IL RITORNO AL "VERO AMORE"
Noi oggi disponiamo di una sola parola, amore, per definire una molteplicità di istinti e sentimenti d’affetto, laddove i greci ne avevano almeno tre: eros, l’amore di passione; philia, l’amore di amicizia; e agapè, l’amore spirituale. E poiché l’uomo pensa secondo le parole che adopera, la nostra cultura subisce il grave inconveniente di mescolare due cose che pur non essendo necessariamente diverse e opposte, sono tuttavia, nel migliore dei casi, complementari, e anzi propedeutiche l’una all’altra, e possono anche essere e rimanere nettamente separate: l’attrazione sensuale, ovvero l’istinto della riproduzione, che si maschera dietro la tempesta degli ormoni, e l’elezione profonda, invincibile, indissolubile, che spinge un’anima a cercarne un’altra, non una qualsiasi, ma quella e proprio quella fra tutte le altre, e a sentirsi legata a lei per sempre, nella buona e nella cattiva sorte, nella vita e nella morte, e anche oltre la morte.
Quest’ultima espressione non è, per un credente, vuota retorica da poeti dozzinali: è la certezza che l’amore trionfa su tutto, e che alla fine due anime che si sono profondamente amate in questa vita terrena, si ritroveranno, a Dio piacendo, nell’eternità, dove nulla del loro reciproco amore andrà perduto, ma tutto sarà salvato per sempre, anche il gesto più piccolo, anche un semplice sguardo, e al tempo stesso trasportato ed innalzato in una dimensione luminosa, incorruttibile, simile a quella degli Angeli, che sono puri spiriti. È la promessa di Gesù Cristo: Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo (Mt 22,30).
Il futuro è di chi sa veramente amare, così come il cristianesimo ci ha insegnato, non di chi sa soltanto inseguire il miraggio di un piacere fine a se stesso, sempre più sterile e sempre più distruttivo!
L’affermazione dell’amore come agapé, e più in generale il trionfo della concezione spirituale dell’amore accanto a quella istintuale e carnale, e pertanto di una concezione dell’amore come percorso di crescita e arricchimento reciproco e di maturazione interiore e affinamento dell’anima, è il grandissimo merito della visione cristiana della vita rispetto a quella pagana. Basta confrontare i poeti lirici greci e latini con i poeti cristiani, Dante e Petrarca compresi, fino all’avvento della modernità: è come passare da un mondo brutale, dominato da passioni selvagge e indomabili, dove l’io non cerca che il proprio appagamento sensuale e quasi animalesco, e si gloria e si vanta delle sue conquiste come il cacciatore si vanta della sua preda, a un mondo immensamente più ricco e delicato, dove le passioni sono state ingentilite dal rispetto per l’altro e per se stessi, e dove l’anima sa vedere la bellezza di un’altra anima, mentre prima non c’erano che un groviglio di corpi e lo spasimo effimero di una voluttà mai del tutto sazia, che tiene perennemente in suo potere le facoltà spirituali. In altre parole, quando si afferma la concezione cristiana della vita, l’anima scopre se stessa, la sua vocazione, il suo significato e il suo destino. Sa di essere chiamata a Dio e sa che l’altro, l’uomo per la donna e la donna per l’uomo, è stato posto da Dio sulla sua strada affinché quel cammino sia più dolce e meno faticoso, e le tribolazioni della vita ricevano un’adeguata consolazione. Inutile dire che questo è l’obiettivo di massima, che solo poche anime elette riescono a realizzare pienamente, o almeno ad avvicinarvisi; nondimeno ciò che conta è il nuovo modello che s’impone e che fa scuola, e in esso non c’è più posto per l’egoismo cieco e bestiale della lussuria che vuole solo trovare uno sfogo qualsiasi, indifferentemente su questo o quell’oggetto di piacere (come in quella poesia di Catullo, del sensibile e romantico Catullo, nella quale il poeta si vanta d’aver penetrato alle spalle un giovinetto, cogliendolo nel momento in cui questi stava a sua volta penetrando una fanciulla).
