Non è venuta bene
Natale, a prescindere dalla fede religiosa, è senz’altro anche un momento di raccoglimento spirituale. Il raccoglimento spirituale, farlo con tante persone non viene bene
Eh?
Intanto, quel “a prescindere” è un poco ambiguo. Se intende qualunque religione si abbia, bene, forse non è al corrente che il Natale è una festa cristiana, e per le altre religioni è una bestemmia. Se poi intendeva credenti e non credenti, esattamente un non credente che razza di “raccoglimento spirituale” dovrebbe avere di fronte ad un avvenimento che per lui non significa niente? Spirito, de che?
Ma la parte che più lascia perplessi è “Il raccoglimento spirituale, farlo con tante persone non viene bene”.
Che infanzia triste deve avere avuto il povero conticino, che natali solitari. Non so voi, ma se penso al Natale mi viene in mente una comunità che tutta assieme festeggia la nascita di Nostro Signore. Un popolo; cori, messe affollate, mettiamoci pure le tombolate. Quale concetto del cristianesimo ha questo signore? La Chiesa è una comunità, una compagnia di credenti, non dei poveracci che devono stare chiusi nella loro stanzetta a pregare un dio immaginario o a contemplare il proprio ombelico. Il presepe stesso è l’illustrazione di quel popolo in cammino. Non è Yoga, è Natale.
Capisco che voleva indorare la pillola prima di tirare la mazzata, ma gli è venuta francamente molto, molto male.
A Giuse’, fatte ‘na famiglia.
Pubblicato da Berlicche
https://berlicche.wordpress.com/2020/11/13/non-e-venuta-bene/
Weigel: “I cattolici devono capire che stiamo vivendo in tempi apostolici, non in tempi di cristianità. La cristianità in Occidente è finita.”
“L’era della trasmissione etnica o nazionale della fede cattolica – l’era del cattolicesimo trasmesso da una sorta di eredità genetica o per osmosi – è finita ovunque nel mondo occidentale”.
Un saggio di George Weigel, scrittore, giornalista, biografo e amico di Papa San Giovanni Paolo II, pubblicato sul Catholic World Report, che vi presento nella mia traduzione.
Grazie per l’invito a partecipare ancora una volta a questa conferenza annuale.
Apprezzo il tema che avete scelto per il centenario di Giovanni Paolo II: guardare ai prossimi cento anni. Come amico della Polonia, infatti, mi preoccupo da tempo che in Polonia ci si guardi troppo alle spalle, a Giovanni Paolo II, e non si guardi abbastanza in avanti attraverso i suoi occhi.
Capisco i sentimenti che fanno sì che tanti polacchi guardino a Giovanni Paolo II con tanto affetto e persino con nostalgia. Il posto enorme che egli occupa nell’immaginario nazionale polacco è del tutto comprensibile. Eppure credo che egli vorrebbe che noi facessimo proprio quello che questa conferenza intende fare, cioè guardare avanti, attraverso i suoi occhi, verso il futuro. Spero quindi che le conversazioni generate dalle Giornate Giovanni Paolo II del 2020 a Cracovia accelerino il passaggio in Polonia dal guardare indietro a Giovanni Paolo II a guardare avanti con una visione plasmata dal suo esempio e dal suo insegnamento.
In questo breve scritto, voglio guardare avanti attraverso gli occhi di Giovanni Paolo II a due futuri: il futuro della Chiesa cattolica e il futuro del progetto di civiltà occidentale, o più strettamente, il futuro della democrazia occidentale. Questi due futuri si intersecano, come suggerirò alla fine. Per il momento, però, permettetemi di trattare ogni futuro individualmente.
Cominciamo dal futuro della Chiesa, visto attraverso gli occhi di Giovanni Paolo II. Come vorrebbe che pensassimo alla Chiesa cattolica dei prossimi cento anni?
