ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 12 gennaio 2021

I pifferi dell’Impero

IL CASO TRUMP

«Liberi, finché lo dico io». La "socialcrazia" è un problema

Se un soggetto privato, di natura aziendale e commerciale, privo di legittimazione democratica e investitura popolare, interviene a gamba tesa nel godimento di diritti garantiti dagli ordinamenti giuridici nazionali e internazionali, significa che bisogna interrogarsi seriamente sulla natura della Rete e sulle regole necessarie per impedire altre prove di forza da parte dei giganti del web. Il caso Trump, bloccato da Facebook e Twitter, apre a un dibattito sul ruolo dei social. Censori o pubblicitari? Guardiani o editori? Anche un'autority sarebbe un rischio, però il fenomeno va affrontato con equilibrio virtuoso. 


Nelle democrazie sono le leggi a garantire e limitare le libertà. La comunità internazionale si ispira a dichiarazioni solenni che riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo, come la libertà d’espressione, che è propedeutica alla fruizione di molti altri diritti di libertà.

Nel web, per lungo tempo celebrato come il regno delle vere libertà, si stanno verificando restrizioni, limitazioni e censure che a lungo andare rischiano di contaminarne fortemente il carattere democratico.

Il caso più eclatante si è verificato l’8 gennaio, con la decisione di Twitter e Facebook di sospendere i profili attraverso i quali il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump interagiva con i propri follower. Da lì una escalation di polemiche e di reazioni che, a prescindere dal colore politico, hanno messo in evidenza l’ambiguità del ruolo dei social nelle dinamiche della libertà d’espressione. Si tratta di guardiani e censori delle opinioni difformi da quelle dominanti o di soggetti privati pienamente rispettosi della libertà d’espressione e interessati solo ai risvolti commerciali e pubblicitari del traffico che si genera sulle loro piattaforme?

Il dibattito è solo agli inizi, ma ieri si sono registrate alcune autorevoli prese di posizione che contribuiranno a scaldarlo non poco.

Tutto è iniziato con le dichiarazioni di alcuni analisti che hanno accusato Trump di aver beneficiato, per la sua ascesa al potere, di fake news veicolate proprio attraverso i social. Inoltre, alcuni suoi avversari hanno sostenuto che l’assalto dei suoi sostenitori a Capitol Hill, a Washington, fosse partito proprio da quelle false notizie.

Ma a prescindere dal colore politico, in Europa e nel resto del mondo autorevoli esponenti di governo si sono schierati contro Facebook, Twitter e gli altri giganti del web. Tanto più dopo la chiusura, avvenuta ieri, di Parler, la piattaforma social utilizzata in prevalenza dai fan di Trump e dai militanti di destra. Il social era finito offline dopo che era stato escluso da Apple, Google e Amazon.

Il nodo della questione è proprio l’affidamento a soggetti privati delle chiavi della libertà d’espressione, che è il sale delle democrazie. Di qui anche la necessità di un inquadramento giuridico delle piattaforme, sul piano delle responsabilità e della liceità di alcune condotte. Da più parti si auspica l’introduzione di un controllo “imparziale” sui contenuti, una sorta di authority che possa delimitare il perimetro dei diritti degli utenti, sottraendo ai gestori delle piattaforme ogni sorta di vigilanza. Ma anche questa ipotesi presta il fianco ad accuse di irreggimentazione delle opinioni.

A detta dell’alto rappresentante Ue, Joseph Borrell, «occorre poter regolamentare meglio i contenuti dei social network, rispettando scrupolosamente la libertà di espressione, ma non è possibile che questa regolamentazione sia attuata principalmente secondo regole e procedure stabilite da soggetti privati».

Anche il cancelliere tedesco Angela Merkel si dissocia da quanto fatto dai social nei confronti di Trump. «È possibile interferire con la libertà di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale -ha spiegato in conferenza stampa il suo portavoce, Steffen Seibert - Questo è il motivo per cui il Cancelliere ritiene problematico che gli account del presidente americano sui social network siano stati chiusi in maniera definitiva».

Anche il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, ha espresso la sua "perplessità" per la decisione delle piattaforme di bandire il presidente americano, Donald Trump, dai social network "senza controllo legittimo e democratico" e ha rilanciato i progetti europei per regolamentare i giganti del web.

«Il fatto che un Ceo possa staccare la spina dell'altoparlante del presidente degli Stati Uniti senza alcun controllo e bilanciamento è sconcertante –ha detto Breton- Non è solo una conferma del potere di queste piattaforme, ma mostra anche profonde debolezze nel modo in cui la nostra società è organizzata nello spazio digitale».

