ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 2 novembre 2020

E vedere l’effetto che fa..!

Il papa critica coloro che si lamentano delle restrizioni pandemiche 

I lockdown stanno riducendo in schiavitù e affamando i popoli in tutto il mondo. Ma Bergoglio non ha alzato la sua voce per condannare questa dittatura criminale. Ha alzato la sua voce per condannare quelli che protestano contro di essa. Bergoglio non è il Vicario di Cristo. È il vicario del Nuovo Ordine Mondiale (Cesare Sacchetti)
https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-11-01/pope-criticizes-people-who-complain-about-pandemic-restrictions

Forse inizia a stufare questo modo di comportarsi, che abbiamo già avuto occasione di sperimentare nelle interviste concesse a Eugenio Scalfari, per il quale in privato sono fatte affermazioni poco prudenti (impossibili da farsi ex cathedra) con l’intenzione di farle trapelare e vedere l’effetto che fa. Sarebbe ora di finirla, perché non è comportamento degno di un pontefice. E lo dico con tutto il rispetto e la deferenza dovuta a Papa Bergoglio da parte di chi è cattolico (Luigi Copertino).

https://www.maurizioblondet.it/il-papa-critica-coloro-che-si-lamentano-delle-restrizioni-pandemiche/

Bergoglio, la guerra sociale e quel legame con i movimenti popolari marxisti


Cari amici di Duc in altum, questa riflessione che il professor Antonio Caponnetto ci invia da Buenos Aires (e che vi propongo grazie alla traduzione di Valentina Lazzari) apre squarci di comprensione  sui legami tra Bergoglio, il bergoglismo e quei Movimenti popolari e sociali latinoamericani che il papa tanto ama e apprezza. Una realtà che pone serie questioni legate alla stessa legittimità di tali movimenti, a causa del loro modo di agire e all’ideologia che li sostiene.

Dopo il testo in italiano, gli amici di lingua spagnola trovano quello originale.

(Nella foto: Juan Grabois e Bergoglio)

***

L’Argentina – lo dico pensando a qualche osservatore straniero che ha bisogno di saperlo – ha problemi di ogni genere. Ma negli ultimi anni ce ne sono due che sono stati “installati” con la forza, e che meritano qualche commento. Ci riferiamo al terrorismo mapuche e alla campagna sistematica di usurpazione di terre, campi o proprietà, sia rurali che urbane

Queste poche righe sfuggono a ogni pretesa analitica, ma diciamo che entrambi i problemi citati hanno, tra gli altri, il comune denominatore del ricorso alla violenza; perfettamente pensato, pianificato ed eseguito da diversi gruppi di sinistra che attuano in questo modo la cosiddetta “guerra sociale”, già progettata, principalmente nel Foro di San Paolo  [conferenza dei partiti di sinistra e altre organizzazioni latinoamericane, ndr]. Quando diciamo “gruppi di sinistra” siamo costretti a includere, dolorosamente, alcuni settori della Chiesa cattolica, con posizioni gerarchiche rilevanti, che sostengono esplicitamente queste rivendicazioni rivoluzionarie e si schierano dalla loro parte invocando quella che viene impropriamente chiamata “opzione preferenziale per i poveri”. Scriviamo “impropriamente” perché, in senso stretto, non sono i veri poveri che si dedicano a rapine e attività terroristiche, ma una massa prezzolata e sovvenzionata espressamente per provocare l’anarchia come programma ideologico.

Questa massa, portata a reagire in modo eccessivo e con furia frenetica in ogni sua apparizione, ha come responsabili visibili ed espliciti i cosiddetti Movimenti popolari e sociali. Ce ne sono diversi, distribuiti in diversi paesi del mondo, e ovviamente nel nostro ce n’è più di uno. Ma in questo momento il suo leader più scandaloso e vergognoso si chiama Juan Grabois. I suoi precedenti sono noti, le sue azioni criminali sono condotte impunemente e la sua affinità con l’attuale governo è formale e dichiarata, sebbene non sia esente da fluttuazioni e calcolate ambiguità. Grabois fomenta allo stesso modo il vandalismo mapuche e l’occupazione illegale di territori privati o statali. E questi fatti non sono segreti, né devono essere verificati tramite un gruppo di investigatori. Sono eventi che accadono sotto gli occhi di tutti, e che lo stesso agitatore fa conoscere con orgoglio attraverso i social network. Per dare un’idea del grado di decomposizione che abbiamo raggiunto basti dire che, mentre scriviamo queste righe, il governo annuncia la consegna di una cospicua somma di denaro mensile ai confiscatori e usurpatori di terre, al fine di dissuaderli dalla loro condotta. Un denaro che supera quello che guadagna oggi un onesto proletario nel nostro paese.

Fino a questo punto tutto ciò che abbiamo detto è estremamente grave, soprattutto per l’assoluta mancanza di restrizioni, punizioni o legittime repressioni da parte del potere esecutivo e del potere giudiziario dell’Argentina. Le pubbliche autorità hanno le mani legate; e se qualche volta è permesso loro di agire, il protocollo repressivo è assurdo e il danno che ricevono in cambio è enorme. Per non parlare degli attacchi fisici e delle sanzioni politiche. Ma insistiamo: come se non bastasse quanto già raccontato, occorre aggiungere, per accrescere il livello di demenza, il fatto iniquo che Bergoglio appoggia pubblicamente il già citato criminale Grabois. Non solo lo sostiene e gli offre la sua amicizia, acquiescenza e simpatia, ma nel 2016 lo ha nominato consigliere del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, con frequenti viaggi e incontri a Roma. L’ultimo la scorsa settimana, quando nel Paese, da otto mesi, la maggior parte dei voli è stata cancellata e il collegamento tra le province interne è tirannicamente limitato.

Non è un caso che, nell’enciclica Fratelli tutti, Bergoglio citi in più passaggi (per esempio 116, 169) la sua ammirazione per quei Movimenti sociali e popolari con i quali tenne un incontro mondiale nell’ottobre del 2014 e uno simile nel 2017. Nonostante il fatto che tutti questi movimenti manifestino un’esplicita affiliazione o connotazione marxista, entrambi gli incontri sono citati nell’enciclica, con toni premurosi e di congratulazioni. E tra i movimenti cari al papa ci sono i cinque che rappresentavano l’Argentina, ben noti qui per la loro militanza sovversiva, anarchica e demenziale. Essi sono: il Movimiento Nacional Campesino Indígena (MNCI), la Federación Argentina de Cartoneros y Recicladores (FACyR), il Movimiento De Trabajadores Excluidos (MTE), il Corriente Villera Independiente (CVI), il Movimiento de Trabajadores Excluidos.

