TEMPI DI COVID
"Lo scientismo è la vera minaccia", parola di Sermonti e Popper
Il grande genetista Giuseppe Sermonti e il filosofo Karl Popper erano d'accordo nel criticare una certa tendenza della scienza a diventare una sorta di religione, tentativo di porsi come utopistica soluzione di tutti i problemi. È il rischio evidente che vediamo oggi nell'affronto della pandemia e del tema vaccini.
Vedendo affrontare una pandemia come il Covid ed il tema vaccini, si ha talvolta un’impressione negativa dell’atteggiamento di taluni uomini di scienza che sembrano voler affermare una forma di pragmatismo scientifico. Tale pragmatismo è orientato a spiegare la scienza solo nei suoi effetti pratici, affermati o imposti, discriminando, con una certa arroganza, tra chi li accetta e chi no. Questo atteggiamento è una sorta di nuovo moralismo scientifico.
Il grande genetista Giuseppe Sermonti avrebbe probabilmente spiegato che tutto ciò non è scienza, ma scientismo; e che questo scientismo vorrebbe moraleggiare la scienza stessa, arrivando persino a stabilire che una realtà scientifica debba imporsi alla fede religiosa, addirittura chiedendole di adattarsi a divenire una religione più moderna secondo la scienza e le sue scoperte. Oscar Wilde scrisse qualcosa di molto provocatorio in proposito, affermando che “le religioni muoiono quando si prova che sono vere“, poiché così si certificano con criteri scientifici... i quali poi ne dettano le regole perché non contrastino con altre religioni, quelle positiviste e scientiste, quelle che pretendono di essere loro stesse conoscenza, sapienza e fonte della Verità .
Giuseppe Sermonti (1925-2018) è stato un grande scienziato cattolico che oggi merita di esser riscoperto. È stato un sommo biologo e genetista, piuttosto critico verso lo scientismo e l’evoluzionismo e pertanto talvolta in disaccordo con molti ambienti accademici. Affrontò a suo tempo alcuni temi riferiti alla scienza medica verso le malattie infettive, che in questo momento sono attuali e vale la pena riprendere (tratti liberamente da “Una scienza senza anima”, Lindau 2008)
Riferendosi a taluni atteggiamenti della scienza medica in generale, essendo lui scienziato e biologo, espresse alcune perplessità. Spiegò provocatoriamente che la scienza è un risultato esaltante della geniale mente umana, ma è talvolta tentata di trattare chi non è scienziato come un “minore”, non riconoscendogli competenza in nulla. Spiega che questa scienza può diventare persino una religione che pretende di fare proseliti solo spiegando i suoi benefici, ma ignorando la Verità da cui questi benefici sono generati. Fece anche una interessante considerazione sullo stato naturale, permanente o no, delle malattie infettive.
Riferendosi agli studi del grande epidemiologo britannico Thomas McKeown (1912-1988), illustrò che l’andamento della mortalità per malattie infettive era stato indipendente dalle misure e cure mediche. Riferendosi soprattutto al vaiolo , dimostrò che quando la vaccinazione fu resa obbligatoria, la malattia era quasi scomparsa, tanto che la vaccinazione fu quasi considerata un rituale semi religioso da compiersi in devozione della scienza medica, più che per utilità reale. Certo il vaiolo non era il Covid e McKeown non poteva riferirsi alle condizioni in cui si cerca oggi con grande impegno, coraggio e determinazione, di curare il Covid.
Sermonti non condivise sempre alcuni atteggiamenti di talune organizzazioni medico sanitarie, riferiti alla cura delle malattie infettive, evidenziando una tendenza a profittare del declino della malattia infettiva, dovuto ad un processo naturale, attribuendosene il merito ed esigendo la riconoscenza, con la implicita “minaccia ” di volere riportare il mondo ai secoli bui delle pestilenze, se le sue prestazioni fossero stata respinte. Déjà vu .
