ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 29 maggio 2021

Motu Improprio

Motu Proprio Rito Romano Antico


Una riflessione sulle luci e sulle ombre del Motu Proprio di Benedetto XVI sulla Messa di sempre e sulla volontà di Francesco di abolirlo. 28 5 21

Massimo Viglione https://www.youtube.com/watch?v=Fq318Bs1DX4

LA STRETTA SUL VETUS ORDO
Messa antica, l'assist del Papa a estremisti e lefebvriani
Si intensificano le voci di un ridimensionamento del Summorum Pontificum del Papa, ma a chi gioverebbe? A estremisti di entrambi gli schieramenti, al clericalismo episcopale e ai lefebvriani, che diventerebbero gli unici detentori della tradizione e che hanno sempre osteggiato il motu proprio di Benedetto XVI sulla Messa in latino. Che però in 14 anni ha avuto un merito: mostrare che la tradizione è un diritto e può vivere in equilibrio dentro la Chiesa. 


Se davvero Papa Francesco dovesse procedere con una revisione del Summorum Pontificum, vincolando ad un via libera episcopale la celebrazione della Messa in forma straordinaria, a chi gioverebbe questa restrizione? 

La domanda va posta per rendersi conto che i destinatari di un provvedimento del genere, che sarebbe clamoroso dato che Bergoglio andrebbe a manomettere un motu proprio del suo predecessore ancora in vita, non sono, come superficialmente è stato detto i cosiddetti lefebvriani. Anzi, i lefebvriani avrebbero tutto da guadagnare da uno stop alla liberalizzazione del motu proprio che sdogana la cosiddetta Messa in latino. A Econe non hanno mai digerito il Summorum Pontificum e la codificazione fatta da Benedetto XVI dell’esistenza di un unico rito, diviso tra forma ordinaria e forma straordinaria. Per la Fraternità San Pio X questa è una distinzione che non si può porre: le due Messe sono sostanzialmente due riti diversi. Per cui, questa ventilata svolta di Francesco non può che farli contenti perché diventerebbero gli unici custodi della tradizione.

Questo Bergoglio lo sa e per certi versi lo asseconda dato che nella mens del pontefice argentino, il cosiddetto tradizionalismo fa rima con rigidismo. Ma lo tollera, così come si tollerano gli eccessi scismatici delle diocesi ormai protestantizzate tedesche, il culto "cattolicizzato" delle Pachamame e dei suoi derivati nelle regioni amazzoniche e così come si tollera la situazione cinese di una Chiesa ormai di Stato accettata. 

La tradizione, sprezzantemente trattata come tradizionalismo, è un eccesso, un’iperbole, un retaggio del passato da relegare in un recinto “protetto”, controllato e limitato. Conviene a Bergoglio e conviene ai discepoli di Econe. Per semplificare un po’ grossolanamente utilizzando categorie politiche: con un intervento restrittivo ai danni del Summorum Pontificum, Bergoglio farebbe ideologicamente contenta la parte sinistra della Chiesa, ma da un punto di vista pratico favorirebbe l’“estrema destra” perché i lefevbriani non hanno mai digerito lo sdoganamento della Messa in latino perché dentro il Summorum Pontificum è contenuta anche la forma ordinaria, la tanto osteggiata Messa di San Paolo VI, che nel loro schema si contrappone alla messa tridentina. E questo non lo accetteranno mai. 

Per certi versi, ai lefebvriani il pontificato di Bergoglio fa comodo perché non li ha mai messi in difficoltà come invece accadde con Benedetto XVI e nei loro piani questa temuta limitazione del motu proprio non farebbe altro che portare nuovi fedeli a Econe, che è il loro vero scopo. 

Mentre il Summorum pontificum di Papa Ratzinger, pur con tutti i suoi limiti, ha sancito un nuovo equilibrio mostrando chiaramente che è possibile vivere il diritto alla forma tradizionale dentro i canoni della Chiesa cattolica, senza viverla in contraddizione con la Messa novus ordo ma in una – seppur difficile – ottica di arricchimento reciproco. Monsignor Marcel Lefebvre ha il merito storico di aver custodito il seme, guareschianamente parlando, della tradizione. Ma dopo la piena, quel seme andava riseminato nel campo e il campo, sempre guareschianamente parlando, era lo stesso di prima. Il motu proprio ha fatto questo e ha consentito questa semina. 

Ma soprattutto ha fatto fiorire nelle parrocchie gruppi di fedeli perfettamente a loro agio con la forma antica della Messa, ma per nulla inclini a cedere sull’efficacia della nuova, in una primavera di vocazioni, interessi, riscoperte e frutti spirituali che solo chi non vuole riconoscere la freschezza dei gruppi stabili, frequentati per lo più da fedeli con età media sui 40 anni, attivi e impegnati nella Chiesa, non può capire. Fedeli che frequentano la Messa di sempre, che ha alimentato la fede millenaria ma che non soffrono il complesso di sentirsi tacciati di essere dei fuoriusciti. 

