ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 12 aprile 2021

Il frutto finale ?

TEMPI MODERNI

La pandemia accelera i tempi per la nuova liturgia

La pandemia di Coronavirus ha contribuito a dare un’accelerazione importante ad alcuni processi che erano comunque già in atto da tempo sul fronte della liturgia. Come il calo delle presenze in chiesa. Molti, impauriti da un contagio, hanno colto l’occasione per abbandonare la partecipazione alla liturgia. Sarà possibile recuperare queste persone? 


In questi tempi difficili, mi viene in mente una frase della classicità latina, che dice motus in fine velocior, cioè che un azione aumenta di intensità verso la fine. Non posso fare a meno di applicare questa frase alla situazione della liturgia nella Chiesa cattolica, in quanto mi sembra che la pandemia di coronavirus ha contribuito a dare un’accelerazione importante ad alcuni processi che erano comunque già in atto da tempo. Se si osservano questi processi con un certo grado di oggettività, per quanto possibile, si vede come quello che accade ora non è che il frutto finale di un qualcosa che maturava da decenni.

Un dato che mi sembra importante e che è stato già segnalato in varie occasioni anche dall’autorità ecclesiastica è il calo delle presenze in chiesa, un calo che in alcune zone è ovviamente più sensibile che in altre. Questo calo non è venuto come una sorpresa, esso proseguiva inesorabile durante gli anni ma in maniera certamente più impercettibile. Questo ha dato a molti, impauriti da un contagio, l’occasione per abbandonare la partecipazione alla liturgia. Sarà possibile recuperare queste persone? Questa è una domanda a cui è difficile dare una risposta immediata in quanto, come ho già detto, quello che sta accadendo non accade di sorpresa, ma è l’evoluzione accelerata di un processo che andava avanti da tempo. Questo dovrebbe fare interrogare molti sul modo in cui la riforma liturgica è stata portata avanti ed implementata, ma sembra che su questo ci siano ancora resistenze nel valutare con serenità d’animo.

Eppure la pandemia ha indirettamente scoperchiato alcuni altarini, permettendo di parlare diffusamente di cose di cui era difficile parlare in precedenza. Prendiamo l’esempio del segno della pace, ovviamente sotto i riflettori in quanto particolarmente controindicato in tempi come questi. Le perplessità su questo segno liturgico erano già sorte in precedenza, causando anche un documento da parte della Curia romana che cercava di limitarne gli abusi. Non dubito che esso nella sua forma originale e più autentico possa avere un profondo significato, ma mi sembra anche ovvio che questo significato è di comprensione difficile dall’assemblea liturgica media. Io vedo con favore l’attuale pratica di inchinarsi agli altri, alla maniera cinese, che evita manifestazioni legate a questo momento liturgico che poco hanno a che fare con la dignità e la riverenza dovute alla liturgia.

Per quanto riguarda il ruolo della musica liturgica, credo che la pandemia ha soltanto mostrato come essa sia divenuta sempre più irrilevante nei decenni scorsi. Fra cantare e non cantare a Messa non abbiamo avvertito una grande differenza. Mi è capitato a Pasqua di partecipare alla Messa in una importante parrocchia romana e un coretto cercava di proporre alcuni canti che non davano per nulla, però, il sapore di questa festa così importante. Prima la musica era così importante che le liturgie prendevano il nome dall’antifona di introito, domenica Laetare, domenica Gaudete e via dicendo.

Oggi queste antifone sono quasi mai cantate (e il “quasi” è una affermazione ottimistica) e spesso neanche recitate. Eppure esse sono altre letture, testi biblici, che danno il tono di quella specifica liturgia. Insomma, tutto quello che ci sta accadendo mostra come quello che è avvenuto alla musica sacra non ha fatto altro che renderla non parte integrante della liturgia, ma inutile orpello.

