ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 27 maggio 2021

1 + 1 = 0 ?

LA TROVATA DI BORDEYNE

Coppie gay, il preside del GPII inventa le benedizioni 1+1...

Dopo il Responsum negativo della Congregazione per la Dottrina della fede, Philippe Bordeyne, neo-preside del rifondato Istituto Giovanni Paolo II, propone di benedire le coppie omosessuali, ma con «due preghiere personali di benedizione». Come già i teologi di Amoris Laetitia, Bordeyne travisa san Tommaso sulle applicazioni della legge naturale, manca di citarlo sull’universalità dei precetti negativi e trasforma il male in un “bene possibile”. Con l’obiettivo ulteriore di cambiare la dottrina sulla sessualità.

Come se ne esce dal braccio di ferro tra la Congregazione per la Dottrina della fede, con il suo ormai arcinoto Responsum sulle benedizioni alle coppie omosessuali, e una parte cospicua della chiesa tedesca, che nemmeno tre mesi dopo ha fatto pubblicamente il contrario?

Nessun problema: ci pensa Philippe Bordeyne. Il neo-preside dell’Istituto Giovanni Paolo 2.0 ha avuto un’ideona che potrebbe un giorno meritargli la berretta cardinalizia e, post-mortem, il titolo di dottore della Chiesa. Posizione del dilemma: da una parte, la Congregazione dichiara che non è possibile benedire l’unione omosessuale; dall’altra i tedeschi benedicono proprio le unioni omosessuali (vedi qui e qui). E noi dell’Istituto diciamo che i membri della coppia si possono benedire insieme, ma... uno alla volta.

Leggere per credere: «Il segno ecclesiale della benedizione, compiuto da un ministro della Chiesa, verrà pertanto concesso a due persone che, avendo ciascuna formato un giudizio di coscienza che tiene conto dei propri limiti, chiedano l’aiuto della Chiesa per crescere nella disponibilità alla grazia. In concreto, sarebbe auspicabile che il ministro proceda successivamente a due preghiere personali di benedizione, per marcare la differenza rispetto alle preghiere di benedizione nuziale».

Basta non scrivere 2 ma 1+1... Il passo riportato è la conclusione di un articolo appena comparso sul secondo numero dell’anno corrente della rivista Transversalités dell’Institut Catholique di Parigi. In verità ci sono anche altri suggerimenti liturgici, come quello di rendere le persone omosessuali oggetto delle preghiere universali domenicali della Chiesa (le sempre più indisponenti “preghiere dei fedeli”) o anche in occasione delle celebrazioni di matrimoni eterosessuali, dal momento che gli sposi «spesso hanno persone omosessuali nel proprio ambiente e desiderano includerle nella preghiera universale allo stesso titolo che le altre persone verso le quali si rivolge il loro affetto nel giorno della loro unione davanti a Dio». Evidentemente non basta pregare per i presenti, per i parenti e gli amici degli sposi; meglio distinguere... Bordeyne ha anche il coraggio di suggerire di «evitare in tal caso di nominare persone particolari, per onorare il principio di discrezione». Non si sa mai che si finisca per svelare gli altarini... Il problema è che, questa roba, Bordeyne la scrive ostentando serietà.

Questa “inclusione liturgica” delle persone omosessuali è il sigillo di un processo di integrazione compiuto a livello morale; processo che Bordeyne descrive in questo articolo e che ricalca la logica che aveva già espresso relativamente ai divorziati-risposati e alla contraccezione (vedi qui). La dottrina della Chiesa è un bell’ideale, sostanzialmente impraticabile dai più, i quali invece devono orientarsi verso il “bene possibile”. Bontà sua, Bordeyne concede perfino che «la proposta pubblica di un ideale rimane necessaria, anche se le persone devono lottare contro i meccanismi di sovra-idealizzazione che li portano a distogliersi dall’ascesi di un amore vissuto nel concreto del quotidiano». Concretezza che invece è raggiunta dal bene possibile e non dal bene ideale. Il quale se ne rimane talmente relegato nella sua sfera inaccessibile da non irradiare nemmeno più sufficiente luce per far capire che quello che Bordeyne chiama bene possibile è in realtà un male reale.

L’idea di fondo è che «più si scende nel particolare e più le prescrizioni universali mostrano il loro limite». Le situazioni particolari, secondo questo principio, permangono talmente impermeabili al precetto universale da richiedere un discernimento che conduce alla contraddizione del precetto: «Ci sono delle persone che non giungono a vivere nella continenza richiesta dalla Chiesa, o che non giungono a vivere abbastanza felici nella solitudine al punto da mettere in pericolo la propria voglia di vivere. Ci sono persone che, dopo aver errato nel libertinaggio sessuale, si sono decise a ricercare un bene a propria portata e valutano che la vita comune con una persona amata permette loro di accedere ad una stabilità affettiva e relazionale».

