La Chiesa del futuro / Le macerie lasciate da Bergoglio, lo scisma già in atto, il piccolo gregge sotterraneo. Scenari per il dopo Francesco
Cari amici di Duc in altum, dopo quasi otto anni di pontificato di Francesco è il momento di gettare uno sguardo sul futuro della Chiesa cattolica e sul prossimo conclave. Le analisi su Bergoglio, condotte anche su questo blog, sono ormai numerose e forniscono abbondante materia di studio. Meno frequenti sono quelle che cercano di individuare futuri scenari. Come sarà la Chiesa del post-Bergoglio? Per incominciare a interrogarci, ho rivolto la domanda a un profondo conoscitore dell’attuale pontefice. L’autore (che preferisce non comparire con il suo nome ma indica il sito al quale fa riferimento) è argentino, perché ho pensato che per intravvedere qualcosa circa il futuro sia necessario tornare alle radici da cui è sorto l’attuale pontificato. Ecco dunque (grazie alla traduzione di Valentina Lazzari) la sua analisi, ricca di spunti di riflessione. Buona lettura.
A.M.V.
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La Chiesa sotterranea
Esattamente due anni fa ci siamo incontrati con un gruppo di buoni amici e ci siamo chiesti come vediamo il futuro della Chiesa. La mia opinione a quel tempo era che lo stato di decomposizione della fede promosso da Papa Francesco, e assecondato dalla stragrande maggioranza dei vescovi, avrebbe causato l’esonero di molti sacerdoti dalle loro parrocchie e dal lavoro pastorale e le loro prerogative sospese poiché sarebbero stati riluttanti ad attenersi alla nuova presunta dottrina cattolica. Ciò avrebbe favorito la comparsa di una sorta di “parrocchie” o “comunità” organizzate da laici cattolici attorno a questi sacerdoti fedeli, e distaccate dal vescovo, e sarebbero state quelle che avrebbero mantenuto viva la fede. La Chiesa ufficiale avrebbe mantenuto la proprietaria degli immobili, dello sfarzo e delle circostanze, mentre una chiesa catacombale semi-nascosta e clandestina avrebbe sostenuto la fede degli apostoli.
Qualcuno del gruppo ha giustamente obiettato che la Chiesa è sempre costruita attorno a una gerarchia e che non sarebbe corretto che la Chiesa cattolica si basasse esclusivamente su sacerdoti e fedeli, senza vescovi. E mi era sembrato che avesse ragione.
Tuttavia, trascorsi solo due anni da quella conversazione, credo invece che io fossi nel giusto. E lo credo per le circostanze in cui viviamo e colui che è arrivato ad esprimere la mia idea molto meglio di me è l’arcivescovo Viganò nel suo video di qualche giorno fa. Una gerarchia infida e scismatica si sovrappone alla Chiesa sotterranea, che è quel resto fedele o pusillus grex.
Quella piccola e quasi invisibile Chiesa, sofferente e persino perseguitata, che immaginavo, è dove si conserva la vera fede ed è l’Immacolata Sposa dell’Agnello. L’altra, la chiesa dei vescovi, i templi e i Tutti frutti (appellativo ironico per indicare l’enciclica Fratelli tutti, una sorta di macedonia, dove c’è un po’ di tutto, ndt) è quella che Meinvielle chiamava la chiesa della pubblicità e che, secondo Viganò, si è sovrapposta alla chiesa vera. Quantomeno questo penso sia l’orientamento verso cui ci incamminiamo in Argentina.
È possibile che in altri paesi la situazione sia diversa. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno un laicato tradizionalista e conservatore molto più forte, più organizzato e potente di quello dei paesi ispanici. Anche in Europa il movimento tradizionalista è relativamente forte e numeroso. Quelli che se la passano peggio sono gli ispanici e, tra loro, gli argentini.
