ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 28 febbraio 2021

Che la mano del Signore si posi su Roma e sull’Italia intera

Benedetta De Vito Ricorda il Mattino in cui Roma fu Senza Papa…

 Carissimi Stilumcuriali, le recenti polemiche seguite all’articolo di Aldo Maria Valli su Roma senza Pietro hanno mosso Benedetta De Vito a un ricordo e a una riflessione su quell’11 febbraio di otto anni fa. Buona lettura…

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C’era un bel sole, alto, a medaglia, una spilla preziosa nel cielo azzurro come un lenzuolo ben teso, c’era nell’aria il frescolino di febbraio e c’era la verdura sul fuoco, che si cucinava in gran sbuffi di vapore, e c’ero io che, quel mattino dell’11 febbraio, presa da nulla, aspettavo, mi pare, una telefonata dalla Sardegna. D’un tratto, così, tanto per fare, ma forse fu una premonizione, accesi la televisione. Quello che accadde lo sapete tutti quanti e non lo racconto per non rinnovare il dolore che provai nei pochi secondi in cui passai dallo sbalordimento al pianto. Spento il fuoco sul fornello, indossato al volo un cappottino, scesi le scale del palazzo dove abito, in un vortice, poi a precipizio su Via dei Serpenti e a mio marito, che prendeva il caffè al bar con un amico, ruscellai, senza esitazione, la notizia. Non mi credette dapprima, poi, si fece di pietra e anche rosso, colorato.

Era vero: Roma era senza Papa. E ora d’un balzo, presto salite con me nella macchina del tempo ed eccoci alla sera in cui fu eletto il nuovo Papa. Ricordo che lo vidi emergere come dal buio e prorompere in uno stonato “Buonasera”. Ricordo che disse di venire dalla “fine del mondo”. Un tremito. E ricordo che io, girandomi verso mio marito, gli dissi solamente: “Io ho paura”. E dentro di me sentivo la mia anima devota, una bimba e niente più, rabbrividire. Roma, desolata, già da quel primo momento, era, lo sentivo, senza Papa.

Ed eccoci all’oggi, nella desolata Roma ancora, dopo molti anni, senza Papa. E’ una Roma triste, spenta, lasciata anche in disordine da un sindaco, ops una sindaca, che ho visto alla Santa Messa per la Salus Populi Romani, a Santa Maria Maggiore, una sindaca fatta statua di sale. Oppure marionetta. Era sì lì, in piedi, rigida in prima fila eppure sembrava esserci come per caso, senza un segno della Croce, senza inginocchiarsi, senza mai mostrare uno spicciolo di devozione anche composta. Un automa, scortato da chi la guidava ora a mettersi seduta ora ad alzarsi ora a seguire la processione d’oro fino alla Cappella dell’icona dipinta da San Luca. Un sindaco sbiadito, una turista per caso, che non avevo mai visto così da vicino. Sì, mi ricordava nella malagrazia del movimento la moglie di Braccio di Ferro. Eppure ha portato i fiori alla Madonnina, è rimasta l’intera messa, non ha mai voltato il capo indietro. Ma, sì, ecco, c’era e non c’era… Roma, senza sindaco. Roma senza Papa.

Non vorrei fare questioni più grandi di me, che teologa non sono, ma vorrei soltanto dire, da fedele semplice e devota, che ogni volta che vedo e sento il Pontefice regnante – o meglio quando lo vedo e lo sente la mia anima bambina – mi viene un gran freddo dentro e le parole mozze. Il cuore si macchia di angoscia e non mi sento punto consolata dalle sue parole né dalla sua presenza. Né, tantomeno, confermata nella fede.

Mi viene in soccorso un amico dando sugo e sostanza al mio vago periodare. “Qualunque fedele ha una a specie di istinto soprannaturale, interiore, che lo guida e aiuta a discernere le questioni dottrinali e morali. E’ il Sensus Fidei.  Mancheranno le citazioni dotte e i ragionamenti sottili, però c’è un istinto sufficiente per distinguere il Vero dal Falso e il Bene dal Male”. E conclude con una citazione dal Vangelo di San Giovanni, capitolo 10, che parla del vero Pastore, il quale “cammina innanzi a loro e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. Gesù parlò così e i discepoli non lo capirono…

Avanti e ancora. Mi pare, poi, che il Papa, negli abiti suoi, abbia sempre un aspetto goffo, poco elegante e che porti con difficoltà i panni sacri che gli spettano.  E che ci si senta, come affogato dentro, in un sovrannumero di coltri che vorrebbe tirarsi via in un sol colpo. Il suo volto, spesso corrucciato, emerge come da uno strazio fatto stoffa. E non c’è sorriso nei suoi occhi. La mia piccola anima bambina ha un sussulto perché l’immagine, la voce e tutto insomma appare come scocciato, in trambusto interiore, in agonia, non raggiante di luce e di sole, nella verità che è una sola.  La bimba mia, interiore, la mia anima ferita perché alla parola Papa non segue la figura,  si gira dall’altra parte e mi dice: “Spegni la tv” oppure “Volta lo sguardo”.  E io le ubbidisco, perché lei è molto ma molto più sapiente di me e vive sempre tra le dolci braccia del Signore.