In sintesi: la guerra sociale, con i suoi due aspetti principali, quello dell’anarchismo indigeno virulento e quello degli usurpatori di proprietà, trova in Bergoglio il vero e ultimo leader oltre che, in definitiva, il principale sostegno ideologico, sia a causa dell’idolatria pachamamica ufficialmente sancita in Vaticano, sia per la manifesta enfasi posta nel diluire i contorni della legittimità dei diritti di proprietà.

Mancava qualcosa per completare il manicomio ecclesiologico, e Bergoglio ce lo ha offerto. Questi movimenti sociali e popolari sono stati praticamente elevati al ruolo di agenti del nuovo messianismo, l’unico in cui Francesco sembra credere oggi: il messianismo della solidarietà sociologica, terrena e immanentista, il cui salvatore e redentore non è più Cristo ma l’attivismo solidaristico dei presunti esclusi. “La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo è un modo di fare storia ed è quello che fanno i movimenti popolari” (Fratelli tutti, 116). La visione bergogliana ha, quindi, un motore, l’insieme dei gruppi comunisti internazionali, e un obiettivo preciso: la “fratellanza” naturalistica e orizzontale con gli ipotetici scartabili. Ipotetici, diciamo, perché la verità è che, nella “Chiesa” che questo personaggio sinistro dirige oggi, l’unica cosa veramente periferica, esclusa e scartata è la fede cattolica.

Andando ancora più in profondità, se possibile, nel crimine e nell’eterodossia, Bergoglio sostiene che i leader e i membri di questi movimenti sociali e popolari “sono seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui milioni di azioni grandi e piccole si legano creativamente tra loro, come in una poesia. In questo senso sono poeti sociali, che a modo loro lavorano, propongono, promuovono e liberano” (Fratelli tutti, 169).

Il cerchio degli squilibri si è chiuso nel modo più demoniaco possibile. Per capirlo bisogna andare a ciò di cui parla José Antonio Primo de Rivera. “I popoli – diceva il capo della Falange – non sono mai stati commossi da nient’altro che dai poeti. E guai a chi non sa ribellarsi alla poesia che distrugge, alla poesia che promette”.

Altre volte abbiamo spiegato i profili e gli ambiti classici di questo binomio di cui parla de Rivera. Ben lungi dall’essere stato lanciato solo come risorsa retorica o estetica, è da considerare e proporre invece come una vera dottrina spirituale, e anche come crocevia esistenziale. Perché la poesia che promette è l’adattamento dell’intelligenza alla grazia della cosa; è la richiesta a Dio di conoscere i nomi delle cose, ed è la proclamazione o l’annuncio di ciò che Dio ha voluto e vuole. La poesia che distrugge è la sua antitesi. La sua ispirazione non è nella Grazia divina ma nella disgrazia del Maligno. Il suo sostegno non è l’”entusiasmo o delirio divino”, di cui parla tanto Pieper mentre spiega a Platone, ma il risentimento, il rancore di classe alimentati dal Bugiardo sin dall’Inizio.

Se i nuovi poeti sociali sono questi miserabili anarchici, terroristi, agenti dell’odio rivoluzionario annunciato e richiesto da Che Guevara, se la “nuova melodia cristiana” verrà eseguita da queste tribù di reietti omicidi, senza affiliazioni divine o storiche o familiari, è facile dedurre che cosa è diventata una “Chiesa” la cui leadership li ha per paradigma, scrive encicliche ispirandosi a loro e organizza pastorali aborigene e incontri internazionali a loro dedicati a Roma. Si capisce allora perché Bergoglio e uno dei suoi servi più esaltati, monsignor Taussig, abbiano deciso di chiudere in modo crudele e subdolo uno dei seminari più frequentati e prestigiosi che l’Argentina ha oggi: quello della diocesi di San Rafael. Lì veniva insegnata la melodia cristiana della Tradizione, non quella dell’insurrezione sociale e popolare.

I greci usavano una parola precisa, ἑκατόμβηecatombe, per designare un’orribile celebrazione religiosa consistente nell’uccisione di cento buoi. E per estensione, ovviamente, il termine è stato usato, ed è ancora usato, per riferirsi a un terribile disastro. Dio ci dia la forza di non soccombere all’attuale ecatombe causata nella Chiesa e nelle nostre patrie da coloro che hanno sostituito il retto culto della Santissima Trinità con un’idolatria vergognosa, animalesca e tribale. È la forza dei poeti genuini di cui abbiamo bisogno, perché – come diceva D’Annunzio nel 1942 – “Un atto è la parola del poeta comunicata alla folla, un atto come il gesto dell’eroe” [in italiano nell’originale, ndr].

Antonio Caponnetto

continua su:

Cosa vuol dire la nomina del Cardinale eletto Silvano Tomasi a Delegato speciale papale presso il Sovrano Militare Ordine di Malta?

La risposta alla domanda posta nel titolo è stata data e in modo lapidaria oggi da Marco Tosatti sul suo blog Stilum Curiae: “Il Papa sceglie il partito degli affari”. Già ieri 1° ottobre, dopo aver riportato la notizia della nomina di Tomasi a Delegato del Monarca regnante dello Stato della Città del Vaticano per l’Ordine di Malta, ho ricordato con un post sul mio diario Facebook quanto aveva riferito Marco Tosatti il 6 ottobre, sulla “ipotesi Tomasi”.


Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 567, 1° novembre 2020
Lettera Pontificia al Cardinale eletto Silvano Maria Tomasi per la nomina a Delegato Speciale presso il Sovrano Militare Ordine di Malta

Al Venerato Fratello
il Signor Cardinale eletto
Silvano Maria Tomasi, C.S.
Dopo avere accettato le dimissioni di Sua Em.za Rev.ma il Card. Angelo Becciu, con la presente La nomino mio Delegato Speciale presso il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta (S.M.O.M.), col compito di collaborare, per il maggior bene dell’Ordine, con S.E. Fra’ Ruy Gonçalo do Valle Peixoto de Villas Boas, Luogotenente interinale e Gran Commendatore, e col prossimo Gran Maestro opportunamente eletto. Ella godrà di tutti i poteri necessari per decidere le eventuali questioni che dovessero sorgere per l’attuazione del mandato ad Ella affidato, per ricevere il giuramento del prossimo Gran Maestro e sarà il mio esclusivo portavoce per tutto ciò che attiene alle relazioni tra questa Sede Apostolica e l’Ordine.
La prego di voler svolgere l’ufficio di mio Delegato fino alla conclusione del processo di aggiornamento della Carta Costituzionale e del Codice Melitense e comunque fino a quando lo riterrò utile per l’Ordine stesso.
Nel rinnovarLe l’assicurazione della mia preghiera, impartisco di cuore la Benedizione Apostolica all’Eminenza Vostra che volentieri estendo a tutti i Membri dell’Ordine melitense.
Dal Vaticano, 1° novembre 2020.
FRANCESCO