Riferendosi alla industria farmaceutica ne riconobbe l’essenzialità, giusta e civile, per curare l’ammalato e lenire le sue sofferenze, ma talvolta trasformando la prestazione quasi in mezzo di consumo e taluni pazienti in insaziabili consumatori di farmaci. Sia chiaro che Sermonti non appare affatto essere uno scettico “negazionista”, bensì un vero scienziato cattolico, preoccupato soprattutto per l’uomo.
Sermonti era anche un “filosofo” della scienza medica, che amava e voleva tutelare nella sua missione originale, senza lasciarle prendere autonomia morale. Era convinto che la scienza avesse realizzato conquiste straordinarie e prodotto inestimabili beni per l’uomo, ma talvolta espropriandolo del senso della realtà e creando un nuovo senso del reale che l’uomo non sa percepire e partecipare. Persino, dice, “togliendogli l’anima“. Ed ecco finalmente che Sermonti chiarisce questo misterioso conflitto, spiegando che quando si pretende di far credere che la scienza “coincida con il mondo e regoli il mondo“, invece di scienza si sta facendo scientismo, che è l’utopistica soluzione a tutti i problemi e desideri della creatura umana.
Ma poichè lo scientismo si impone senza spiegare da che deriva e cosa lo ha originato, di fatto lo si sostituisce alla realtà e si pretende che l’accesso a questa realtà sia riservato a chi è autorizzato ed invitato dai “media”,giornali e TV , a spiegarla. Diventando così ideologia che mortifica la capacità umana di percepire il reale, creando confusione e rischiando di far perdere quella essenziale fiducia che deve avere la scienza medica, che merita di avere e che noi tutti pretendiamo che abbia.
Vorrei citare in proposito anche il grande filosofo epistemologo austriaco Karl Popper (1902-1994) che vedeva nel dogmatismo dello scientismo i presupposti di totalitarismo .Secondo Popper lo scientismo finge di non sapere che la scienza è frutto anche dell’inventiva umana, così Popper riteneva inconsistente il cosiddetto metodo scientifico grazie al quale si può arrivare ad imporre un criterio oggettivo per risolvere un problema anche in medicina. Diceva Popper che se si impone una teoria quale unica soluzione possibile, significa che non si è intesa la teoria né il problema da risolvere. Scriveva ne: "La non esistenza del metodo scientifico" (1965) che non c’è un metodo per accertare la verità di una ipotesi scientifica e non c’è alcun metodo per accertare se una ipotesi è probabilmente vera o no.
Il nostro problema attuale è lo scientismo, non la scienza, verso la quale abbiamo e dichiariamo una riconoscenza ed una fiducia assoluta e meritata. È lo scientismo che ci dovrebbe spaventare oggi in tempo di Covid. Speriamo che lo riconosca la vera grande scienza medica, ma anche l’autorità morale.
Ettore Gotti Tedeschi
https://lanuovabq.it/it/lo-scientismo-e-la-vera-minaccia-parola-di-sermonti-e-popper
L'INTERVISTA
Approssimativo e distorto: tutti i limiti dell'indice Rt
Non sono chiare le finestre temporali per il conteggio, la distribuzione della contagiosità non viene verificata: tutte le falle dell'indice Rt utilizzato in Italia per i casi di Covid. «Gli stessi autori del modello utilizzato ammettono limiti metodologici che portano a critiche sull’efficienza e la correttezza della procedura di stima. Invece le autorità di salute pubblica in Italia hanno apparentemente trascurato questi ammonimenti». Parla l'ordinario di statistica della Lumsa, il professor Antonello Maruotti.
La nostra vita è ormai pesantemente condizionata da un numerino che finisce in prima pagina di tutti i quotidiani: l’indice Rt. Qualcuno - non certo il Parlamento della Repubblica e nemmeno un’evidenza scientifica - ha deciso che quando il fatidico indice diventa un “1 virgola”, la libertà delle persone può essere compressa. Il punto è che ogni modello algoritmico può essere realizzato più o meno bene, e porta con sé delle criticità. Insomma non è un oracolo infallibile. Fin qui niente di strano, a meno che qualcuno non decida di trasformarlo da strumento statistico a mezzo di coercizione. A non essere particolarmente soddisfatto di questo indice, è il Prof. Antonello Maruotti, Ordinario di Statistica della Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) di Roma, che ci ha aiutato ad evidenziarne le criticità.