Così per consolarla e per consolare me con lei, il pensiero, in veste di nostalgia, corre a Benedetto XVI e a quando un giorno, disse, il sole acceso in gloria  di Piazza San Pietro, vestito da Papa, splendente nei suoi abiti eleganti – un Papa e un papà insieme – che desiderava solo fare la volontà di Dio. Il cuore palpita al ricordo e si scalda il gelo che lascia addosso l’altro. Ricordo il sorriso del mio Benni, dolce Cristo in terra, che sapeva commuovere con nulla. E a volte quando la Roma senza Papa morde, desolata, accendo il computer e volo, nelle immagini di repertorio, a Monaco di Baviera, quando Papa era il bavarese Ratzinger e nella Marienplatz, la piazza principale, insieme a lui (che nelle labbra ridenti e timide ha musica e parole) ascolto l’inno nazionale della Baviera, parole alate che riempiono di allegrezza il cuore.

“Dio sia con te, Terra di Baviera, suolo tedesco, Patria! Sulla tua ampia area posi la benedetta mano!”.

E prego che la mano del Signore si posi su Roma e sull’Italia intera e, sotto il manto di Maria, ci venga dato un Papa che ci conforti, ci guidi e confermi nella Fede.

Marco Tosatti

28 Febbraio 2021 Pubblicato da  23 Commenti

https://www.marcotosatti.com/2021/02/28/benedetta-de-vito-ricorda-il-mattino-in-cui-roma-fu-senza-papa/ 

Benedetto XVI, a otto anni dalla fine del pontificato


“Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora cominciato
”. Il Papa emerito Benedetto XVI ha consegnato questa frase al suo biografo Peter Seewald, ed è una frase che mi fa riflettere. In particolare oggi. Perché un giorno come oggi, otto anni fa, il portone del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo si chiudeva, chiudendo così, in maniera simbolica, ma silenziosa, il grande pontificato di Benedetto XVI.

La vera domanda, otto anni dopo la fine del Pontificato di Benedetto XVI, è cosa abbiamo lasciato dietro quel portone otto anni fa. Perché un pontificato nuovo è arrivato, con tutto quello che ne consegue. È arrivato in un momento traumatico, come la prima rinuncia di un pontefice nella storia moderna. Ed è arrivato però con l’idea di guarire dal trauma in maniera netta. Come se avessimo avuto un graffio sul cuore, e non avessimo trovato niente di meglio di sostituire direttamente il cuore, invece di guarirlo.

Da tempo sottolineo che il pontificato di Benedetto XVI ha in sé un vero e proprio magistero nascosto. Ma non è stato nascosto perché il Papa emerito lo ha tenuto segreto. È nascosto perché è stato dimenticato, perché è stato messo sotto silenzio. Come se fosse ostacolo a quello che sarebbe dovuto venire dopo. Come se niente, di quello che ha detto Benedetto XVI, potesse avere un valore nel nuovo mondo.

Non è un problema di poco conto. Questa cancel culture interna alla stessa Chiesa cattolica si vede in tanti piccoli gesti, in tanti articoli in cui si magnificano come “nuove” o “sorprendenti” cose che in realtà erano già presenti nella vita della Chiesa. Forse declinate diversamente, ma presenti.

Un esempio su tutti: il tema della demondanizzazione. Perché la questione di una Chiesa meno mondana è stata l’ultima grande questione sollevata da Benedetto XVI, in un dibattito che è cominciato con il suo viaggio in Germania del 2011 e che poi è stata sviluppata in moltissimi discorsi. Era un tema centrale, per Benedetto XVI, che voleva prima di tutto una Chiesa meno attaccata alle strutture, una Chiesa che avesse prima di tutto un motore spirituale.

Va letto in questo senso l’amaro “discorso alla luna” dell’11 ottobre 2012, cinquanta anni dopo quelle di Giovanni XXIII.  “Anche oggi siamo felici – aveva detto Benedetto XVI - portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile. In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania. Abbiamo visto che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato».”

Ma va letto in questo senso anche l’intervento a braccio al clero romano avvenuto il 14 febbraio 2013, tre giorni dopo aver annunciato la riforma, quando il Papa emerito denunciò con forza la presenza di un “concilio dei media” e un “concilio reale”.

