ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 9 marzo 2021

L’utopia di Babele

 Il viaggio di Francesco in Iraq: un primo bilancio

Qual è stato il bilancio della visita compiuta da Papa Francesco in Iraq tra il 5 e il 10 marzo, una visita storica, la prima di un Pontefice in un Paese del Golfo, musulmano, a maggioranza sciita?

Sul piano umano non si può negare che sia stato un gesto coraggioso, qualcuno ha detto perfino temerario. Sul piano politico non ci saranno probabilmente grandi conseguenze. Ma il Papa è il Vicario di Cristo e a noi interessa un bilancio sul piano religioso.

Il 5 marzo, giungendo in Iraq, papa Francesco si è così rivolto alle autorità irachene: «Vengo come penitente che chiede perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà e vengo come pellegrino di pace, in nome di Cristo, Principe della Pace».

Gesù Cristo è il principe della Pace, la vera pace, sotto l’unico Salvatore, ma Francesco non ha nominato Cristo nel suo discorso interreligioso fatto nella piana di UR, il 6 marzo.

Il 7 marzo papa Francesco è stato a Qaraqosh, dove nel 2014 la cattedrale fu profanata, le statue decapitate, i libri sacri bruciati.  Rivolgendosi ai cristiani di questo luogo, il Papa ha detto: «Guardandovi, vedo la diversità culturale e religiosa della gente di Qaraqosh, e questo mostra qualcosa della bellezza che la vostra regione offre al futuro. La vostra presenza qui ricorda che la bellezza non è monocromatica, ma risplende per la varietà e le differenze».

La diversità culturale e religiosa viene indicata da Francesco come migliore dell’unità religiosa, che è considerata “monocromatica”, più povera, perché ha un solo colore. Il modello dunque non è ’unità religiosa, né cristiana, né islamica. Il modello è la pluralità religiosa, perché «la bellezza non è monocromatica, ma risplende per la varietà e le differenze». Ciò porta alla conclusione che non c’è una religione che salva, ma tutte conducono a un medesimo Dio, che si può raggiungere attraverso strade diverse. Gesù Cristo non è l’unica Via, Verità e Vita, anche Maometto lo può essere, perché Allah, il dio dell’Islam, non è diverso da quello degli ebrei e dei cristiani. Ma se così è, perché rimanere cristiani in un paese islamico, a costo di tanti sforzi, di tante sofferenze, di tante persecuzioni che possono arrivare alla perdita di tutti i propri beni e della stessa vita?

Come contrasta questa idea con le parole di Nostro Signore che nel Vangelo dice: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e dò la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10, 11-18)!

Papa Francesco ha parlato di Cristo nell’omelia della Messa del 7 marzo ad Erbil, affermando che «Lui solo, può purificarci dalle opere del male, Lui che è morto e risorto, Lui che è il Signore», ma poi, al termine della Messa, salutando il Patriarca della Chiesa Assira dell’Oriente, ha detto: «Grazie, grazie, caro Fratello! Insieme a lui abbraccio i cristiani delle varie confessioni: in tanti qui hanno versato il sangue sullo stesso suolo! Ma i nostri martiri risplendono insieme, stelle nello stesso cielo!».

C’è dunque un medesimo cielo, per un martire cristiano e per un martire islamico? Il paradiso celeste dei cristiani e quello terrestre dei musulmani è il medesimo?

Questa non è la religione cattolica, né quella musulmana, ma sembra essere una religione diversa, sincretistica e umanitaria, professata da colui che è il Vicario di Cristo, ma che non esercita il ruolo di Supremo pastore della Chiesa che Gesù Cristo gli ha affidato.

Questa è la triste e dolorosa realtà. Non abbiamo scoperto questa realtà nel viaggio in Iraq. Il viaggio in Iraq non ha aggiunto nulla di nuovo a quello che sapevamo, ma ha ragione il vaticanista John Allen, quando dice che il viaggio di Francesco in Iraq dal 5 all’8 marzo è, in effetti, non «il “più grande” viaggio papale di tutti i tempi, forse, ma il più emblematico, quello che meglio riassume lo spirito di un papato e il suo messaggio per il mondo nel suo momento storico».

