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lunedì 14 dicembre 2020

Criteri costruiti sulla negazione del valore della persona

Dal diritto a morire al dovere di vivere. La situazione disumana in cui ci troviamo. 

pensionati

L’analisi offerta dalla DSC attorno al tema dei diritti, svolta nel mio precedente articolo [LEGGI QUI ], può contribuire a una considerazione ulteriore, che aiuti a leggere la situazione inedita che stiamo attraversando.

Lo stato di allerta mondiale innescato dal SARS-CoV-2 è stato inizialmente percepito come catastrofe planetaria, ma poi man mano ha iniziato ad essere patito come un fenomeno in sé meno grave del previsto, sebbene politicamente gestito con durezza e apprensione estreme. Attorno a tale seconda percezione si scatenano oggidì posizionamenti contrapposti e molto determinati, che portano gli uni gli altri ad accusarsi rispettivamente di negazionismo/complottismo e di totalitarismo sanitario.


Mi sembra che il discorso sviluppato sul tema dei diritti nella DSC possa dunque fornire una risposta meno polemica alla querelle, in quanto permette di scorgere un possibile nodo della questione nella mens che regola le strutture politiche in se stesse, prima ancora di andare a giudicare l’eventuale progettualità e intenzionalità umana operante nello stato attuale. Più esplicitamente: la distorsione del diritto e l’assunzione del diritto in senso moderno e non ecclesiale, potrebbe  spiegare la degradazione politica in corso, divisa tra fobia e sospetto.

Nell’elaborazione di tale ipotesi, prendo ed elevo a momento sintetico del dramma contemporaneo l’obbligo di tutela reciproca, per esempio nella forma coercitiva che impone a ogni anziano di scegliere la propria salute fisica, anche a costo di rinunciare alle relazioni amicali e parentali, alla vita sociale, alle dimensioni ludico-artistico-religiose, al buon senso, per pochi che siano gli anni da vivere che lo attendono e – non ometterei – pur considerata l’apertura eutanasica che regola il trattamento del fine vita ormai anche in Italia.

Muovendo da quest’ultimo inciso paradossale, inizio col ricordare che, nell’ottica della DSC, una concezione errata del diritto è quella che presiede espressioni moderne come il “diritto a morire”. Nella linea magisteriale non è possibile affermare nessun diritto a morire, dato che simile pretesa non sarebbe fondata anzi sarebbe contrastante con il disegno divino o anche solo contraddittoria ipso facto con la natura umana. Essa risulta essere al massimo espressione di uno sfrenato (e disperato) individualismo, originato da cause più o meno commoventi.

In modo analogo, va biasimata  l’altra forma di individualismo che si scatena, per esempio, nell’idea che il diritto di un individuo considerato più maturo possa prevalere su quello di un individuo meno maturo: è il caso dell’aborto. E non è un caso se durante i mesi di gravi decessi della primavera scorsa siano state interrotte diagnosi, terapie e cure, con rare eccezioni, mentre ha proseguito imperterrita l’attività negli ambulatori abortivi. Come non è un caso la decisione presa dal Ministro Speranza in piena epidemia, di diffondere l’uso della pillola abortiva Ru486, estendendone la vendita alle farmacie e la destinazione anche alle minorenni senza il consenso dei genitori.

Ritengo che tali scelte non siano segnali di articolati complotti o di dietrologie, ma siano piane e logiche conseguenze di una visione moderna circa l’antropologia e quindi circa il senso del diritto.

Ora, stando al di qua di ogni applicazione, quali esiti ci attenderemo da una visione anticristiana e iper-moderna del diritto? Ne propongo tre.

  1. La negazione dell’esistenza di un fondamento oggettivo, di una verità e un bene di riferimento, che suscita l’esaltazione dell’arbitrio individuale.
    2. La negazione dei limiti dati dal reale, l’esaltazione di una visione idealista e soggettivista, l’assenza di limiti e barriere che porta a giustificare qualsiasi cosa.
    3. La dimenticanza di quale sia la fonte stessa del potere, l’autogiustificazione del potere stesso col rifiuto di ogni correzione (da Dio, dalla verità, da altri enti o singoli o poteri stimati paritetici o inferiori) che apre il campo alla prepotenza.

