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martedì 29 dicembre 2020

Una nazione senza fede non può resistere

“La libertà religiosa, tesoro da custodire”. Trump onora san Thomas Becket nell’anniversario del martirio


Cari amici di Duc in altum, nell’anniversario del martiro di san Tommaso Becket (29 dicembre 1970) il presidente Donald Trump ha voluto ricordare il campione della libertà della Chiesa con un atto ufficiale, pubblicato dal sito della Casa Bianca, che suona anche come un monito. Lo propongo qui nella mia traduzione.

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Proclamazione per l’850° anniversario del martirio di san Tommaso Becket

Oggi è l’850° anniversario del martirio di san Tommaso Becket. Era uno statista, uno studioso, un cancelliere, un prete, un arcivescovo e un leone della libertà religiosa. Prima che la Magna Carta fosse redatta, prima che il diritto al libero esercizio della religione fosse sancito nella nostra gloriosa Costituzione come la prima libertà dell’America, Thomas diede la vita perché, come egli disse, la Chiesa potesse raggiungere la libertà e la pace.

Figlio di uno sceriffo londinese e descritto come “un impiegato di bassa nascita” dal re che lo fece uccidere, Thomas Becket divenne il capo della Chiesa in Inghilterra. Quando la corona tentò di invadere il campo d’azione della casa di Dio mediante le Costituzioni di Clarendon, Tommaso si rifiutò di firmare il documento incriminato. Quando il furioso re Enrico II minacciò di trattenerlo in disprezzo dell’autorità reale e chiese perché questo prete “povero e umile” avrebbe osato sfidarlo, l’arcivescovo Becket rispose: “Dio è il sovrano supremo, al di sopra dei re” e “dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”.

Poiché Thomas non acconsentì a rendere la Chiesa asservita allo Stato, fu costretto a rinunciare a tutte le sue proprietà e a fuggire dal suo stesso paese. Anni dopo, in seguito all’intervento del papa, Becket fu autorizzato a tornare e continuò a resistere alle oppressive interferenze del re nella vita della Chiesa. Alla fine, il re non sopportò più la ferma difesa della fede religiosa di Thomas Becket e, secondo quanto riferito, esclamò costernato: “Nessuno mi libererà di questo prete impiccione?”.

In risposta, i cavalieri del re si recarono quindi nella cattedrale di Canterbury per consegnare a Thomas Becket un ultimatum: cedere alle richieste del re o morire. La risposta di Thomas echeggia in tutto il mondo e attraverso i secoli. Le sue ultime parole su questa terra furono: “Per il nome di Gesù e la protezione della Chiesa, sono pronto ad abbracciare la morte”. Rivestito di paramenti sacri, Tommaso fu ucciso là dove si trovava, all’interno della sua chiesa.

Il martirio di Thomas Becket ha cambiato il corso della storia. Alla fine, ha determinato numerose limitazioni costituzionali al potere dello Stato sulla Chiesa in tutto l’Occidente. In Inghilterra, l’omicidio di Becket portò, quarantacinque anni dopo, alla dichiarazione della Magna Carta, nella quale si legge: “[La] Chiesa inglese sarà libera; i suoi diritti resteranno immutati e le sue libertà intatte”.

Quando l’arcivescovo si rifiutò di consentire al re di interferire negli affari della Chiesa, Thomas Becket venne a trovarsi all’intersezione tra Chiesa e Stato. Quella posizione, dopo secoli di oppressione religiosa sponsorizzata dallo Stato e guerre di religione in tutta Europa, alla fine portò all’istituzione della libertà religiosa nel Nuovo Mondo. È grazie a grandi uomini come Thomas Becket che il primo presidente americano George Washington poté proclamare, più di seicento anni dopo, che negli Stati Uniti “tutti possiedono egualmente libertà di coscienza e immunità di cittadinanza” e che “ora non si parla più di tolleranza, come se fosse per l’indulgenza di una classe di persone che un’altra gode dell’esercizio dei propri diritti naturali intrinseci”.

La morte di Thomas Becket ha per ogni americano la funzione di un potente promemoria senza tempo: la nostra libertà dalla persecuzione religiosa non è un semplice lusso o un incidente della storia, ma un elemento essenziale della nostra libertà. È nostro inestimabile tesoro ed eredità. Ed è stato acquistato con il sangue dei martiri.