Prof. Maruotti, potrebbe anzitutto spiegare in modo semplice a cosa serve normalmente un indice Rt?
Il numero di riproduzione di una malattia infettiva (Rt) è il numero medio di infezioni trasmesse da ogni individuo infetto in una popolazione in cui ogni soggetto è suscettibile all’infezione. Tale valore è funzione della probabilità di trasmissione per singolo contatto tra una persona infetta ed una suscettibile, del numero dei contatti della persona infetta e della durata dell'infettività.
La convinzione diffusa è che l’indice Rt sia una sorta di oracolo infallibile, che fotografa in modo perfetto la realtà. E’ così o esso, come tutti i modelli algoritmici, dipende da come viene costruito?
Rt è un indice molto importante in epidemiologia, ci fornisce una fotografia dell’andamento dell’epidemia, se correttamente stimato. Richiede dati consolidati per poter essere stimato. Infatti, il valore di Rt che ci viene fornito settimanalmente si riferisce alle due settimane precedenti, fornendo quindi una fotografia non attuale dell’evoluzione dell’epidemia.
In pratica, il valore Rt di oggi, non è affatto quello di oggi. Ma a parte questo, le stime fornite sono inequivocabili?
Ovviamente, essendo una stima ottenuta da un modello complesso, Rt necessita dati di qualità elevata e può variare anche di molto al variare del modello assunto per la sua stima. Colleghi di Palermo e Firenze utilizzano modelli diversi da quello ufficiale, ottenendo quindi stime diverse da quelle su cui vengono prese le decisioni sulle chiusure/aperture.
Ci può descrivere quali sono, a suo avviso gli aspetti più problematici dell’indice Rt in uso?
Il modello di riferimento è quello proposto da Cori e al. (2013)[1] che richiede la definizione iniziale di importanti quantità necessarie alla stima di Rt. In particolare, le questioni principali riguardano: la finestra temporale su cui avviene la stima; il modello probabilistico scelto per descrivere la tendenza del numero di nuovi casi (incidenza); la distribuzione probabilistica scelta per approssimare il profilo di contagiosità, ovvero il profilo degli intervalli di tempo tendenziali fra due generazioni di contagio.
Iniziamo con le finestre temporali.
Finestre temporali piccole, ad esempio di alcuni giorni, portano al rilevamento rapido dei cambiamenti nella trasmissione, ma sono anche più a rischio per la presenza di rumore e dati anomali. Finestre temporali ampie, ad esempio di un mese, portano invece ad avere informazioni sull’andamento della trasmissione dell’epidemia, ma con il rischio di non intervenire in modo tempestivo, laddove necessario. Nel lavoro originale viene proposto un metodo per la definizione della finestra temporale ottimale, ma come questo sia tenuto da conto in Italia è al momento oscuro.
Secondo aspetto: la contagiosità.
La distribuzione di contagiosità nel tempo, del numero di nuovi casi, segue un processo di Poisson, quindi un processo di conteggio. Questa assunzione del modello deve essere verificata poi sui dati reali. Infatti è ampiamente noto nella letteratura statistica che le stime sono distorte se si verifica una sovradispersione nei dati, cioè quando le assunzioni del processo di Poisson non vengono soddisfatte.
E questa verifica viene realizzata?
No, non viene fatta, come non ne vengono fatte su altrettanto importanti assunzioni alla base del modello utilizzato.
Niente verifica, dunque. Poi abbiamo la distribuzione probabilistica del tempo di generazione.
Questo terzo punto è di rilevanza assoluta poiché determina in modo decisivo i livelli di stima di Rt. Per questa ragione, un’errata specificazione del profilo di contagiosità può causare conseguenze critiche sull’efficienza e la correttezza della procedura di stima. Gli autori del lavoro originale sono consapevoli di questi limiti metodologici, e ne discutono approfonditamente nel loro lavoro. Al contrario, i responsabili decisionali delle autorità di salute pubblica in Italia hanno apparentemente trascurato questi ammonimenti.