Come già avevano fatto i teologi di Amoris Laetitia, anche Bordeyne chiama in causa san Tommaso d’Aquino - insieme a sant’Alfonso Maria de’ Liguori - a (presunta) conferma delle sue asserzioni. Nella Summa Theologiae, Tommaso, trattando della legge naturale, si domanda se essa sia unica per tutti (I-II, q. 94, a. 4) e ne conclude che «la legge naturale, quanto ai primi principi universali, è identica presso tutti gli uomini», mentre invece rispetto «ad alcune sue applicazioni […] in pochi casi ci possono essere delle eccezioni, sia quanto alla bontà delle norme che quanto alla conoscenza». Il testo esprime un duplice rilievo: il primo è la constatazione che la legge naturale può non essere conosciuta pienamente da tutti, a causa della nefasta influenza delle passioni o di consuetudini errate. La soluzione non è quindi quella di lasciare in balia delle passioni le persone e i popoli, ma di illuminarle con la luce del vangelo della conversione; l’ignoranza non è una virtù né un sacramento.

Quanto alle applicazioni, san Tommaso riporta il conosciutissimo esempio della restituzione delle cose depositate. Il principio universale è che le cose depositate debbano essere restituite; ma può accadere che a volte non sia opportuno. Se una persona deposita un’arma e la richiede per commettere un omicidio, non è bene dargliela. Quanto più si scende nel dettaglio della valutazione delle condizioni del deposito e della sua restituzione, tanto più ci potranno essere eccezioni: aumento o diminuzione della cauzione, del tempo del deposito, delle persone a cui può essere restituito il deposito, etc.

Come si può notare, da nessuna parte Tommaso afferma che il passaggio dall’universale al particolare possa giustificare di chiamare bene concreto il male (ne avevamo già parlato qui). O trasformare il male in un “bene possibile”, come preferisce scrivere Bordeyne, il quale si guarda con attenzione dal ricordare un altro passo fondamentale dell’etica di Tommaso, contenuto nel Commento alla Lettera ai Romani (c. 13, l. 2), nel quale egli ricorda che «i precetti negativi sono più universali quanto alle situazioni… perché i precetti negativi obbligano semper ad semper (sempre e in ogni circostanza). In nessuna circostanza infatti si deve rubare o commettere adulterio. I precetti affermativi invece obbligano semper, ma non ad semper, ma a seconda del luogo e della circostanza».

In nessun caso un’unione omosessuale, come anche l’adulterio, possono costituire un bene possibile. Mai. Il saccheggio dell’insegnamento di Tommaso era però indispensabile per arrivare al vero obiettivo di Bordeyne: dopo aver estraniato il discernimento del particolare dalla legge universale, il presidente dell’Istituto Giovanni Paolo II li “riavvicina”, con l’obiettivo di cambiare anche la legge universale: «Si può dunque sperare che un tale movimento verso un maggiore realismo spirituale permetterà col tempo di contribuire ad un rinnovamento della teologia cristiana della sessualità, precisamente perché la sessualità umana, in definitiva assai poco determinata, ammette forme ed espressioni atipiche».

In sintesi: trasformiamo il male in “bene possibile”, con la scusa del passaggio dall’universale al particolare. E poi usiamo la consuetudine del male pratico per squalificare anche la norma universale. Per questo, ragionando come Bordeyne, è di fondamentale importanza trovare il modo di sdoganare una qualche forma di benedizione delle coppie omosessuali: 1+1=2.

Luisella Scrosati


- CV GONFIATO, L'UNIVERSITÀ CACCIA IL CONSIGLIERE DEL NUOVO GPIIdi N. Spuntoni

https://lanuovabq.it/it/coppie-gay-il-preside-del-gpii-inventa-le-benedizioni-11

PROPAGANDA

Ed ecco lo studio per normalizzare i “poliamori”

Una ricerca pubblicata sulla rivista Frontiers in Psychology rileva che l’11% degli intervistati ha già vissuto un “poliamore”. Lo studio, con limiti metodologici, cerca di normalizzare una pratica evidentemente rifiutata dalla stragrande maggioranza. La solita propaganda contro la famiglia naturale e che è pure macchiata dal conflitto di interessi di chi ha promosso la pubblicazione.