In effetti, ci ha detto molto chiaramente come vorrebbe che pensassimo al cattolicesimo del futuro. Ce lo ha detto nell’enciclica Redemptoris Missio del 1990; ce lo ha detto di nuovo durante il Grande Giubileo del 2000; e ce lo ha detto in particolare nella lettera apostolica che chiude il Grande Giubileo, Novo Millennio Ineunte.
Nella Redemptoris Missio, durante il Grande Giubileo, e nella Novo Millennio Ineunte, Giovanni Paolo II ha riassunto l’insegnamento del suo pontificato e la sua visione del futuro cattolico sotto la rubrica “La Chiesa della Nuova Evangelizzazione”. Come ho cercato di dimostrare nel mio libro, L’ironia della storia cattolica moderna, questa idea centrale dell’insegnamento di Giovanni Paolo II è il culmine di uno sviluppo complesso e spesso conflittuale iniziato con Papa Leone XIII, che nel 1878 prese la decisione coraggiosa e strategica che la Chiesa cattolica non avrebbe più semplicemente resistito al mondo moderno, ma si sarebbe coinvolta con il mondo moderno per convertirlo.
Le energie create da quella decisione leonina si riversarono nella Chiesa mondiale per circa 80 anni, e fu per raccogliere e concentrare quelle energie che Papa Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II. Giovanni XXIII convocò il Vaticano II affinché la Chiesa cattolica potesse fare una nuova esperienza di Pentecoste, un’esperienza di quel fuoco dello Spirito Santo che portò la Chiesa primitiva ad uscire ed andare a convertire tanta parte del mondo mediterraneo. Come giovane vescovo ausiliare di Cracovia e poi arcivescovo della città, Karol Wojtyła ha vissuto il Concilio Vaticano II come ciò che Giovanni XXIII voleva che fosse: un evento in cui la Chiesa cattolica si raccoglieva per una nuova energia evangelica e missionaria, entrando nel suo ventunesimo secolo e terzo millennio.
Dando al Concilio Vaticano II un’interpretazione autorevole – che mi sembra di capire essere la maggiore conquista del magistero di Giovanni Paolo II – e indicando quella interpretazione verso la Chiesa della Nuova Evangelizzazione, Giovanni Paolo II ha realizzato l’intenzione per il Vaticano II che Giovanni XXIII ha espresso nel suo discorso di apertura al Concilio. Allo stesso tempo, Giovanni Paolo II ha dato a tutti i cattolici il loro ordine di marcia – il loro incarico per il futuro.
Che cos’è questa Chiesa della Nuova Evangelizzazione, come l’ha intesa Giovanni Paolo II?
In primo luogo, la Chiesa della Nuova Evangelizzazione è una Chiesa in cui ogni cattolico comprende se stesso come un discepolo missionario. Nel cattolicesimo della Contro-Riforma in cui sono cresciuto, il modello del missionario era San Francesco Saverio – qualcuno che è andato in una parte esotica, prima inesplorata, e forse anche pericolosa del mondo per portare il Vangelo in un luogo dove il Vangelo non era mai stato annunciato. La Chiesa ha ancora oggi bisogno di quel tipo di missionario, e la Polonia ne fornisce molti.
Giovanni Paolo II, tuttavia, ha chiesto a tutti i cattolici di pensare a se stessi come discepoli missionari. Chiedeva ad ogni cattolico di capire che il giorno del suo battesimo, ogni cattolico ha ricevuto il Grande Mandato di Matteo 28,19: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Così ogni cattolico, proponeva Giovanni Paolo II, dovrebbe misurare la qualità del suo discepolato in base alla sua efficacia come missionario: come uno che offre agli altri il dono della fede e dell’amicizia con il Figlio di Dio che è stato dato ai cattolici.
