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mercoledì 7 ottobre 2020

Spartito per un concerto senza pubblico cattolico.

Papa Francesco, nell'enciclica una lode "agghiacciante": legittima la sottomissione all'Islam

Deve aver sbagliato a dare titolo all'enciclica, Papa Francesco. Anziché «Fratelli tutti», avrebbe dovuto chiamarla «Fratelli Musulmani». Il documento papale pubblicato ieri pareva evocare nel nome la fratellanza con gli elementi della Natura, alludendo a «Fratello Sole, Sorella Luna»; oppure riscattare in positivo la fraternità tradita dai due primi fratelli nel racconto biblico, Caino e Abele; o addirittura celebrare una fraternità comunitaria in chiave patriottica, la stessa cui si inneggia in «Fratelli d'Italia». 

Macché, non c'era da illudersi. La fratellanza, nel testo vergato dal Papa, viene intesa nel senso giacobino della fraternité, per cui Fratelli diventa sinonimo di Compagni, al punto che il pontefice giunge a definire «non intoccabile il diritto alla proprietà privata». E ancora, viene declinata nel senso della «responsabilità fraterna» verso i migranti. Ma soprattutto, ed è ciò che più inquieta, la fraternità è interpretata dal Papa come legame, non paritario ma subalterno, con gli islamici. Non era mai accaduto finora nella storia della Chiesa che un Papa riconoscesse come sua primaria fonte di ispirazione per un'enciclica una delle massime autorità spirituali musulmane, il Grande imam di al-Azhar.

IL POVERELLO DI ASSISI
«In questo caso», scrive Francesco, «mi sono sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale mi sono incontrato per ricordare che Dio "ha creato tutti gli esseri umani uguali, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro". Questa Enciclica raccoglie e sviluppa grandi temi esposti in quel Documento che abbiamo firmato insieme». Al-Tayyeb, lo ricordiamo, è quell'imam che aveva rotto con Papa Benedetto XVI, dopo che questi aveva osato condannare la persecuzione dei cristiani in Egitto; ed è quello stesso imam che ha manifestato più volte posizioni antisemite, accusando gli ebrei di praticare l'usura, indicendo manifestazioni contro la «giudaizzazione» di Gerusalemme e appoggiando gli attentati suicidi in Palestina contro i «nemici di Allah»; ed è ancora quell'imam che aveva invitato i mariti a «picchiare le mogli disobbedienti», anche se solo con lievi «bacchettate».

Ma, a prescindere da questo, il dramma è la china presa dal papato di Francesco: la sua prima enciclica, Lumen fidei, era stata realizzata a quattro mani con Ratzinger, già autore del celebre discorso di Ratisbona, durissimo contro l'islam. Quest' ultima è stata invece, di fatto, co-firmata da un imam. Il passaggio più agghiacciante del testo è quello in cui Bergoglio addirittura legittima e loda la sottomissione cristiana all'islam. Francesco cita il suo omonimo, il santo di Assisi, in visita al sultano Malik-al-Kamil in Egitto. E sostiene, citando la Regola non bollata, che «San Francesco andò a incontrare il Sultano col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli: che, senza negare la propria identità, trovandosi "tra i saraceni o altri infedeli , non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio"». Il problema è l'interpretazione che ne dà Bergoglio.

Per il Papa è sorprendente come «ottocento anni fa, Francesco raccomandasse di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un'umile e fraterna "sottomissione", pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede». Avete letto bene: per Bergoglio il messaggio del santo di Assisi era un invito alla «sottomissione» nei confronti degli islamici. Nulla di più lontano dal vero. Innanzitutto il Papa omette di citare il passaggio seguente della Regola non bollata in cui si dice che «un altro modo» di essere frati è che essi «annuncino la parola di Dio, affinché quelli (gli islamici, ndr) credano in Dio onnipotente e diventino cristiani». E soprattutto Bergoglio dimentica che lo scopo del viaggio di San Francesco era predicare il Vangelo e convertire il Sultano, anche a costo del proprio martirio. Come ricordava san Bonaventura, biografo del poverello di Assisi, per san Francesco «i cristiani giustamente attaccano voi (i musulmani, ndr) e la terra che avete occupato». Ma, in nome dell'asservimento all'islam, è possibile rovesciare anche il senso del dettato francescano. Fratelli tutti, sottomettevi alla Sorella Mezzaluna. E ora chiamatelo Papa-Imam Francesco.

