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sabato 26 dicembre 2020

Sotto il giogo pesante di questa pandemia

Natale a Betlemme, tra le tenebre della cronaca e la luce della fede


Nella piazza della Mangiatoia c’è il grande albero di Natale illuminato e lungo le strade ci sono le decorazioni, ma per Betlemme è un Natale triste.

Nelle ultime settimane i casi di coronavirus sono aumentati in Cisgiordania, e nel distretto di Betlemme si sono registrati alcuni dei più alti tassi di infezione. Gli ospedali sono pieni e le autorità palestinesi hanno fatti ricorso a severe restrizioni. Le strade sono vuote, i negozi chiusi. Per l’economia locale un duro colpo.

La Messa di mezzanotte e l’accensione dell’albero attirano di solito migliaia di pellegrini e turisti, ma quest’anno è il vuoto. La celebrazione si è svolta alla presenza di poche persone.

Il blocco del turismo e dei pellegrinaggi ha portato la città al tracollo economico. Migliaia di abitanti di Betlemme non hanno più un lavoro, intere famiglie si ritrovano in miseria, e il governo non ha i mezzi per alleviare le conseguenze della crisi.

Un anno fa a Betlemme si festeggiava il Natale all’insegna della ritrovata speranza. Il Muro e la presenza militare israeliana incombevano come sempre, ma l’afflusso di turisti e pellegrini mostrava che, nonostante tutto, c’era la possibilità di risollevarsi. Poi è arrivato il Covid.

Nei territori palestinesi il distretto di Betlemme è stato il primo, nel marzo scorso, a far registrare casi di malati da Covid-19 e da allora, con Hebron, è uno dei focolai principali della pandemia.

Negli anni scorsi l’occupazione israeliana, gli scontri armati e le violenze avevano già messo a dura prova l’economia locale, ma la pandemia sembra aver assestato il colpo mortale. I settantadue alberghi di Betlemme sono chiusi totalmente o parzialmente. Idem per quanto riguarda ristoranti, negozi di souvenir e botteghe artigiane.

Le istituzioni caritative fanno il possibile per aiutare, ma ormai ampie fasce della popolazione si trovano nella povertà. Non ci sono soldi per il cibo, per pagare le bollette.

“C’è un miscuglio di sentimenti che si avvicendano nella quotidianità” dice a Vatican News suor Lucia Corradin, terziaria francescana delle Elisabettine, da diciotto anni al Caritas Baby Hospital di Betlemme.

“In primavera eravamo uno dei Paesi con minor numero di contagi. Poi con l’estate sono aumentati. C’è ancora chi non si adegua alle norme sanitarie, ma l’opera di sensibilizzazione da parte delle autorità ha favorito una presa di coscienza più diffusa. Noi siamo fortunati perché abbiamo la possibilità di fare il tampone sia ai bambini che alle mamme. Qui la maggior parte sono asintomatici o con lieve sintomatologia e abbiamo un controllo piuttosto severo internamente per monitorare che tutti gli operatori osservino le regole”.

“Ci sentiamo tutti ottenebrati, stanchi, sfiniti, oppressi da troppo tempo sotto il giogo pesante di questa pandemia che sta bloccando le nostre vite, sta paralizzando i rapporti, sta mettendo a dura prova la politica, l’economia, la cultura, la società” ha detto nella basilica della Natività, durante l’omelia della Messa di mezzanotte, il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Pierbattista Pizzaballa, alla sua prima Messa di Natale da quando è stato nominato, nell’ottobre scorso.

Tuttavia, ha aggiunto il patriarca, “non voglio accordare la mia voce a quella di quanti sanno ben descrivere la notte. Io devo, voglio, dare voce alla profezia, farmi eco del Vangelo, comunicarvi la grazia di quest’ora”.  “Quella che stiamo vivendo qui, adesso, è un’ora di grazia! Non è una pia illusione, né fuga romantica in una religione rassicurante o in una consolazione a buon mercato. Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un Figlio: questa è la certezza dei cristiani. La notte, qualunque notte, non è l’ultima parola sulla storia nostra e dell’umanità. Se Colui che è Luce da Luce è nato di notte, allora anche la notte appartiene al giorno, anzi, la notte diviene natalizia, cioè diviene luogo di una nuova e possibile nascita”.