Possiamo dire che c’è stata una certa precipitazione del ritenere l’indice Rt uno strumento adeguato per decisioni che riguardano la vita di intere nazioni?
Assolutamente sì. Basti pensare che il profilo di contagiosità viene approssimato basandosi su soli 90 casi monitorati in Lombardia a febbraio 2020 e poi applicato in modo indiscriminato a tutte le regioni, che sappiamo essere molto eterogenee. Non solo, l’approssimazione proposta è discutibile, se non addirittura poco sensata, alla luce dei dati disponibili. Va ricordato inoltre che, per la stima di Rt non esistono metodi “gold standard”. Il lavoro di Cori et al. (2013) è sicuramente una pietra miliare nella ricerca epidemiologica. Tuttavia, come molti altri modelli, si basa su ipotesi che devono essere verificate e soddisfatte per evitare deduzioni fuorvianti. In Italia, non solo queste ipotesi vengono trascurate, ma le stime di Rt sono utilizzate ampiamente oltre la loro reale interpretazione, in modo del tutto inappropriato.
Lei ha anche messo in luce che i valori Rt comunicati non tengono conto degli intervalli di confidenza, cioè un intervallo di valori plausibili che con una certa probabilità copre il vero parametro considerato.
Sì. Come le stime vengono comunicate e percepite dall’opinione pubblica è in effetti un problema. Basti pensare al “caso Molise”. L’Rt puntuale del Molise è stato per molte settimane quello più alto tra le regioni italiane, ma la sua stima era sempre accompagnata da intervalli di confidenza/credibilità così ampi, da valori molto sotto 1 a valori oltre 2, al punto da rendere tale stima completamente inaffidabile, inutilizzabile: un chiaro segno dell’inappropriatezza del modello utilizzato per la sua stima.
Lei, di recente, ha parlato di “conguagli”: si tratta in pratica di un eccesso di contagiati, che dopo un po’ vengono appunto “conguagliati”? Se sì, tenendo conto che la Toscana è divenuta zona rossa per 251 contagiati su 100 mila (uno solo in più rispetto a quelli “consentiti”), e che altre regioni sono state in passato messe in rosso o arancione per un pelo, quanto possono pesare questi errori che vengono poi liquidati con un conguaglio?
A cosa siano dovuti questi conguagli non è semplice da capire. Ritengo sia dovuto a problemi di notifica. Ad esempio, nella provincia di Roma vengono registrati 184.289 casi totali da inizio pandemia al 16/03/2021. Il giorno successivo sono 184.237, cioè 52 casi in meno. A questo si aggiunge una elevata variabilità delle notifiche di nuovi casi, e questo può giocare un ruolo nella valutazione dei vari indicatori di monitoraggio, laddove questi conguagli si verifichino a cavallo del periodo oggetto di monitoraggio.
[1] Cori, A., Ferguson, N. M., Fraser, C., & Cauchemez, S. (2013). A new framework and software to estimate time-varying reproduction numbers during epidemics. American Journal of Epidemiology, 178(9), 1505-1512.
Luisella Scrosati
https://lanuovabq.it/it/approssimativo-e-distorto-tutti-i-limiti-dellindice-rt
Covid Ground Zero: Il Nuovo Medioevo è il titolo di un testo che ha cercato di interpretare la società contemporanea dopo la pandemia da Covid e alla luce di quello che i nostri avi vissero secoli prima di noi. La società è entrata in una fase di transizione, con processi di cambiamento che interessano tutti gli ambiti strategici e la stessa composizione sociale delle nostre comunità. Il Covid ha accelerato tutti questi processi immettendo il nostro mondo in un limbo temporale in cui tutte le possibilità sono aperte. Il tempo sospeso del lockdown ha portato molti a ragionare su che cosa sarebbe accaduto dopo. Alcuni speravano ad un ritorno alla “normalità”; altri auspicavano un miglioramento della società nel suo complesso e degli individui nelle loro soggettività. Il mondo post Covid sarà diverso dal precedente, ce lo dicono i dati e le letture non ingenue della realtà. Ma come sarà questa diversità? Quali saranno gli ambiti di cambiamento interessati? Le mutazioni saranno repentine o ci sarà un accompagnamento dolce? E ancora: il cambiamento sarà pacifico o avverrà in maniera violenta?