Gianluca Venezianihttps://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/24796157/papa-francesco-enciclica-lode-agghiacciante-legittima-sottomissione-islam.html

San Francesco era un “araldo di Cristo”, non un ambientalista    


Cristina Siccardi) Scrive san Francesco d’Assisi nelle Ammonizioni: «Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore, che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e nella persecuzione, nella vergogna e nella fame, nell’infermità e nella tentazione e in altre simili cose, e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi hanno compiuto le opere, e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il raccontarle e predicarle» (VI, 1-3, FF 155).

Questa è la citazione da dove è stato tratto il Fratelli tutti, titolo dell’ultima enciclica di papa Francesco, che continua ad utilizzare san Francesco d’Assisi per diramare disegni gnostici e globalisti. Nulla di san Francesco è presente in questa enciclica; si tratta di una falsa identità che viene proposta e riproposta senza rispetto per colui che non volle che il proprio Testamento, come la Regola dell’ordine dei Frati Minori, venisse interpretato per non incorrere in errate idee e considerazioni.

Non esisteva per san Francesco fratellanza se non in Cristo Signore. San Francesco parlava, scriveva, predicava, andava in missione per convertire: il suo unico scopo fu quello di vivere in Cristo per portare Cristo alle genti e fece copiose mietiture di anime. Chi oggi parla in nome di san Francesco non vuole convertire, ma affratellare attraverso uno spirito essenzialmente umano, senza più proporre alle anime la strada indicata dal Figlio di Dio per la vita eterna. Scrive il Papa nell’ultima enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale: «San Francesco, che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi».

La carità, soprattutto spirituale, che san Francesco elargì intorno a sé, era il frutto del suo amore per la Santissima Trinità e la Chiesa Cattolica e nel creato vide la manifestazione della bontà e della bellezza della Santissima Trinità. Aveva l’abitudine di definirsi «cattolico» per distinguersi dagli eretici del suo tempo, in particolare valdesi e catari, e non erano affatto sue le «questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale» di papa Bergoglio, che «sono sempre state tra le mie preoccupazioni». L’unica preoccupazione di san Francesco fu quella di portare le anime al Redentore e non certo di suscitare «il sogno di una società fraterna, perché “solo l’uomo che accetta di avvicinarsi alle altre persone nel loro stesso movimento, non per trattenerle nel proprio, ma per aiutarle a essere maggiormente sé stesse, si fa realmente padre”».

No, san Francesco non lasciava le persone così com’erano, le voleva salve, le voleva di Cristo, lui, che fu Alter Christus pure nelle sue carni, come dimostrano le stigmate che ricevette il 14 settembre 1224 sul Monte della Verna, pegno d’amore di Chi l’aveva scelto per restaurare la Chiesa in terra.

San Francesco, anche se il Pontefice continua a ritrarlo per ciò che non fu (ovvero un pacifista, un ambientalista, un interreligioso, un teologo della liberazione, un relativista…), divenne l’araldo di Cristo, come egli stesso amava definirsi, ossia il soldato di Cristo. Il «piccolino», come usava firmarsi, è stato il milite della Croce, mezzo di salvezza e che annunciava dai tetti perché ne aveva colta tutta la ricchezza e per quella perla aveva abbandonato il mondo e le sue fallacità. Solo attraverso la Croce, sulla quale salì volontariamente, ricapitolò tutto in Cristo, e la Chiesa risorse, mentre l’Europa venne invasa da moltitudini di timorati del Dio Uno e Trino, che in san Francesco videro il Crocifisso tornato a ricordare in terra il Suo amore e le Sue regole per ben vivere, ben morire ed entrare nella Sua beatitudine. Si leggano le Fonti Francescane e tutto sarà chiaro.