A.M.V.

I cristiani perseguitati e la tutela del diritto a non emigrare



 

La voce dei cristiani perseguitati nel mondo, negli anni scorsi, ha avuto la possibilità di ricevere ascolto nelle istituzioni italiane. Poco noto ma di grande rilevanza politica, sociale e simbolica è il fatto che a partire dalla Legge di bilancio messa in campo nel 2018 dal governo Conte I l’Italia abbia istituito un fondo a favore della tutela dei cristiani che nel mondo soffrono e sono perseguitati per la loro fede. Fondo forte di una dotazione di due milioni di euro per gli anni 2019 e 2020 e di quattro milioni a partire dal 2021 la cui paternità è legata a un apposito emendamento presentato ai tempi dall’onorevole leghista Paolo Formentini.

Formentini, 40enne bresciano eletto deputato col Carroccio nel 2018 e membro della Commissione Esteri di Montecitorio, si batte da tempo per ampliare nel contesto politico la sensibilità riguardante la necessaria tutela verso i cristiani oppressi nel mondo. “I numeri sono impressionanti, e questo fa pensare chi ritiene che la parola martire nella religione cristiana possa essere riferito solo al passato”, ci dice Formentini con cui abbiamo dialogato riguardo il suo interessamento per questo tema fondamentale. “I cristiani perseguitati nel mondo sono dai 260 milioni ai 300 milioni, per quanto una stima certa sia difficile e i dati varino da Ong a Ong”, mentre i cristiani uccisi nel mondo per la loro fede ammontavano a ben 3mila, con 10mila chiese distrutte. Il tema della persecuzione religiosa, inoltre, non è affrontato con il giusto vigore nei consessi internazionali: “il diritto dell’uomo più trascurato e sottovalutato è quello alla libertà religiosa”, del resto tutelato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani come altri che ricevono più attenzione agli occhi di dibattito pubblico e media mainstream.


Come puoi aiutare i cristiani:

TRAMITE BONIFICO

specificando come causale:

ILGIORNALE PER I CRISTIANI CHE SOFFRONO

intestato a:

Aiuto alla Chiesa che Soffre ONLUS
IBAN: IT23H0306909606100000077352
BIC/SWIFT: BCITITMM

Oppure online, cliccando qui


L’autore dell’emendamento che, ai tempi, suscitò grande ammirazione da parte di organizzazioni come “Aiuto alla Chiesa che Soffre”  saluta con favore l’aumento dell’interesse che il tema dei cristiani perseguitati sta ricevendo negli ultimi tempi. “Con dolore”, spiega, “noi della Lega constatavamo che non ci fosse una pronuncia forte, notando soprattutto la mancanza di dichiarazioni di parte del mondo ecclesiastico su questo tema”.

E proprio da un’audizione parlamentare di Aiuto alla Chiesa che Soffre, a lungo vox clamantis in deserto sul dossier delle sofferenze cristiani del Medio Oriente e delle altre aree dove avvengono persecuzioni, Formentini ricorda che è nata l’idea di dedicare loro un fondo apposito. Il nuovo emendamento ha passato il vaglio della commissione Bilancio e aumenta del 10 per cento (400mila euro all’anno) il Fondo costituito due anni fa a favore dei Cristiani perseguitati nelle zone di crisi”. Anche in tempi complessi per l’economia italiana questo significa lanciare un grande messaggio di continuità e impegno, nota il deputato leghista. Ma per Formentini la questione della tutela dei cristiani assume un valore politico-culturale di ampio respiro che trascende il semplice sostegno economico.

