrezza tutte le possibili “mine” pronte a essere messe sul suo terreno, non prendendo esplicitamente posizione su dossier strategici per gli Usa nel contenimento di Pechino quali quello delle proteste a Hong Kong o quello sulle voci di repressioni in Xinjiang, che la Santa Sede preferisce segnalare come questioni interne alla Repubblica Popolare. Anzi, secondo i diplomatici sentiti da Franco in Vaticano è forte la sensazione che “Pompeo ci ha fatto un favore. Ha dimostrato che la nostra linea non è condizionata da nessuno. Per paradosso, ci ha rafforzato nella trattativa con Pechino”. Così come può aver rafforzato la Santa Sede il diniego del Papa di incontrare l’anziano cardinale di Hong Kong Joseph Zen, giunto vanamente a Roma per chiedere udienza al pontefice e esprimere le sue riserve su un accordo rimasto oscuro allo stesso episcopato cinese.
Firmato il rinnovo, si aprirà per Cina e Vaticano la partita più difficile: che fare dell’intesa? Bisogna accelerare sulle nomine e spianare la questione spinosa della Chiesa sotterranea cinese, che troppo spesso risulta parallela a quella “patriottica” e rischia di subire repressioni in nome del legame sino-vaticano. Ma vi è anche il nodo spinoso del percorso verso il pieno riconoscimento bilaterale, necessario per aprire la strada a un incontro tra Papa Francesco e Xi Jinping. Dal 1951 Cina e Santa Sede non hanno relazioni bilaterali ufficiali formalizzate, e dal 1942 il Vaticano riconosce come interlocutore principale la Repubblica di Cina (Taiwan). Un accordo incompleto è stato valutato meglio dell’assenza di un accordo, e bisognerà valutare quanto si assisterà a un’accelerazione, nei prossimi mesi, su ulteriori passi in avanti e quanto aumenterà il pressing Usa per evitare che una maggiore vicinanza al Vaticano legittimi eccessivamente Pechino nella comunità internazionale.
Documenti. Il giudizio ufficiale della Santa Sede sul rinnovato accordo con la Cina
1. IL COMUNICATO CIRCA LA PROROGA DELL’ACCORDO
Alla scadenza della validità dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi, stipulato a Pechino il 22 settembre 2018 ed entrato in vigore un mese dopo, le due Parti hanno concordato di prorogare la fase attuativa sperimentale dell’Accordo Provvisorio per altri due anni.
La Santa Sede, ritenendo che l’avvio dell’applicazione del suddetto Accordo - di fondamentale valore ecclesiale e pastorale - è stato positivo, grazie alla buona comunicazione e collaborazione tra le Parti nella materia pattuita, è intenzionata a proseguire il dialogo aperto e costruttivo per favorire la vita della Chiesa cattolica e il bene del Popolo cinese.
22 ottobre 2020
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2. IL COMMENTO DE “L’OSSERVATORE ROMANO”
L’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, riguardante la nomina dei Vescovi, è stato firmato a Pechino il 22 settembre 2018. Entrato in vigore un mese dopo, con la durata di due anni ad experimentum, l’Accordo, dunque, scade oggi. In prossimità di tale data, le due Parti, hanno valutato vari aspetti della sua applicazione, e hanno concordato, tramite lo scambio ufficiale di Note Verbali, di prolungarne la validità per altri due anni, fino al 22 ottobre 2022. Il rinnovo, quindi, dell’Accordo Provvisorio sembra essere un’occasione propizia per approfondirne lo scopo e i motivi.
Lo scopo principale dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi in Cina è quello di sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo in quelle terre, ricostituendo la piena e visibile unità della Chiesa. I motivi principali, infatti, che hanno guidato la Santa Sede in questo processo, in dialogo con le Autorità del Paese, sono fondamentalmente di natura ecclesiologica e pastorale. La questione della nomina dei Vescovi riveste vitale importanza per la vita della Chiesa, sia a livello locale che a livello universale. Al riguardo, il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, afferma che “Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Gv 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione.” (Lumen Gentium, 18).