È scioccante constatare come la storia di un uomo di Dio, come san Francesco, possa essere manipolata, deviata e deformata a proprio piacimento. Così come lui è non piace all’uomo moderno, poiché il «vero santo fa sempre da contrasto, fa ancora da contrasto. Perché rimane vero che “se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui” (1Gv 2, 15). Francesco è un soldato (va anche alle crociate, pensate un po’), uno stimmatizzato, un uomo nuovo, che rinnova col suo passaggio, che rende nuove le cose che tocca e che vede. Conoscere lui (quello vero) è rinnovare il luogo dove viviamo. E questo, il maligno non può sopportarlo» (dalla prefazione di Padre Serafino Tognetti al saggio San Francesco una delle figure più deformante della storia, Sugarco Edizioni, p. 18).

Sarebbe sufficiente rileggere il breve Testamento di san Francesco per fermarsi e non commettere sacrilegio nell’interpretare le sue parole, che sempre sostiene (e lo sono autenticamente) essere relative solo ed unicamente al Vangelo. Egli stesso è stato rappresentazione vivente del Vangelo. Amore per le chiese, amore per i sacerdoti che compiono il Santo Sacrificio dell’altare, amore per i santissimi misteri dichiara nel Testamento, misteri che vuole «sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi».

Egli pretendeva altresì che si rispettasse «più cattolicamente» la Regola e non si lasciava «stimolare in modo speciale», come sostiene il Pontefice nella sua ultima enciclica, da nessun Grande Imam, riferendosi all’incontro con Ahmad Al-Tayyeb, con il quale si è incontrato ad Abu Dhabi per firmare il documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune (4 febbraio 2019). Non è possibile servirsi della dottrina cattolica di san Francesco d’Assisi per dare peso e valore alle proprie opinioni che rimandano a dottrine gnostiche e secolarizzanti, dove la Santissima Trinità diventa “divisiva” agli scopi della fratellanza universale. San Francesco parlava sempre della Santissima Trinità perché ben conosceva il pericolo di parlare di un dio generico: non è possibile confondere le Tre Persone divine con Allah o altre false divinità.

L’imponderabile e mistico san Francesco si rivolse a tutti con autorità di Chiesa docente in virtù del mandato che Cristo gli aveva consegnato, quindi il suo appello giunse ai pontefici, al clero, ai religiosi, alle religiose, ai laici e anche ai governanti. Ci restano le sue lettere dal valore aurifero a testimoniare il suo Credo e il suo apostolato missionario, compresa un’epistola «ai reggitori dei popoli». Il suo dire è forte e tonante, netto e preciso, virile e diretto: «A tutti i podestà e ai consoli, ai giudici e ai reggitori di ogni parte del mondo, e a tutti gli altri ai quali giungerà questa lettera, frate Francesco, vostro servo nel Signore Dio, piccolo e spregevole, a tutti voi augura salute e pace. Considerate e vedete che il giorno della morte si avvicina. […] E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di possedere saranno loro tolte. […] Perciò io con fermezza consiglio a voi, miei signori, che, messa da parte ogni cura e preoccupazione, facciate vera penitenza e riceviate con animo benigno il santissimo corpo e il santissimo sangue del Signore nostro Gesù Cristo». Ma non basta, san Francesco chiede ai governanti di offrire alla Santissima Trinità «tanto onore in mezzo al popolo a voi affidato […] E se non farete questo, sappiate che voi dovrete renderne ragione davanti al Signore e Dio vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio».

La lettera, stilata ottocento anni fa (1220) da un serafico frate cattolico, che tutto ricapitolò in Cristo, continua a profumare armoniosamente delle cose eterne del Vangelo, dove Gesù condanna i peccati e indica come salvare i peccatori, attraverso Lui, il Redentore morto in Croce, e attraverso la Chiesa, che amministra i santissimi sacramenti, fonte di grazie divine. Le idee proposte nei documenti “francescani” dell’attuale magistero, invece, stridono come note stonate di uno spartito per un concerto senza pubblico cattolico.

https://www.corrispondenzaromana.it/san-francesco-era-un-araldo-di-cristo-non-un-ambientalista/



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