ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 29 ottobre 2020

Ma non l'hanno già conquistato?

Semeraro & Co., la lobby gay alla conquista di San Pietro

Alla faccia di chi ancora vuole credere che non sia a favore delle unioni civili, papa Francesco tira dritto e tra i nuovi cardinali ne sceglie ben tre noti per le loro posizioni apertamente a favore, non solo delle unioni civili, ma della legittimazione dell'omosessualità. 

                              Semeraro con il Papa festeggia il suo 70mo compleanno

Fa una certa tenerezza vedere sui giornali italiani e sui social, prelati e laiconi affannarsi a spiegare – contro ogni evidenza - che il Papa non intendeva sostenere le unioni gay con quelle dichiarazioni riportate nell’ormai famoso docufilm Francesco presentato a Roma la scorsa settimana. Non è bastato l’eloquente silenzio dei media vaticani e del portavoce del Papa, che non hanno voluto smentire l’interpretazione civil-unionista che ha fatto il giro del mondo in pochi minuti; non è bastata neanche la ricostruzione della posizione passata su questo tema (e che oggi il vescovo argentino Aguer conferma alla Bussola, essendone stato testimone diretto), che dimostra come l’opinione di papa Francesco coincida esattamente con quella di coloro che anche in Italia hanno favorito la legge sulle unioni civili (e hanno fatto di tutto per boicottare i Family Day).

Per chi non vuol vedere, neanche l’evidenza è sufficiente. Così nel frattempo papa Francesco, incurante del polverone alzato, ha proseguito piantando subito un altro tassello importante per la causa gay, con la nomina dei nuovi cardinali. Almeno tre di loro (su 13) sono chiaramente favorevoli non solo al riconoscimento giuridico delle unioni civili, ma alla completa normalizzazione dell’omosessualità; e soprattutto si spendono ampiamente per la causa Lgbt nella Chiesa.

Il più importante di loro è sicuramente l’italiano Marcello Semeraro, che della sua diocesi di Albano ha fatto la capitale italiana del movimento catto-gay. Ogni anno ospita infatti il Forum dei cristiani Lgbt italiani, il cui scopo è proprio quello di rendere l’omosessualità – e non le persone con tendenze omosessuali - pienamente accettata nella Chiesa, con un cambiamento del Catechismo e una rilettura della Sacra Scrittura in chiave arcobaleno. Non stupisce dunque che appena ricevuta la nomina alla porpora, Semeraro abbia sostenuto, riferendosi all’intervista del Papa, le ragioni delle unioni civili. Del resto era appena uscito il libro di don Aristide Fumagalli, una sorta di padre James Martin in versione italiana (“L’amore possibile – Persone omosessuali e morale cristiana”), di cui monsignor Semeraro ha firmato la prefazione.                                                                                                                         Peraltro già in occasione del Family Day del gennaio 2016, Semeraro si è apertamente schierato a favore del riconoscimento delle unioni civili, pur escludendo le adozioni per le coppie gay.

A sorprendere dunque non è tanto la posizione di Semeraro, coerente con la sua storia, quanto la sua rapida carriera ecclesiale. Nominato vescovo di Oria nel 1998 da Giovanni Paolo II, nel 2004 viene promosso alla diocesi di Albano malgrado voci maligne sui rapporti intrattenuti con un sacerdote. Ma è con l’elezione di papa Francesco che le sue azioni in Vaticano crescono enormemente: il Papa lo conosceva bene perché ci aveva lavorato fianco a fianco durante il Sinodo del 2001. Così nell’aprile 2013 viene subito chiamato a fare da segretario al Consiglio dei cardinali, formato per aiutare papa Francesco nel disegno di riforma della Curia vaticana. E ora, nel giro di dieci giorni, è stato prima nominato prefetto della Congregazione per la causa dei Santi, in sostituzione del cardinale Angelo Becciu nel frattempo caduto in disgrazia, e poi cardinale.

In una lunga intervista pubblicata il 2 gennaio 2018 sul Nuovo Quotidiano di Puglia, il vescovo Semeraro racconta della sua stretta amicizia con papa Francesco, che pochi giorni prima gli aveva fatto la sorpresa di presentarsi alla sua festa di compleanno (aveva compiuto 70 anni). E per l’occasione tocca anche il tema dei divorziati risposati, confermando l’indirizzo impresso da papa Francesco in materia. Dice Semeraro: «Se i divorziati vogliono risposarsi questo è addirittura un bene: vuol dire che non hanno perso la fiducia nel matrimonio. E poi oggi la Chiesa è molto attenta all’aspetto soggettivo della questione, bisogna valutare caso per caso. I tempi cambiano». Già, i tempi cambiano, e quindi la “Nuova Chiesa” è pronta anche a rinnegare San Paolo e tutte le Scritture che in materia di omosessualità sono più che chiare.