La Chiesa nel nostro paese è perduta, almeno per i prossimi decenni. Bergoglio si è dedicato alla sua distruzione con un piano sistematico. E ci è riuscito. Durante il suo pontificato ha colonizzato l’episcopato argentino con nuovi vescovi, in un numero insolito e ingiustificato – ad esempio nominando vescovi ausiliari in piccole diocesi – e tutti con le stesse caratteristiche: senza formazione (in genere solo la formazione di base del seminario o, nel peggiore dei casi, con una laurea in “teologia pastorale” conseguita all’UCA (Universidad Catolica Argentina, ndt), progressisti di scarsa qualità, prettamente pastorilisti, ossequiosi e sottomessi a Bergoglio, assolutamente ignoranti della tradizione liturgica e teologica della Chiesa e, in generale, volgari e rozzi. Il paradigma è monsignor Chino Mañarro, di cui abbiamo parlato. Allo stesso tempo, si è dedicato a neutralizzare nel peggiore dei modi e senza risparmiare umiliazioni i vescovi che aveva nel mirino per un motivo o per l’altro, e in genere, conservatori: Zecca, Sarlinga e Martínez. Attendeva con ansia il pensionamento di altri come Aguer o Marino, e approfittava dello spirito vile e strisciante di un altro, come nel caso del vescovo Taussig, che diventerà uno dei pochi vescovi argentini che godranno della damnatio memoriae di tutta la sua diocesi.
Giustamente, quanto accaduto negli ultimi mesi con la nomina del vescovo Barba a San Luis e la prevedibile liquidazione del piccolo seminario conservatore di quella diocesi e lo sterminio del seminario San Rafael da parte di mons. Taussig, su ordine del Vaticano, indicano chiaramente che Bergoglio vuole far terra bruciata nel suo paese. La situazione della Chiesa argentina è irrecuperabile, e lo sarà per i prossimi tre decenni, non importa quanto bravo sarà il Papa successore di Francesco.
Tuttavia, in Argentina ci sono molti buoni sacerdoti, pii e cattolici, e con vero zelo per la salvezza delle anime. Sono già perseguitati dai loro vescovi; ne conosco diversi, anche se non frequento ambienti clericali, e il loro numero aumenterà con il passare del tempo.
Le misure draconiane imposte dal governo argentino a causa della famosa pandemia, e accettate docilmente dai vescovi, hanno portato alla luce molti di quei buoni preti che hanno resistito, per esempio, a non dare la comunione in mano o a proseguire con la celebrazione della messa per i loro fedeli. E come il Signore ci dice nel Vangelo, “le pecore conoscono la voce del loro pastore”, e sono quelle pecore che danno rifugio ai loro pastori battuti dai baculi episcopali.
I dati della maggior parte delle diocesi argentine sono agghiaccianti: anche se i servizi religiosi sono già autorizzati con una capacità limitata, la verità è che nessuno va a messa. La quota di trenta persone viene raggiunta di rado, e i preti non sanno più cosa inventarsi per portare ai loro fedeli i numeri dei loro conti bancari per implorare l’elemosina. E il motivo per cui le persone hanno smesso di andare a messa non è la paura della peste. È che hanno preso sul serio ciò che i vescovi gli hanno infaticabilmente detto: non c’è obbligo di rispettare il precetto, celebrate la Settimana Santa a casa, fate la comunione spiritualmente poiché è la stessa cosa della comunione sacramentalmente e, se volete ricevere la comunione, deve essere in mano. Le persone si sono abituate ad “andare a messa” in televisione, all’ora che le si addice, e comodamente sedute sul divano.
E quelli che non si sono accontentati dell’abbandono in cui sono stati gettati hanno cercato sacerdoti che celebrassero in segreto nelle case di famiglia, che dessero la comunione in bocca e che continuassero ad amministrare i sacramenti. Altri ancora hanno popolato le cappelle della FSSPX (Fraternità sacerdotale san Pio X, nda).