Il nodo della responsabilità giuridica delle piattaforme sta dunque venendo al pettine. Rifiutano il ruolo di editori, ma allora non possono e non devono neppure censurare le opinioni o chiudere gli account sulla base di una valutazione dei contenuti postati dagli utenti. L’ambiguità va risolta, visto e considerato che il concetto di fake news, di incitamento all’odio e alla violenza va applicato di volta in volta e dunque non può essere preso come parametro oggettivo per censurare per sempre un account.

Se un soggetto privato, di natura aziendale e commerciale, privo quindi di legittimazione democratica e investitura popolare, interviene a gamba tesa nel godimento di diritti garantiti dagli ordinamenti giuridici nazionali e internazionali, significa che bisogna interrogarsi seriamente sulla natura della Rete e sulle regole necessarie per impedire altre prove di forza da parte dei giganti del web.

Bisogna introdurre, attraverso un sistema di pesi e contrappesi, un equilibrio virtuoso tra libertà d’impresa, libertà d’espressione e altri diritti della personalità garantiti dagli ordinamenti giuridici nazionali e internazionali. Peraltro l’Ue ha già fatto sapere che intende occuparsi al più presto della regolamentazione giuridica dei social media, contemperando le esigenze e le aspettative di tutti, evitando l’anarchia ma anche le censure antidemocratiche.

Ruben Razzante

- IL GOP SCARICA TRUMP, MA IL GOLPE E' A SINISTRA di Benedetta Frigerio

https://lanuovabq.it/it/liberi-finche-lo-dico-io-la-socialcrazia-e-un-problema

I pifferi dell’Impero

Lo confesso, sto rivalutando alcune parti della saga di Guerre Stellari che avevo sempre considerato imbarazzanti.
Ad esempio quella della clip qui sotto.

No, non sto parlando dell’assalto al Parlamento degli Stati Uniti. Se veramente pensate che lo stato più potente del mondo possa essere rovesciato da sciamani cornuti (a proposito, si è scoperto che è un attore) e altri pericolosi terroristi come quelli che vedete in questa foto


Ah, no, non questo, questi:


allora potete credere davvero a tutto. Andare a vedere quello che dicono giornali e televisioni, e poi verificare, se ci riuscite, quello che davvero è accaduto, è un’esperienza estraniante, tipo Mentana che commenta un film invece che i disordini.

Perché è chiaro chi qui si tratta di una narrazione, di un racconto immaginario imbastito da coloro che si stanno rivelando i veri king-maker, le eminenze grigie, i re nell’ombra di questo scorcio di secolo: i media, da quelli antichi come carta stampata e televisione fino ai social. Che si possono permettere di oscurare e bandire chi vogliono loro (non badate alla storiella dell’incitamento alla violenza, c’è infinitamente di peggio che passa indisturbato) sabotando e negando l’espressione a chi non la pensa come loro.

Che deve essere oscurato, bandito, condannato; non deve potere insegnare, giudicare, scrivere, pubblicare; si uccide la libertà in nome della libertà. Adesso la parola purga non si usa più, diciamo che questi pifferai stanno somministrando alla società la loro idea di lassativo; così, liberati di noi escrementi dell’umanità, potranno liberi e leggeri costruire il paradiso in Terra. Tra gli applausi degli idioti che non conoscono la storia.

Che non si rendono conto che stanno giustificando una dittatura peggiore di quella che credevano di scongiurare. Perché ora regna l’Impero.

Pubblicato da 

https://berlicche.wordpress.com/2021/01/11/i-pifferi-dellimpero/


I Padroni della Rete


Le chiusure degli account del Presidente degli Stati Uniti uscente, Donald Trump, disposte nei giorni scorsi da Twitter e da Facebook, sono di una gravitàinaudita, anche se utili a svelare il vero volto ideologico dei padroni della Rete, aspetto su cui si tende a non riflettere abbastanza. A tal proposito, dato che proprio così, Padroni della Rete, si chiama un capitolo del mio libro, Propagande (La Vela) uscito nell’aprile 2019, ritengo possa essere utile riproporlo qui integralmente:

«E Internet? Fino a questo momento si sono presi in esame esempi di propaganda veicolati principalmente da stampa e televisione: ma la Rete? E’ neutrale oppure anch’essa funge da strumento di manipolazione interessata? A prima vista simili dubbi sembrano non avere alcuna ragion d’essere dal momento che l’internauta, per definizione, è colui che naviga tra svago e informazione senza vincoli, libero da condizionamenti di sorta e con la possibilità di costanti e pluralistici aggiornamenti. Come spesso capita, però, le apparenze ingannano dal momento che anche lo sconfinato web ha i suoi manovratori. Per capire chi siano e come operano, occorre partire da un fatto. Anzi, da uno scandalo: quello di Cambridge Analytica.