Come americani, siamo stati inizialmente uniti dalla nostra convinzione che “la ribellione ai tiranni è obbedienza a Dio” e che difendere la libertà è più importante della vita stessa. Se vogliamo continuare a essere la terra dei liberi, nessun funzionario governativo, nessun governatore, nessun burocrate, nessun giudice e nessun legislatore deve essere autorizzato a decretare ciò che è ortodosso in materia di religione o richiedere ai credenti religiosi di violare la loro coscienza. Nessun diritto è più fondamentale per una società pacifica, prospera e virtuosa del diritto di seguire le proprie convinzioni religiose. Come ho dichiarato in Piazza Krasiński a Varsavia, in Polonia, il 6 luglio 2017, il popolo d’America e il popolo del mondo gridano ancora: “Vogliamo Dio”.

In questo giorno, celebriamo e riveriamo la coraggiosa presa di posizione di Thomas Becket per la libertà religiosa e riaffermiamo la nostra chiamata a porre fine alla persecuzione religiosa in tutto il mondo. Nel mio storico discorso alle Nazioni Unite dello scorso anno, ho chiarito che l’America è con i credenti di ogni paese che chiedono solo la libertà di vivere secondo la fede che è nei loro cuori. Ho anche affermato che i burocrati globali non hanno assolutamente alcun diritto di attaccare la sovranità delle nazioni che desiderano proteggere la vita innocente, riflettendo la convinzione degli Stati Uniti e di molti altri paesi che ogni bambino – nato e non nato – è un dono sacro di Dio. All’inizio di quest’anno ho firmato un ordine esecutivo per dare priorità alla libertà religiosa come dimensione centrale della politica estera degli Stati Uniti. Abbiamo chiesto a ogni ambasciatore – e agli oltre 13 mila funzionari e specialisti del Servizio estero degli Stati Uniti – in più di 195 Paesi di promuovere, difendere e sostenere la libertà religiosa come pilastro centrale della diplomazia americana.

Preghiamo per i credenti che ovunque soffrono persecuzioni per la loro fede. Preghiamo in particolare per i loro coraggiosi pastori che ci danno ispirazione – come il cardinale Joseph Zen di Hong Kong e il pastore Wang Yi di Chengdu -, instancabili testimoni della speranza.

Per onorare la memoria di Thomas Becket, i crimini contro le persone di fede devono cessare, i prigionieri di coscienza devono essere rilasciati, le leggi che limitano la libertà di religione e di credo devono essere abrogate e i vulnerabili, gli indifesi e gli oppressi devono essere protetti. La tirannia e l’omicidio che sconvolgevano la coscienza del Medioevo non devono mai più ripetersi. Finché l’America resisterà, difenderemo sempre la libertà religiosa.

Una società senza religione non può prosperare. Una nazione senza fede non può resistere, perché la giustizia, la bontà e la pace non possono prevalere senza la grazia di Dio.

Ora, quindi, io, Donald Trump, presidente degli Stati Uniti d’America, in virtù dell’autorità conferitami dalla Costituzione e dalle leggi degli Stati Uniti, con la presente proclamo il 29 dicembre 2020 come 850° anniversario del martirio di san Tommaso Becket. Invito il popolo degli Stati Uniti a osservare la giornata nelle scuole, nelle chiese e nei luoghi consueti di incontro con cerimonie appropriate in commemorazione della vita e dell’eredità di Thomas Becket.

Donald J. Trump

nel ventottesimo giorno di dicembre nell’anno di nostro Signore Duemilaventi, duecentoquarantacinquesimo dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America

Fonte: whitehouse.gov

Nella foto, Assassinio di Thomas Becket, affresco, chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, Spoleto

https://www.aldomariavalli.it/2020/12/29/la-liberta-religiosa-tesoro-da-custodire-trump-onora-san-thomas-becket-nellanniversario-del-martirio/

Italiagate: il governo Conte accusato di essere responsabile della frode elettorale contro Trump 

A quanto pare, non è solo la Svizzera ad aver avuto un ruolo cruciale nell’operazione di hackeraggio internazionale contro le elezioni americane.