In secondo luogo, la Chiesa della Nuova Evangelizzazione è una Chiesa che pensa ogni luogo come un “territorio di missione”. I cattolici non devono più pensare al territorio di missione come a luoghi esotici e lontani. Il territorio di missione è tutto intorno a noi, anche nel mondo occidentale. Non è esagerato dire che i Paesi Bassi sono territorio di missione. Non è esagerato dire che oggi il Belgio è territorio di missione. La Svizzera è territorio di missione. La Germania è sicuramente territorio di missione. Gli Stati Uniti sono territorio di missione.
Ed è imperativo che il cattolicesimo polacco capisca che la Polonia è territorio di missione.
Nella visione di Giovanni Paolo II della Chiesa della Nuova Evangelizzazione, “territorio di missione” è la casa e il quartiere di ogni cattolico. Il territorio di missione è il luogo di lavoro di ogni cattolico. Il territorio di missione è la vita di ogni cattolico come consumatore, e il territorio di missione è la vita di ogni cattolico come cittadino. È tutto un territorio di missione.
Questa visione profonda e stimolante di un futuro cattolico in cui ogni cattolico è un missionario e ogni luogo è territorio di missione sta richiedendo un certo tempo per i cattolici perché la afferrino, specialmente in quelle che sono state società e culture tranquillamente cattoliche per secoli. Eppure i cattolici devono capire che stiamo vivendo in tempi apostolici, non in tempi di cristianità. La cristianità in Occidente è finita. Tra vent’anni non sarà più possibile per nessuno negli Stati Uniti rispondere alla domanda “Perché sei cattolico?” dicendo: “Sono cattolico perché la mia bisnonna veniva dall’Irlanda (o dal Messico, o dal Belgio, o dalla Baviera, o dall’Italia, o dalla Lituania, o dall’Ucraina, o dalla Polonia)”. Questa risposta non basterà, perché il cattolicesimo come eredità etnica non può più prosperare negli Stati Uniti. La cultura semplicemente non lo permetterà.
E questa situazione non è unica negli Stati Uniti.
Come ogni genitore e ogni nonno sa, la cultura che ci circonda oggi in Occidente non aiuta a trasmettere la fede cattolica; peggio ancora, è spesso attivamente ostile alla fede. Così la fiducia che l’identità etnica o nazionale polacca trasmetterà la fede cattolica a lungo nel futuro è fuori luogo. In effetti, dubito che il cattolicesimo per eredità etnica o nazionale stia funzionando molto bene tra i giovani polacchi di oggi. Dove oggi il cattolicesimo è vivo e vitale tra i giovani adulti in Polonia, è perché la fede è stata proposta, celebrata e vissuta, come ho visto per decenni nel ministero universitario condotto dalla Basilica domenicana della Santissima Trinità a Cracovia, e nei ministeri del campus domenicano altrove.
L’era della trasmissione etnica o nazionale della fede cattolica – l’era del cattolicesimo trasmesso da una sorta di eredità genetica o per osmosi – è finita ovunque nel mondo occidentale, compresa la Polonia. Ogni cattolico in Occidente deve riconoscerlo. Giovanni Paolo II lo ha certamente riconosciuto, ed è per questo che ha chiamato la Chiesa a rivendicare la sua identità primaria come impresa missionaria.
Per essere la Chiesa della Nuova Evangelizzazione, il cattolicesimo deve rinnovarsi e riformarsi. Permettetemi di indicare molto brevemente due linee di riforma che mi sembrano particolarmente urgenti in Polonia.
Essere la Chiesa della Nuova Evangelizzazione richiede una profonda riforma dei seminari polacchi e dell’educazione teologica polacca. I sacerdoti del futuro in Polonia dovranno essere tutti missionari, sia che si tratti di sacerdoti che vivono e lavorano in comunità religiose, sia che si tratti di sacerdoti che vivono e lavorano come clero diocesano nelle parrocchie. Ogni uomo che immagina di avere una vocazione sacerdotale nel cattolicesimo polacco del XXI secolo deve capire che, per forza di cose, vivrà una vocazione missionaria. Ciò significa che la formazione sacerdotale nei seminari diocesani e nelle case religiose deve essere formazione per la missione. La nozione di sacerdozio come carriera privilegiata per fornire servizi sacramentali non può più essere la nozione dominante del sacerdozio in Occidente; non può essere l’immagine trainante del sacerdozio del futuro negli Stati Uniti, e non credo che possa essere l’idea che dà forma al sacerdozio cattolico polacco del futuro. I sacerdoti del ventunesimo secolo che pensano che il loro compito primario sia quello di mantenere la vita istituzionale della Chiesa – sacerdoti che non si considerano apostoli missionari – alla fine si troveranno a fare i custodi di musei.