Parole profetiche, se applicate al suo pontificato, che andrebbe studiato, compreso, analizzato. È in questo che i media hanno fallito.

Non lo hanno fatto da soli, beninteso. La stessa Chiesa ha deciso di chiamare in modo nuovo tutte le cose, come se con un tratto di penna si potesse cancellare tutto. Ci sono esempi pratici: l’11esimo Forum Internazionale dei Giovani viene definito il primo Forum dopo il Sinodo sui giovani, l’Autorità di Informazione Finanziaria stabilita da Benedetto XVI diventa l’Autorità di Sorveglianza e Informazione Finanziaria e l’anno prossimo pubblicherà quello che sarà il primo rapporto annuale in con questo nome, ma non il primo rapporto in assoluto. E poi, gli esempi simbolici, come la storia della vigna di Benedetto XVI a Castel Gandolfo, ma anche il fatto che la stessa Residenza Pontificia sia oggi un Museo, non usata più dal Papa. E poi, gli esempi narrativi, come la quasi completa dimenticanza di tutto ciò che ci sia stato prima nella Chiesa, incluso l’insegnamento di Giovanni Paolo II.

Eppure, noi giornalisti che scriviamo di cose religiose dovremmo sapere che non c’è un’ora senza un prima, e che niente potrebbe essere fatto senza che ci siano state solide fondamenta prima. Di fronte al trauma della Chiesa, che a volte sembra aver cancellato con un tratto di penna il vissuto come un innamorato abbandonato, i giornalisti avrebbero dovuto evitare di cedere a quella narrativa, di non guardare necessariamente alla novità. Perché l’informazione religiosa non è fatta di notizie nel senso vero del termine. È fatta di storie e di storia, e quello che fa davvero informazione religiosa è quello che comprende cosa c’è stato prima, che sa mettere tutto in una logica, che sa non entusiasmarsi ma analizzare, non esaltare, ma raccontare.

Ci vorrebbe un mea culpa, ad otto anni dalla rinuncia di Benedetto XVI, perché, in fondo, dietro quella porta buona parte di noi giornalisti ha messo tra parentesi un lavoro di otto anni. Sono stati cancellati contatti, sono stati dimenticati gli articoli, tutto è stato messo da parte. O prima non ci si credeva, oppure non si è capaci di ricordare. O prima non era evidente, oppure semplicemente questo non si vuole vedere.

Eppure, basterebbe guardare di nuovo all’insegnamento di Benedetto XVI, e guardare anche al modo in cui comunicava, per comprendere che tutto questo modo di ragionare è sbagliato. Benedetto XVI aveva un impatto perché non parlava per slogan, ma dava sostanza a quello che diceva. Ci credeva Anche la cosa più semplice, era in realtà ben meditata. Tutto aveva una profondità, e tutto era arricchito dalla dimensione della fede.

Ma siamo in grado oggi di leggere e raccontare la fede? Siamo in grado di andare al di là delle cose penultime? Perché quella porta che si chiudeva dietro lo svizzero, mentre Benedetto XVI era già scomparso alla vista dei fedeli, sembra aver davvero chiuso un mondo. Ma non ha mai fatto iniziare il nuovo mondo.

Con Benedetto XVI, se ne è andato anche il tentativo di guardare alla Chiesa al di là delle polarizzazioni, ma piuttosto attraverso quello che aveva da dire. Se ne è andato anche un modo di pensare, di ragionare. Se ne è andato perché noi lo abbiamo lasciato andare via.

In molti si lamentano della rinuncia di Benedetto XVI, oggi. Ma forse si tratta solo di una scusa. Semplicemente, Benedetto XVI dava una ragione per andare oltre. Senza di lui, non si riesce a stare al passo della storia. Così, si attacca chi è stato un punto di riferimento vivo, per giustificare un ritorno sui propri passi che sarebbe altrimenti ingiustificabile.

https://vaticanreporting.blogspot.com/2021/02/benedetto-xvi-otto-anni-dalla-fine-del.html

1 commento:

  1. ESCLUSIVO: CONSIGLIO DI PADRE PIO A UNA FIGLIA SPIRITUALE PER QUESTI TEMPI DI APOSTASIA

    «Quando arriveranno quei tempi RICORDATI:
    Preghiera del mattino e della sera, Santo Rosario, Sacramenti, Catechismo di San Pio X, studia la Vita dei Santi e fate tutto nella fede dei nostri padri.
    Fate tutto nella fede dei nostri padri. Nella fede dei nostri padri. NELLA FEDE DEI NOSTRI PADRI E NON ASCOLTATE PIÙ NESSUNO».

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