Nell’ultimo contributo pubblicato precedentemente su questo blog, l’autore e ricercatore svizzero e americano Neal Sutz ha spiegato il ruolo decisivo della Svizzera nella frode elettorale perpetrata contro Donald Trump.

La Svizzera infatti ha acquistato il codice sorgente di Scytl, il programma legato a sua volta a Dominion Voting System, la società canadese che ha legami con la famiglia Soros e i Clinton, accusata di aver spostato centinaia di migliaia di voti da Trump a Biden.

La Svizzera è stata fondamentale nella frode perché era perfettamente informata dei difetti strutturali di Scytl, ma non ha avvisato in alcun modo l’amministrazione Trump del grave malfunzionamento di questo software.

Ad ogni modo, c’è un Paese che potrebbe essere persino ancora più coinvolto e considerato come diretto responsabile dell’hackeraggio nelle elezioni americane, e quel Paese sarebbe proprio l’Italia.

A questo proposito, c’è una interessante e clamorosa ricostruzione fornita da Bradley Johnson, un ex agente della CIA e già a capo di una delle stazioni dell’agenzia di intelligence americana.

Bradley Johnson spiega come sarebbe avvenuto l’attacco hacker

Secondo Johnson, l’Italia è direttamente coinvolta nell’operazione di manipolazione di voti nelle elezioni americane.

L’ex agente della CIA conferma che la storia dell’operazione speciale condotta dalle forze speciali dell’esercito americano per recuperare i server di Dominion usati per l’hackeraggio, e custoditi in una stazione della CIA a Francoforte, è parzialmente vera.

Altre fonti avevano confermato la piena veridicità dei fatti, tra i quali il generale in pensione Thomas McInerney.

Secondo questa versione dei fatti, un gruppo d’assalto delle forze speciali dell’esercito USA avrebbe dato vita ad un vero e proprio blitz nel tentativo, apparentemente riuscito, di recuperare quei server che custodiscono la prova inconfutabile dell’hackeraggio.

Il generale McInerney ha confermato anche che in seguito a questo blitz ci sarebbe stato un durissimo scontro a fuoco tra i soldati americani e i paramilitari della CIA rientrati appositamente dall’Afghanistan per difendere la stazione di Francoforte.

Johnson offre un’altra prospettiva, se possibile ancora più clamorosa. L’ex agente CIA non smentisce l’operazione delle forze speciali ma sostiene che i dati hackerati da Francoforte sarebbero stati trasmessi a Roma, precisamente all’ambasciata americana di via Veneto.

Secondo Johnson, sui server di Francoforte sarebbero rimaste solo parziali tracce dell’attacco informatico, ma la vera centrale protagonista dell’operazione sarebbe stata Roma.

Nel giorno delle elezioni americane è infatti accaduto qualcosa che non ha mai avuto precedenti nella storia delle elezioni americane.

Improvvisamente nel cuore della notte americana del 3 novembre, quando in Italia erano già le 8/9 di mattina, il conteggio negli Stati chiave è stato interrotto simultaneamente.

L’operazione di broglio era già ampiamente in corso, ma gli hacker d’un tratto si sono resi conto di un elemento imprevisto.

“Trump stava prendendo un numero di voti record” spiega Johnson, e lo spostamento di voti da Trump a Biden fatto fino a quel momento non era sufficiente per assegnare la vittoria definitiva al candidato democratico.

L’ambasciata americana a via Veneto avrebbe coordinato l’hackeraggio

A quel punto, è entrata in scena Roma che ha ricevuto i dati mandati da Francoforte, ma che avrebbe dovuto elaborare “dei nuovi algoritmi” per far pendere nettamente la bilancia dalla parte di Biden.

A via Veneto dunque sarebbe partita l’operazione per ricalibrare l’attacco informatico già in corso a Francoforte, e se questa eventualità fosse confermata, la missione diplomatica degli Stati Uniti in Italia sarebbe stata coinvolta in un tentativo di rovesciamento del suo stesso presidente.

E’ uno scenario che vede poteri eversivi interni allo Stato, il famigerato deep state, il cosiddetto “stato profondo” di Washington costituito da lobby militari e finanziarie, direttamente impegnati in un vero e proprio colpo di Stato contro il legittimo comandante in capo.