In secondo luogo, questa Chiesa della Nuova Evangelizzazione in Polonia deve essere una chiesa pubblica, ma non una chiesa di parte. Deve essere un cattolicesimo pienamente impegnato nella cultura e nella società, che offra le verità per cui è un privilegio che le porti nella conversazione pubblica sui beni pubblici. Ma la Chiesa cattolica del futuro in Polonia, o altrove, non può essere una chiesa partigiana identificata con un particolare partito politico, fazione politica, tendenza politica o filosofia politica. Ogni volta che la Chiesa ha fatto questo nella storia moderna, ne è conseguita una grave difficoltà per la missione evangelica primaria della Chiesa.
Si tratta di una questione complessa, perché è ovvio che alcuni partiti politici, alcune tendenze politiche e alcune filosofie politiche sono più adeguate di altre nel riflettere la comprensione cattolica della persona umana e le verità morali che la Chiesa ritiene essenziali per una vita giusta, sia individualmente che nella società. Tuttavia, la tentazione di allineare la Chiesa al potere mondano proviene dalla fonte di tutte le tentazioni, come Cristo stesso ha chiarito in Matteo 4,8-10. E quindi la tentazione di identificare la Chiesa cattolica con un particolare partito politico in un particolare momento storico è una tentazione che deve essere contrastata, in sé e per sé, se la Chiesa della Nuova Evangelizzazione deve essere la Chiesa che Giovanni Paolo II ha immaginato. L’unico potere che convertirà il mondo tardo-moderno e postmoderno è il potere del Vangelo.
Guardiamo ora al futuro del progetto di civilizzazione dell’Occidente, o democrazia occidentale, attraverso gli occhi di Giovanni Paolo II.
Attraverso questi occhi, possiamo vedere che questo progetto di civilizzazione – questo progetto democratico – è in crisi. È una crisi di incoerenza, e se leggiamo con attenzione la più grande enciclica sociale di Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, e la sua lettera apostolica, Ecclesia in Europa, le radici di questa incoerenza vengono messe a fuoco. Permettetemi di descrivere questa crisi di incoerenza attraverso l’immagine di uno sgabello, un piccolo mobile su cui sedersi.
Immaginiamo quindi la civiltà occidentale come uno sgabello a tre gambe. Una di queste gambe è etichettata “Gerusalemme”, la seconda è etichettata “Atene” e la terza è etichettata “Roma”. Insieme, queste tre gambe sostengono quello che noi conosciamo come “l’Occidente”. Come fanno a farlo? O per porre la domanda in un altro modo, cosa hanno insegnato all’Occidente “Gerusalemme”, “Atene” e “Roma”?
“Gerusalemme”, o religione biblica, ha insegnato all’Occidente che la storia sta andando da qualche parte, che la storia dell’umanità è lineare. Il che significa che la storia non è né ciclica, né ripetitiva, né semplicemente casuale – una cosa che accade dopo l’altra senza uno scopo e senza uno schema riconoscibile. Il messaggio biblico è che la storia ha una direzione. E la radice di questa idea così fondamentale per la cultura dell’Occidente – che l’umanità sta andando da qualche parte, che la vita è viaggio, avventura, pellegrinaggio – è l’esperienza e la storia dell’Esodo: l’immagine fondante della liberazione nel mondo occidentale.