Nuove inquietanti rivelazioni sull’Ordine di Malta. Sempre di sterco del diavolo si tratta. Ma del resto già qualcuno si vendette Gesù Cristo per trenta denari… – 6 ottobre 2020

«Tosatti riferisce che “voci di corridoio di quel che resta dei Sacri Palazzi si fanno sempre più pressanti sull’ipotesi” che a prendere il posto del Cardinale Angelo Becciu (spogliato dai diritti connessi con il cardinalato) possa essere l’Arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Nunzio Apostolico emerito e già Osservatore permanente della Santa Sede presso le Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate a Ginevra e l’Organizzazione mondiale del commercio nonché Rappresentante della Santa Sede presso l’Organizzazione internazionale per le migrazioni.
Tosatti ricorda che “l’inesauribile monsignore dall’ossimorico stemma con su scritto ‘Humilitas’, intimo amico del Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, non è nuovo ad avere le sue zampe presso l’Ordine, come quando, al sorgere della crisi interna che portò alla inedita defenestrazione del Gran Maestro Festing e al congelamento del Cardinale Patrono Burke tra il dicembre 2016 e il gennaio 2017, proprio Tomasi fu nominato presidente della commissione d’inchiesta che avrebbe dovuto raccogliere prove contro la gestione Festing (il “contro” non è un errore!) affinché se ne potesse legittimare la dimissione”. Ma non di questa storia vecchia, che porta alla cacciata di Festing da parte del Sommo Pontefice, si tratta» (Fonte Stilum Curiae, 6 ottobre 2020).


Oggi condividiamo quello che Tosatti ha scritto su quanto ha appreso “in conversazione con qualcuno che è bene addentro alle vicende dell’Ordine”, che gli “ha tracciato un panorama sconsolante”:

«Come volevasi dimostrare anche stavolta avevamo ragione noi. Il neo nominato cardinale Silvano Tomasi è stato nominato Delegato Speciale del Papa presso l’Ordine di Malta. “La nomino mio Delegato Speciale presso il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta (S.M.O.M.) – scrive Bergoglio – col compito di collaborare, per il maggior bene dell’Ordine, con S.E. Fra’ Ruy Gonçalo do Valle Peixoto de Villas Boas, Luogotenente interinale e Gran Commendatore, e col prossimo Gran Maestro opportunamente eletto. Ella godrà di tutti i poteri necessari per decidere le eventuali questioni che dovessero sorgere per l’attuazione del mandato ad ella affidato, per ricevere il giuramento del prossimo Gran Maestro e sarà il mio esclusivo portavoce per tutto ciò che attiene alle relazioni tra questa Sede Apostolica e l’Ordine. La prego  – conclude – di voler svolgere l’ufficio di mio Delegato fino alla conclusione del processo di aggiornamento della Carta Costituzionale e del Codice Melitense e comunque fino a quando lo riterrò utile per l’Ordine stesso”.
Avevamo già avvertito circa la potenziale pericolosità di questa nomina, perché la scelta del soggetto destinato al compito della rappresentanza ufficiale della Santa Sede presso l’Ordine di Malta – una volta congelato il Cardinalis Patronus – rischia di essere assai dannosa, anzi qualcuno dall’interno ci dice “fatale” per la sopravvivenza di questa istituzione quasi millenaria così com’è conosciuto dalla storia e dalla sensibilità comune.
Abbiamo già scritto circa la mancata verginità morale di Tomasi, abbiamo già detto della sua connivenza con certi ambienti interni dell’attuale governo dell’Ordine (pienamente invischiati e attori – a torto o a ragione, nel bene e nel male – dell’attuale crisi istituzionale), abbiamo già scritto della sua sospetta amicizia col cardinale Segretario di Stato vaticano Parolin… e ci è sembrata sin dall’inizio una solenne imprudenza quella eventualità di nominarlo rappresentante del Papa dopo essere stato egli stesso coinvolto in prima persona nell’affaire legato al trust plurimilionario che ha poi acceso la miccia della congestione totale del sistema interno portando alla dimissione del Gran Maestro Festing e quindi, di fatto, ad una forma di commissariamento dell’Ordine stesso. Altro che preservativi – ricordavamo qualche giorno fa – la questione vera era l’approvazione del bilancio sulla quale Festing pose il veto perché non gli tornavano quei milioni in uscita… il cui viaggio era sponsorizzato dalla Fondazione “Caritas in Veritate” facente capo proprio a mons. Tomasi…  Eppure – come ricordavamo – fu lo stesso Tomasi (su nomina pontificia altamente sponsorizzata dal corregionale Parolin) a fare da commissario a Festing accusato di aver abusato del suo potere rimuovendo il Gran Cancelliere Boeselager. E il resto è storia nota.
Adesso, dunque, come avevamo preconizzato, Tomasi ha raggiunto il suo scopo, e probabilmente lo hanno raggiunto anche i suoi compagni di merende all’interno del Governo, per i quali la nomina di questo ottuagenario prelato amico è una sorta di benedizione… perché adesso nessuno gli romperà più le uova nel paniere, esattamente come avevamo già purtroppo previsto.
Dopo la defenestrazione di Festing e il ripristino del governo con atto abusivo, infatti, la nomina di Becciu si era rivelata non molto gradita all’attuale governance… e infatti i maneggioni di Via Condotti confidavano in una riforma accelerata tramite la manipolazione del Gran Maestro fra’ Giacomo Dalla Torre, che però è morto prima di poter mettere a posto le cose. La presenza di Becciu costituì un ostacolo sempre più ingombrante, anzitutto perché comunque faceva gli interessi della Santa Sede svolgendo il suo ruolo (in modo asettico e, di fatto, senza connivenze con quegli ambienti a cui era del tutto estraneo), ma ha anche perché si è impuntato l’osservanza delle procedure ribadendo che fosse necessario prima eleggere un capo dell’ordine e poi procedere a un capitolo generale, dopo “ampia” discussione sulla riforma.
Tomasi si colloca dunque come la ciliegina sulla torta, e potenzialmente costituisce una sicurezza per la linea tedesca, da cui ha ricevuto benefici e probabilmente altri ne aspetta. È chiaro che egli conti di concludere la sua carriera come Cardinalis Patronus. Ma l’Ordine così si trova, come suol dirsi, “a cena con l’assassino”.
Molti all’interno dell’Ordine temono proprio la connivenza di Tomasi con l’area politica che detiene il potere attualmente, quei legami oscuri e nebulosi che riportano a misteriosi affari della dubbia eticità che però non si esauriscono solo nell’infrazione del Settimo Comandamento, ma vanno ben oltre perché per essere realizzati occorre un’istituzione formalmente integerrima che celi il marcio. Tomasi potrebbe essere la sfinge che presiede alla riforma voluta delle eminenze grigie della governance tedesca, l’occultatore di elementi che danneggerebbero per prima la Santa Sede perché la priverebbero dell’intimo legame attualmente esistente con uno dei suoi ordini religiosi più antichi. Il punto, infatti, che preme a molti è il timore di essere trasformati in una ONG senza carisma, in una istituzione mutilata della sua stessa natura, che resiste solo per dare una “idea” di se stessa ma in realtà è un contenitore vuoto, o meglio un contenitore che ha contenuto diverso dall’etichetta. Il progetto di riforma – a cui abbiamo già accennato altre volte – trasforma di fatto l’Ordine in una struttura funzionalistica e lo adegua ad esigenze meramente filantropiche; la riforma marginalizza il ruolo e la funzione del nucleo dei cavalieri professi a una “quota” necessaria per conservare tutto ciò che fa dell’Ordine un soggetto di diritto internazionale (a cominciare dalla sovranità, la cui garanzia è fornita dalla Santa Sede) ma di fatto tutto il potere sarebbe in mano ai cosiddetti “cavalieri di obbedienza” di cui si teorizzano due gradi: uno ordinario fondato su una “promessa” (destinato alle gerarchie locali) e uno “superiore” fondato su un “voto”, che includerebbe pochissimi eletti (sempre da chi governa). In altre parole l’Ordine, pur mantenendo formalmente qualche elemento religioso, sarebbe retto da laici legati tra loro da un vincolo di obbligatorietà (leggasi “clientelismo”) non ben identificato e dunque abbastanza preoccupante (perché comunque poco o nulla avrebbe a che fare con le ordinarie leggi canoniche che regolano l’obbedienza dei religiosi).
E su tutto ciò dovrebbe vigilare Tomasi? Come si può esser certi che egli farà davvero gli interessi della Santa Sede? Qual è il suo grado di terzietà in tutta questa storia? D’altra parte già tutta questa vicenda sembra una pantomima grottesca: qualche settimane fa Tomasi viene riesumato da Repubblica (che di certo non esercita doti divinatorie) per fare un commentino moraleggiante sul caso Becciu (senza peraltro averne né motivo né titolo visto che, alla fine, anche come Nunzio Apostolico la sua carriera è assai mediocre, avendo svolto la quasi totalità della carriera in organismi sovranazionali e a fare inciuci di qui e di lì, mai smentiti) [segue il testo]; poi viene annunciato il suo nome tra i cardinali ottuagenari (che, almeno nella prassi curiale, sono di norma persone vicine al pontefice regnante premiate per particolarissimi meriti… e ci dovrebbero spiegare quali alti meriti avrebbe Tomasi); e ora, dopo esser stato ricevuto l’altra mattina a Santa Marta, viene nominato Delegato Speciale allo SMOM. Sembra tutto studiato ad arte. E del resto, sfidiamo chiunque a trovare la velocità di rilasciare un’intervista a Vatican News appena mezz’ora dopo che è stata resa nota la notizia (h. 12.35) nella quale commenta la nomina ed espone la sua idea su ciò che dovrà fare [segue il testo]. Tanta pubblicità non fu fatta nemmeno a Becciu quando fu nominato scavalcando per la prima volta nella storia un Cardinale Patrono, e si era in piena crisi istituzionale.
Il tutto puzza chiaramente di inciucio curialesco, il che provoca ancora più timori e preoccupazioni negli ambienti interni, perché nei prossimi 7-9 novembre si svolgerà a Roma il Consiglio Compìto di Stato che è chiamato a dare un capo all’Ordine. Singolare è che nella lettera di nomina del Delegato si dica esplicitamente “Gran Maestro”. Gli interni ci dicono che di solito, nelle fasi di transizione, si è sempre teso a eleggere un “Luogotenente di Gran Maestro” che dura in carica un anno e che ha le stesse funzioni del Gran Maestro ma senza le prerogative sovrane, proprio per dare solo una stabilità governativa nell’ordinaria amministrazione ma senza blindare la carica. Invece pare sia proprio quello che vuole l’attuale esecutivo, tanto da avere già un candidato in fra’ Marco Luzzago, che naturalmente ha tutto da guadagnare da questa operazione, blindandola con una carica che, ad oggi, è ancora a vita.
In più è di questi giorni la diffusione di una lettera a firma di quattro cavalieri professi americani che hanno presentato un’istanza al prefetto della Congregazione vaticana per gli istituti di vita consacrata nella quale facevano presenti alcune problematiche connesse alla composizione del Consiglio Compìto di Stato, sostenendo che il numero di religiosi presenti sarebbe inferiore rispetto ai laici, e ciò solleverebbe una questione di legittimità considerato che quell’assemblea elegge sì un capo di stato ma anche il “moderatore supremo” di un ordine religioso. La strada intrapresa da questi professi, che dicono di parlare anche a nome della maggioranza degli altri religiosi, è forse solo un petardo perché, al di là della questione canonica (che gli esperti ci hanno assicurato essere molto dubbia tecnicamente parlando, stanti le regole vigenti), si vuole comunque richiamare l’attenzione della Santa Sede sulle prossime elezioni, ad esercitare una vigilanza più attenta.
Ciò che preoccupa la pars sanior dell’Ordine, adesso però è proprio la nomina di Tomasi, che ancora una volta da controllato diventa controllore. La sua collusione con certi personaggi è nota a tutti (infatti anche quanto abbiamo scritto noi e molti altri in passato non è mai stato smentito).
Certo è che le parole della sua intervista non lasciano molto all’interpretazione: parla di armonia tra le fazioni interne, parla solo un “nucleo” di consacrati, di adeguamento alle esigenze di oggi. E non esita, con quella melensa ipocrita ostentata umiltà ormai cifra di questa neo chiesa, a definirsi un “asinello che tira la carretta”. A questo punto ci viene da chiedere chi è il cocchiere, chi è la frusta, e soprattutto cosa si porta in questa benedetta carretta.
Marco Tosatti».