Eppure la Messa dovrebbe essere un tesoro prezioso per ogni cattolico, dovremmo moltiplicare le Messe piuttosto che diminuirne il numero. Eppure, anche lì, se si osserva la disposizione della segreteria di stato che riguarda la Basilica di San Pietro, si osserva una accelerazione in una direzione che certamente preoccupa. 

Insomma, bisogna vigilare per osservare dove ci porterà questo processo di accelerazione verso una meta che forse solletica la fantasia di alcuni, ma che preoccupa profondamente altri.

Aurelio Porfiri

https://lanuovabq.it/it/la-pandemia-accelera-i-tempi-per-la-nuova-liturgia


La fragola:
Simbolo di perfezione e rettitudine


di Elaine Jordan



Pubblicato sul sito  Tradition in Action




Ci sono ampie prove che l’arte medievale è permeata di simbolismo e che ogni oggetto aveva un suo particolare significato.
Alcuni simboli hanno avuto origine nelle Scritture come la Croce; il pesce e la spina hanno la fonte nella tradizione cattolica.
Altri si sono sviluppati gradualmente negli ambienti cattolici medievali che rimandavano tutta la Creazione al Creatore, cercando di trovare la sua impronta e il significato impresso su ogni roccia, fiore, albero e animale.
La rosa rappresentava la maestà e la purezza; il garofano, oltre alla sua distinzione naturale, simboleggiava anche i chiodi della crocifissione a causa della forma del suo calice; il leone rappresentava la regalità e il coraggio.

Sono rimasta sorpresa recentemente quando un amico mi ha detto che i medievali consideravano la fragola un simbolo di tentazione sessuale a causa dei suoi molti semi e del suo odore effimero che difficilmente si ricorda dopo il passaggio - riflettendo la natura transitoria dei piaceri terreni.

Questa spiegazione non deriva dalla tradizione medievale, ma da un articolo sulle strane fragole nel pannello di Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie terrene, noto per il suo tono inquietante e occulto.
Dipinto all’inizio del XVI secolo, non è certamente medievale, ma riflette la mentalità corrotta di certe aree europee che hanno generato il protestantesimo. In effetti, le opere di Bosch sono meglio descritte come una prefigurazione dell’odioso mondo dell’odierna arte moderna.




La strana rappresentazione occulta della fragola, di Bosch


Per salvare la reputazione della fragola - che decora incantevolmente le pagine di molti manoscritti medievali - ho cercato il simbolismo che aveva per l’uomo del Medioevo.
In un libro di 450 pagine intitolato semplicemente The Strawberry [la fragola] (Holt, Rinehart & Winston, 1966) del rinomato orticultore George M. Darrow, ho trovato tutto ciò di cui avevo bisogno per confermare la mia intuizione che, effettivamente, nella tradizione cattolica la fragola non è mai stata considerata un frutto voluttuoso o malvagio, ma piuttosto qualcosa di abbastanza innocente e buono.


Le fragole rappresentano i buoni frutti dell’uomo giusto

Abbastanza presto nell’arte e nella tradizione medievale troviamo la pianta di fragola del Paradiso Terrestre. Questo probabilmente deriva da un passaggio di Ovidio (Metamorfosi), che dice che nell’Età dell’Oro la terra forniva spontaneamente frutta per il piacere dell’uomo, e nomina la fragola come una di queste salubri delizie.




Le fragole ornano una scena della Pentecoste


A partire dal 1300, è comune trovare le fragole raffigurate nell’arte italiana, fiamminga e tedesca e nelle miniature inglesi, come simbolo di perfetta giustizia. Perché? Perché, ci dice il Symbol-Fibel che l’uomo medievale credeva che la fragola fosse una cura per le malattie depressive; così, la sua presenza suggerisce i poteri curativi di Cristo che ci portano alla salvezza eterna.