Credo che questo sia solo l’inizio di un movimento che avrà un’accelerazione nei prossimi mesi: crescita delle comunità tradizionaliste, maggiore pressione e persecuzione da parte dei vescovi dei sacerdoti considerati critici della nuova chiesa franceschista e, di conseguenza, l’emergere di comunità di fedeli attorno a questi sacerdoti perseguitati che, al di fuori di ogni giurisdizione episcopale, si preoccupano di amministrare i sacramenti e di mantenere viva la fiamma della fede.
Facendo un esercizio dell’immaginazione, si potrebbe pensare che il sostegno episcopale che manca a questa Chiesa sotterranea possa essere dato da un gruppo molto ristretto di vescovi che oseranno fare un passo simile. Il vescovo Viganò l’ha già fatto, e forse il vescovo Schneider potrebbe farlo presto. E chi può dirlo: magari tanti altri vescovi umiliati e deposti da Bergoglio potrebbero unirsi?
È giusto dirlo: sto descrivendo un percorso parallelo a quello di monsignor Marcel Lefebvre nei primi anni Settanta. Ed è necessario riconoscere, come fa monsignor Viganò, che aveva ragione. Lefebvre ha visto decenni in anticipo cosa sarebbe successo ed ha avuto il coraggio di dirlo e di agire di conseguenza. Lui, i sacerdoti e i fedeli che lo hanno seguito sono stati sistematicamente esposti alla gogna pubblica più e più volte, in ogni modo possibile, e sono stati persino scomunicati. Adesso possiamo vedere che avevano ragione.
Scisma diffuso e polimorfico
Molto si è detto in questi anni sulla possibilità di uno scisma vista la ferma vocazione di papa Francesco a dividere la Chiesa. Ed è stato definito come uno scisma di “bassa intensità”, il che mi sembra giusto. Non credo che, se si dovesse verificare un tale scisma, vedremo di nuovo le tesi degli scismatici inchiodate alla porta di una cattedrale qualsiasi, o prìncipi cristiani che si ribellano contro i loro vicini per aderire all’eresia. Quelli sono tempi passati, quando la fede era vissuta seriamente, da una parte e dall’altra.
Una prima distinzione da fare è tra scisma ed eresia. Si può essere scismatici senza essere eretici, come nel caso degli Orientali; la loro separazione era esclusivamente dalla comunione con la sede romana. E un’altra distinzione che sottolineo è che la comunione con il Successore di Pietro ha una dimensione “legale” e una dimensione più profonda e “ontologica”, ed è la comunione con il Deposito della fede apostolica che un successore di Pietro può occasionalmente falsificare, e quest’ultima è la comunione veramente importante e la cui rottura significherebbe il vero e proprio scisma. Così, ad esempio, la consacrazione dei quattro vescovi da parte del vescovo Lefebvre significava uno scisma “legale” (furono fatti senza mandato pontificio) ma non è stato uno scisma in quanto lo spirito del consacratore e delle persone consacrate è stato quello di rimanere fedeli alla fede cattolica e in comunione con essa. Chi meglio conosce la teologia e il diritto mi potrà correggere.
Nella situazione attuale vedo difficile, quanto inutile, la proclamazione di scismi legali, a meno che la situazione non diventi estrema. Vedo piuttosto l’esistenza, da molto tempo, di uno scisma diffuso e polimorfico. È diffuso perché è sparso in tutto il corpo della chiesa e i suoi contorni sono difficili o impossibili da determinare. Ed è polimorfo perché assume forme e modalità diverse, accompagnata in alcuni casi da eresia.
Una buona parte delle chiese nordiche – Germania, Austria, Olanda e Belgio – sono, infatti, scismatiche ed eretiche, sebbene non vi sia alcuna dichiarazione in tal senso. Lo sono nella pratica. Il fatto che molti parroci “benedicano” le unioni omosessuali imitando il matrimonio, che lo facciano pubblicamente, e che i loro vescovi lo permettano, implica un comportamento scismatico, poiché esiste una separazione non legale ma ontologica dalla fede cattolica.