Proteggere i cristiani perseguitati, per Formentini, significa ribadire la tutela di quel “diritto a non emigrare” che è stato affermato con forza da diverse figure del mondo ecclesiastico in passato, tra cui Formentini ricorda due Papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e il cardinale guineano Robert Sarah. Tutti loro, sottolinea Formentini, “hanno ribadito la necessità per i Paesi meno sviluppati di avere a disposizione le migliori risorse umane per un concreto sviluppo, specie quei giovani preparati che sono i più propensi ad emigrare”. All’interno di questi processi si inserisce quella che Formentini ha definito una “diaspora”, la fuga dei cristiani dai luoghi che sono stati la culla di civiltà plurisecolari di cui le loro comunità erano parte integrante: “Pensiamo solo a quei cristiani d’oriente che parlano ancora oggi la lingua di Gesù”.

In diverse aree del Medio Oriente la presenza cristiana è in ritirata. In Iraq i cristiani sono calati dal 12% del secondo dopoguerra al 6% del 2003 e a percentuali ancora più basse adesso. La Piana di Ninive e le aree circostanti, patria dei cristiani caldei e assiri, saranno dal 5 all’8 marzo prossimi oggetto di uno dei più delicati viaggi papali di sempre. E l’annuncio della visita di Francesco in Iraq è accolto con favore dal nostro interlocutore, per il quale è positivo il fatto che “la Chiesa si interessi con sempre più forza al problema della sopravvivenza della testimonianza di fede” in Medio Oriente. Testimonianza che, come hanno notato giornalisti di spicco come Giulio Meotti, Gian Micalessin e Fulvio Scaglione, risulta fondamentale come lezione alla tiepida cristianità dell’Occidente e merita la giusta attenzione per garantire la tutela della culla di una religione che, nel corso dei secoli, ha plasmato la civiltà europea e quelle ad essa collegate. Come ci ricorda spesso anche Sarah, sottolinea Formentini, “è giusto riportare alla luce e far conoscere la testimonianza di chi oggigiorno è martire”. E molto spesso è poco ascoltato da chi, “pur facendo del multilateralismo e dei diritti umani una religione” in chiave progressista a questo richiamo è sordo.


In occasione della festa di S. Stefano, primo Martire cristiano, mons. Joseph Tobji, arcivescovo maronita di Aleppo si collegherà con Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) e ilGiornale.it per parlare dei “fratelli cristiani di Siria, ancora oppressi da dure prove”. “È un modo – afferma Alessandro Monteduro, direttore Acs-Italia – per rinsaldare i legami fra le comunità cristiane italiana e siriana, legami che nessun virus potrà aggredire o indebolire”. L’incontro si terrà alle ore 17.00 sulla pagina Facebook de ilGiornale.it.


Per Formentini un altro teatro da tenere d’occhio negli anni a venire sarà quello caucasico del Nagorno Karabakh: “Dovrebbero essere più diffuse le immagini dei cristiani che lasciano per sempre le proprie terre dopo aver caricato sulle macchine le loro poche cose, bruciato le abitazioni e portato addirittura con sé i propri morti abbandonando i cimiteri”. Questa rappresenta per il deputato leghista la nuova trincea dove si rischia di aprire un nuovo fronte per la persecuzione dei cristiani a seguito della ritirata armena, in un’area già teatro degli eccidi legati al genocidio armeno iniziato nel 1915, al cui riconoscimento ufficiale da parte italiana Formentini ha peraltro contribuito con una apposita mozione d’aula. Passato e presente che si incontrano in terre in cui la precarietà diventa sempre di più la condizione determinante dell’esistenza dei cristiani: comunità antiche, popoli che necessitano tutela e sostegno, progenitori e fratelli identitari dell’Europa vedono il loro futuro a rischio. È dunque positivo sapere che l’Italia ha messo in campo risorse e fondi per contribuire a ridurre le loro sofferenze e gli ostacoli alla loro sopravvivenza. E che ogni ampliamento degli sforzi in tal senso sarà solo benvenuto negli anni a venire.