Si tratta di una società fondata nel 2013 dal miliardario Robert Mercer, e specializzata nel raccogliere dai social network da un’enorme quantità di dati sui loro utenti. Il caso scoppia quando, nel marzo 2018, un’inchiesta congiunta di GuardianObserver e New York Times rivela che la società di analisi di dati ha violato 50 milioni di profili Facebook allo scopo di sfruttarne i contenuti con fini politici e commerciali. Con lo scandalo, emergono anche delle responsabilità da parte del social newtork più popolare del pianete, Facebook appunto, i cui vertici ammettono di aver commesso degli errori. Al punto che il creatore della piattaforma, Mark Zuckerberg, a maggio viene convocato in audizione in seno alle commissioni di Senato e Camera degli Stati Uniti.

In quelle occasioni, diversi politici chiedono conto a Zuckerberg di censure sospette che Facebook ha applicato nel corso degli anni, per lo più contraddistinte da un tratto politico comune: quello progressista e anticristiano. Si pensi al blocco inflitto ad un post della Franciscan University di Steubenville, riguardante una laurea in teologia cattolica. «Potresti dirci cosa è stato così scioccante, sensazionale o eccessivamente violento in quella pubblicità da far sì che inizialmente fosse censurata?», è stata, a questo proposito, la domanda di Cathy McMorris Rodgers, deputato dello stato di Washington, alla quale il giovane miliardario ha risposto con un vago: «Sembra che abbiamo commesso un errore», è stata quindi la replica di Zuckerberg.

Una risposta che non deve aver convinto dal momento che, nelle due giornate di audizioni, sono stati diversi i politici confrontatisi col re dei social network proprio sull’orientamento ideologico della sua compagnia. A stuzzicare il Ceo di Facebook con una certa insistenza è stato in particolare Ted Cruz, senatore repubblicano che gli ha chiesto esplicitamente conto delle numerose pagine cattoliche e conservatrici sovente incorse in blocchi. A far discutere, tempo addietro, era stata soprattutto la sospensione, avvenuta nel luglio 2017, di ben 25 pagine cattoliche in lingua inglese e portoghese, la gran parte delle quali create in Brasile, fra cui una dedicata a papa Francesco. In quella occasione, in effetti, a farne le spese erano stati svariati milioni di utenti.

Basti ricordare che ad essere bloccate, ancorché temporaneamente, sono state le pagine di padre Francis J. Hoffman, affettuosamente conosciuto come «Padre Rocky», uno da 4 milioni di follower, e di Catholic and Proud, che di follower ne ha oltre 6 milioni. All’inizio del 2018, è stato invece un altro gruppo cattolico, Mater Ecclesiae Fund for Vocations, a lamentare criticità e ritardi nell’approvazione di una raccolta fondi durante il periodo natalizio. Ebbene, davanti alle punzecchiature di Cruz, Zuckerberg da un lato ha fatto lo gnorri, dichiarando di non essere a conoscenza della situazioni sottopostegli, dall’altro si è lasciato scappare due dichiarazioni che hanno il sapore dell’ammissione e che la dicono lunga sulla neutralità di Facebook.

La prima si è avuta quando, rispondendo al senatore del Texas, il Ceo Facebook ha sottolineato che la sua compagnia è «situata nella Silicon Valley», dove a dominare, si sa, è il pensiero progressista; quindi ha definito una preoccupazione «giusta», quella di teme il più popolare social del pianeta politicamente non neutro, dichiarandosi tuttavia impegnato a «sradicare» qualsivoglia pregiudizio. Una seconda, sia pure indiretta, ammissione Zuckerberg l’ha poi data – telegraficamente – quando Cruz gli ha chiesto se avesse qualche idea dell’orientamento politico delle circa 20.000 persone che la società impegna nella revisione dei contenuti postati dagli utenti: «No, senatore».