L’idea che la storia abbia un significato, che la storia abbia una direzione, un telos, è stata assolutamente cruciale per la civiltà distintiva dell’Occidente. Ed è stata la religione biblica a insegnare quella lezione fondamentale e a creare quel “sostegno” culturale fondamentale: in primo luogo, attraverso l’auto-rivelazione di Dio al popolo d’Israele e, definitivamente, nell’auto-rivelazione di Dio attraverso la seconda persona della Santissima Trinità, nata nella storia da Maria di Nazareth.
E “Atene”? La filosofia classica, a partire dai presocratici nel settimo secolo prima di Cristo, ha insegnato all’Occidente che ci sono delle verità (comprese le verità morali) costruite nel mondo e in noi; che possiamo conoscere quelle verità attraverso l’arte della ragione; e che conoscendo quelle verità, impariamo i nostri doveri e i nostri obblighi come individui e come cittadini.
Nel marzo 2000, Giovanni Paolo II ha riflettuto su questo quando il suo pellegrinaggio biblico durante il Grande Giubileo del 2000 lo ha portato sul Monte Sinai, dove Mosè ha ricevuto i Dieci Comandamenti. Lì, il Papa ha detto che la legge morale – la legge che porta l’umanità a vivere rettamente, alla felicità e, in ultima analisi, alla beatitudine – era iscritta nel cuore umano prima di essere iscritta su tavolette di pietra. I fondamenti della legge morale che conosciamo dalla rivelazione sono accessibili anche alla ragione. Non è una legge morale che sia “vera per i credenti”. È una legge morale che è vera per tutti, perché è inscritta nella realtà.
“Atene” ha dato all’Occidente la fiducia nella capacità della ragione di arrivare alla verità delle cose – e non solo alla verità morale delle cose, ma alla verità scientifica delle cose e alla verità filosofica delle cose. Questa convinzione che gli esseri umani abbiano la capacità di cogliere la verità delle cose è stata cruciale per la civiltà dell’Occidente. Senza di essa, non ci sarebbe stato alcuno sviluppo dell’etica, né sviluppo della scienza, né sviluppo della tecnologia, né sviluppo di una politica umana.
E “Roma”? La Repubblica Romana ha dato al progetto di civiltà occidentale l’idea cruciale che lo Stato di diritto è superiore alla mera forza bruta nell’ordinare la vita pubblica. Pensate a Cicerone, che era sia un filosofo politico serio che un politico praticante – probabilmente un filosofo più grande di un politico di successo. In ogni caso, Cicerone simboleggia il più importante contributo romano al progetto di civiltà occidentale: l’idea che lo stato di diritto sia superiore alla coercizione, poiché gli esseri umani strutturano la loro vita comune nella società.
Così il progetto di civiltà occidentale e la sua espressione politica moderna, che noi chiamiamo democrazia, è costruita su queste tre gambe, su queste tre fondamenta: (1) religione biblica – la vita è viaggio, avventura e pellegrinaggio perché la storia sta andando da qualche parte; (2) filosofia greca – ci sono verità radicate nel mondo e in noi e possiamo conoscerle; e (3) diritto romano – lo stato di diritto è superiore alla coercizione negli affari umani.
Ma cosa vediamo oggi? Quelle fondazioni sono ancora ferme? Credo di no.
Nel XIX secolo, l’alta cultura europea, incarnata da figure come Comte, Feuerbach, Marx e Nietzsche, ha detto: “No. Non abbiamo bisogno della gamba ‘Gerusalemme’ per lo sgabello della civiltà, perché il Dio della Bibbia è nemico della maturazione umana e della liberazione umana”. Questa falsa idea (che l’amico di Giovanni Paolo II, p. Henri de Lubac, SJ, ha analizzato in un importante libro intitolato Il dramma dell’umanesimo ateo) ha espulso il Dio della Bibbia dalla storia della civiltà occidentale e quindi dalla cultura pubblica dell’Occidente. Così, con la gamba “Gerusalemme” eliminata, rimasero solo due gambe sullo sgabello, che, non a caso, divenne instabile.