Le fragole ornano una scena in cui San Michele caccia il demonio


Inoltre, la fragola è sinonimo di “nobile pensiero e modestia, perché sebbene sia vistosa per il suo colore e la sua fragranza, tuttavia si china umilmente a terra”. (Darrow, p. 13)

La sua foglia tripartita ricorda la Santa Trinità. I frutti, rivolti verso il basso, sono le gocce di sangue di Cristo, e i cinque petali del suo fiore bianco, le Sue cinque piaghe. (ibid.).

San Francesco di Sales, che considerava che la virtù è rappresentata nella natura, parla della natura giusta e incorruttibile della fragola, non intaccata da nessun veleno intorno:
“Nel coltivare i nostri giardini non possiamo non ammirare la fresca innocenza e la purezza della fragola, perché sebbene strisci sul terreno e sia continuamente schiacciata da serpenti, lucertole e altri rettili velenosi, tuttavia non si impregna della minima traccia di veleno o della più piccola qualità maligna, un vero segno che non ha affinità con il veleno.” (Sull’Amore di Dio, libro 1, c. 2)
In questo modo, continua, la fragola ricorda l’uomo virtuoso, che non è influenzato dalla malizia del peccato che lo circonda.

Così, come simbolo di perfezione e rettitudine, gli scalpellini medievali intagliarono disegni di fragole sugli altari e intorno alle cime dei pilastri nelle chiese e nelle cattedrali.
Gli ornamenti di queste magnifiche cattedrali e chiese cantavano l’ammirazione medievale per la natura, un apprezzamento per tutte le delizie primaverili - ghirlande di fiori, intrecci di edera e la tanto ambita fraise des bois (fragola) con i suoi frutti rossi e i fiori bianchi.


“Vergine feconda” in fiore e frutto allo stesso tempo




Madonna delle fragole


In particolare, troviamo la fragola nei dipinti raffiguranti la Madonna, sui bordi delle pagine miniate dei libri di preghiera e dei Libri delle Ore, soprattutto nelle scene con la Madonna e Cristo.

A volte fanno parte dello sfondo, come nell’affascinante dipinto tedesco che onora l’umile frutto nel suo nome, La Madonna delle fragole. La fragola simboleggia la Madonna come “Vergine feconda”, che rimane in fiore e porta frutti allo stesso tempo. A causa del suo colore rosso, la fragola allude anche alla Passione di Cristo, mentre i fiori bianchi sulla pianta si riferiscono alla purezza e all’umiltà della Madonna.

Gli artisti rinascimentali hanno raffigurato la fragola in molti dipinti della Madonna. Nella Madonna di Bagnacavallo di Albrecht Dürer, la Madonna ha in grembo Cristo Bambino, che tiene in una mano un rametto di una pianta di fragola fruttifera. La pianta ha solo due foglie nella configurazione a tre foglie, la foglia mancante indica l’ultima persona della Trinità nel Bambino.




Madonna di Bagnacavallo


ICosì troviamo anche una perfetta pianta di fragole con fioritura e bacche nell’angolo della Vergine adorante il Bambino dormiente di Botticelli.



Vergine adorante il Bambino dormiente


Nel Giardino del Paradiso, un altro dipinto degli inizi del XV secolo, troviamo di nuovo la Madonna circondata da fiori e frutti, tutti simboli mariani. Tra questi frutti c’è l’umile fragola, cibo delle anime benedette in Paradiso.
Qui, questa dolce bacca significa non solo la felicità del giardino dell’Eden, ma anche delle anime benedette in Cielo che sono il frutto della Madonna e, quindi, crescono intorno ai suoi piedi.

C’è solo un’eccezione a questa regola della fragola come simbolo mariano nell’arte del Giardino del Paradiso, ci dice Darrow, ed è la sua rappresentazione nello strano e complicato trittico di Bosch, dove il pittore raffigura la fragola insieme all’uva, alla ciliegia e alla mela, come segno di voluttà. Questa non è chiaramente un’espressione dell’innocente spirito artistico medievale. Quello che vi troviamo, piuttosto, è il simbolismo oscuro e occulto che viveva nella tormentata immaginazione di Bosch.




