LA DEVOZIONE ORIZZONTALE
Un’ora e un quarto di supplizio, alla messa di domenica, si fa per dire, nulla rispetto al Vero Supplizio di Nostro Signore.
4500 secondi, non un solo secondo di silenzio, neanche durante la Consacrazione, addolcita da canti e suoni. Nessuna possibilità di raccoglimento, il dissolvimento dell’anima individuale nella psiche collettiva e conviviale, suggestionata dai canti schitarrati del più mieloso sentimentalismo. La luce dei riflettori che filtra anche a palpebre chiuse, che pervade lo spazio e illumina i falsi protagonisti, escludendo qualsiasi rifugio interiore alla nostra umiliazione davanti al Sacrificio, la musica suggestiva per lo stomaco, non per l’anima, perché il tempo di Dio è il largo aritmico del Canto Gregoriano, dissonante dall'allegretto andante del ritmo sincopato. La mancanza totale di pathos, di pietà, di devozione, che solo il silenzio e la mortificazione rendono possibili. La Messa non è una festa di popolo. L’uomo al centro, penoso protagonista di un rito che ormai ha perduto, pur nella sua versione semimodernista, ogni riferimento alla sua istituzione, sulla salita del Calvario e ai piedi della Croce, dove non c'è spazio per i convenevoli e per gli inchini della devozione orizzontale.
Mi sarei aspettato: «Lo spettacolo è finito, andate in pace». Non sono andato “in pace”.
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