Perché può essere considerata un’ammissione? Perché è semplicemente ridicolo che proprio colui che almeno potenzialmente conosce i segreti miliardi di persone sia all’oscuro delle idee dei propri dipendenti; ragion per cui la sua risposta può essere letta come un eloquentissimo «no comment». Anche per questo un altro politico, Ben Sasse, senatore repubblicano del Nebraska, ha provato a mettere alle strette il re dei social, chiedendogli di definire cosa si dovrebbe intendere per «incitamento all’odio», espressione chiave perché è proprio in nome di essa che, finora, non poche pagine sono state segnalate e bloccate.

Ebbene, ancora una volta il fondatore di Facebook se l’è cavata recitando la parte del finto tonto: «Penso che questa sia una domanda davvero difficile». Il senatore Sasse ha allora voluto interpellarlo più esplicitamente a proposito delle «opinioni appassionate sulla questione dell’aborto», domandando se ritenga auspicabile un mondo in cui ai pro life sia impedito di esprimere la loro opinione. «Certamente vorrei che non fosse così», ha risposto Zuckerberg, che aveva già auspicato che la sua rimanga «una piattaforma per tutte le idee».

Rassicurazioni, queste, che al pari delle altre non debbono esser parse molto credibili. Di certo non hanno convinto gli attivisti cattolici, a giudicare da quanto si legge sui loro siti Internet. «Facebook odia i cattolici?» si è per esempio ora Catholic League. «Le risposte di Zuckerberg, più che soddisfare delle domande, ne hanno originate di nuove», è invece il commento di CatholicVote. In effetti, i molti «non so», «non ricordo», «dobbiamo aver commesso un errore» del Ceo di Facebook non sono esattamente rassicuranti. Tanto è vero che i blocchi sospetti di certo post non si sono certo arrestati dopo le audizioni al Congresso di Zuckerberg.

Lo può testimoniare l’associazione statunitense pro life Susan B. Anthony List che, nel novembre 2018, ha denunciato l’ingiusta censura appunto di Facebook ai danni di due pubblicità di 30 secondi inneggianti alla vita. Siamo alle solite, insomma. Ma non c’è da stupirsi dal momento che le posizioni politiche del re dei social e di conseguenza della sua piattaforma sono da tempo il segreto di Pulcinella. Basti pensare che Facebook era, pochi anni fa, tra le aziende firmatarie di un documento che, affinché fossero riconosciute le coppie gay, chiedeva alla Corte Suprema di dichiarare incostituzionale il Defense of Marriage Act. Oppure si considerino i tanti i casi di utenti che negli anni hanno segnalato a Facebook pagine esplicitamente anticristiane o blasfeme sentendosi rispondere che esse «non violano gli standard della comunità».

Se tre indizi fanno una prova, come sosteneva Agatha Christie, non si può dunque che concludere come le numerose (non) risposte di Zuckerbergsull’orientamento ideologico della sua società in realtà – tutte assieme – una risposta la diano. Fin troppo chiara. Il punto è che non ci sono solo i social network ad orientare la Rete in una certa direzione, guarda caso quella di stampo progressista, anziché in un’altra.

Un esempio che si può fare a questo proposito è quello di YouTube, la celebre piattaforma web fondata il 14 febbraio 2005, che consente la condivisione e visualizzazione in rete di video. Ebbene, c’è il sospetto che non soltanto dietro YouTube vi sia il solito orientamento politico, ma anche una posizione di chiaro appoggio alla pratica dell’aborto. Questo, almeno, è quanto sospettano alcuni negli Stati Uniti dopo, alcuni mesi fa, si è verificata la sospensione dalla piattaforma dell’account Abortion pill reversal (Apr), a causa di «violazioni ripetute o gravi delle linee guida della community».

Di quali «gravi» e «ripetute» violazioni Apr si fosse reso responsabile, però, non è risultato affatto chiaro. Infatti l’account altro non faceva che promuovere la conoscenza, per l’appunto, dell’«abortion pill reversal», un trattamento di «inversione della pillola abortiva» attuabile dalla donna che, assunta la prima delle due pillole abortive che di fatto compongono la Ru486, può arrestare la procedura provando, quindi, a salvare il suo bambino.

Con quali probabilità di successo? La soluzione, messa a punto una decina di anni fa da George Delgado e Matthew Harrisonha una percentuale di riuscita elevata, che oscilla tra il 60 e il 70%. Più precisamente, secondo un recente lavoro pubblicato sulla rivista Issues in Law and Medicine fra i cui autori figura proprio Delgado, l’interruzione dell’aborto chimico tramite il protocollo Apr, oltre ad essere sicura per le donne, presenta un tasso di riuscita del 68%. E, cosa non trascurabile, ha già consentito di venire al mondo a più di 300 bambini diversamente destinati all’aborto.