MALTA, I NUOVI CARDINALI. UN PERICOLO PER IL FUTURO DELL’ORDINE
di Marco Tosatti
Stilum Curiae, 26 ottobre 2020

L’odierno annuncio della nuova infornata di berrette cardinalizie per il prossimo 28 novembre conferma spiacevolmente il clima preoccupante in cui viviamo e l’elenco dei nuovi 13 porporati non rassicura affatto. Ne abbiamo parlato con un amico bene addentro alle cose di Chiesa, e anche a quelle del Sovrano Militare Ordine di Malta, che il 7 novembre prossimo dovrà iniziare le procedure per l’elezione del nuovo Gran Maestro, e vi offriamo i risultati di questa conversazione, da cui abbiamo appreso non poche cose.
Al di là del dato di politica interna ecclesiastica, al di là di quelli che più che “nomi” sono “nomignoli”, è certo che su queste promozioni ai vertici della Chiesa Cattolica ci sarebbe molto da discutere, e ciascuno meriterebbe una trattazione autonoma, caso per caso: si guardi, ad esempio, al fedelissimo segugio Marcellino Semeraro, che ora raggiunge la tanto pazientemente tessuta porpora; o al chiacchierato Mauro Gambetti, Guardiano del Sacro Convento di Assisi, contemplato di recente a far da accolito a Bergoglio nella sua ultima trasferta picconatrice delle verità di fede; o al maltese Mario Grech, pedissequo esecutore delle volontà sovrane al Sinodo dei Vescovi, potenziato da Francesco come suo braccio armato mercenario.
Confermati trombati il Patriarca di Venezia (Moraglia), l’Arcivescovo di Milano (Delpini), l’Arcivescovo di Torino (Nosiglia), e soprattutto l’inesausto Fisichella, che può serenamente constatare che cambiare casacca non sempre paga.
Ma, al di là del dato geografico e anagrafico, che risulta essere in linea di massima abbastanza coerente con la solita forzatura di questi ultimi concistori coi quali Bergoglio rintuzza l’organo che sarà chiamato a scegliere il suo successore, c’è subito da notare che tra i nuovi cardinali la quasi totalità è super allineata e super fedele alla linea della politica del sovrano: non si premia, dunque, la persona, i suoi meriti o l’incarico che ricopre (fatto salvo – formalmente – per Semeraro e per altri cinque arcivescovi residenziali) ma la fedeltà o l’allineamento allo stile di governo, come nel caso di Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena ma sostanzialmente vessillifero della sciatta chiesa filoimmigrazionista da Francesco promosso in tempi rapidi prima ad ausiliare di Roma e poi a Siena… il suo motto episcopale è “Mihi fecistis”: una dedica grata, probabilmente più umana che celeste.
Nomine comunque di scarso valore qualitativo, se non fosse, appunto, per la fedeltà al sovrano, che di certo non si può dire sia affetto da quella sindrome dell’inefficienza che ha contraddistinto il predecessore dimissionario, anzi. La progressiva costruzione della sua successione e la ricomposizione del Collegio Cardinalizio la dicono lunga sulle sue capacità pragmatiche, nonostante sia sostanzialmente un irruento, un imprudente, e dunque facilmente incline a sbagliar tiro (come si legge nelle succose pagine dell’ultimo libro di Massimo Franco “L’enigma Bergoglio”). Ma tolto il dato psicologico del regnante, è comunque indubbio che quasi tutte le porpore bergogliane (fatta eccezione per alcuni pochissimi creati solo perché non si poteva fare altrimenti) siano comunque appendici di sé stesso. Certo, non è così indubbia la fedeltà post-mortem, perché si sa che “avuta la grazia, gabbato lo santo”, ma di questi tempi volano anche le berrette e dunque finché il potere è manovrato dal secondo piano di Santa Marta c’è poco da sperare. D’altra parte, come si diceva, la qualità dei nuovi è oggettivamente mediocre, e comunque abbastanza intrisa di ideologismi e devianze teologiche per poter immaginare in un mutamento di rotta.
A ciò si aggiunga che se è vero che ad oggi i quattro concistori di Francesco riequilibrano il numero degli elettori (considerati anche quelli che compiranno 80 anni entro l’anno) non è altrettanto vero che il Collegio risulti ben amalgamato, poiché tra loro i porporati non si conoscono, in quanto lo stesso papa che va dicendo al mondo che il dialogo è importante e che siamo tutti fratelli e che bisogna essere buoni etc etc etc non ha mai, dico mai!, consentito che al concistoro pubblico seguissero le riunioni dei cardinali che ordinariamente si sono sempre svolte a margine delle cerimonie di conferimento della berretta. Dunque, pur componendo lo stesso collegio (un organo che il diritto canonico considera “di eguali”), tra loro non vi è alcuna comunicazione né alcuna occasione di incontro, di confronto, di studio, di approfondimento. È come se i componenti di un CDA (tanto ormai i paragoni col mondo dell’economia hanno smesso di essere inappropriati) non si incontrassero mai e si conoscessero solo per sentito dire. Evidentemente il papa non gradisce che i suoi cardinali si conoscano… e la cosa è normale. No?
Comunque, tornando ai nuovi “principi della Chiesa” (o che tali dovrebbero essere), tra gli ottuagenari (e dunque non elettori) “creati”, insieme all’ignoto Felice Arizmendi Esquivel, emerito di San Cristobal de las Casas in Messico, spiccano l’attuale Rettore del Santuario del Divino Amore don Enrico Feroci, già direttore della Caritas diocesana di Roma (e ci risiamo!), il telegenico p. Raniero Cantalamessa, cappuccino e predicatore della Casa Pontificia (lo stesso che lo scorso venerdì santo disse che il virus covid-19 non c’entra niente col Creatore) e, udite udite, mons. Silvano Tomasi, nunzio apostolico a riposo e già Osservatore della S. Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra.
Sorvolando sugli altri (per doveri di carità più che altro), motivi di giustizia ci impongono una riflessione sulla scelta di dare la berretta rossa a mons. Tomasi, poiché la questione sembra legare ancora le vicende di Oltretevere con quelle dell’Ordine di Malta. Se ben ricorderete, ci siamo già occupati di lui perché l’immarcescibile prelato, intimo amico del card. Parolin – che con altissima probabilità ne avrà sponsorizzato la promozione – in fin dei conti è un maneggione di prima classe. Lo era quando svolgeva il suo “servizio” a Ginevra occupandosi non certo di negoziati umanitari né di conversione di calvinisti, ma trattando questioni economiche di significative rilevanza alla stregua di un faccendiere; e ha continuato ad avere le mani in pasta quando lo stesso Parolin lo (pro)pose a capo della commissione d’inchiesta sull’operato dell’allora Gran Maestro fra’ Matthew Festing, finché il fido Tomasi non sistemò le cose in modo tale da liquidare, in un sol colpo, il capo dell’Ordine e il Cardinal Patrono Burke, facendo bingo.
In un nostro recente articolo ricordavamo un po’ le scorribande del monsignore-faccendiere, e, cogliendo i suggerimenti di voci amiche, ci premuravamo a far presente che la sua sempre più probabile nomina a Delegato Speciale presso l’Ordine per rimpiazzare Becciu sarebbe stata quantomeno azzardata, visto e considerato che Tomasi aveva avuto larghissima responsabilità nell’affaire del trust di oltre una centinaia di milioni di euro (120 per l’esattezza) nel quale, sotto insistenza dell’attuale Gran Cancelliere Boeselager, l’Ordine avrebbe investito, facendo dunque guadagnare chi dell’operazione aveva avuto la paternità, cioè lo stesso Tomasi in primis, in quanto presidente della fondazione “Caritas in Veritate”  destinataria di parte cospicua di quella sommetta di bruscolini. Avevamo fatto notare che il Tomasi, da controllato si era trasformato in controllore, e dunque la ventilata successione a Delegato Speciale del Papa presso l’Ordine sarebbe fatale, in una fase così delicata come quella che lo SMOM sta attraversando, fatta di pseudo-riforme e lotte intestine tra chi ne difende la natura religiosa e chi, al contrario, vorrebbe laicizzarlo sempre più trasformandolo in una ONG; anche perché non sono certo un mistero le connivenze tra Tomasi e i fratelli Boeselager, uno dei quali è consigliere dello IOR (toh!).