Il giardino del Paradiso


Concludiamo dicendo che la reputazione della dolce e aromatica fragola è buona. Il suo simbolismo medievale è fermamente fisso nel riflettere la verginità feconda della Madonna e la giusta perfezione dei beati che godono della sua compagnia nella beatitudine celeste






La zucca:
Un segno della Resurrezione di Cristo
e della penitenza dell’uomo


di Marian T. Horvat, Ph.D.


Pubblicato sul sito  Tradition in Action



Il giglioil melograno spaccato, la palma e, naturalmente, l’uovo sono tutti simboli ben noti della Resurrezione. Non così per l’umile zucca. Eppure, io credo che i lettori troveranno abbastanza interessante il modo in cui essa si è guadagnato il suo posto nella simbologia della Quaresima e della Resurrezione.

La mela accanto alla zucca




Madonna col Bambino - La mela in alto a destra; la zucca in alto a sinistra - Peccato e resurrezione


In molti dipinti medievali e rinascimentali, troviamo la mela che rappresenta il peccato e la caduta dell’uomo insieme al suo antidoto, la zucca, che rappresenta la Resurrezione di Cristo, che ha redento l’uomo decaduto dalla morte del peccato. È il trionfo della Salvezza sulla Dannazione - facilmente riconosciuto e compreso dai cattolici del passato attraverso i simboli.

La Madonna col Bambino di Crivelli mostra la mela (in alto a destra) quale simbolo del peccato o della morte, e la zucca (in alto a sinistra) come simbolo della Resurrezione.
Crivelli nelle sue pitture usò il motivo della mela con la zucca così spesso che esso è stato considerato una sorta di sua firma. Nella sua Annunciazione con Sant’Emidio, del 1486, troviamo la zucca e la mela alla base, di nuovo a rappresentare la Caduta e la Redenzione che sarà ottenuta per l’umanità attraverso il fiat della Madonna.

L’uomo moderno capisce facilmente perché la mela rappresenti la caduta dell’uomo. Ma, perché la zucca sarebbe un segno della redenzione dell’uomo?


La zucca associata a Giona, una prefigurazione di Cristo

Per associazione la zucca venne legata a Giona, una prefigurazione veterotestamentaria di Cristo. Ecco la ben nota storia:
Dio disse a Giona di andare a Ninive (nell’attuale Iraq) per profetizzare la distruzione della città e di tutti i suoi abitanti per la loro idolatria e i loro modi di vita malvagi.
Cercando di sfuggire alla missione divina, Giona prese una nave diretta a Tarshish. Durante il viaggio si scatenò una tempesta, e Giona fu gettato dall’equipaggio nell’oceano dove fu inghiottito da una balena. Rimase per tre giorni e tre notti nel suo ventre, e poi, il grande pesce espulse il profeta sulla costa.

In Matteo 12, 40 Cristo dice: «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra». Così Giona divenne per i cattolici un simbolo della Resurrezione di Cristo.

A Giona fu poi ordinato di nuovo da Dio di andare nella grande città di Ninive e di avvertire la popolazione che Dio avrebbe distrutto la loro città in 40 giorni, un ordine che egli eseguì debitamente. Il re e il popolo, tuttavia, ascoltarono il suo avvertimento e fecero ammenda, facendo atti di sacrificio e di preghiera, e Dio risparmiò la città.





Giona sotto l'albero di zucca



Giona, che si era ritirato dalla città e stava aspettando che avvenisse la punizione, era scontento della misericordia mostrata da Dio a Ninive. Surriscaldato e indebolito sotto il caldo sole del deserto, trovò tregua sotto una pianta di zucca che Dio fece crescere durante la notte per fornirgli l’ombra necessaria.