Attualmente, l’ambasciatore americano in Italia è Lewis Eisenberg, già al servizio di Goldman Sachs e finanziatore della prima campagna di Trump nel 2016, ma allo stesso tempo vicino alle lobby neocon sioniste che probabilmente sono tra le più feroci nemiche del presidente per il suo piano di disimpegno militare dal Medio Oriente.

All’ambasciata, secondo Bradley Johnson, durante la notte elettorale del 3 novembre era presente un uomo al servizio del dipartimento di Stato americano.

L’ex agente segreto americano nel video dove spiega cosa è accaduto mostra una foto di quest’uomo ripresa all’aeroporto di Fiumicino presumibilmente dalle autorità italiane, apparentemente impegnate in un’attività di sorveglianza del funzionario del dipartimento di Stato americano.

Quest’uomo sarebbe stato direttamente impegnato nel coordinamento dell’hackeraggio ai danni delle elezioni americane.

Il ruolo dell’Italia e di Leonardo nell’attacco informatico

A questo punto, la rivelazione che Johnson fa è ancora più clamorosa di quanto già fino ad ora detto.

Ad aver avuto un ruolo decisivo nell’hackeraggio sarebbe stata l’azienda Leonardo, leader in Italia nel settore aerospaziale e della difesa militare.

Secondo l’analista di intelligence, una volta che sono stati creati dei nuovi algoritmi per spostare ancora più voti da Trump a Biden, gli hacker “avrebbero mandato i nuovi numeri ad un satellite militare gestito da Leonardo”.

Successivamente il satellite avrebbe trasmesso i nuovi dati manipolati dall’Italia agli Stati Uniti.

Se questa versione fosse confermata, potrebbe esserci stato un diretto coinvolgimento del governo italiano nella frode elettorale negli USA.

Leonardo infatti è partecipata al 30% dal ministero dell’Economia che è il primo azionista della società.

L’attuale amministratore delegato di Leonardo è Alessandro Profumo, nominato nel 2017 dal governo Gentiloni, che avrebbe avuto una parte fondamentale nel caso dello Spygate, e confermato da Conte nel 2020.

Profumo è stato anche recentemente condannato a 6 anni di reclusione per aggiotaggio e false comunicazioni.

Il governo Conte dunque avrebbe avuto un ruolo chiave nell’attacco informatico mettendo a disposizione l’apparato tecnologico di Leonardo per poter realizzare quello che si può definire a tutti gli effetti come un attacco diretto alla sovranità degli Stati Uniti.

E’ importante ricordare che il governo Conte è stato uno dei primi dei vari esecutivi internazionali ad affrettarsi a riconoscere la presunta vittoria di Joe Biden alle elezioni americane, quando ancora non c’era – e non c’è tuttora secondo la Costituzione americana – l’ufficialità della sua vittoria.

L’Italia in diretta violazione dell’ordine esecutivo di Trump contro le ingerenze straniere

Tutto questo renderebbe l’Italia in aperta violazione dell’ordine esecutivo firmato da Trump nel settembre 2018 per contrastare le ingerenze straniere nelle elezioni americane.

Il presidente infatti non era affatto impreparato all’eventualità che potenze estere in collaborazione con poteri interni allo stesso governo americano avessero cercato di sovvertire il risultato delle urne.

L’ordine esecutivo in questione prevede chiaramente che entro 45 giorni dalla date delle elezioni, il 3 novembre, venga consegnato al presidente un rapporto dettagliato sulle interferenze straniere e non nel processo elettorale americano.

Ad oggi, la comunità dell’intelligence USA ha dato vita ad un sabotaggio non consegnando a Trump il rapporto intero nella data prevista del 18 dicembre.

Ad ogni modo, sembra che il direttore dell’intelligence nazionale, Ratcliffe, possa aver già consegnato a Trump parti del rapporto e che il presidente abbia già offerto a Sidney Powell, avvocato impegnata attivamente nei ricorsi contro i brogli elettorali, la poltrona di procuratore speciale sulla frode elettorale.

Il procuratore speciale avrebbe una serie di rilevanti poteri tali da consentirgli di sequestrare tutti i server che hanno conteggiato i voti, su tutti quelli incriminati di Dominion, e rinviare a giudizio i responsabili della frode, oltre che requisire le proprietà delle società direttamente impegnate nei brogli.