Eppure, secondo gli addetti alla revisione dei contenuti di YouTube, di tutto questo non si dovrebbe parlare. Di qui la disposta censura dell’account Apr, che ha fatto parecchio discutere. Tanto più se si considerano le spiegazioni offerte dalla piattaforma, che ha motivato la propria decisione chiarendo come essa non consenta contenuti che incoraggino o promuovano «atti violenti o pericolosi che» abbiano «un rischio intrinseco di gravi danni fisici o morte». Una sottolineatura, quest’ultima, quanto meno singolare se si pensa, a proposito di «rischio intrinseco di gravi danni fisici o morte», che la Ru486, di cui l’Apr costituisce una possibilità di interruzione, non è affatto esente da rischi anche gravi per la donna.

Basti ricordare come, già anni fa, non sia stata una testata cattolica, bensì l’autorevole e laicissimo New England Journal of Medicine a segnalare, in seguito ad un’apposita ricerca, un rischio di mortalità materna addirittura dieci volte superiore per l’aborto chimico rispetto a quello effettuato mediante il metodo chirurgico nello stesso periodo di gestazione. La sospensione di Apr disposta da YouTube risulta dunque contraddittoria e contraria sia al bene del nascituro sia a quello della donna; oltre ad essere accompagnata da motivazioni, per così dire, di non immediata comprensione.

«È difficile capire perché YouTube consideri il salvataggio dei bambini da una pillola abortiva allo stesso modo dei video sul terrorismo», aveva commentato a questo proposito Jor-El Godsey, presidente dell’associazione pro life Heartbeat International. Sta di fatto che, alcuni giorni dopo quella sospensione, la celebre piattaforma è tornata sui propri passi scusandosi e riattivando l’account Apr, tutt’ora consultabile. Tuttavia questo episodio non ha dissolto ma, al contrario, accresciuto le perplessità di molti sull’effettiva posizione sui temi etici dei padroni della Rete, i quali hanno già, e più volte, dato prova di parzialità ma, soprattutto, di facilità di censura.

Si pensi, per tornare a Facebook, al blocco disposto tempo fa ai danni di una pagina creata per la raccolta fondi per un film sulla vicenda, poco conosciuta e assai controversa, che ha portato alla sentenza Roe contro Wade con la quale, nel 1973, negli Stati Uniti è stato legalizzato l’aborto. «Considerando le fama di Facebook come forum neutrale e aperto per la discussione di questioni importanti, considero questa decisione scandalosa e chiedo a Facebook di cessare e desistere da questa censura», aveva in quella occasione protestato Robert Georgeintellettuale molto noto negli Usa nonché docente alla Princeton University.

Un ruolo nell’oscuramento delle tesi pro life sembra averlo anche Google, considerando quanto avvenuto nel giugno 2017 col drastico ed improvvisto calo di visibilità – secondo alcuni dovuto ad una manipolazione dei parametri di ricerca – che ha colpito il portale di Operation Rescue, una delle maggiori organizzazioni antiabortiste statunitensi. Twitter è stato invece accusato pubblicamente da Lila Rose, presidente di Live Action, da una parte di ostacolare la diffusione di contenuti pro life e, dall’altra, di agevolare l’abortista Planned Parenthood nella circolazione di messaggi che, alla fine, raggiungono un pubblico enorme. «Penso sia evidente come Twitter stia discriminando le voci pro-life», aveva quindi dichiarato la Rose al Washington Times.

Ora, è sempre possibile che alcuni di questi sospetti e di queste accuse a carico dei padroni della Rete siano parzialmente infondati, e sia dunque esagerato evocare chissà quali scenari distopici e dittatoriali. Tuttavia, e se ne sono ricordati solo alcuni, dei precedenti che lasciano pensare oggettivamente non mancano. La stessa perdurante vaghezza concettuale che soggiace all’espressione «contenuti di odio», a ben vedere, non dovrebbe lasciare poi molto tranquilli.

