Un articolo di Jeffrey Mirus sulla promozione della fraternità universale di Papa francesco, pubblicato su Catholic Culture. Eccolo nella mia traduzione.
Un video di promozione della fraternità universale, pubblicato dal Vaticano sull’account Twitter di Papa Francesco (Pontifex), ha sollevato più di qualche perplessità. Poiché il video continua l’enfasi ormai comune di Papa Francesco sul rispetto reciproco e sulla carità tra le persone di tutte le religioni, il video ha suscitato nuove discussioni sul crescente problema dell’universalismo, o sull’idea che ci siano molte strade verso Dio, e tutte siano valide.
Così, ad esempio, il Papa afferma nel video che:
La Chiesa valorizza l’azione di Dio nelle altre religioni, senza dimenticare che per noi cristiani, la fonte della dignità umana e della fraternità, è il Vangelo di Gesù Cristo.
La difficoltà è che affermazioni come questa sollevano questioni che richiedono chiarimenti se non devono essere accolte come errori. Certamente Dio agisce in persone di altre religioni; agisce ovunque. Ma riferirsi all’azione di Dio nelle altre religioni tende a suggerire che queste “altre religioni” (qualunque esse siano) siano attivamente volute da Dio, piuttosto che solo permissivamente volute. Papa Francesco ha introdotto una notevole confusione in questa discussione negli ultimi due anni: nella sua dichiarazione congiunta su “Fraternità umana per la pace nel mondo e vivere insieme” firmata insieme al Grande Imam di Al-Azhar; nella sua ultima enciclica Fratelli Tutti, che aveva ben poco da dire che fosse in modo inconfondibile cristiano; e in questo video che promuove la sua intenzione di preghiera “Al servizio della fraternità umana”.
Coloro che sono su ogni parte di questa delicata questione, dovrebbero riconoscere che, come minimo, un numero enorme di coloro che si identificano come cristiani nell’Occidente moderno pone poca o nessuna enfasi sulla superiorità intrinseca della Fede in Gesù Cristo rispetto alle altre disposizioni religiose. La Fede cristiana di molti è ormai così debole, e il valore salvifico che essi attribuiscono al cristianesimo è così attenuato, che un numero enorme di persone non sarebbe nemmeno d’accordo con l’affermazione marginale di Papa Francesco citata sopra. Dico “marginale”, perché la sua validità dipende in modo significativo da come interpretiamo la frase “per noi cristiani”. Questo significa che il Vangelo non è la fonte della dignità umana e della fraternità per tutti, che lo sappiano o no (il che è falso)? O significa semplicemente che i cristiani “riconoscono” che è così (il che è vero, almeno nella misura in cui sono veri cristiani)?
Reintrodurre la missione
Si può (e si deve, naturalmente) interpretare tutto ciò che Papa Francesco dice in senso pienamente ortodosso. Raramente egli offre affermazioni esaurienti, scegliendo piuttosto di evidenziare qualunque aspetto della realtà gli venga in mente al momento. Quando ci pensiamo, non può essere sbagliato che il Papa affermi che “ciò che è essenziale per la nostra fede è l’adorazione di Dio e l’amore per il prossimo”. Dopotutto, questi due punti sono tratti direttamente dai due grandi comandamenti che Cristo ha esplicitamente sottolineato rispondendo a una domanda di un dottore della legge:
«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».”. [Mt 22,36-40]
Di conseguenza, dobbiamo temperare le reazioni negative. Ma dire che queste sono essenziali non significa esaurire la nostra comprensione dell’essenziale. Non è sbagliato sottolineare che Cristo ha dato compimento alla legge ebraica in una missione divina di amore e di conversione verso il mondo intero, non solo verso gli ebrei, e certamente non solo verso coloro che sono già almeno nominalmente cristiani. Questo è, credo, un modo migliore per evidenziare ciò che dovrebbe essere al centro della nostra preoccupazione riguardo un’enfasi eccessiva sul bene che si trova in tutte le religioni.
Dopo tutto, sappiamo dalla Divina Rivelazione che, a parte l’ebraismo e il cristianesimo, tutte le altre religioni sono invenzioni umane. Questa origine umana limita la bontà che possiamo ragionevolmente attribuire loro. Ai fini di questa discussione, abbiamo ragione a considerarle spiritualmente preziose nella misura in cui cercano di indirizzare il nostro culto a Dio, un profondo impulso e un obbligo che possiamo conoscere dalla natura stessa. E abbiamo ragione di considerarle fraternamente preziose nella misura in cui riconoscono ciò che tale adorazione significa per Dio come Creatore o Padre di tutti.