L’annuncio di oggi, però, che ci informa del conferimento della porpora anche Tomasi non lascia molto spazio all’immaginazione; e se prima la successione a Becciu poteva apparire principalmente un’ipotesi – anche a ragione del campo libero di cui il Segretario di Stato Parolin gode presso Francesco una volta tolto di mezzo Becciu, nominato già presso l’Ordine ancor prima di diventare cardinale proprio in ragione di una fiducia molto stretta tra lui e il papa e onde evitare “passaggi” che avrebbero potuto falsare le notizie – ad oggi ogni dubbio appare fugato, e si aspetta di qui a poco la nomina almeno a Delegato Speciale, visto che finora Bergoglio non ha mai avuto il coraggio di rimuovere formalmente Burke dal suo incarico di “Cardinalis Patronus”.
Se così andranno le cose, l’Ordine avrebbe buon motivo di temere per la sua incolumità, poiché non ci sarebbe ragione di ipotizzare che Tomasi riesca a fare gli interessi della S. Sede prima di quelli suoi e dei suoi compagni di merende che attualmente gestiscono tutto il governo dell’Ordine e che, di fatto, tengono in pugno l’intera istituzione con un sistema clientelare blindato in cui l’azione di resistenza è considerata insubordinazione.
È evidente che Tomasi farebbe il doppio gioco (come sempre ha fatto nella sua carriera peraltro di modesto nunzio ma di grande manipolatore di cose e persone) e farebbe sì che passi in avanti la linea tedesca di riforma dell’Ordine, indifferente probabilmente al fatto che più l’Ordine si laicizzerà più sfuggirà al controllo della Santa Sede, e dunque potrebbe mettere a repentaglio la stessa struttura istituzionale oggi esistente solo grazie al nucleo dei religiosi professi, che costituisce l’unica ragion d’essere della sovranità ancor oggi riconosciuta a questa plurisecolare istituzione. In altre parole (così come ci hanno spiegato addetti ai lavori) se si privasse o depotenziasse l’Ordine della natura religiosa – motivo per il quale la Santa Sede offre garanzie diplomatiche di soggettività internazionale – verrebbe meno la natura della sovranità di quella che, anche dal diritto internazionale, è considerata una “Persona mixta”, cioè un ente la cui soggettività (=sovranità e autonomia) è collegata alla sua natura religiosa, e da essa non può prescindere.
L’ipotesi per la quale Tomasi potrebbe diventare il nuovo Delegato Speciale del Papa presso l’Ordine è più che concreta, anche perché i tempi stringono, e per i prossimi 7-8 novembre è convocato a Roma il Consiglio Compìto di Stato che sarà chiamato ad eleggere il successore di Fra’ Giacomo Dalla Torre, scomparso lo scorso aprile, e la legge dell’Ordine dispone che il giuramento del neo eletto (Gran Maestro o Luogotenente di Gran Maestro che sia) avvenga nelle mani di un rappresentante del Papa (che ordinariamente il Cardinale Patrono, ma che è sostituito dal Delegato Speciale, come già avvenuto per Dalla Torre). Pertanto entro il 7 novembre papa Francesco dovrebbe comunque provvedere a nominare qualcuno, e l’annuncio della porpora a Tomasi non sembra un caso, rendendolo ancora più papabile all’assunzione del ruolo.
Molti gli interrogativi sulla persona, moltissime le perplessità sui suoi oscuri e meno oscuri legami con le gerarchie di governo dell’Ordine, specie per quanto attiene ai suoi traffici economici e alla sua compromissione in certi affari non del tutto limpidi.
Tomasi, infatti, potrebbe assai facilmente far carta straccia del lavoro della commissione costituita da Becciu perché rivedesse le bozze di lavoro presentate dal governo di Via Condotti, strizzare l’occhio ai vecchi amici e far sì anzitutto che procedano all’elezione di un candidato allineato (che tutti identificano nell’italiano fra’ Marco Luzzago, che mai ha avuto esperienze di governo, nemmeno locali, e che quindi sarebbe un soggetto facilmente manovrabile) e che pertanto si approvi un progetto di riforma caotico e incerto di cui i membri dell’Ordine (o almeno alcuni superiori) hanno avuto modo di leggere le “linee guida” in delle comunicazioni di recente diffusione interna. Un progetto di riforma che di fatto “non riforma” l’Ordine religioso dandogli nuova linfa – non una riga, infatti, è spesa per l’incremento della pastorale vocazionale o per la risoluzione dell’annosa questione del sostentamento dei membri religiosi – ma lo trasforma in un ente prettamente assistenzialista (riducendo la vocazione religiosa ad un funzionalismo strumentale da personale ospedaliero), mortificato in un tratto distintivo quale quello della nobiltà (il cui requisito viene sostanzialmente ridotto a essere un mero elemento anacronistico) e soprattutto “costituzionalizzato”, ma non in un’ottica di più ampia rappresentatività, bensì solo mediante la riduzione dei margini di autonomia sovrana del Gran Maestro. A tal proposito si noti, infatti, che uno dei punti enunciati nelle lettere diffuse riferisce che il ruolo del Gran Maestro – di cui emerge un profilo giuridico e canonico assai incerto – verrà “costituzionalizzato” ma subordinato, di fatto, alla volontà del Sovrano Consiglio (che sarebbe l’Esecutivo dell’Ordine), eliminando la possibilità, ad esempio, che egli possa porre un veto sulle decisioni dell’organo di governo, cosa che è stata sempre limitata all’approvazione dei bilanci.
Singolare decisione questa proposta, se consideriamo che il “caso Festing” iniziò proprio perché il Gran Maestro, non vedendoci chiaro nel bilancio sottopostogli con la benedizione di Boeselager nel quale comparivano i soldi destinati al trust sponsorizzato da Tomasi, pose il veto sull’approvazione e incaricò la Promontory Financial Group di approfondire la questione; e quella società, ritrovando irregolarità, diede pezze d’appoggio a Festing per dimettere Boeselager da Gran Cancelliere. Se tanto ci da tanto, se la commissione d’inchiesta vaticana sull’argomento fosse stata affidata ad una persona diversa da Tomasi, probabilmente Festing sarebbe ancora al suo posto e l’ordine godrebbe di buona salute. Ma così non è stato. E anzi qualcuno (Tomasi, per il tramite di Parolin) si premurò a far emettere al papa un documento di assai dubbio valore giuridico col quale si annullavano i provvedimenti dell’ultimo mese di governo di Festing, tra cui naturalmente la dimissione dell’amico barone tedesco. E i conti tornano, in tutti sensi.
Intanto siamo certi che già in queste ore Tomasi si stia sfregando le mani ardendo di essere nuovamente burattinaio delle vicende dell’Ordine di Malta, probabilmente anche per riprendersi le sue rivincite personali, stavolta nei panni di un novello – sebbene caricaturale – cardinal Canali.
D’altra parte, lo stesso qualche giorno fa sulle pagine di Repubblica non esitava a tornare alla ribalta della cronaca dando lezioni di moralità sul caso Becciu: il bue che dice cornuto all’asino.