Le prime tendenze rimandano ad una società più attenta alla natura in cui i legami fondamentali, quelli familiari, tornano alla loro naturale centralità dopo la rigida separazione. La famiglia e la scuola tornano al centro dell’attenzione e obbligano a seri processi di riflessione. La famiglia in particolare è stata il vero ammortizzatore sociale della crisi, con meccanismi di solidarietà importantissimi e senza i quali sarebbe entrato in crisi l’intero assetto sociale. D’altro canto la scuola, chiusa per un lungo periodo, è ritornata al centro dell’attenzione: il suo ruolo fondamentale, per anni svilito e appiattito da logiche legate ai contratti dei docenti, è tornato al centro del dibattito pubblico. Proprio famiglia e scuola sono i due ambiti sui quali la riflessione e la proposta politica dovrà concentrare i suoi sforzi, andando oltre le istanze ideologiche e decontestualizzate che arrivano da lobby e gruppi di pressione. In tutto questo, inoltre, è emersa una nuova centralità della morale (imposta dal dato di natura: comportamenti errati mettono a rischio se stessi e gli altri) e una tensione verso una dimensione di ricerca interiore, anche legata alla spiritualità, che mostra analogie con quanto accadde alla fine del II e del III secolo, periodo di fondamentali trasformazioni della civiltà antica, accompagnati dall’affermazione sempre più forte del Cristianesimo.
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Articolo 26
https://www.sabinopaciolla.com/covid-ground-zero-il-nuovo-medioevo/
MISURA COLMA
Esplode la protesta contro l’ideologia del lockdown
Ambulanti e ristoratori protestano a Montecitorio contro la linea delle chiusure che sta impoverendo il Paese. Scontri con la polizia. Manifestazioni anche a Milano, e aria esplosiva al Sud. Un vento di protesta che soffia dal basso, insofferente a una politica sempre più sorda, che ha fatto traboccare il vaso con la seconda Pasqua in lockdown.
Era prevedibile che prima o poi si sarebbero svuotati i balconi e si sarebbero riempite le piazze. Una politica sorda alle legittime aspettative dei cittadini e barricata nel Palazzo, senza una strategia efficace di contrasto alla pandemia e capace soltanto di scaricare sui cittadini le sue incapacità, sta dimostrando tutti i suoi limiti. E le categorie produttive insorgono e occupano strade e piazze, rivendicando il sacrosanto diritto di lavorare, sancito all’articolo 1 della Costituzione.
Ieri è andata in scena solo un’anteprima di quello che potrebbe accadere nel nostro Paese di qui a qualche settimana. E c’è da chiedersi quale forza politica di quelle presenti in Parlamento possa intercettare questo vento di protesta che soffia dal basso e che non è in alcun modo manipolato né strumentalizzato da frange estreme, come qualcuno dell’establishment cerca di sostenere nel tentativo di sminuirne l’autenticità e la portata.
I grillini, che nel 2018 raccolsero tutto il malcontento e il voto anti-sistema, sono ormai diventati il peggio dell’odiata casta e quindi non possono che difendere lo status quo, fatto di assurde e immotivate chiusure e di misure contraddittorie, destinate a incrementare esponenzialmente le povertà senza in alcun modo risolvere l’emergenza sanitaria.
L’ideologia del lockdown, che peraltro nessun frutto tangibile ha prodotto, visto che ci sono quasi gli stessi contagi e gli stessi morti di un anno fa, ha distrutto l’economia e ha minato le fondamenta della società, accrescendo il divario tra garantiti e non garantiti, tra chi non protesta perché può permettersi di non farlo e chi invece è disperato perché non può più mangiare o dare da mangiare ai suoi figli e tenta il tutto per tutto.