Un Natale di pace per i Cristiani che soffrono
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Andrea Muratore

26 DICEMBRE 2020


Stefano Montanari, esperto di nanopatologie e Direttore scientifico del laboratorio di ricerca Nanodiagnostics, non ha dubbi sul fatto che dietro l’imposizione delle mascherine per arginare la diffusione del coronavirus ci qualcosa di più.

Il motivo è che tutti i suoi studi lo portano ad affermare che non solo “non c’è nessuna prova scientifica che la mascherina protegga dal virus”, ma anzi essa sia addirittura controproducente. Lo ha spiegato ai nostri microfoni nel corso di un’intervista rilasciata a Francesco Vergovich e Fabio Duranti.

A cosa attribuire le ragioni di tale direttiva da parte del Governo, dunque?

Secondo Montanari le ragioni possono essere soltanto due: incompetenza o una precisa volontà. “Se noi vogliamo avere un mondo di malati – commenta in diretta – allora la mascherina va benissimo”.

Il motivo è che tutti i suoi studi lo portano ad affermare che non solo “non c’è nessuna prova scientifica che la mascherina protegga dal virus”, ma anzi essa sia addirittura controproducente. Lo ha spiegato ai nostri microfoni nel corso di un’intervista rilasciata a Francesco Vergovich e Fabio Duranti.

A cosa attribuire le ragioni di tale direttiva da parte del Governo, dunque?

Secondo Montanari le ragioni possono essere soltanto due: incompetenza o una precisa volontà. “Se noi vogliamo avere un mondo di malati – commenta in diretta – allora la mascherina va benissimo”.

Un giudizio del tutto in controtendenza con quello che le istituzioni portano avanti da mesi, dunque. Ma quali sono le ragioni a sostegno della sua teoria? Stefano Montanari le ha spiegate in questo intervento durante la mattinata di ‘Un giorno speciale’. Ecco com’è andata.

Montanari ► “Guardate: le tecniche che usano con il virus sono le stesse usate per imporre il regime”

“Non c’è nessuna prova scientifica che la mascherina protegga dal virus. Anzi, tutto ciò che sappiamo da sempre è assolutamente contrario all’uso della mascherina.

Se noi vogliamo avere un mondo di malati, che poi è il sogno delle case farmaceutiche, la mascherina va benissimo.

Soltanto un demente potrebbe pensare il contrario, oppure un incompetente. E noi di incompetenti in Parlamento ne abbiamo una grande collezione.

Il primo è Conte, non mi permetto di dire che è un disonesto, ma è un uomo di un’ignoranza abissale. Se non fosse ignorante sarebbe in mala fede e sarebbe peggio.

Se torniamo al 1789, il 14 luglio scoppia ufficialmente la rivoluzione francese. In quel momento non c’era una vera e propria rivolta a livello nazionale. Allora che cosa si fa? Si inventa un nemico. Si dice che il re ha chiamato delle truppe straniere per difendere sé stesso e riprendere il regime per schiacciare la rivolta. Cioè si dice al popolo che stanno arrivando delle truppe inglesi e austriache per ‘sgozzare i vostri figli e le vostre compagne’. Sapete quanti soldati austriaci e inglesi c’erano in Francia? Nessuno. Però il popolo era convinto di essere invaso.

Quando nel ’45 ci fu il processo di Norimberga un giudice chiese a Goebbels come avevano fatto a instaurare un regime così terribile. Rispose che, banalmente, avevano inventato dei nemici: ebrei, omosessuali, zingari… e la gente ci ha creduto.

Goering diceva ‘ripetete centomila, un milione di volte la stessa menzogna e la gente ci crederà’. Ed è esattamente quello che si sta facendo. Noi stiamo massacrando, infarcendo i cervelli di menzogne”.


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