E dall’altra parte c’è anche una sorta di scisma giuridico, anche se non ontologico. E mi riferisco ai cattolici che rimangono in comunione con Roma ma non sono in comunione con il loro attuale vescovo giacché costui si allontana dalla fede apostolica. Sappiamo che la Chiesa non è proprietà del Papa o dei vescovi, ed è per questo che rimaniamo in comunione con la Chiesa dei Padri e dei santi. In questo modo è pienamente giustificata l’azione determinata dei fedeli di San Rafael, che hanno protestato pubblicamente e in massa contro le decisioni di monsignor Taussig. La Chiesa non è sua, e nemmeno di papa Francesco. Come ha ben spiegato il cardinale Newman, i fedeli possiedono un sensus fidei che in varie circostanze della storia ha salvato la Chiesa, poiché i suoi pastori l’avevano perso.
E in mezzo c’è la grande massa di pastori e pecoroni che pensano che non bisogna fare troppe domande e porre questioni, che devono conservare le loro posizioni, che ritengono si debba mandare giù Tutti frutti e allietarsi con gli Amori di Letizia (il riferimento ironico è ad Amoris laetitia, ndt). Sono loro che negano le prove o agiscono in malafede. Sembra, quindi, ozioso interrogarsi sulla possibilità di uno scisma: lo scisma è già in atto, sfumato, in tutta la Chiesa, inafferrabile e confuso, così come saranno confusi gli ultimi tempi.
Il prossimo conclave
Sono pochi quelli che hanno il coraggio di negare che Bergoglio lascerà la Chiesa, al termine del suo pontificato, in uno stato di prostrazione forse unico in tutta la sua storia. Letteralmente, e approfittando della spinta ricevuta dal Vaticano II, si è caricato di duemila anni di teologia e spiritualità cristiana. E non se ne rende conto o, comunque, non gli dispiace farlo.
Come sarà allora la Chiesa post-Francesco? È un argomento su cui soffermarsi a riflettere, sapendo che stiamo entrando nell’area della speculazione e che possiamo facilmente sbagliarci.
Per iniziare, bisogna fare una premessa. Chi opera nella Chiesa è lo Spirito Santo, quindi le disposizioni e le previsioni che possiamo fare hanno sempre un valore molto relativo. Ad esempio, il Papa è eletto da cardinali assistiti dallo Spirito Santo; tuttavia, sono liberi di accettare o rifiutare tale assistenza. Ogni analisi che cerchi di dare qualche prospettiva sul futuro, quindi, deve sempre affrontare le incertezze dell’azione del Paraclito e della libertà degli uomini.
La morte di Francesco si avvicina inesorabilmente, come si sta avvicinando per tutti noi. E si avvicina anche l’arrivo del suo successore dopo un conclave che tutti temono.
Nessuno sa che cosa uscirà da quella congrega scarlatta e ciò che possiamo dire non sono altro che azzardi. Ma possiamo fare qualche analisi dei dati in nostro possesso, compresi i nuovi cardinali annunciati l’ultima domenica di ottobre 2020. Sono 128 i cardinali elettori, 8 in più di quelli previsti dal diritto canonico. Di questi, 16 sono stati creati da Giovanni Paolo II, 39 da Benedetto XVI e 73 da Francesco. Questi dati dicono qualcosa ma non dicono tutto. Saremmo tentati di dare per scontato che i cardinali che devono la loro porpora a Bergoglio voteranno in massa per il candidato che ungerà, con tutte le sottigliezze del caso, il Papa regnante prima di morire. Ma non è necessariamente così, e ne è la prova quanto accaduto nel precedente conclave: non tutti i cardinali ratzingeriani hanno votato per Scola, il candidato di Ratzinger. E questo indica l’incertezza che racchiudono i risultati, perché a causa del segreto stesso del conclave non sappiamo come si muovono lì le forze.