«Le relazioni non monogame sono sorprendentemente comuni e potrebbero diffondersi ancora». «Il desiderio di vivere una relazione poliamorosa è comune quanto quello di trasferirsi in un altro Paese». «Aver vissuto un poliamore è comune quanto possedere una laurea». Sono solo alcune delle spiazzanti affermazioni contenute in una nuova pubblicazione che pare proprio avere una finalità precisa: quella di sdoganare i «poliamori», le unioni con più di due partner.

Stiamo parlando di una ricerca pubblicata sulla rivista Frontiers in Psychology, dalla quale emergono numerosi dati, i più significativi tra questi - vedendo anche la visibilità che stanno ottenendo - sono essenzialmente un paio: quelli secondo cui l’11% delle persone ha già vissuto un «poliamore» e il 17% mostra un interesse in tal senso; se ne ricava come davvero queste relazioni multiple sarebbero già molto diffuse e, quindi, sarebbero da intendersi come qualcosa di assolutamente normale, da liberare anzi dallo stigma di cui sono vittime.

Ora, fin qui lo sforzo propagandistico di chi ha realizzato questo studio, tra cui spicca la professoressa Amy C. Moors - la quale sulla «non monogamia consensuale» su Twitter parla spesso con entusiasmo, a dimostrazione della sua non imparzialità -, e di chi ne sta presentando trionfalmente gli esiti.

La realtà delle cose, però, è ben diversa. Vediamo perché. Tanto per cominciare, una nota metodologica: la ricerca non ha affatto sondato un campione rappresentativo della popolazione americana, bensì 3.438 single americani: già questo è un dato indicativo. Inoltre, se l’11%, più precisamente il 10.7%, di questi single ha vissuto un «poliamore», vuol pur sempre dire che quasi il 90% questa esperienza non l’ha provata; quota, quest’ultima, che, se si considerasse un campione realmente rappresentativo della popolazione generale, salirebbe ancora probabilmente oltre il 95%, relegando il «poliamore» alla marginalità che effettivamente ha. Anche il 17% di interesse verso il «poliamore» (in realtà, pure qui, un po’ meno: il 16,8%), dimostra ben poco, dato che tale percentuale potrebbe essere gonfiata dalla semplice curiosità delle persone sondate o dalla loro voglia di apparire «al passo con i tempi»; in ogni caso, oltre l’80% di scarso o nullo interesse, tra i single, non è un dato marginale.

Ancora, sono gli stessi autori di questa indagine a tracciare un identikit molto particolare di chi ha vissuto un «poliamore»: in prevalenza giovani maschi con un livello di istruzione non elevato, di idee liberal e, spesso, appartenenti alla minoranza Lgbt. Non stiamo insomma parlando affatto del cittadino qualunque. Non solo: c’è un ultimo aspetto assai eloquente che andrebbe precisato, vale a dire che questa ricerca - come si legge su Frontiers in Psychology, in calce all’articolo in una nota significativamente chiamata «conflitto di interessi» - è stata promossa da Match, una società di incontri «coinvolta nella progettazione del sondaggio completo» e che «ha finanziato la raccolta dei dati».

Ce n’è insomma abbastanza per ritenere questo lavoro - che pure contiene qualche informazione interessante - tutto fuorché la dimostrazione che la «non monogamia consensuale» sia qualcosa di ordinario. Tuttavia, è evidente lo sforzo di normalizzazione che, con una simile ricerca, si vuole portare avanti: dopo le “nozze gay”, si vuole cioè far passare l’idea che anche l’unione tra due partner sia, dopotutto, qualcosa di superato. E lo si fa, tra l’altro, ricorrendo a manipolazioni già collaudate. Difficile, infatti, non scorgere similitudini tra questo nuovo studio e i vecchi Rapporti Kinsey - dal nome del loro ideatore, l’entomologo e attivista Lgbt Alfred Charles Kinsey -, con cui si cercò di far passare l’idea, già nell’America degli anni Cinquanta, dell’omosessualità come fatto normale e già parecchio diffuso.

Passano insomma i decenni, ma i tentativi di condizionamento dell’opinione pubblica restano quelli di sempre. L’importante, per chi abbia a cuore i valori fondanti una società - primo fra tutti quello della famiglia naturale fondata sul matrimonio - è quindi riconoscere l’agire propagandistico e smascherarlo subito, prima che sia troppo tardi e, soprattutto, prima che in troppi vi abbocchino. Dato che trattasi di film già visto, meglio restare vigili. Perché il finale, purtroppo, lo conosciamo già.

Giuliano Guzzo

https://lanuovabq.it/it/ed-ecco-lo-studio-per-normalizzare-i-poliamori

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