Purtroppo, come distinta dal cristianesimo, la moderna “fraternità” è in gran parte un concetto secolarizzato che, pur avendo origine nel cristianesimo, è stato separato dalle sue radici spirituali. Così si trasforma troppo facilmente in ideologia. Nelle sue forme moderne e popolari, diventa sempre una fraternità esclusiva per gli “eletti” secolari. Per i casi in questione, dovremmo considerare la storia dei movimenti che hanno enfatizzato la fraternità nel periodo moderno, a partire, diciamo, dal 1789 circa. Ciò che questo dovrebbe insegnarci è che la fraternità è un concetto molto pericoloso se non è saldamente radicata in Gesù Cristo.
Queste riflessioni inquadrano la questione. Sensibili alle divisioni apparentemente intrattabili del mondo in più religioni, come si fa a formare una comprensione cristiana di quello che, dopo tutto, è anche un concetto umano naturale? Oppure, dal punto di vista di ciò che oggi manca, con quale diritto reintrodurre lo spirito missionario nel nostro cristianesimo, quando farlo è spesso visto proprio come una violazione di una vera fraternità naturalmente compresa?
Una descrizione evangelica della differenza religiosa
Credo che Nostro Signore ci dia la risposta nella sua discussione con la samaritana al pozzo. Ecco il resoconto:
Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».. [Gv 4,19-26]
Il problema fondamentale delle altre religioni – che sono tutte di origine umana – è che, anche se per certi versi hanno evitato di essere deviate da errori umani e da influenze diaboliche, si può comunque dire di tutti i loro aderenti: “Voi adorate ciò che non conoscete”.
Lo spirito missionario del cristianesimo nasce da questo semplice fatto, che i cristiani conoscono Dio, e lo conoscono personalmente, attraverso la sua piena rivelazione di sé in Gesù Cristo. Questa è l’essenza di quella che chiamiamo la Buona Novella, e non dobbiamo mai lasciare che la familiarità con essa faccia nascere in noi il disprezzo di rifiutarci di farne tesoro nei nostri cuori, anzi, la amiamo così profondamente, che desideriamo soprattutto condividerla con gli altri in ogni occasione possibile. Inoltre, se un pensiero o un’affermazione dovesse per un momento smorzare questa consapevolezza, dobbiamo fare molta attenzione a riaccenderla non appena ci rendiamo conto che della sua mancanza: Noi cattolici sappiamo quello che veneriamo, e lo veneriamo in spirito e verità.
L’elargizione di doni richiede prudenza, naturalmente. La missione autentica comprende sempre la consapevolezza di sé e il rispetto per l’altro. Ma chi si dimentica di questa priorità dell’amore autentico è come una persona che, in mezzo alle tenebre, copre o nasconde la sua lampada affinché gli altri non vedano la luce. Questo detto del Signore è raccontato nei primi tre vangeli (Mt 5,15; Mc 4,21; Lc 11,33), mentre Giovanni cita Nostro Signore dicendo: “Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
Dobbiamo essere reticenti su questo?
Una nuova prospettiva
Cristo è la perla di grande valore; non c’è atto d’amore più grande che condividere il suo Vangelo con chi non lo conosce. E per non dimenticare l’importanza della luce che portiamo in Cristo, Nostro Signore ce lo ha imposto come un dovere: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.” (Mt 28, 19-20). Possiamo garantire che questo compito rientra nell’arte del possibile, ma non dobbiamo pensarlo come un peso, né per noi stessi né per coloro ai quali annunciamo la Buona Novella.
In ogni caso, rimane un dovere diffondere la notizia della salvezza. Il cardinale Giacomo Biffi di Bologna (1928-2015) lo ha espresso molto bene all’alba del nostro millennio:
È un preciso ordine del Signore, e non ammette alcun tipo di esenzione. Non ci ha detto: Predicate il Vangelo a tutte le creature, eccetto che per i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama.
E perché lo sappiate, questo sacro dovere e questa sacra fiducia è stata insegnata ancora una volta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2007, per ordine di papa Benedetto XVI: Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione.
In ogni modo, impegniamoci nello sforzo di promuovere la fraternità umana. Ma ricordiamo anche che la sua fonte definitiva si trova nel Vangelo di Gesù Cristo. Se qualcuno sembra dimenticare o sottovalutare questa fonte divina e questo stupendo dono, riflettiamo abbastanza profondamente per aprire nuove prospettive sull’indispensabilità cosmica della missione cattolica.
Jeffrey Mirus ha conseguito un dottorato di ricerca in storia dell’intelletto presso la prestigiosa Università di Princeton. Co-fondatore del Christendom College, è stato anche pioniere dei servizi Internet cattolici. È il fondatore di Trinity Communications e CatholicCulture.org.
Di Sabino Paciolla
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