Finché la visione cristiana della vita è stata forte, cioè, nel caso della gente comune, fino a un paio di generazioni fa, almeno nelle campagne e nei piccoli centri, essa era ben consapevole della propria superiorità morale e dello straordinario progresso che aveva portato nelle tenebre del mondo pagano (quello del passato, degli antichi romani, ma anche quello presente, dei popoli primitivi ancora dediti al culto delle divinità pagane, come la Pachamama); poi, nel giro di pochi anni, si è sgretolata e dissolta, si è vergognata di se stessa e si è gettata corpo morto nello sforzo di rimettersi al passo coi tempi, di riguadagnare il tempo perduto nei confronti della modernità. Modernità che altro non è stata, e oggi lo si vede con particolare chiarezza, che una rinascita dell’antica cultura pagana, ovviamente in una versione rivista e corretta, basata sul rifiuto del cristianesimo e sul culto dei nuovi idoli: la scienza, il progresso, il benessere, la tecnica, o semplicemente il potere e la ricchezza.
La "Modernità" è una rinascita dell’antica cultura pagana, basata sul rifiuto del cristianesimo e sul culto dei nuovi idoli: la scienza, il progresso, il benessere, la tecnica, o semplicemente il potere e la ricchezza!
Scriveva dunque Giovanni Paoli, quando gli esponenti della cultura cattolica erano ancora ben consci della loro diversità rispetto alla cultura edonista prevalente e anziché vergognarsene ne andavano fieri, nel bel volumetto Il meraviglioso male della giovinezza (Milano, Editrice Àncora, 1958, pp. 92-94 e 95-96):
Occorre ricordare che coesistono nell’uomo, fuse e contrastanti, le due madri giudicate da Salomone, e cioè l’amore vero e totale nello spirito e l’amore falso e monco nella carne; intenti a soppiantarsi. Come l’erba del prato, anche l’uomo è sollecitato da due forze: dal sole che lo vorrebbe erigere su, e dal vento che lo vorrebbe piegare giù. Né si vuol dire che l’amore sia solo nel sole che tira su: si dice che l’amore non sta tutto nel vento che piega giù.
«La trasformazione dell’istinto sessuale in amore totale è nell’uomo la maggior vittoria dell’intelligenza e della volontà» esclama ammirato Schopenhauer pur contraddicendosi con altre sue parole. E Schiller scorge in questa trasformazione l’elemento più importante della storia, il massimo fattore della civiltà. Bene!
Ed è, aggiungo io, una benemerenza tutta cristiana. Salvo le teoriche intuizioni di Socrate e Platone, l’amore vero e totale è opera del Cristianesimo, col suo rivelare all’uomo Iddio che, come si sa, è Amore. Il passaggio è espresso ottimamente da Vinicio nel “Quo Vadis”: «Io ho sempre creduto, dice Vinicio, che l’amore non fosse altro che ardore di sensi e piacere di carne. Solo adesso comprendo come si possa amare e con i sensi e con qualcosa di più e di meglio: con tutto se stessi, in una serenità ineffabile». E poi aggiunge: «Beltà e giovinezza passano, il corpo avvizzisce e muore, ma questo amore che oggi mi domina non può morire perché non muore lo spirito da cui è scaturito».
L’amore può dunque cominciare con gli occhi, come dice Shakespeare, o con la carne, come dice san Bernardo; ma, al contrario di ciò che dice Shakespeare, non può, se vero amore, morire negli occhi: deve perfezionarsi nello spirito, come dice san Bernardo. Se fosse vero ciò che dice Shakespeare, l’uomo dovrebbe essere soltanto occhi, soltanto sensi, proprio come le bestie – siamo sempre lì. Ma l’uomo è innanzitutto intelligenza e libertà, e dunque ogni “amore” suo ha da superare l’istinto delle bestie. (…)
Farsi un’anima grande per albergarvi il grande amore: allora l’amore la ingrandirà ulteriormente. Sono le anime grandi che l’amore viene ad ingrandire, dice Schiller nel “Don Carlos”, mentre le piccole rattrappisce. L’anima grande cerca necessariamente un oggetto altrettanto grande al proprio amore, e così sono due grandezze che s’incontrano, si scambiano, si assommano, con il Signore che soffia sotto per fonderle con infinita voluttà.