Questo insegnamento fondamentale, che riguarda il ruolo peculiare del Sommo Pontefice all’interno del Collegio Episcopale e nella stessa nomina dei Vescovi, ha ispirato le trattative ed è stato di riferimento nella stesura del testo dell’Accordo. Ciò assicurerà, poco a poco, cammino facendo, sia l’unità di fede e di comunione tra i Vescovi sia il pieno servizio a favore della comunità cattolica in Cina. Già oggi, per la prima volta dopo tanti decenni, tutti i Vescovi in Cina sono in comunione con il Vescovo di Roma e, grazie all’implementazione dell’Accordo, non ci saranno più ordinazioni illegittime.
Bisogna tuttavia rilevare che con l’Accordo non sono state affrontate tutte le questioni aperte o le situazioni che suscitano ancora preoccupazione per la Chiesa, ma esclusivamente l’argomento delle nomine episcopali, decisivo e imprescindibile per garantire la vita ordinaria della Chiesa, in Cina come in tutte le parti del mondo. Recentemente, l’Em.mo Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, intervenendo su “La Chiesa cattolica in Cina tra passato e presente” al Convegno svoltosi a Milano il 3 c.m., in occasione del 150° anniversario dell’arrivo dei missionari del Pime in Henan, ha fatto presente che sull’Accordo Provvisorio sono sorti alcuni malintesi. Molti di questi sono nati dall’attribuzione all’Accordo di obiettivi che esso non ha, o dalla riconduzione all’Accordo di eventi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina che sono ad esso estranei, oppure a collegamenti con questioni politiche che nulla hanno a che vedere con l’Accordo stesso. Ricordando che l’Accordo concerne esclusivamente la nomina dei Vescovi, il Cardinale Parolin si è detto consapevole dell’esistenza di diversi problemi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina, ma anche dell’impossibilità di affrontarli tutti insieme.
La stipulazione dell’Accordo, dunque, costituisce il punto di arrivo di un lungo cammino intrapreso dalla Santa Sede e dalla Repubblica Popolare Cinese, ma è anche e soprattutto il punto di partenza per più ampie e lungimiranti intese. L’Accordo Provvisorio, il cui testo, data la sua natura sperimentale, è stato consensualmente mantenuto riservato, è frutto di un dialogo aperto e costruttivo. Tale atteggiamento dialogante, nutrito di rispetto e amicizia, è fortemente voluto e promosso dal Santo Padre. Papa Francesco è ben cosciente delle ferite recate alla comunione della Chiesa nel passato, e dopo anni di lunghi negoziati, iniziati e portati avanti dai suoi Predecessori e in una indubbia continuità di pensiero con loro, ha ristabilito la piena comunione con i Vescovi cinesi ordinati senza mandato pontificio e ha autorizzato la firma dell’Accordo sulla nomina dei Vescovi, la cui bozza peraltro era stata già approvata da Papa Benedetto XVI.
Il Cardinale Parolin ha sottolineato che l’attuale dialogo tra Santa Sede e Cina ha radici antiche ed è la continuazione di un cammino iniziato molto tempo fa. Gli ultimi Pontefici, infatti, hanno cercato ciò che Papa Benedetto XVI ha indicato come il superamento di una “pesante situazione di malintesi e di incomprensione”, che “non giova né alle Autorità cinesi né alla Chiesa cattolica in Cina”. Citando il suo predecessore Giovanni Paolo II, scriveva nel 2007: “Non è un mistero per nessuno che la Santa Sede, a nome dell’intera Chiesa cattolica e - credo - a vantaggio di tutta l’umanità, auspica l’apertura di uno spazio di dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del Popolo cinese e per la pace nel mondo” (Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi, ai Presbiteri, alle Persone Consacrate e ai Fedeli laici della Chiesa Cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, N. 4).
Da parte di alcuni settori della politica internazionale si è cercato di analizzare l’operato della Santa Sede prevalentemente secondo un’ermeneutica geopolitica. Nel caso della stipula dell’Accordo Provvisorio, invece, per la Santa Sede si tratta di una questione profondamente ecclesiologica, in conformità a due principi così esplicitati: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia” (Sant’Ambrogio) e “Ubi episcopus, ibi Ecclesia” (Sant’Ignazio di Antiochia). Inoltre, c’è la piena consapevolezza che il dialogo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese favorisce una più proficua ricerca del bene comune a vantaggio dell’intera comunità internazionale.