Il giorno dopo un verme attaccò la pianta, facendola appassire e lasciando Giona angosciato. Quindi Dio rimproverò Giona per essersi arrabbiato per la perdita della zucca che “è spuntata in un giorno e si è persa in un giorno”, una cosa insignificante in confronto alla perdita della vita dei 120.000 abitanti Ninive.

Invece di addolorarsi per la misericordia di Dio, Giona avrebbe dovuto rallegrarsi che fossero salvati perché avevano ascoltato i suoi ammonimenti. Giona andò a Ninive per la sua salvezza come Cristo salì al cielo per fare la Nuova Gerusalemme. La zucca rappresenta quindi la nuova vita che sarà goduta dal popolo di Ninive dopo il pentimento e la liberazione dalla distruzione. Il verme è l’amarezza di Giona per la salvezza dei suoi nemici.

Fin dai primi secoli troviamo in molte catacombe dei dipinti della storia di Giona che viene gettato a riva dalla balena e poi si riposa sotto un cespuglio coperto di zucche di forma allungata su una collina fuori Ninive. Inoltre, Giona - che fu rimproverato per mezzo di una pianta di zucca - è talvolta identificato tra i profeti da una zucca.


La penitenza nel nostro pellegrinaggio terreno


La Chiesa ha posto la lezione del Profeta Giona (cap. III) nell’Epistola del Lunedì della settimana di Passione per ricordare ai cattolici la natura transitoria dei piaceri terreni e l’importanza della perseveranza nelle nostre penitenze e mortificazioni.

Il cespuglio di zucca rampicante con le sue molte piante crebbe in una notte al comando di Dio per confortare Giona, ma esso appassì anche in un giorno. Questo ci ricorda che mentre dobbiamo avere fiducia nella bontà di Dio, non possiamo anche dimenticare che i beni e i piaceri di questa vita sono di breve durata e dobbiamo vivere le nostre vite come pellegrini in questa vita terrena con l’attenzione rivolta a raggiungere il cielo, la nostra vera casa.





Bastoni con le loro conchiglie e bottiglie di zucca per i pellegrini sul Cammino di Santiago


Fu così che per un pellegrino nei luoghi santi divenne un’usanza  appendere al suo bastone una zucca benedetta, che veniva usata come fiaschetta per portare l’acqua. Il frutto, dal guscio duro, ma deperibile - che “nasce in una notte e perisce in una notte” per ordine del Signore - significava la caducità della vita terrena e dei suoi piaceri.

Col tempo, il bastone e la fiaschetta di zucca divennero simboli identificativi del pellegrino sul Cammino di Santiago. Divenne anche comune rappresentare l’Arcangelo Raffaele che accompagnava Tobia nel suo viaggio, con il bastone del pellegrino e con la fiaschetta di zucca.

La disputa di San Girolamo e Sant’Agostino

Per chiudere, devierò un po’ per raccontare come la nostra umile zucca sia diventata il punto centrale della contesa tra San Girolamo e Sant’Agostino.





Dürer ritrae la zucca a destra in alto della sua famosa incisione:  San Girolamo nel suo studio


La lotta decennale tra i due partì dalla traduzione di San Girolamo del passo del Libro di Giona (4-6): “Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di edera al di sopra di Giona per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quell’edera”.
San Girolamo tradusse la parola ebraica קִיקָיוֹן (kikayon) in latino come hedera,  rifiutando la lettura latina più antica di cucubita o zucca, come meno precisa.

Allora, Girolamo fu attaccato ferocemente da molti studiosi per questa alterazione.
La controversia si intensificò dopo che Sant’Agostino, che seguiva le letture settantiane e siriache, entrò nel dibattito nel 403 con piacere Infatti, si arrivò al punto che Agostino fermò la lettura della Vulgata di San Girolamo in tutta la sua diocesi, non esitando a giudicare questa traduzione della parola in edera come un’eresia. Girolamo pubblicò un lungo commento dedicato al verso, difendendo la sua traduzione con la sua consueta veemenza satirica.