Tomasi nuovo Delegato speciale presso il Sovrano Ordine di Malta
Intervista con il porporato eletto, che oggi il Papa ha nominato per affiancare l’Ordine nel processo di aggiornamento della sua Carta costituzionale e del Codice Melitense: “Ho fiducia che con buona volontà di tutti, possiamo fare un passo in avanti e attuare veramente quella riforma che il Santo Padre desidera”
di Francesca Sabatinelli
Vatican News, 1° novembre 2020

È monsignor Silvano Maria Tomasi, scalabriniano di 80 anni, già Osservatore permanente alle Nazioni Unite di Ginevra, e collaboratore con il Dicastero per lo sviluppo umano integrale, il nuovo Delegato speciale presso il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta.  Il presule, che riceverà la porpora nel Concistoro del prossimo 28 novembre, prende il posto del cardinale Angelo Becciu, nominato da Francesco nel febbraio del 2017, con il compito di affiancare l’Ordine nel processo di aggiornamento della sua Carta costituzionale. La nomina arriva mentre ancora si attende di conoscere il nuovo Gran Maestro, dopo la scomparsa di fra’ Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, avvenuta lo scorso 29 aprile.
“La nomino mio Delegato Speciale presso il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta (S.M.O.M.) – scrive Papa Francesco – col compito di collaborare, per il maggior bene dell’Ordine, con S.E. Fra’ Ruy Gonçalo do Valle Peixoto de Villas Boas, Luogotenente interinale e Gran Commendatore, e col prossimo Gran Maestro opportunamente eletto. Ella godrà di tutti i poteri necessari per decidere le eventuali questioni che dovessero sorgere per l’attuazione del mandato ad ella affidato, per ricevere il giuramento del prossimo Gran Maestro e sarà il mio esclusivo portavoce per tutto ciò che attiene alle relazioni tra questa Sede Apostolica e l’Ordine. La prego di voler svolgere l’ufficio di mio Delegato fino alla conclusione del processo di aggiornamento della Carta Costituzionale e del Codice Melitense e comunque fino a quando lo riterrò utile per l’Ordine stesso”.
Ai nostri microfoni, il presule spiega come affronta il nuovo incarico e cosa, in particolare, il Pontefice gli ha affidato:
R. – Il Santo Padre è preoccupato nel seguire il buon lavoro dell’Ordine di Malta che è impegnato su vari fronti, come l’assistenza ai rifugiati e alle persone ai margini della società, e che sta facendo un servizio di assistenza umanitaria veramente a tante persone. Questo antichissimo Ordine, che ha ormai più di 900 anni di esistenza, deve continuare a portare avanti il suo compito, la sua missione di bene, di servizio, alle persone più bisognose. In questo senso, il Papa è impegnato ed è interessato ad aiutare e a favorire l’efficacia e il buon andamento di questo Ordine. Io farò del mio meglio per rispondere alle attese del Santo Padre, in modo, in uno spirito di cooperazione e di convergenza verso questo bene comune che è l’ideale dell’Ordine di servizio dei poveri e di difesa della fede, di andare avanti, di aiutare per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo.
Qual è il suo stato d’animo nell’affrontare questo incarico?
R. – Io sono come l’asinello che tira la carretta. Spero di poter fare un po’ di lavoro che sia utile. Il Santo Padre mi affida questa responsabilità, naturalmente farò del mio meglio perché questa responsabilità sia di utilità all’Ordine di Malta e incontri i desideri del Santo Padre. Io ho grande ammirazione per l’Ordine perché veramente ha una storia gloriosa e poi, in qualche modo, sono membro dell’Ordine perché ho lavorato, nel passato, per i bisogni dell’Ordine e sono Cappellano di Gran Croce. Quindi io ho fiducia che con buona volontà di tutti, possiamo fare un passo in avanti e attuare veramente quella riforma che il Santo Padre desidera.
Secondo lei, quali sono oggi le sfide più forti, più impegnative, più urgenti che si trova ad affrontare il Sovrano Ordine di Malta?
R. – L’Ordine di Malta ha una lunghissima storia. Come tutte le istituzioni radicate nei secoli passati ha bisogno di un certo adattamento alle circostanze odierne, senza rinunciare alla sua tradizione, ai suoi principi fondamentali e alla sua identità. È un Ordine religioso, anzitutto, che è basato sull’impegno di un gruppo di persone che vogliono dedicare la loro vita in maniera radicale totale al servizio degli altri e, per questo, c’è bisogno di vedere il modo più efficace con cui attuare oggi questa missione. L’Ordine sta confrontandosi su alcune questioni significative: la riforma delle costituzioni, per adattarle e aggiornarle in modo da essere efficienti oggi, senza perdere la ricchezza della tradizione passata. Poi c’è bisogno di prepararsi per l’elezione di un nuovo Gran Maestro, dopo la morte di Fra’ Giacomo Della Torre, che aveva cominciato questo cammino di riforma e di unificazione di tutte le anime dell’Ordine, ossia di tenere in buona armonia le varie tradizioni culturali in cui vivono i membri dell’Ordine. Direi che c’è la voglia, anche da parte dell’Ordine stesso, di rinnovare l’impegno di servizio e l’efficacia di questo impegno in maniera trasparente e maniera chiara, tenendo presente le sensibilità di tutti i gruppi, perché l’Ordine, naturalmente, è universale ci sono americani e tedeschi italiani francesi e così via, bisogna basarsi sulla tradizione dell’Ordine per mantenere uno spirito di efficienza e di unità che sia in linea soprattutto col Vangelo.