Sulla stessa lunghezza d’onda c’è l’arcivescovo di Washington, Wilton Gregory, primo vescovo afro-americano negli Stati Uniti, che appena un anno fa affermava - rispondendo a una intervista – che «i cattolici transgender appartengono al cuore della Chiesa». In precedenza Gregory, da vescovo di Atlanta, aveva aperto la cattedrale agli incontri di famiglie con qualche membro Lgbt e aveva espresso pieno sostegno a padre James Martin e monsignor Henry Gracz, entrambi molto attivi nel promuovere l’agenda Lgbt nella Chiesa. Nel 2014, monsignor Gregory ha anche nominato un diacono come assistente spirituale della comunità diocesana Lgbt, e ha fatto una severa autocritica della Chiesa nei confronti delle persone Lgbt.

Il terzo neo-cardinale apertamente gay-friendly è il maltese Mario Grech, il cui attivismo pro-gay è apparso chiaro in occasione del primo Sinodo sulla Famiglia, nel 2014, quando invitò gli altri padri sinodali ad usare un linguaggio più sensibile nei confronti di gay e lesbiche. Grech si è anche espresso pubblicamente a favore delle unioni civili e delle coppie omosessuali; in una intervista del 2015 affermò che «oltre al matrimonio» ci sono «differenti forme di relazione».

Forse non sono stati scelti come cardinali esclusivamente per il loro attivismo pro-gay, ma è certo che una presenza così ingombrante in materia di omosessualità non poteva passare inosservata. Così come è certo che la presenza catto-gay nel sacro Collegio si rafforza notevolmente.                                                                                                                 Il sito statunitense New Ways Ministry, punto di riferimento per la battaglia catto-gay, congratulandosi con il Papa per la scelta dei succitati tre, elenca i nomi di altri 11 cardinali che nel Sacro Collegio vengono considerati di orientamento pro-Lgbt, tutti nominati da papa Francesco:  Blase Cupich, Joseph Tobin, Kevin Farrell, Jozef de Kesel, Vincent Nichols, Matteo Zuppi, Jean-Claude Hollerich, José Tolentino Medonca, John Atcherly Dew, Dominique Mamberti, e padre Michael Czerny, SJ.   
                                                                                                                                                  C’è da dire che se costoro hanno da tempo preso posizioni pubbliche sul tema dell’omosessualità e delle unioni civili, è verosimile che all’interno del Collegio cardinalizio ci siano altri “simpatizzanti”, rimasti finora nell’ombra: vuol dire che il peso della lobby gay nel prossimo conclave si farà molto sentire.

Ai comuni fedeli non resta che pregare perché Cristo riprenda in fretta il controllo della barca.

Riccardo Cascioli

https://lanuovabq.it/it/semeraro-co-la-lobby-gay-alla-conquista-di-san-pietro

- AGUER: «RICORDO BERGOGLIO IN ARGENTINA LOTTARE PER LE UNIONI GAY»di Andrea Zambrano

RELATIVISMO PERICOLOSO

Se la Consulta dice "nì" alla "doppia madre" è tirannia

Due donne fanno la fecondazione e chiedono a un tribunale di essere riconosciute entrambe come madri "partorienti". I giudici si rivolgono alla Corte Costituzionale che rimanda il tutto al Parlamento affermando che le leggi costituzionali devono essere scavalcate da un’altra fonte normativa: il sentire diffuso, che poi sarà quello discrezionale dei giudici.

La Corte costituzionale ha detto “Ni” alla doppia omogenitorialità. Ricostruiamo i fatti. Due donne unite civilmente decidono di andare all’estero affinchè una della due si sottoponga alla pratica della fecondazione artificiale eterologa. Il bambino, figlio biologico di una delle due donne, nasce in Italia. L’altra donna - che ormai il linguaggio politicamente corretto chiama in modo risibile “madre intenzionale” - vorrebbe essere riconosciuta anche lei come secondo genitore del bambino, ossia come madre a tutti gli effetti del pargolo. Una sottolineatura: questa madre non intende essere riconosciuta come madre adottiva, esplicate le relative pratiche di adozione, ma come se lei avesse partorito il bambino.

La coppia, esaurito a vuoto l’iter burocratico-amministrativo, si rivolge infine al Tribunale di Venezia che solleva eccezione di incostituzionalità in riferimento alla disciplina normativa prevista dalla legge sulle unioni civili che non equipara i figli delle coppie gay unite civilmente a quelle delle coppie (eterosessuali) sposate, demandando, in buona sostanza, la soluzione dei casi all’inventiva dei giudici. Su altro fronte i giudici veneziani contestano un decreto del presidente della Repubblica riguardante l'ordinamento dello stato civile, il quale non prevede, in accordo a tutto l’assetto normativo del nostro ordinamento giuridico, che un bambino possa avere due madri o due padri. In breve per il nostro ordinamento è esclusa la doppia omogenitorialità, proprio ciò che invece chiede la coppia di donne di cui sopra.