Alla fine prevalse il punto di vista di Agostino. L’artista umanista rinascimentale Albrecht Dürer memorizzò l’acquiescenza di Girolamo nella controversia filologica incidendo una grande zucca secca appesa alle travi della sua famosa incisione San Girolamo nel suo studio, un quadro così pieno di simboli che meriterebbe un’analisi a parte. Grande ammiratore di San Girolamo, Dürer lodava la sua umiltà nel cedere in quella famosa disputa.






http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV3902_Horvat_La_zucca.html

Il melograno spaccato:
Simbolo della Resurrezione


di Margaret C. Galitzin


Pubblicato sul sito  Tradition in Action








Persefone che non resiste a gustare un melagrano nel mondo sotterraneo


Nella mitologia greca, il melograno svolge un ruolo importante nella storia di Persefone, figlia di Zeus, che fu rapita dal dio degli inferi, Ade. La madre di Persefone, Demetra, la dea del raccolto, rimase così sconvolta dalla perdita della figlia che si rifiutò di rigenerare la terra e così non sarebbe cresciuto nulla.

Allora, Zeus ordinò ad Ade di permettere alla bella fanciulla di tornare a casa sua. Ma Persefone fu ingannata da Ade che le fece mangiare sei semi di melograno offerti da lui. Poiché aveva assaggiato quei sei semi degli inferi, Persefone fu costretta a rimanervi per sempre sei mesi all’anno, i mesi freddi dell’autunno e dell’inverno, quando la terra diventa sterile.

Ma ogni primavera le fu permesso di tornare sulla terra nei mesi in cui i frutti e gli altri prodotti crescono e vengono raccolti. Così, il melograno divenne un simbolo di morte e rinascita.

Nella Chiesa

Fin dai primi tempi della Chiesa, il melograno fu inteso come simbolo della Passione e della Resurrezione di Cristo. La punta terminale del frutto a forma di globo forma una corona araldica, un segno della Sua regalità. Quando il guscio rosso intenso si apre, i semi emettono un succo rosso intenso, un simbolo del Prezioso Sangue di Cristo. Egli ha offerto fin la Sua ultima goccia di sangue per la nostra salvezza. La crosta del melograno aperta è la tomba aperta la mattina di Pasqua, la prova del trionfo di Cristo sulla morte.

L'associazione del melograno con la Resurrezione di Cristo ne fece un simbolo comune nell’arte del Medioevo. Spesso il Cristo Bambino seduto sulle ginocchia della Sua Santa Madre è mostrato con in mano un melograno, il simbolo che prefigura la Passione e la Resurrezione di Cristo.





A sinistra, La Madonna con Bambino, di Crivelli,
a destra, 
La Vergine col melograno, del Beato Angelico.



La Madonna con Bambino di Carlo Crivelli mostra una melagrana che si apre in alto a sinistra, segno della promessa di Redenzione data all’uomo dal Cristo Bambino seduto in grembo alla Vergine.

Una rappresentazione ancora più bella è il dipinto del Beato Angelico intitolato La Vergine col melograno. In essa, il Cristo Bambino è raffigurato mentre prende in mano una manciata di semi rosso sangue dal melograno aperto. Questo gesto significa la sua disponibilità a subire la Passione e a versare il Suo Sangue per l’umanità. A questo si aggiunge un gesto ancora più toccante: Egli riceve il frutto da Sua Madre, la Corredentrice, che partecipa così da vicino alla Sua Passione e al trionfo della Sua Resurrezione.

Con il diffondersi della devozione al Sacro Cuore nel XIX secolo, il frutto rosso intenso, per la sua forma e colore, divenne anche un simbolo del Cuore di Gesù.