«L’uomo si perfeziona o si deteriora in rapporto all’oggetto che ama» dice Spinoza nel suo “Trattato teologico-politico”, capo IV. L’uomo VALE, anzi, per quello che pensa e che ama, null’altro essendo la grandezza umana che pensiero e amore.
E quanto più l’amore si impregna di intelligenza e di libertà, sia pure per via di fantasmi, tanto più esso s’ingrandisce s’intensifica, pur senza nulla togliere ai sensi e al cuore. Dio, che è infinita intelligenza, proprio per questo è infinito Amore, e Dante ha custodito il grande amore per Beatrice con lo studio della filosofia, come dice nel “Convivio”.
San Tommaso poi, il teologo di Dante, trattando dell’amore di Maria e Giuseppe scrive parole che Fogazzaro poi abuserà per giustificare i suoi “sottili fornicamenti”: «Gli astri, dice il santo, si congiungono non con il corpo ma con la luce, le palme si accoppiano non con le radici ma con le cime». La luce, la cima dell’uomo sono la intelligenza messa dalla volontà a servizio dell’amore, ed è solo così che tutto l’uomo va a servizio dell’amore.
Il Cristiano ha la certezza che l’amore trionferà su tutto!
Il capovolgimento della morale sessuale e la regressione a un pansessualismo neopagano di ritorno, immensamente agevolata dal pansessualismo di matrice freudiana, con la sua pretenziosa veste pseudo-scientifica, ha investito dapprima le classi dirigenti (esattamente al contrario di quel che era accaduto con la diffusione del cristianesimo, che è partita dagli strati sociali più umili) e, per quanto sbandierata attraverso la poesia e le arti figurative, non era giunta a intaccare la vita del popolo, per la semplice ragione che il popolo non contava nulla e non certo ad esso si rivolgevano i poeti e gli artisti (sempre in stridente contrasto col Medioevo, quando proprio al popolo s’indirizzavano, anonime, le opere dei grandi artisti, come i costruttori e i decoratori delle cattedrali). Perciò, anche se la licenza sessuale fa la sua comparsa sfacciata già nelle novelle del Decameron, alla fine del Medioevo, e al tempo stesso Boccaccio si prende il gusto di sbeffeggiare senza pietà i contadini, che formavano il novanta per cento della popolazione, e anche se due secoli dopo Pietro Aretino tiene a battesimo, compiaciuta, una musa apertamente pornografica, il danno recato alla morale della gente comune fu lieve, perché la gente comune continuava a vedere il matrimonio e la famiglia come il naturale coronamento del desiderio dell’uomo verso la donna e della donna verso l’uomo, e a considerare l’impulso sessuale cieco e disordinato come una tentazione e un serio pericolo per l’ordine sociale. Non che nel popolo prevalesse la santità e nelle classi abbienti il vizio; ma il popolo non faceva confusioni di principio fra la sana vita sessuale e la ricerca del piacere fine a se stesso, mentre nelle classi abbienti tale confusione avveniva, era oggetto di curiosità maliziosa e di più o meno velata ammirazione. Casanova che penetra nei conventi per sedurre le monache era visto come un eroe in molti ambienti altolocati, mentre fra la gente del popolo avrebbe suscitato sdegno e disprezzo.