L’egoismo sociale dei garantiti è stato per un anno il vero alleato del partito “chiusurista”, che continua sfacciatamente a invocare il rispetto delle regole, dopo aver calpestato tutte le libertà fondamentali di cittadini e imprese.
Quanto accaduto ieri in Piazza Montecitorio non può considerarsi un episodio isolato. Gli ambulanti e i ristoratori, supportati da Vittorio Sgarbi (che ha anche tenuto un comizio improvvisato) e da Italexit (il movimento fondato da Gianluigi Paragone, ex grillino), hanno protestato contro le chiusure, invocando la libertà di tornare a lavorare. Non sono mancati scontri con la polizia e si sono registrati dei feriti tra gli agenti.
Nel resto d’Italia si sono fatte le prove generali di quelle che potrebbero essere manifestazioni di massa, con blocchi di strade e paralisi dei servizi. A Milano ambulanti, imprese di bus turistici e lavoratori Alitalia hanno organizzato manifestazioni e presidi in zona stazione centrale e in altre aree della città e la circolazione ne ha risentito. Al Sud la situazione non è meno esplosiva. I lavoratori dei mercati rionali e gli ambulanti hanno invocato immediate riaperture e, in segno di protesta, hanno bloccato per ore l’autostrada Napoli-Caserta. Difficile pensare a una regia. Si tratta davvero di iniziative spontanee dettate esclusivamente dalla disperazione e dalla rabbia. Non si può vivere per un anno intero senza lavorare e continuando a pagare le tasse, in molti casi neppure compensate dai ristori elargiti dal governo.
Tutti vogliono tornare a lavorare per non morire di fame e chi continua a fare il tifo per le chiusure probabilmente non ha ben presente il disastro socio-economico che si è determinato e l’impossibilità per milioni di lavoratori di continuare a vivere in questo modo inumano e alienante.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la seconda Pasqua in lockdown. Anziché ricevere assistenza sanitaria o vaccini gli italiani hanno ricevuto multe per essersi spostati da una casa di famiglia all’altra o per aver organizzato pranzi con un numero di persone maggiore di quello consentito. Addirittura ad Arezzo un vigile si vantava di controllare la spesa che le famiglie, alla vigilia di Pasqua, facevano dal macellaio, proprio al fine di risalire al numero di persone invitate. Una “gastro-polizia” che non ha precedenti neppure nei più sanguinari regimi autoritari e che davvero fa temere per la tenuta delle libertà nel nostro Paese, libertà conquistate dai nostri antenati a prezzo di enormi sacrifici e perdite umane e ora svalutate e dileggiate da una politica incapace di garantire i diritti dei cittadini, in primis quello alla salute.
In linea teorica la forza politica maggiormente in grado, in questo momento, di ascoltare le proteste delle categorie produttive non può che essere Fratelli d’Italia, rimasta all’opposizione del governo Draghi dopo avere combattuto ferocemente anche contro i governi Conte. La Lega è lacerata al suo interno tra governisti e ortodossi. I primi, sulle posizioni del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ritengono che l’attuale esecutivo vada sostenuto convintamente; i secondi temono di lasciare campo libero, nell’area dell’opposizione, a Giorgia Meloni e quindi auspicano un secondo Papeete. In mezzo c’è Matteo Salvini, che si barcamena, alternando bastone e carota. Ma di fronte all’esplosione della protesta sociale e al moltiplicarsi di manifestazioni di piazza, forzature di blocchi e violazioni di misure restrittive è importante che anche il Capitano si decida. Se non sarà l’esecutivo a intavolare un dialogo con chi protesta dovrà farlo la Lega, almeno al Nord, dove si concentra la porzione più cospicua della produzione di beni e servizi e l’economia deve ripartire in fretta e senza tentennamenti. Se la politica non sarà in grado di dare risposte immediate, incisive e convincenti alla crisi economica, sociale e occupazionale più grave dell’ultimo secolo, finirà per soccombere.
Ruben Razzante
https://lanuovabq.it/it/esplode-la-protesta-contro-lideologia-del-lockdown
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