Quale spirito e quale messaggio? Purtroppo sembra che il modello indicato ai credenti di tutto il mondo non sia più Roma, la cattedra della fede infallibile, ma l’Iraq la terra che fu di Abramo, ma anche della Torre di Babele. E l’utopia di Babele riappare nell’epoca confusa e drammatica della pandemia.

https://www.radioromalibera.org/il-viaggio-di-francesco-in-iraq-un-primo-bilancio/

Di ritorno dall’Iraq: “Quello che più mi ha toccato…”


Nella consueta conferenza stampa sul volo di ritorno dall’Iraq, papa Francesco ha indicato nella testimonianza della donna cristiana fuggita da Qaraqosh all’irrompere delle milizie dello Stato Islamico, che le avevano ucciso un figlioletto, il momento dell’intero viaggio che più l’ha toccato.

La testimonianza della donna, con una sua foto, è quella che Settimo Cielo ha pubblicato integralmente due giorni fa:

> “Il martirio di questi tre angeli…”. Dal taccuino del viaggio in Iraq

E questo è il commento di papa Francesco, trascritto parola per parola:

“Quello che più mi ha toccato è la testimonianza di una mamma a Qaraqosh, […] una donna che nei primi bombardamenti di Daesh ha perso il figlio. Lei ha detto una parola: perdono. Io sono rimasto commosso. Una mamma [che dice]: io perdono e chiedo perdono per loro. […] Questa parola l’abbiamo persa, sappiamo insultare alla grande, sappiamo condannare alla grande, io per primo, questo lo sappiamo bene. Ma perdonare! Perdonare i nemici: questo è Vangelo puro".

Subito dopo, però, a Francesco è stata posta questa domanda da Catherine Marciano della France Press:

“Lei ha sostenuto le donne a Qaraqosh con parole molto belle, ma cosa pensa del fatto che una donna musulmana innamorata non può sposarsi con un cristiano senza essere scartata dalla famiglia o peggio ancora?”.

E qui il papa è stato elusivo. Ha parlato di altre forme di oppressione, ma non  di questa:

“Una di voi [Inés San Martín, che ne ha anche scritto su ‘Crux’ - ndr] mi ha fatto vedere la lista dei prezzi delle donne [adottata dall’ISIS per la compravendita di cristiane e yazide - ndr]. Non potevo credere: se la donna è così, costa tanto, costa… per venderle. Le donne si vendono, le donne si schiavizzano. Anche nel centro di Roma […] le ragazze sono rapite e sfruttate. Credo di aver detto tutto su questo”.

Ma sono molti altri i temi sui quali Francesco è intervenuto.

La trascrizione e la videoregistrazione integrale della conferenza stampa sono disponibili sul sito del Vaticano, assieme all’agenda e a tutti i discorsi del viaggio in Iraq.

E questa che segue è una piccola antologia.

*

L’INCONTRO CON IL GRANDE AYATOLLAH AL-SISTANI

Ho sentito il dovere, in questo pellegrinaggio di fede e di penitenza, di andare a trovare un grande, un saggio, un uomo di Dio. E solo ascoltandolo si percepisce questo. […] Lui mi diceva: “Da dieci anni – credo, mi ha detto così – non ricevo gente che viene a visitarmi con altri scopi, politici e culturali, no, soltanto religiosi”. E lui è stato molto rispettoso, molto rispettoso nell’incontro, e io mi sono sentito onorato. Anche nel saluto: lui mai si alza, e si è alzato, per salutarmi, per due volte. È un uomo umile e saggio. A me ha fatto bene all’anima, questo incontro. È una luce. E questi saggi sono dappertutto, perché la saggezza di Dio è stata sparsa per tutto il mondo.