Un po’ alla volta, però, i pessimi esempi provenienti dall’alto, sia a livello letterario e artistico, sia nella sfera della vita pratica, cominciarono a diffondersi anche al di fuori delle classi dirigenti dell’ancién regime, specie in quella emergente, la borghesia. Come nella fase decadente dell’antica Roma, le pratiche contraccettive e l’aborto divennero frequenti e inevitabilmente iniziarono a fare scuola anche nel resto del tessuto sociale. Ma quel che ruppe la diga della morale sessuale di origine cristiana fu, più che l’illuminismo coi suoi pomposi philosphes, coi suoi Diderot che descrivono gli amori saffici delle monache e i suoi De Sade che si abbandonano al delirio del sadismo, dell’incesto, della sodomia, fu la Rivoluzione industriale. Essa sradicò letteralmente milioni e milioni di contadini dalle campagne per gettarli allo sbaraglio nei quartieri degradati delle periferie urbane; ruppe il nucleo delle famiglia rurali e le disperse ai quattro venti, trasformando i contadini in operai meccanici e le contadine in operaie tessili; le nuove famiglie, più piccole, senza radici, senza riferimenti, senza più i valori tradizionali, andarono alla deriva nel gran mare fangoso delle metropoli; molte ragazze presero la via della prostituzione per arrotondare il miserrimo salario, molti uomini divennero alcolisti cronici; la figura autorevole del vecchio patriarca, carico di nipoti e di saggezza, svanì nelle nebbie del passato, così come scomparve la figura del curato del villaggio, che conosceva una per una le sue pecorelle e oltre a curare la salute delle loro anime dispensava consigli, ricomponeva contrasti, rappacificava eredi litigiosi sulla tomba dei genitori. Adesso ognuno doveva pensare a se stesso; e la ragazza di campagna, venuta a servire nella casa dei signori, rimasta incinta da uno dei giovani rampolli, imparava le arti dell’aborto clandestino e poi quelle, ancor più utili, della contraccezione. La rivoluzione era compiuta: l’amore era visto nuovamente come sregolamento passionale e ricerca del piacere sensuale; mentre un amore di serie b, grigio e malinconico, veniva riservato al fidanzamento, al matrimonio e alla creazione di una famiglia regolare.
La rivoluzione digitale? Il ritorno al vero amore è la risposta al caos attuale!
Ma non bastava ancora. Non basterà mai, perché c’è un disegno dietro tutti questi fenomeni, che non sono mai stati del tutto “naturali”, nel senso che comunemente si dà a questa parola. L’avvento della società di massa, della moda (semipornografica) di massa, della scuola di massa, dello sport di massa, ha reso tutto più facile, facendo leva sulle frequenti occasioni di promiscuità. E poi è venuta la rivoluzione digitale, che ha permesso d’intrecciare relazioni a distanza come preludio al sesso vero e proprio, il tutto all’insaputa del prossimo e dunque senza più alcun controllo sociale. Infine si è giunti dove per forza si doveva giungere, una volta separato l’amore spirituale, coronato dalla creazione della famiglia, dalla ricerca illimitata del proprio piacere solitario: alla celebrazione dell’amore omofilo, alle nozze gay, alla loro benedizione da parte del clero modernista, alla fecondazione eterologa e all’utero in affitto (estrema ma logica conseguenza dello slogan sessantottino: l’utero è mio e ne faccio quel che voglio io), nonché alle regolari adozioni di bambini da parte di tali coppie. E intanto già si annuncia, da vari segnali, la prossima tappa sulla via della dissoluzione: lo sdoganamento della pedofilia, presentata come ulteriore traguardo di libertà e perfino, suprema ipocrisia, come un modo di accompagnare i bambini verso la presa di coscienza della propria sessualità. E magari verso la decisione di cambiare sesso, sempre sull’onda di una propaganda ideologica incessante, che ormai non si serve più soltanto di film, libri, giornalini a fumetti e programmi televisivi, ma entra con arroganza nelle scuole e pretende d’indottrinare direttamente i bambini dell’asilo e delle elementari.
Non lasciamoci però turbare da tutta questa marea di fango che avanza e che sembra spazzare via ogni ostacolo sul proprio cammino. Il disordine, l’egoismo, il male sanno solo distruggere, non sanno costruire alcunché. Per costruire ci vogliono l’ordine, l’altruismo e il bene. Il futuro è di chi sa veramente amare, così come il cristianesimo ci ha insegnato, non di chi sa soltanto inseguire il miraggio di un piacere fine a se stesso, sempre più sterile e sempre più distruttivo. Alla fine tutto questo male verrà sconfitto e l’Amore di Cristo trionferà su ogni avversario, affinché, come dice san Paolo (1 Cor 15,28) , Dio sia tutto in tutti.
Il ritorno al vero amore è la risposta al caos attuale
di Francesco Lamendola
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