Introduzione nel nuovo mondo

Il melograno è un simbolo popolare nella città spagnola di Granada. La stessa parola Granada in spagnolo significa effettivamente melograno e alcuni credono che la città abbia preso il nome dal frutto. Si dice che la parola derivi dal latino granum (seme), anche se altri dicono che deriva dall’arabo. La parola melograno in inglese si crede derivi dal latino pomum (mela) e granum (seme).

In ogni caso, quando la Regina Isabella e il Re Ferdinando conquistarono nel 1492 l’ultima roccaforte dei musulmani che era Granada, lo considerarono un evento così significativo che nello stemma della provincia venne aggiunto un melograno.

Anche l’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, nato nella città spagnola di Granada, usa il frutto – “il frutto di Dio” - come suo simbolo.





Da qui, poco dopo la scoperta delle Americhe, i coloni spagnoli vi introdussero il melograno. Più tardi, i missionari spagnoli portarono con loro i semi di melograno in Arizona, California e Texas, dove gli alberi fioriscono ancora.

Il melograno è un motivo ricorrente nell’arte e nella letteratura spagnole: appare su casse, tessuti, ceramiche, gioielli e, naturalmente, in dipinti in tutta l’America coloniale spagnola.


Un simbolo nell’Antico Testamento


Il melograno, che appare varie volte nell’Antico Testamento, è sempre stato intriso di significato. Esso è tra i frutti che Dio menziona quando parla agli Israeliti della Terra Promessa, “paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele” (Deut 8,8).

Infatti, i melograni erano tra i frutti portati dalle spie agli Israeliti che vagavano nel deserto (Numeri 13:23). Nel Cantico dei Cantici, Salomone paragona il melograno alle guance dell’amata: “come spicchio di melagrana la tua gota
 attraverso il tuo velo” (4:3).

Il melograno è menzionato specificamente nell’Antico Testamento nelle istruzioni che Dio dà su come fare le vesti che il sommo sacerdote Aronne doveva indossare quando entrava nel Luogo Santo: “Farai sul suo lembo melagrane di porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto, intorno al suo lembo, e in mezzo porrai sonagli d’oro” (Es 28:33).





Gli israeliti credevano che il melograno avesse 613 semi, corrispondenti al numero di comandamenti della Torah. Così, il sommo sacerdote Aronne indossava una veste decorata con questo frutto, che rappresentava la Legge. Re Salomone ordinò anche di scolpire dei melograni sulle due colonne di bronzo del Tempio chiamate Boaz e Jachin, che significano “Nella sua forza” e “Egli stabilirà”. Di nuovo, il frutto fu usato per simboleggiare la Legge che sosteneva il Tempio e il popolo israelita. (1 Re 7:18)


Una nuova interpretazione: molte persone sotto una sola autorità

Ma la vecchia legge fu sostituita dalla nuova con la Morte e la Resurrezione del Salvatore. E così, troviamo ancora il melograno che appare abbastanza spesso nel Medioevo ricamato su paramenti sacerdotali e tovaglie d’altare, ma ora con un nuovo significato.

I molti semi contenuti nel suo involucro rendevano il frutto un simbolo dell’unità della Chiesa, molti popoli sotto una sola autorità. Così le anime cattoliche sono contenute in modo sicuro e legate insieme nella comunità dell’unica vera Chiesa; esse sono rappresentate dal sacerdote - alter Cristus – sull’altare.




Tessuti per paramenti sacerdotali e una tovaglia d’altare con disegni di melograni


I disegni di melograno si trovano ancora oggi su paramenti sacri e tovaglie d’altare. Uno dei tessuti damascati più popolari è il modello Fairford, un modello gotico vittoriano con file di melograni e ananas.

Una volta acquisito il profondo significato del melograno, comincerete a vederlo in molti luoghi nelle chiese e ad apprezzare il ricco simbolismo di questo frutto esotico e squisito.





Melograni scolpiti sulle colonne di una chiesa a Palma di Maiorca
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV3899_Galitzin_Il_melograno.html

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