LA FRATELLANZA NON È UN’ERESIA

Il documento di Abu Dhabi del 4 febbraio [2019] è stato preparato con il grande Imam [di Al-Azhar] in segreto, durante sei mesi, pregando, riflettendo, correggendo il testo. È stato – è un po’ presuntuoso, prendetela come una presunzione – un primo passo, […] questo [con Al-Sistani] sarebbe il secondo e ce ne saranno altri. È importante, il cammino della fratellanza. […] L’Ayatollah Al-Sistani ha una frase che cerco di ricordare bene: gli uomini sono o fratelli per religione o uguali per creazione. La fratellanza è l’uguaglianza, ma al di sotto dell’uguaglianza non possiamo andare. Credo che sia una strada anche culturale. Pensiamo a noi cristiani, alla guerra dei Trent’anni, alla notte di San Bartolomeo, per fare un esempio. Pensiamo a questo. Come fra noi cambia la mentalità. Perché la nostra fede ci fa scoprire che è questo, la rivelazione di Gesù è l’amore e la carità ci porta a questo. Ma quanti secoli per attuarlo! […] Questa è una cosa importante, la fratellanza umana, che come uomini siamo tutti fratelli, e dobbiamo andare avanti con le altre religioni. […] Tu sei umano, tu sei figlio di Dio, sei mio fratello, punto. Questa sarebbe l’indicazione più grande, e tante volte si deve rischiare per fare questo passo. Ci sono alcune critiche: che il papa non è coraggioso, è un incosciente, che sta facendo dei passi contro la dottrina cattolica, che è a un passo dall’eresia… Ci sono dei rischi. Ma queste decisioni si prendono sempre in preghiera, in dialogo, chiedendo consiglio, in riflessione. Non sono un capriccio, e sono anche la linea che il Concilio ha insegnato.

SUI VIAGGI DEL PAPA

Per prendere una decisione sui viaggi, io ascolto. […] A me fa bene ascoltare, questo mi aiuta a prendere più avanti le decisioni. Ascolto i consiglieri e alla fine prego, prego, rifletto tanto, su alcuni viaggi ho riflettuto tanto. E poi la decisione viene da dentro: si faccia! Quasi spontanea, ma come un frutto maturo.

COME È NATO IL VIAGGIO IN IRAQ

La decisione su questo viaggio viene da prima: il primo invito dall’ambasciatrice precedente, medico pediatra che era ambasciatrice dell’Iraq: brava, brava, ha insistito. Poi è venuta l’ambasciatrice in Italia, che è una donna di lotta. Poi è venuto il nuovo ambasciatore in Vaticano, che ha lottato. Prima, era venuto il presidente. Tutte queste cose sono rimaste dentro. Ma c’è una cosa in precedenza, che vorrei menzionare: una di voi [giornaliste] mi ha regalato l’edizione spagnola de “L’ultima ragazza” [di Nadia Murad]. Io l’ho letto in italiano. […] C’è la storia degli yazidi. E Nadia Murad lì racconta quella cosa terrificante, terrificante… Vi consiglio di leggerlo. In alcuni punti, siccome è biografico, potrà sembrare un po’ pesante, ma per me questo è il “telone” [il motivo] di fondo della mia decisione. Quel libro lavorava dentro, dentro... E anche quando ho ascoltato Nadia, che è venuta qui a raccontarmi le cose… Terribile! Poi, con il libro, tutte queste cose insieme hanno fatto la decisione, pensandole tutte, tutte le problematiche, tante… Ma alla fine è venuta la decisione e l’ho presa.

PERCHÉ IN ARGENTINA NO…

Il mio amico giornalista Nelson Castro, medico, […] mi ha fatto un’intervista; è uscito il libro, mi dicono che è buono, io non l’ho visto. Lui mi ha fatto una domanda: “Se lei si dimette – se muoio o se mi dimetto –, se lei si dimette, tornerà in Argentina o rimarrà qui?” – “Io non tornerò in Argentina – così ho detto – ma rimarrò qui, nella mia diocesi”. Ma su quella ipotesi – questo va unito alla domanda su quando vado in Argentina o perché non ci vado – io rispondo sempre un po’ ironicamente: sono stato 76 anni in Argentina, è sufficiente, no?