Se il documento di limitazione della Messa antica di cui si parla insistentemente in ambienti vicini al coetus fidelium dei gruppi stabili e confermato via via da sempre più fonti di stampa è in divenire, Francesco andrà a riconsegnare ai lefebvriani il contenitore della tradizione, ricacciando la Messa in latino nei ghetti e costringendo così migliaia di fedeli in comunione con Roma di fronte a una dolorosa e assurda scelta. Non è un caso che siti vicini alla Fraternità San Pio X come Radio Spada abbiano accolto con sufficienza e soddisfazione le indiscrezioni confermando quello che per loro è l'equivoco del motu proprio dove la tradizione è tollerata in un recinto, ma non regna. Questione di prospettive, perché il recinto che rischia di prospettarsi per la tradizione potrebbe essere ancora più stretto. 

A margine di questa operazione, fiorisce il clericalismo e il centralismo dei vescovi, specie quelli italiani, che a quanto pare sono spalleggiati dalla Segreteria di Stato a guida italiana per conservare un lacerto di potere che il motu proprio gli aveva ridimensionato per favorire la libertas orandi fidelium. Fedeli, che stavolta però, come preannunciato, non staranno inermi ad assistere alla privazione di un bene appena scoperto e a farsi bullizzare di volta in volta dai vescovi per pregare, ma si faranno sentire. 

Toccando il motu proprio, si accontenteranno gli estremi, da una parte o dall'altra, dalle spinte scismatiche o dalla comunione imperfetta poco importa e i clericalismi di ogni sorta, ma non i semplici fedeli che vogliono vivere e promuovere la tradizione dentro un cammino ecclesiale, anche se accidentato e imperfetto. 

Andrea Zambrano

Motu Proprio. Dalla Nuova Bussola Quotidiana si mugugna su Radio Spada e FSSPX, ma quanti granchi!



Oggi è uscito un articolo su La Nuova Bussola Quotidiana, a firma Andrea Zambrano: Messa antica, l’assist del Papa a estremisti e lefebvriani.

Già il titolo suona malissimo, ricorda i tempi in cui i “rivoluzionari moderati” francesi frenavano certi eccessi di parte forcaiola che avrebbero favorito la controrivoluzione cattolica. Ovviamente ci guardiamo bene dall’accusare l’Autore di non amare la Vandea e i suoi insorti, ma ci pare che il modus cogitandi del pezzo rimanga impantanato nell’ambito di quelle “convergenze parallele” di democristiana memoria, che fuggendo presunti estremismi e aggregando di tutto un po’ hanno prodotto storicamente risultati a tutti noti.

Avremmo volentieri evitato di rispondere ma essendo chiamati direttamente in causa non possiamo farne a meno. Si scrive infatti, sulla presunta abolizione del Motu Proprio: Non è un caso che siti vicini alla Fraternità San Pio X come Radio Spada abbiano accolto con sufficienza e soddisfazione le indiscrezioni.

Se si vuol derubricare la nostra associazione come “vicina alla FSSPX”, liberissimi. Sarebbe però da far notare che Radio Spada quando è stata ora di polemizzare contro il percorso dell’accordo tra Fraternità e autorità della “Roma” neomodernista (era l’epoca del coup de tampon) non ha mancato di presentare dure critiche, a volte durissime. Stessa cosa è avvenuta rispetto alle stravaganze di certo sedevacantismo. Ora succede verso il normalismo di un mondo di mezzo che mette insieme Tradizione e anti-Tradizione come in un malriuscito preparato agrodolce. Siamo fatti così, si chiama libertà. Libertà nella Verità però, non liberalismo, che è tutta un’altra storia. Ma andiamo al merito.

Primo equivoco. Si dice: “i lefebvriani avrebbero tutto da guadagnare da uno stop alla liberalizzazione del motu proprio che sdogana la cosiddetta Messa in latino”. Dato per acquisito quanto già detto sulla FSSPX, qui c’è da capirsi e capirsi bene. Al limite è il mondo indultista, motupropruista, simil-conservatore che ha avuto tutto da guadagnare dalle battaglie “lefebvriane”. Se oggi esiste un Motu Proprio è solo perché quando è stata ora di difendere la Messa a colpi di persecuzione c’era chi lo ha fatto mentre altri si accomodavano ora a quel desco diocesano, ora a quel ricevimento cardinalizio. Mentre i conservatoroni del post-Concilio trovavano la terza via tra gli “opposti estremismi”, due vescovi – il formidabile missionario evangelizzatore d’Africa Mons. Lefebvre e il geniale ordinario di Campos Mons. de Castro Mayer – fecero la battaglia, buona ma scomodissima. E la fecero per tutti. La fiamma accesa, con l’aiuto della Provvidenza, la tennero loro, mentre altri a Roma – prendendo un epocale granchio – pensavano che con una assurda “scomunica” e la morte dei due coraggiosi condottieri si sarebbe spento tutto. Andò diversamente e dei frutti di quella vittoria hanno beneficiato anche quelli che non hanno combattuto. Quindi rimettiamo le cose in ordine. Poi, certo, la fine di un equivoco potrebbe portare qualche fedele a prendere coscienza della situazione. Ma siamo così sicuri che chi ha la mens suddetta corra in massa tra le braccia dei pericolosi “lefebvriani”? Lo vedremo dopo.