Proprio quest’ultimo aspetto, in effetti, pare il più inquietante se si pensa a quanto messo in luce da Nick Hopkins, cronista del Guardian venuto in possesso di oltre 100 manuali ad uso interno di Facebook. In breve, Hopkins ha scoperto che spesso i cosiddetti moderatori del social network hanno appena 10 secondi di tempo per decidere se ammettere o meno un determinato contenuto, cosa che da un lato rende pressoché impossibile bloccare video e post violenti e, dall’altro, rende comunque tutto assai arbitrario. Il rischio che la Rete diventi veicolo di propagande non è dunque affatto marginale. Siamo avvertiti».

Giuliano Guzzo

https://giulianoguzzo.com/2021/01/09/i-padroni-della-rete/#more-18688

La Censura Politica dei Padroni dei Social. Basta Privilegi, Sono Editori.

12 Gennaio 2021 Pubblicato da  4 Commenti

 Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il prof, Francesco Agnoli ha pubblicato su L’Occidentale un articolo molto chiaro e completo sulla questione che stiamo vivendo in questi giorni, e cioè la censura che alcuni social media stanno esercitando nei confronti di chi non è allineato al paradigma progressista e globalità  En passant posso notare che da due o tre giorni decine di followers di Stilum Curiae su Twitter sono scomparsi. E lo stesso accade per altre voci non politicamente corrette. Buona lettura. 

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 In questi giorni negli Usa, un Paese che ha il mito della libertà di espressione, i due colossi social, Facebook-Instagram e Twitter, hanno censurato il presidente uscente Donald Trump. Non è la prima volta che succede.

In campagna elettorale il New York Post, uno dei più grandi giornali americani, aveva pubblicato alcune notizie molto gravi nei riguardi di Hunter Biden, figlio di Joe: facebook e twitter reagirono censurando lo scoop, facendo intendere si trattasse di una fake news.

Così non era: abbiamo saputo infatti, dopo le elezioni, che la notizia era vera.

Così infatti il quotidiano Repubblica il 9 dicembre: “Hunter Biden, figlio del presidente eletto Joe Biden, è sotto indagine per presunte irregolarità o reati di natura fiscale. Biden Junior è già stato al centro di controversie e scandali, in particolare per gli affari realizzati in Ucraina e in Cina, sfruttando il ruolo del padre quando questo era il vice di Barack Obama”.

Cosa sarebbe successo se la notizia sul figlio di Biden fosse circolata prima delle elezioni presidenziali? Biden avrebbe vinto ugualmente?

Non possiamo saperlo, anche se qualcosa si può immaginare.

Ma che imprenditori privati possano censurare grandi giornali come il New York Post e il presidente americano votato quasi dalla metà degli americani, ha sollevato molti dubbi. Anche personalità di sinistra, come Massimo Cacciari, Roberto Saviano, Stefano Fassina ed altri (per restare in Italia), si sono chiesti se ciò non sia pericoloso per la libertà di opinione. La rete si è riempita di domande: perché il dittatore cinese non viene censurato, e il presidente americano sì?

Perché i social pubblicano di tutto, ma poi scendono in campo, politicamente, prima e dopo un’elezione?

Il problema giuridico è semplice. Le piattaforme social godono di un grande privilegio: non sono considerate editori come gli altri, e questo le mette al riparo da processi per diffamazione, calunnia…

Per intenderci: se il Corriere della Sera pubblica qualcosa di errato e diffamatorio contro qualcuno, questi ha il diritto di portare editore ed autore dell’articolo in tribunale. Con Facebook e Twitter no! Ma se questi colossi poi decidono cosa pubblicare e cosa no, allora diventano editori come gli altri: perché solo loro godono di impunità? Perché costoro sono legittimati a fare “politica”, senza però nessun controllo né sul loro modo di privilegiare la diffusione di certi temi rispetto ad altri né sull’uso che fanno dei dati che raccolgono sui singoli cittadini? Ancora: è opportuno un regime di quasi monopolio, quale che sia il comportamento dei monopolisti?

Anche Davide Casaleggio ha espresso la sua perplessità: “Fino ad oggi Facebook, come molti altri social network, si è qualificata come piattaforma software indipendente, ma oggi forse dovrebbero qualificarsi come società editoriale prendendosi quindi la responsabilità di tutto quello che viene reso pubblico e specificando in ogni occasione perché un post è tollerato e un altro no. Se Putin o Xi Jinping dovessero fare dichiarazioni contro gli interessi statunitensi o quelli del social media, sarà Zuckerberg a decidere se è il caso di censurarli?”.