… O FORSE SÌ

C’è una cosa che, non so perché, non si dice: era stato programmato un viaggio in Argentina nel novembre del 2017. Si cominciava a lavorare: si faceva Cile, Argentina e Uruguay. Ma poi – sarebbe stato per la fine di novembre – ma poi, in quel tempo il Cile era in campagna elettorale, perché in quei giorni, a dicembre, è stato eletto il successore di Michelle Bachelet, e io dovevo andare prima che cambiasse il governo, non potevo andare oltre. Ma andare a gennaio in Cile e poi a gennaio in Argentina e Uruguay non era possibile, perché gennaio è come l’agosto nostro, luglio-agosto, per i due Paesi. Ripensando la cosa, è stato fatto il suggerimento: perché non prendere il Perù? Perché il Perù era stato scavalcato nel viaggio Ecuador-Bolivia-Paraguay, era rimasto da parte. E da lì è nato il viaggio di gennaio [2019] in Cile e Perù. Questo voglio dirlo, perché non si facciano fantasie di “patriafobia”. Quando ci sarà l’opportunità si dovrà fare, perché c’è l’Argentina, l’Uruguay e il sud del Brasile, che è un composto culturale molto grande.

PRECAUZIONI ANTI-VIRUS A ROMA…

Io mi sento diverso quando sono lontano dalla gente nelle udienze. Vorrei ricominciare le udienze generali al più presto. Speriamo che ci siano le condizioni, in questo io seguo le norme delle autorità. Loro sono i responsabili e loro hanno la grazia di Dio per aiutarci in questo. Sono i responsabili a dare le norme. Ci piaccia o non ci piaccia, ma i responsabili sono loro e devono fare così.

… MA NON IN IRAQ

I viaggi si "cucinano" nel tempo nella mia coscienza […] Ho pensato tanto, ho pregato tanto su questo [sul rischio di diffusione del virus in Iraq - ndr] e alla fine ho preso la decisione, liberamente, che veniva da dentro. E io ho detto: Colui che mi dà di decidere, si occupi della gente. E così ho preso la decisione, così, ma dopo la preghiera e dopo la consapevolezza dei rischi. Dopo tutto.

INTEGRARE I MIGRANTI

La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare e diritto a migrare. Questa gente non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare, non sanno come farlo. E non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano. […] Ieri ho voluto – perché lui lo ha chiesto – ricevere, dopo la messa, il papà di Alan Kurdi, quel bambino... È un simbolo, Alan Kurdi è un simbolo; per questo ho regalato la scultura alla FAO. È un simbolo che va oltre un bambino morto nella migrazione: un simbolo di civiltà morte, di civiltà che muoiono, che non possono sopravvivere. […] L’integrazione dei migranti è la chiave. Due aneddoti: a Zaventem, in Belgio, i terroristi erano belgi, nati in Belgio ma emigrati islamici ghettizzati, non integrati. L’altro esempio, quando sono andato in Svezia, a congedarmi dal Paese è stata la ministra: era giovanissima e aveva una fisionomia speciale, non tipica degli svedesi. Era figlia di un migrante e di una svedese: così integrata che è diventata ministro! Guardiamo queste due cose, ci faranno pensare tanto, tanto, tanto. Integrare.

LA SALVEZZA VIENE DAL POPOLO

Dopo questi mesi di prigione, perché davvero mi sentivo un po’ imprigionato, questo è per me rivivere. Rivivere perché è toccare la Chiesa, toccare il santo popolo di Dio, toccare tutti i popoli. […] L’unico che ci salva dalla lebbra della cupidigia, della superbia è il santo popolo di Dio. Quello di cui Dio disse a Davide: “Io ti ho tolto dal gregge, non dimenticarti del gregge”. Quello che Paolo disse a Timoteo: “Ricordati della tua mamma e della tua nonna che ti hanno ‘allattato’ la fede”. Cioè non perdere l’appartenenza al popolo di Dio e diventare una casta privilegiata di consacrati, chierici, qualsiasi cosa. Per questo, il contatto col popolo ci salva, ci aiuta, noi diamo al popolo l’eucaristia, la predicazione, la nostra funzione. Ma loro ci danno l’appartenenza. Non dimentichiamo questa appartenenza al santo popolo di Dio.

Settimo Cielo
di Sandro Magister
08 mar

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