L’ordine esecutivo è stato quindi espressamente pensato per sanzionare tutti gli attori esterni ed interni ad eventuali ingerenze nelle elezioni USA, e l’Italia sarebbe in flagrante violazione di questo provvedimento per aver attentato alla sovranità degli Stati Uniti.

Se questa versione dovesse essere confermata, potrebbe aprirsi una crisi senza precedenti nei rapporti tra Italia e Stati Uniti, perché l’esecutivo Conte avrebbe chiaramente ingerito negli affari nazionali americani.

Il deep state italiano responsabile del primo e del secondo sabotaggio contro Trump

Il deep state italiano sarebbe comunque l’intera chiave di volta non solo per individuare i responsabili della frode elettorale ai danni di Trump, ma lo è anche per comprendere il primo tentativo di sabotaggio internazionale attuato contro il presidente americano, ovvero il famigerato spygate.

Lo spygate è lo spionaggio illegale realizzato contro la campagna Trump nel 2016 ed è un’operazione che ha visto coinvolta direttamente l’Italia, dal momento che i servizi segreti italiani avrebbero giocato un ruolo decisivo, sotto le amministrazioni Renzi e Gentiloni, per cercare di associare falsamente l’allora candidato repubblicano al Cremlino.

C’è dunque un filo rosso che lega il primo tentativo di golpe contro Trump e il secondo, e questo filo rosso è rappresentato dall’Italia e dall’apparato di poteri eversivi presenti all’interno dello Stato strettamente collegati e diretti a loro volta alle lobby internazionali del mondialismo.

In Italia, sullo spygate è calata una coltre di silenzio perché apparentemente nemmeno la cosiddetta opposizione ha interesse a fare luce su questa vicenda.

Il presidente del Copasir, l’organismo di controllo dei servizi segreti italiani, Raffaele Volpi, senatore della Lega, disse alla fine dell’anno passato che l’intrigo dello spygate era una vicenda per riempire le pagine dei giornali, mentre l’amministrazione Trump non ha avuto remore a definirlo legittimamente come un golpe contro il presidente americano.

A quanto pare, non c’è interesse nemmeno dalle parti della Lega a fare luce sugli scandali del deep state italiano, probabilmente anche alla luce della vicinanza dell’asse Renzi – Salvini, apparentemente tra i più attivi nel favorire l’avvento di un governo Draghi, l’uomo dell’eurocrazia e delle élite mondialiste che avrebbe il compito di portare avanti il Grande Reset e dare così il colpo di grazia all’Italia.

Il deep state italiano è una palude che vede direttamente coinvolti i più alti vertici dello Stato e sia la maggioranza che l’opposizione sembrano essere legati inestricabilmente legati ad esso.

Questo apparato eversivo presente nelle istituzioni italiane è stato usato in maniera particolare dal mondialismo in quello che può essere definito come un vero e proprio colpo di Stato permanente ai danni di Donald Trump.

I media italiani non hanno alcun interesse a denunciare questi poteri, dal momento che i primi dipendono strettamente dai secondi.

C’è dunque un inquietante capitolo che si aggiunge alla storia del golpe internazionale contro Trump.

Questo capitolo sembra rivelare che le strade della frode elettorale nelle elezioni americane portano tutte a Roma.

di Cesare Sacchetti

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The Plot To Steal America – Il piano per rubare l’America – Seth Holehouse


    The Plot To Steal America - Il piano per rubare l'America - Seth Holehouse                    https://www.aldomariavalli.it/2020/12/29/the-plot-to-steal-america-il-piano-per-rubare-lamerica/the-plot-to-steal-america-il-piano-per-rubare-lamerica-seth-holehouse-2/

      Finale di partita?

      L’ultima chiamata di Trump ai suoi: “Il 6 gennaio tutti a Washington”. E intanto, al Congresso…

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      «See in Washington, Dc, on January 6th. Don’t miss it. Information to follow!». Insomma, «ci vediamo a Washington, il 6 gennaio. Non mancare. In seguito sarai informato!», è il tweet del presidente americano, Donald Trump, per l’ultima chiamata a raccolta dei suoi, dopo le elezioni presidenziali del 3 novembre, in cui a spuntarla è stato il democratico Biden. Già, perché nel  giorno della Befana nella capitale Usa si riunirà il Congresso per ratificare il voto dell’Electoral College, che ha decretato l’elezione di Joe Biden. Nonostante i 59 ricorsi respinti su 60 presentati dallo staff di Trump, su presunte truffe elettorali del Partito Democratico, non accertati dai tribunali, oltre alla decisione della Corte Suprema di non prendere in considerazione un ricorso inviato dalle autorità del Texas, anche per conto di altri stati, in cui si chiedeva di non tener conto, in sostanza, dei voti inviati per posta.