La questione era dibattuta ben prima della vicenda Trump – sia per motivi fiscali (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/14/le-tasse-pagate-in-italia-dai-giganti-web-amazon-11-milioni-di-euro-google-57-milioni-facebook-23-mln-netflix-6-mila-euro/5965917/), sia perché perché tra i giganti della Silicon Valley c’è chi, per entrare nel mercato cinese, si è piegato ad assecondare e facilitare la censura di Pechino a danni dei suoi cittadini, dimostrando così più attenzione ai guadagni che al resto – ma gli ultimi fatti hanno scatenato l’ira di milioni di persone, non solo negli Usa, che si sono sentite sorvegliate, controllate, manovrate, da due giganti dagli immensi profitti e senza regole.

Un giornalista italiano che vive in Florida, con un grande seguito tra gli italiani interessati alle vicende politiche e tecnologiche Usa, Roberto Mazzoni, ha invitato i suoi fans a lasciare facebook per telegram ed altri social (vedi: https://mazzoninews.com/), mentre Elon Musk ha scritto in un post di lasciare Whatsapp, di proprietà di Facebook, per Signal (https://rumble.com/vcm2f1-9-1-2021-perch-abbandonare-whatsapp-e-passare-a-signal-mn-75a-ripubblicato.html).

In generale, in questi giorni, in tutto il mondo molti stanno abbandonando Facebook, Instagram, youtube ecc. per Telegram, Parler, MeWe, Rumble… Tanto che questi mezzi, meno conosciuti, sono andati in sovraccarico.

E’ una “battaglia per la libertà”, dicono i critici di Mark Elliot Zuckerberg e Jack Dorsey.

Vedremo cosa succederà: può darsi che un maggior pluralismo nei social media possa giovare a tutti, ed evitare che singoli cittadini che possono “controllare” a loro piacimento una marea di notizie, possano influenzare troppo politica ed economia.

E’ un’altra faccia, se vogliamo, delle critiche ad Amazon, il negozio mondiale di Jeff Bezos, che, per il suo strapotere, fa paura a molti.

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Benedetta De Vito Smaschera il Pifferaio di Hamelin e i Pifferai di oggi…

12 Gennaio 2021 Pubblicato da  2 Commenti

 Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum curiae, vi invito a leggere con l’attenzione che merita questo spumeggiante articolo di Benedetta De Vito sui pifferai di ieri e soprattutto di oggi, e sui pericoli che il loro suono accattivante nasconde. Buona lettura.

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Le mie scorribande letterarie mi hanno sempre portato a scoprire scrittori e scrittrici di rango, dalla penna d’oro, spesso dimenticati dalla grande onda della cultura progressista. Spaziavo, in primavera di germoglio, scoprendo fiori profumati che riempivano i miei pezzi e che mi insegnavano a scrivere, indicandomi la via per uno stile tutto mio. Per l’esame da professionista ho scritto “I gatti di Gasparo Gozzi e le patate di Giampiero Talamini”, un piccolo saggio nato dall’incontro mio con il divertentissimo scrittore veneziano (che in pochi conoscono e che vi invito ad assaggiare) e il cadorino (dimenticato) che fondò il Gazzettino. Il primo racconta, con stile prelibato, dei gatti di Venezia, il secondo delle patate che, in tempo di guerra, stipava al giornale e distribuiva agli affamati. Va bene, arrivo all’osso, e basta girare in danza intorno come una falena. E l’osso duro è che, nei miei viaggi letterari, ho incontrato una scrittrice inglese davvero di prim’ordine eppure lasciata in un canto. In arte si chiama Mrs. Molesworth e ha scritto deliziosi libri per bambini (buoni anche per un palato adulto come Peter Pan) e storie di fantasmi raffinate, alla Henry James. E tra tutti uno che parla del Pifferaio magico.

Lo incontrò, lei bambina, il pifferaio magico e, ne ebbe paura. Per poi scoprire che il suo babau era soltanto un simpatico musicista di strada. Non così quello raccontato dai Grimm che si ispirano, pare, a una storia davvero accaduta (e misteriosa) a Hamelin in Germania. Non stupisce che la figura del pifferaio incantasse il gesuita Athanasius Kircher che, si dice, abbia inventato la lanterna magica…

Ed eccomi arrivata all’osso di questo breve articolo e al protagonista, anzi al villain: il pifferaio di Hamelin. Come ricorderete, per aver di certo letto la breve storia raccontata dai fratelli Grimm. il pifferaio magico, giunto in un villaggio pieno di topi, lo libera, chiedendo in cambio, d’accordo con le autorità, un mucchio d’oro.  Liberato il paesino dai ratti, il pifferaio (che par buono e non lo è) passa all’incasso. Al diniego ricevuto, dando fiato al suo piffero malefico, ipnotizza tutti i bambini del paese, dai quattro anni in su, che, danzando e ridendo, lo seguono per essere poi inghiotti da una roccia senza porta di una montagna nei dintorni del paese.  Che, scrivono i Grimm, si chiama Poppenberg. Solo tre ragazzini si salvarono: un muto, un cieco e un terzo che era tornato di corsa a casa a prendere la giacchetta. Di questi tre redivivi avrei da dire ma la finisco qui.