Che cosa è successo allora? Beh, sembra che quando si toglie il Dio della Bibbia, la ragione comincia a dubitare di se stessa. Infatti, se si toglie l’idea (che si trova sia nella Genesi che nel vangelo di San Giovanni) che Dio Creatore ha impresso le verità nel mondo e nella sua creazione umana – che Dio ha impresso la razionalità divina, se volete, nel mondo e in noi – si comincia a perdere la convinzione che c’è razionalità nell’ordine creato; che ci sono verità e modelli di verità da scoprire nel mondo; e che le ragioni possono cogliere quelle verità e quei modelli. Quando si perde l’idea di un Creatore razionale, sembra che segua la fiducia nella capacità umana di arrivare alla verità delle cose. E questo aiuta a spiegare la triste condizione di gran parte della cultura occidentale di oggi: una cultura in cui spesso si dice che non esiste una cosa come “La Verità” – c’è solo “la tua verità” e “la mia verità”.
Questa perdita di “Atene”, dovuta in parte alla perdita di “Gerusalemme”, ha gravi conseguenze per “Roma”.
Infatti, come ha profeticamente notato Joseph Ratzinger nell’aprile 2005, lo scetticismo sulla Verità è una prescrizione per la fine dello Stato di diritto. Perché se c’è solo la “tua verità” e la “mia verità”, e nessuno di noi due può appellarsi alla Verità per risolvere i nostri disaccordi, allora accadrà una di queste due cose: tu mi imporrai il tuo potere, o io ti imporrò il mio potere. Questo è ciò che Ratzinger intendeva con questa frase impressionante, la “dittatura del relativismo” – l’uso del potere coercitivo dello Stato per imporre un’etica pubblica relativistica a tutta la società. Questo pericolo si trova oggi ovunque in Occidente. Ed è uno dei motivi per cui il progetto democratico occidentale si trova in un tale stato di agitazione.
Quel tumulto riflette il duro fatto che le fondamenta culturali della democrazia, e in effetti dell’intero progetto occidentale, sono crollate nella incoerenza. L’Occidente è in tumulto perché l’Occidente ha perso in gran parte “Gerusalemme” e sta rapidamente perdendo “Atene”. E a causa di queste erosioni e perdite, l’Occidente rischia di perdere “Roma” – l’idea che lo Stato di diritto, raggiunto attraverso un dibattito razionale che porta a un consenso che riflette il giudizio dei cittadini che si autogovernano, sia superiore alla coercizione nell’ordinare la nostra vita comune.
Permettetemi ora di mettere insieme questi due “futuri”, visti attraverso gli occhi di Giovanni Paolo II.
Se la radice dell’incoerenza culturale dell’Occidente è la perdita della fede nel Dio della Bibbia (il fondamento gerosolimitano del progetto di civiltà occidentale), allora la Chiesa della Nuova Evangelizzazione – la Chiesa del futuro, secondo Giovanni Paolo II – è di fondamentale importanza per il salvataggio del progetto di civiltà occidentale. Perché è la Chiesa della Nuova Evangelizzazione, nella sua opera di annuncio del Vangelo e nella sua testimonianza pubblica, che aiuterà la civiltà occidentale a recuperare “Gerusalemme”, e quindi a recuperare “Atene” e la fiducia culturale che la ragione può cogliere la verità delle cose – che è essenziale per difendere lo Stato di diritto dalla coercizione in nome dello scetticismo e del relativismo.
Essendo una Chiesa che converte il mondo alle verità della fede biblica, la Chiesa cattolica riconverte anche il mondo alla ragione e alla capacità della ragione di ordinare le cose umane. Le due cose vanno insieme. Essendo una Chiesa permanentemente in missione – la Chiesa che Giovanni Paolo II ha immaginato durante il Grande Giubileo del 2000, la Chiesa che ha descritto nella Redemptoris Missio, e Novo Millennio Ineunte – il Cattolicesimo compirà il Grande Mandato e offrirà alla civiltà occidentale un cammino oltre questa crisi di incoerenza.