Proprio con questi intendimenti, l’Arcivescovo Paul R. Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, ha incontrato il Sig. Wang Yi, Consigliere di Stato e Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, nel pomeriggio del 14 febbraio 2020, a Monaco di Baviera, a margine della 56^ edizione della Conferenza sulla Sicurezza, anche se di fatto, il loro primo incontro personale, benché non ufficiale, era avvenuto in occasione di una Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York. Occorre notare che ambedue gli incontri hanno avuto luogo nel contesto della diplomazia multilaterale che agisce in favore della pace e della sicurezza globale, cercando di cogliere ogni segnale, anche minimo, che permetta di sostenere la cultura dell’incontro e del dialogo.
Come reso pubblico dalla Santa Sede, nel corso del colloquio svoltosi in Germania sono stati evocati i contatti fra le due Parti, sviluppatisi positivamente nel tempo. In tale occasione, poi, si è rinnovata la volontà di proseguire il dialogo istituzionale a livello bilaterale per favorire la vita della Chiesa cattolica e il bene del Popolo cinese. Si è auspicata, inoltre, maggiore cooperazione internazionale al fine di promuovere la convivenza civile e la pace nel mondo e si sono scambiate considerazioni sul dialogo interculturale e i diritti umani. In particolare, è stata evidenziata l’importanza dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi, ora prorogato, con l’auspicio che i suoi frutti siano sempre maggiori, in base all’esperienza maturata nei primi due anni della sua applicazione.
Per quanto riguarda i risultati finora raggiunti, sulla base del quadro normativo stabilito dall’Accordo, sono stati nominati due Vescovi (S.E. Mons. Antonio Yao Shun, di Jining, Regione autonoma della Mongolia Interna, e S.E. Mons. Stefano Xu Hongwei, a Hanzhong, Provincia di Shaanxi), mentre diversi altri processi per le nuove nomine episcopali sono in corso, alcuni in fase iniziale altri in fase avanzata. Anche se, statisticamente, questo può non sembrare un grande risultato, esso rappresenta, tuttavia, un buon inizio, nella speranza di poter raggiungere progressivamente altre mete positive. Non è possibile trascurare il fatto che negli ultimi mesi il mondo intero è stato quasi paralizzato dall’emergenza sanitaria, che ha influenzato la vita e l’attività, in quasi tutti i settori della vita pubblica e privata. Il medesimo fenomeno ha influito, ovviamente, anche sui contatti regolari tra la Santa Sede e il Governo cinese e sulla stessa attuazione dell’Accordo Provvisorio.
L’applicazione dell’Accordo, con l’effettiva e sempre più attiva partecipazione dell’Episcopato cinese, dunque, sta avendo una grande importanza per la vita della Chiesa cattolica in Cina e, di riflesso, per la Chiesa universale. In tale contesto, si colloca anche l’obiettivo pastorale della Santa Sede, di aiutare i cattolici cinesi, a lungo divisi, a dare segnali di riconciliazione, di collaborazione e di unità per un rinnovato e più efficace annuncio del Vangelo in Cina. Alla comunità cattolica in Cina – ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai fedeli – il Papa ha affidato in modo particolare l’impegno di vivere un autentico spirito di amore fraterno, ponendo dei gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni, testimoniando la propria fede e un genuino amore. É doveroso riconoscere che permangono non poche situazioni di grande sofferenza. La Santa Sede ne è profondamente consapevole, ne tiene ben conto e non manca di attirare l’attenzione del Governo cinese per favorire un più fruttuoso esercizio della libertà religiosa. Il cammino è ancora lungo e non privo di difficoltà.
La Santa Sede, con piena fiducia nel Signore della storia, che guida indefettibilmente la sua Chiesa, e nella materna intercessione della Ss.ma Vergine Maria, Madonna di Sheshan, affida al sostegno cordiale e, soprattutto, alla preghiera di tutti i cattolici questo passaggio delicato e importante, auspicando che i contatti e il dialogo con la Repubblica Popolare Cinese, che hanno maturato un primo frutto nella firma dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi e la proroga di oggi, contribuiscano alla soluzione delle questioni di comune interesse ancora aperte, con particolare riferimento alla vita delle comunità cattoliche in Cina, nonché alla promozione di un orizzonte internazionale di pace, in un momento in cui stiamo sperimentando numerose tensioni a livello mondiale.
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Per un bilancio dei primi due anni:
> Profondo rosso. Il deludente bilancio di due anni di accordo con la Cina. Con un Post Scriptum
Settimo Cielo
di Sandro Magister 22 ott
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