Caso Becciu: “Quando prevale l’egoismo di pochi sul bene della Chiesa è sempre un male”
“Credo che oggi la cosa più importante sia stare con il Papa, dargli fiducia in questo non facile lavoro di pulizia che sta facendo nella Chiesa”
Parla monsignor Silvano Maria Tomasi, membro del corpo diplomatico, per anni osservatore permanente della Santa Sede all’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra
di Paolo Rodari
Repubblica.it, 14 ottobre 2020

Monsignor Silvano Maria Tomasi conosce bene la curia romana: membro del corpo diplomatico, è stato per anni osservatore permanente della Santa Sede all’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra. Con Repubblica parla degli ultimi scandali che hanno portato all’arresto di Cecilia Marogna e alle dimissioni del cardinale Angelo Becciu dal suo incarico.
Cosa pensa di quanto sta avvenendo in questi giorni?
“Sono dispiaciuto perché tutto il bene che fa la Chiesa e che fanno anche gli uomini della curia romana viene sommerso da questi scandali. La credibilità della Chiesa ne è diminuita e non è una cosa bella”.
Nello stesso tempo però attività opache vengono allo scoperto, non è un bene?
“Questo sì. Ricordo quando Joseph Ratzinger parlò della necessità di fare pulizia nella Chiesa. Ecco fare pulizia implica che lo sporco emerga, venga alla luce. Ed anche se fa male si tratta di un’operazione necessaria”.
Non le fa specie che alcune attività finanziarie siano state portate avanti anche con i soldi della carità del Papa?
“Non conosco i dettagli di quanto accaduto. Certo quando prevale l’egoismo di pochi sul bene della Chiesa è sempre un male”.
Questi fatti sono accaduti proprio mentre Francesco porta alla luce la sua terza enciclica intitolata “Fratelli tutti”.
“Sì. Il richiamo è per una fratellanza universale che è obbligo morale di tutti ma specialmente per gli uomini di Chiesa. In questa fase però non stiamo dando un buon esempio e questo, lo ripeto, è per me motivo di dispiacere”.
Quale via d’uscita intravede?
“Sono di carattere ottimista. Ritengo che attraverso questa prova ne uscirà una Chiesa migliore. Avviene sempre così, anche se è doloroso”.

2 Novembre 2020   Blog dell'Editore

di Vik van Brantegem

http://www.korazym.org/50496/cosa-vuol-dire-la-nomina-del-cardinale-eletto-silvano-tomasi-a-delegato-speciale-papale-presso-il-sovrano-militare-ordine-di-malta/


Polonia, immagini da guerra civile

Che dietro questo attacco al cattolicesimo ci siano Georges Soros e la Unione Europea non è teoria del complotto: sono fatti documentati dai finanziamenti della Open Society (del miliardario “ungherese”) alle organizzazioni abortiste: ASTRA,

Federation for Women and Family Planning,

International Planned Parenthood Federation European Network , che ha ricevuto 400mila dollari dalla fondazione di Soros, Il Comitato polacco di Helsinki , che solo nel 2018 ha ricevuto 1,4 milioni di dollari dalle Open Society Foundation: la Stefan Batory Foundation è direttamente l’organizzazione di Soros in Polonia.

Ma non basta. Il quotidiano Gazeta Wyborcza, uno dei principali giornali, appoggia i manifestanti e la causa abortista: perché nel 2016, il Media Development Fund di Soros ha acquistato azioni dell’Agorà, l’editore di Gazeta Wyborcza. Ancor più importante, nel 2019 Soros ha completato l’acquisizione della seconda più grande stazione radio polacca Radio Zet. Lo ha fatto consentendo Agora per acquistare il 40% della stazione mentre il suo gruppo SFS VENTURES ha acquistato il restante 60%. Lo scopo, influenzare le elezioni polacche.

La vittoria del presidente Duda, apertamente cattolico (prende la Comunione in ginocchio e sulla lingua, intollerabile!) tre mesi fa, ha provocato la rabbia dei media internazionali e dell’Unione Europea, che ha intensificato i suoi attacchi e minacce di sanzioni alla Polonia per che accusa di non essere stato di diritto, e non fedele ai “valori europei”, LGBT e aborto. Georges Soros si inserisce coi suoi finanziamenti a media, radio e agitatori, nel quadro della “rieducazione ai valori UE” che Bruxelles (e Berlino) stanno imponendo al popolo polacco.

George Soros, aggressiva intervista al quotidiano dell’opposizione ungherese Nepsava , ha affermato che la Polonia e l’Ungheria sono “nemici interni” dell’Unione europea. Questo cittadino americano ha nominato esplicitamente Viktor Orban e Jaroslaw Kaczynski come nemici, minacciosamente che i politici (democraticamente eletti) avevano “occupato i loro stati” e dovevano essere contrastati con ogni mezzo, perché  la loro attenzione alla religione, alla famiglia e alla tradizione era un rischio per l’ordine laico e secolare europeo: il collasso economico dell’Europa occidentale poteva indurre altri paesi, su quegli esempi, a sentire la mancanza dei valori nazional-religiosi che erano stati vittoriosamente cancellati; e aveva citato l’Italia, sempre più delusa dall’”Europa Moderna”, con la sua altissima disoccupazione giovanile e la denatalità, come a rischio di seguire l’esempio di Varsavia e Budapest (sic).

Qui vediamo immagini significative della “rivoluzione colorata LGBT” e guerra civile incipiente di Polonia.

Manifestazione notturna pro-aborto. La saetta rossa sul Palazzo della Cultura (dell’era comunista) la dice lunga: è il simbolo scelto dalla protesta.
La parlamentare tedesca ulle schauws (dei Gruenen) parla ai manifestanti anti-polacchi a Berlino. Accanto a lei una donna mostra uno striscione “Donne e queer rovesceranno il governo polacco”. A destra un altro striscione: “L’aborto è assistenza sanitaria”.
Croce profanata a Danzica. La scritta dice: “Uccidi un prete”.

Cattolici nel paese difendono le chiese dagli attacchi dell’odio vandalico

Abbiamo difeso la cattedrale di Oliwa. Abbiamo vinto!

https://twitter.com/i/status/1320839746583748616

Pubblicità NATO per i polacchi: “Uguaglianza di genere è essenziale per pace e sicurezza!”.

https://www.maurizioblondet.it/polonia-immagini-da-guerra-civile/

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