Ecco le mie conclusioni. Quello cui stiamo assistendo, l’imposizione di leggi disumanizzanti in nome di uno stato epidemico discusso dagli stessi scienziati nel mondo, è solo un prevedibile rovescio di un percorso culturale iniziato da tempo. È l’applicazione di criteri costruiti sulla negazione del valore della persona e quindi alternamente sbilanciati su estremi individualisti o collettivisti. La DSC ci aveva già messi in guardia:

“La persona non può mai essere pensata unicamente come assoluta individualità, edificata da se stessa e su se stessa, quasi che le sue caratteristiche proprie non dipendessero da altri che da sé. Né può essere pensata come pura cellula di un organismo disposto a riconoscerle, tutt’al più, un ruolo funzionale all’interno di un sistema. Le concezioni riduttive della piena verità dell’uomo sono state già più volte oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa, che non ha mancato di levare la sua voce nei confronti di queste come di altre prospettive, drasticamente riduttive, preoccupandosi di annunciare invece «che gli individui non ci appaiono slegati tra loro quali granelli di sabbia; ma bensì uniti in organiche, armoniche e mutue relazioni » 234 e che l’uomo non può essere inteso come «un semplice elemento e una molecola dell’organismo sociale», 235 curando quindi che all’affermazione del primato della persona non corrispondesse una visione individualistica o massificata” (n. 125).

In tutto ciò, l’inedito o almeno l’inatteso è che gli stessi diritti arbitrari si stanno capovolgendo in forme decisamente non preventivate. Il diritto a morire, nel nostro caso, si è tramutato in una sorta di dovere di vivere. Il dovere di comminare la morte (con l’eutanasia, a chi la richieda) si è evoluto in un diritto di impedirla (gli anziani devono vivere segregati e isolati in casa, e non possono rischiare di morire esponendosi a relazioni amicali e parentali). Precisamente questo curioso nuovo diritto, a ben vedere, sta alla base della situazione disumana in cui ci troviamo. Sì, la sproporzione tra i casi letali e i pericoli virali, e i rimedi imposti dai governi alla cittadinanza, prima ancora di esser riconducibile a strategie di potere, scaturisce in modo direi naturale e ordinario dalla visione fin qui esposta. O almeno offre terreno fertile all’applicazione semiautomatica di eventuali strategie di potere. Il governante che non sia nutrito da una retta concezione sui diritti, si trova a sposare la visione individualista e arbitraria della modernità, e si troverà incline ad accettarne tutti gli sviluppi coerenti di essa, fino alla sintesi paradossale di un individualismo che si difende imponendo strumenti coercitivi di ispirazione collettivista. Ciò spiega il darsi di una politica che non ha la sua fonte in Dio o nella dignità umana, ma nell’arbitrio dei potenti; una visione individualista e quindi irrazionalmente sospesa sul suo estremo opposto collettivista; il fraintendimento circa la dignità della vita umana, barattata con un greve diritto a morire, che si accompagna intrinsecamente con un altrettanto grottesco dovere di vivere. Tutto ciò giustifica l’instaurarsi di un regime anzitutto culturale, che trova nel regno medicale della corporeità un facile alleato, e produce l’attuale situazione di vita disumana.

Eppure la Dottrina Sociale della Chiesa rimane ferma a ricordarci che un’altra via è possibile ed è pienamente soddisfacente. Senza bisogno di negare alcuna patologia, ma con la forza di affrontare in modo veramente solidale ogni sfida (n. 192), rivolti al Bene comune e non al mero e assolutizzato benessere del singolo (n. 164), prima e più intima prigionia esistenziale, mai dimenticando la dimensione trascendente della persona (n. 130) e il destino di mediocrità con cui gli Stati devono imparare a convivere in attesa del Compimento finale (n. 51).

La Società auspicata dalla Chiesa, sulla via di Cristo, non sarà perfetta né del tutto sana, ma almeno rimarrà umana.

“La dottrina sociale individua uno dei rischi maggiori per le attuali democrazie nel relativismo etico, che induce a ritenere inesistente un criterio oggettivo e universale per stabilire il fondamento e la corretta gerarchia dei valori: « Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità e aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia ». La democrazia è fondamentalmente « un “ordinamento” e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere “morale” non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve”. (n. 407)

Marco Begato

https://www.vanthuanobservatory.org/ita/dal-diritto-a-morire-al-dovere-di-vivere-la-situazione-disumana-in-cui-ci-troviamo-di-marco-begato/

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