      Ora, anche se Biden è stato eletto dal collegio elettorale, dovrà essere il Congresso a dare formalmente il via libera al successore di Trump, riconoscendo la procedura seguita. E qui ritorna in ballo The Donald, almeno potenzialmente, il quale tenterà di fare pressione sulla Camera dei Rappresentanti, attraverso le centinaia di migliaia di persone convocate via web proprio nelle ore cruciali in cui si riuniranno le entità rappresentative.

      Un’altra possibilità per rimanere alla Casa Bianca infatti esiste, seppur remotissima: accadrà se il Congresso dovesse riconoscere che il voto del 3 novembre non è stato chiaro, sostituendosi, di fatto, all’Electoral College. Quando i democratici del Nevada si sono riuniti il ​​14 dicembre votando per il collegio elettorale a favore di Biden, il vincitore delle elezioni presidenziali dello stato, Shawn Meehan, e i suoi colleghi repubblicani, sono già andati in questa direzione e hanno tenuto una propria riunione, votando per il presidente Trump, in alternativa al vincitore certificato, Biden. In altre parole, hanno creato una lista parallela a quella dei grandi elettori democratici dello stato effettivamente eletti.

      Musil direbbe che siamo di fronte ad un’ “azione parallela” nello stato di Kakania, poi miseramente fallito, ma di fatto questa è un’opzione prevista dall’ordinamento degli stati federali solo nei casi in cui fosse accertata una violazione delle procedure elettorali, un’ipotesi finora scartata dai giudici interpellati. Tanto che esperti di diritto elettorale americano hanno esclusa qualsiasi validità sull’iniziativa dei repubblicani del Nevada.

      Tuttavia i membri del Congresso, il 6 gennaio prossimo, all’indomani delle elezioni riguardanti i due seggi ancora in ballo per il Senato in Georgia, in cui i repubblicani potrebbero confermare la maggioranza aggiudicandosi almeno uno dei due seggi, potrebbero sollevare obiezioni su una o più liste di elettori. Se un rappresentante e un senatore si opporranno insieme, entrambe le camere delibereranno separatamente e voteranno se accettarlo. Il processo potrebbe avvenire più volte fino a quando il Congresso non accerti che Biden ha ottenuto almeno 270 voti elettorali, la soglia necessaria per salire il 20 gennaio alla Casa Bianca.

      Tra l’altro, non è stato solo il Nevada ad organizzare una riunione “parallela”, ma altri stati lo hanno seguito: il Wisconsin, l’Arizona, la Pennsylvania, la Georgia  e il New Mexico. Nel Michigan, invece, i leader di stato del partito repubblicano sono stati in gran parte assenti in occasione di una riunione convocata per stilare una lista alternativa a quella di grandi elettorali democratici, tant’è che, è stato poi specificato dai repubblicani, al limite verrà fornita una lista aggiuntiva e non sostitutiva.

      In più, va ricordato che le rassicurazioni da parte dei funzionari statali e federali, sul fatto che si sia trattata di un’elezione regolare, il 3 novembre, non sono bastate, in quanto il 77% dei repubblicani ha affermato che la vittoria di Biden «è dovuta ad una frode», secondo un sondaggio condotto il mese scorso dal Monmouth University Polling Institute. Nel frattempo, la fiducia degli elettori democratici e indipendenti nelle elezioni è aumentata dal 68% al 90% e dal 56% al 60%, rispettivamente da pre-elettorale a post elettorale. «Ci sono prove sufficienti per far pensare a 74 milioni di americani che questa elezione è stata rubata», ha rincarato la dose Anthony Kern, un membro repubblicano della Camera dei Rappresentanti dell’Arizona ed elettore statale.

      https://loccidentale.it/lultima-chiamata-di-trump-ai-suoi-il-6-gennaio-tutti-a-washington-e-intanto-al-congresso/

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