Se guardiamo al presente e al futuro con gli occhi di Giovanni Paolo II, vediamo una grande sfida. Ma se guardiamo al presente e al futuro attraverso il prisma del suo insegnamento e del suo pensiero, vediamo anche un modello di rinnovamento ecclesiale e di riforma civica che ci dà la speranza di portare a compimento la grande visione che egli propose alle Nazioni Unite venticinque anni fa: la visione di una nuova “primavera dello spirito umano”.
Di Sabino Paciolla
Natale su Skype: il virupanettone di Galli
Il direttore della struttura malattie infettive dell’ospedale Luigi Sacco di Milano, Massimo Galli, intervenendo alla trasmissione televisiva Mattino Cinque per erudire i telespettatori sulle misure da adottare per mitigare la diffusione del coronavirus, ha formulato la “brillante” raccomandazione su come gestire le prossime feste natalizie: «Sarebbe meglio passarle su Skype – ha affermato – ci ritroviamo in questa situazione terribile per colpa di un Ferragosto sciagurato”.
Per Galli il Natale andrebbe vissuto in remoto, una sorta di webchristmas, simulando la magia della natività che affonda le sue radici nel fascino immarcescibile della tradizione. È deprimente immaginare di riprodurre il clima natalizio in un collegamento a distanza con persone a volte anche sole la cui solitudine è amplificata dall’atmosfera scintillante del Natale, che esorta alla condivisione di prossimità. Invece, no! Per il presenzialista dei palinsesti televisivi, il prof. Galli, dovremmo rinunciare alla condivisione in presenza con gli affetti più cari per aderire ad una sorta di affettuosità surrogata dall’interazione virtuale. Galli è un fautore oltranzista del lockdown, invocandone la decretazione sin dal principio del mese di settembre e con la sua assidua presenza televisiva, anche nelle ore antimeridiane, recapita un messaggio gravato di catastrofismo.
Il virologo, che dall’esordio del virus ha occupato in modo permanente giornali e Tv, ha spiegato, ai microfoni del programma mattutino di Canale 5, che: «Se vogliamo uscirne per Pasqua i regali dovrebbero essere acquistati esclusivamente su Internet, il cenone dovrebbe avvenire in gruppi ristretti magari collegandosi in videochiamata. Dobbiamo aver pazienza, tutelare gli anziani e farci gli auguri il più possibile a distanza». Chissenefrega dei commercianti che da marzo sono immersi in una crisi economica spaventosa e aspettano le festività per ottenere un minimo di respiro per le loro asfissiate attività. Per Galli occorre privilegiare le piattaforme on line delle grandi multinazionali come Amazon e ignorare il grido di dolore pronunciato da mesi dai venditori al dettaglio che dal Natale potrebbero scorgere un barlume di luce dopo mesi di buio pesto.
Contestare le dichiarazioni del prof. Galli non significa minimizzare l’emergenza sanitaria di cui avvertiamo la dimensione opprimente sulla nostra quotidianità, tuttavia la prudenza e la responsabilità possono convivere con i riti “tattili”, che accompagnano le festività natalizie, e con lo shopping in sostegno degli esercenti locali. Pensare di vivere il Natale con gli affetti più prossimi collegati via Skype vuol dire aderire ad uno schema disumanizzante che eleva la solitudine a prospettiva di vita. Così come privilegiare l’acquisto on line sarebbe la condanna conclusiva per i commercianti sacrificati sull’altare di una cautela tramutatasi in ossessione.
Il virologo che diventa opinionista, esondando dalla materia scientifica che dovrebbe padroneggiare, per provocare suggestioni deleterie, sia per la stabilità psicologica della collettività sia per la sopravvivenza economica dei negozianti, assume la parvenza del guastafeste.
Andrea Amata, 14 novembre 2020
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