Tuttavia, possiamo trovare qualche indizio guardando alle riunioni quali i Concili. E quello che vediamo lì è che la massa dei vescovi si muove al ritmo stabilito da una manciata di leader. Cioè, le riunioni episcopali sono caratterizzate dall’essere composte da un numero molto ridotto di pezzi grossi e un gregge di pecoroni. Si tratta di vedere cosa è successo durante il Concilio Vaticano I, così ben raccontato da O’Malley, o cosa è successo nel Vaticano II, meglio raccontato da de Mattei: i vescovi capivano poco delle questioni in gioco, applaudivano alla maggioranza e votavano per coloro che raccoglievano più applausi. E siamo d’accordo che questo è solitamente il comportamento di tutti gli organi collegiali, dai consigli accademici di un’università alla Camera dei deputati della nazione, passando per le riunioni condominiali dell’ultimo dei palazzi.
Non ho fatto, né me la sento di fare, un’analisi dettagliata dei cardinali nominati da Bergoglio, ma azzardo qualche ipotesi. Da vecchia volpe politica ed esperto della meccanica degli organi collegiali, è prevedibile che abbia avuto cura di riempire di pecoroni il sacro collegio, aggiungendo di volta in volta un capo che, quando sarà il momento, potrà essere eletto lui stesso, oppure essere un king maker. E penso che questa manovra sia plausibile a causa di due fatti facilmente verificabili.
Il primo, e più universalmente noto, è che Francesco si è distinto per l’aver istituito un collegio cardinalizio che ha due caratteristiche principali: la sua mediocrità e il suo colore. I cardinali creati da Bergoglio sono sue stesse appendici. Con la facile e discutibile scusa che l’intera Chiesa dovrebbe essere rappresentata dal color porpora, Bergoglio si è preoccupato di fare cardinale il vescovo di Tonga, un’isola remota e sperduta del Pacifico, finanche, ultimamente, il vicario apostolico del Brunei. Non conosco questi prelati e non posso dire nulla su loro conto, ma il buon senso indica che sono persone che hanno trascorso la vita nelle occupazioni e nelle preoccupazioni di un piccolo e malconcio gregge, e che a malapena hanno le capacità dei pericolosi lupi vaticani, in mezzo ai quali saranno lanciati. Azzardo che con questo tipo di cardinali, che sono in maggioranza, succederà quello che è successo nei Concili: saranno facilmente intimiditi, o comprati, dai king maker e voteranno per chi sarà loro indicato.
Bergoglio, invece, si è premurato di non fare cardinali i titolari dei seggi tradizionalmente occupati dalla porpora. Uno dei casi più eclatanti è quello di Parigi. Il suo arcivescovo, mons. Michel Aupetit, la cui nomina è stata applaudita anche dalla FSSPX, non è ancora cardinale, anche se dalla sua elezione sono già passati due concistori. E Aupetit, ovviamente, non si farebbe scaldare la testa da nessun bergogliano nei corridoi del conclave.
Cosa ci si può aspettare? Le possibilità che un cardinale vicino alla tradizione venga eletto sono nulle. Nessuno sceglierebbe, ad esempio, il cardinale Burke o il cardinale Sarah. Dobbiamo prepararci al peggio? Questo sembra essere il caso. Tuttavia, ci sono due fattori da considerare. Primo, sebbene Francesco scelga cardinali che gli sono vergognosamente fedeli, la verità è che la fedeltà finisce quando il loro oggetto scompare. Come si è detto, Bergoglio non parteciperà al prossimo conclave. La morte dissolverà la lealtà mafiosa nei confronti del porteño (nativo di Buenos Aires, ndt).
E su questo fronte, nulla è detto. La seconda è che le istituzioni, come gli esseri viventi, hanno una indistruttibile tendenza alla sopravvivenza, e chiunque sa che la Chiesa, da un punto di vista puramente umano, non sopporterebbe un altro pontificato come quello di Francesco. Piuttosto il contrario. Non sarebbe strano se l’elezione si adattasse al movimento del pendolo e, per compensare la devastazione degli ultimi anni, si scegliesse, per mera questione istintiva, un moderato o conservatore, ben versato in teologia e con qualche residuo di fede cattolica.
Le emozioni non mancheranno.
A cura di Wanderer
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