Gli articoli della Costituzione violati dalle citate normative sarebbero il 2, violazione dei diritti fondamentali; il 3 a motivo della «disparità di trattamento basata sull'orientamento sessuale e sul reddito, laddove privilegia chi dispone dei mezzi economici non solo per concepire, ma anche per far nascere il figlio all'estero e richiedere la trascrizione in Italia dell'atto di nascita straniero» (ma anche le coppie omosex che vogliono trascrivere in Italia l’atto di nascita redatto all’estero non trovano di certo la strada spianata per i motivi già esposti); il 30 sulla tutela della filiazione.

Il tutto è quindi stato rimesso nelle mani della Consulta. Questa come ha risposto? Il presidente Mario Morelli ha così dichiarato: «Il riconoscimento dello status di genitore alla cosiddetta madre intenzionale - all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente - non risponde a un precetto costituzionale, ma comporta una scelta di così alta discrezionalità da essere per ciò stesso riservata al legislatore, quale interprete del sentire della collettività nazionale». Perché «su temi così eticamente sensibili» è di competenza del Parlamento «ponderare gli interessi e i valori in gioco, tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale in un determinato momento storico». E poi ha così continuato: «La protezione del miglior interesse del minore in simili situazioni - oggi affidata dalla giurisprudenza all’attuale disciplina sull’adozione in casi particolari - può essere assicurata attraverso varie soluzioni, tutte compatibili con la Costituzione, che spetta sempre al legislatore individuare».

In apertura di articolo abbiamo scritto che la Consulta ha detto “Ni” alla doppia omogenitorialità. Infatti da una parte non ha rigettato il ricorso, dall’altra ha rimandato il tutto al Parlamento. Un mezzo No o un mezzo Sì a seconda di come si vuole guardare la decisione presa dai giudici.

Volendo andare oltre alla questione del rifiuto/accoglimento della eccezione, i punti interessanti della decisione della Consulta sono più di uno. In primis stupisce che la Corte si astenga dal decidere perché la doppia omogenitorialità sarebbe una tematica eticamente sensibile. Ma la Corte quando in passato è intervenuta più volte sulla legge 40 inerente la fecondazione artificiale, sul suicidio assistito lo scorso settembre (sebbene dopo aver invitato il Parlamento a legiferare), sulle convivenze omosessuali, sulla famiglia, sull’aborto - tanto per fare solo alcuni esempi - non si è pronunciata su tematiche sensibili?

Ulteriore rilievo: secondo la Consulta «il riconoscimento dello status di genitore alla cosiddetta madre intenzionale - all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente - non risponde a un precetto costituzionale». Ma, al di là di ciò che uno può pensare, questa vicenda non interessa, come minimo, il concetto di famiglia (art 29), i diritti fondamentali (art 2) e il principio di uguaglianza ( art. 3)?

Terza riflessione: nel settembre scorso avevamo criticato alcuni passaggi del neo presidente Morelli durante la presentazione della sua nuova carica ai giornalisti. Allora Morelli aveva affermato che i diritti fondamentali non sono solo quelli scritti nero su bianco nella Costituzione ma anche quelli che, in modo impalpabile, sono presenti nel tessuto sociale, diritti che poi vengono cristallizzati dall’intervento del giudice. Oggi il presidente Morelli, in modo analogo, afferma che per risolvere la controversia in oggetto il Parlamento si deve fare «interprete del sentire della collettività nazionale, […] tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale in un determinato momento storico». Dunque, rimanendo alla lettera di quanto ha detto Morelli, le leggi e le norme costituzionali si trovano scavalcate da un’altra fonte normativa a loro sovraordinata: il sentito diffuso, la coscienza collettiva.

I problemi di questa impostazione, come avevamo già annotato un mese or sono, sono plurimi. In primo luogo è difficile individuare esattamente, tanto da condensarlo in norme, il sentito diffuso, perché questo è multiforme, variopinto, pieno di sfumature. Il risultato finale in realtà sarebbe il seguente: le norme sarebbero lo specchio del sentire del legislatore che avrebbe preso a prestito questa trovata della coscienza collettiva per legittimare condotte che magari la gente ripudia.

Inoltre anche ammesso e non concesso che si riuscisse a distillare il volere dei più, il sentito diffuso è cangiante, mutevole nel tempo. Fatta una legge oggi, domani potrebbe non più rispecchiare la coscienza collettiva. C’è poi da aggiungere che fare affidamento al percepito collettivo è assai rischioso: e se la maggioranza degli italiani si mostrasse favorevole, ad esempio, ad essere indulgente verso le violenze sulle donne e sui bambini? Inoltre, cosa succederebbe se, tastato il polso della penisola, venisse fuori che la maggior parte del popolo italico fosse contrario ad esempio alle unioni civili, all’omogenitorialità? Sarebbe ancora valido il riferimento al sentire collettivo? Non crediamo. E che dire di rispettate l’opinione della massa che vorrebbe meno tasse? Questo sì che è un sentire diffusissimo e certo, eppure…

Dunque non siamo ipocriti: questo metro di giudizio per varare nuove leggi è buono solo quando risponde ai desiderata della tecnocrazia al potere.

Tommaso Scandroglio

https://lanuovabq.it/it/se-la-consulta-dice-ni-alla-doppia-madre-e-tirannia

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