Ed ecco come descrivono i Grimm il pifferaio quando torna per vendicarsi: “vestito da cacciatore, con un volto terribile e con uno strano cappello rosso in testa”. Un cappello, immagino io, a cresta di gallo, forse, come s’usava nel Medioevo mettere in capo al Demonio. E che poi è il copricapo dei Jolly delle carte da gioco e poi di Jocker. Nella stupenda basilica di Farfa, benedettina, nell’affresco sul fondo della Chiesa, dove si raffigura l’inferno, il diavolo è un grande, spaventoso gallo. Il gallo che sembrò cantare, gioioso, quando San Pietro rinnegò il Signore per ben tre volte…

Il cerchio si stringe ed ecco i ragazzini, risucchiati dal magico suono, rapiti e scomparsi. I due volti del Demonio, dunque, che, per tentarci, mostra sempre il volto roseo della mela (porta via i topi) e non quello marcio che non si vede (porta via i bambini). Ancora adesso, e mi par di vederci giusto, il pifferaio magico di Hamelin si porta via la nostra gioventù, ipnotizzandola non con un rozzo flauto, ma con le sue armi stregate che sono scientifiche, virtuali, informatiche e chi ha altri aggettivi per dir bene li usi.

Le note del piffero sono le serie tv di Netflix, i videogames, i like di Instagram e così via. L’istruzione a distanza, che è, secondo me, un male a tutto tondo perché i ragazzi hanno bisogno del cuore e dell’anima di chi insegna e non solo di una figurina piatta su uno schermo, abitua i ragazzi a star ore e ore davanti a un video (che porta via i topi dell’ignoranza), pendendo per così dire dalle sue labbra virtuali. I frutti vengono poi quando il pifferaio, smesso il sorriso e i panni bicolori (cioè allegri) torna in forma di cacciatore e di lusinga, con il suo cappellaccio color sangue e a volte sono davvero dolori.

Ho pensato al pifferaio ascoltando le imprese (e i successi) telematiche della graziosa nipotina di una amica che, su internet, vende menzogne al chilo, guadagnando sulle bugie e in esse involtolandosi finché un giorno il pifferaio magico tornerà, chiedendole   il conto. Ho pensato al pifferaio magico quando vedo mio figlio trascorrer delle ore a combattere contro mostri che vivono nel computer e prender un voto basso agli esami per colpa di quei tiranni virtuali…

Ho pensato al pifferaio magico, che respira sotto l’arcobaleno di Satana, leggendo della tragedia del bimbo napoletano che si è buttato dalla finestra, inseguendo i consigli di un perfido personaggio incontrato, così sembra, su internet, il cui nome somiglia molto al termine inglese per dire arcobaleno e che, a guardarlo, è simpatico e inquietante insieme. Il quale, lo immagino, gli indicò l’arcobaleno fuori dalla finestra, come un ponte su cui camminare. Il volto ridente nasconde quello perfido. Come il clown It. Come il pifferaio magico dei fratelli Grimm. E mentre concludo questo breve scritto che invita noi adulti a vigilare sui nostri ragazzi che, nel mondo senza Dio, sono facili prede, mio marito mi informa che, nell’ultimo mese, nella derelitta Roma del lockdown e dell’abbandono, molti ragazzini hanno tentato di uccidersi, inseguendo, di certo, il loro personale pifferaio magico….

Se si aggiunge che nel 2021 gli aborti, in tutto il mondo, sono stati 42 milioni, così leggo sulle statistiche, ci si chiede dove andremo a finire con la moltiplicazione dei pifferai magici, i quali abitano internet e il mondo reale  in allegra, malefica libertà. Siamo noi adulti, con la preghiera e la vigilanza, i chiamati a proteggere i nostri figli dai suoi attacchi, ma dobbiamo toglierci la benda e armarci della santa armatura che ci potrà imprestare solamente San Michele Arcangelo…


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