Secondo equivoco. Si dice: “La tradizione, sprezzantemente trattata come tradizionalismo, è un eccesso, un’iperbole, un retaggio del passato da relegare in un recinto “protetto”, controllato e limitato. Conviene a Bergoglio e conviene ai discepoli di Econe”. Qui siamo addirittura alla petizione di principio. Chi tratta la Tradizione come tradizionalismo? A chi conviene? Se c’è un termine che è largamente disprezzato da queste parti, proprio perché fraintendibile, è quello di “tradizionalismo”. Nelle poche battute che abbiamo a disposizione per la descrizione del nostro profilo Twitter abbiamo scritto “Associazione culturale, blog #cattolico #antimodernista (giornalisticamente: #tradizionalista) e casa editrice”, esattamente per chiarire che quel termine vale solo per le banalizzazioni della carta stampata. Quanto poi a ciò che conviene ai discepoli di Econe si può rimandare al Primo equivoco, aggiungendo però qualche ulteriore dubbio sulla grande convenienza di vivere senza 8xmille, attaccati periodicamente dai media, in cappelle ricavate da luoghi di fortuna, o in priorati con pochi comfort. Possiamo capire il senso dell’affermazione ma andiamo piano con le semplificazioni, molto piano.

Terzo equivoco. Si dice: “Per certi versi, ai lefebvriani il pontificato di Bergoglio fa comodo perché non li ha mai messi in difficoltà come invece accadde con Benedetto XVI e nei loro piani questa temuta limitazione del motu proprio non farebbe altro che portare nuovi fedeli a Econe, che è il loro vero scopo”. Vero che Bergoglio compiendo in maniera esplicita la nefasta ideologia conciliare, aiuta molti a capire che il veleno neomodernista fa male. Ma chiariamo subito: il ratzingerismo non mette in difficoltà nessuno. Ci ha “regalato” tante occasioni di “pre-bergoglismo” fin troppo lineari. Ne offriamo qui di seguito una manciata: nel 1999 mentre era all’ex Sant’Uffizio non ha impedito che si firmasse la “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione” fra i cattolici e l’Unione Mondiale Luterana. In seguito, anche dopo il 2005, ha celebrato questo fatto; nel 2000 ha firmato la Dichiarazione Dominus Jesus, che contiene la formula ambigua del subsistit in (causa da tempo di molti fraintendimenti). E c’è chi ancora oggi presenta quel testo come “conservatore”; nell’aprile 2005, al funerale di Giovanni Paolo II, comunicò sulla mano il para-protestante Frère Roger; sempre nel 2005, appena eletto, ha rinunciato al Triregno nello stemma pontificio; nel giugno 2005 ha ricevuto in udienza il Segretario Generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Rev. Dr. Samuel Kobia, legittimando (in)direttamente questo organo che esiste in contrasto col Magistero della Chiesa; nell’agosto del 2005 a Colonia per la prima volta un uomo che sedeva sul Soglio ha visitato una Sinagoga tedesca; nel febbraio 2006 ha rinunciato al titolo di Patriarca d’Occidente, che spetterebbe ai Pontefici Romani; nel novembre-dicembre 2006 ha concelebrato con lo scismatico Bartolomeo di Costantinopoli, visitato la Moschea blu e onorato la tomba di Ataturk, laicista da più fonti considerato massone; nel settembre 2007 ha nominato Ravasi presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. Con Ratzinger è diventato vescovo, arcivescovo e cardinale; nel giugno 2008 ha lasciato che si pubblicasse la Nuova Bibba CEI, con il testo del “nuovo” Padre Nostro. Poi applicato da Francesco nella Liturgia; nell’ottobre 2009 in occasione del Concerto Giovani Contro La Guerra ha detto: «Il movimento ecumenico, che ha trovato nella seconda guerra mondiale un catalizzatore – lo ha opportunamente sottolineato il Cardinale Kasper -, può contribuire a costruirla, operando insieme agli ebrei e a tutti i credenti. Ci benedica Iddio e conceda all’umanità il dono della sua pace»; del resto dal soglio petrino ha conservato l’anticattolico viscerale card. Kasper per cinque anni alla guida del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani; nel settembre 2011 è arrivato a sostenere, presentandosi come Vescovo di Roma, presso il convento dove Lutero studiò teologia: «Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica» (Discorso all’ex-Convento degli Agostiniani di Erfurt, 23 settembre 2011); nell’ottobre 2011 ha reiterato ad Assisi lo scandalo dell’incontro interreligioso di Assisi ’86; nell’ottobre 2012 ha invitato Enzo Bianchi come esperto al Sinodo sulla nuova evangelizzazione; nel novembre 2012 all’Angelus è arrivato a dire: Sono lieto di salutare i partecipanti al convegno sul Padre Teilhard de Chardin, tenutosi in questi giorni alla «Gregoriana». No, possiamo tranquillizzare i redattori de La Bussola, per chi ha gli occhi per vedere, risulta difficile non scorgere qualche problemino. E quelli citati sono solo assaggi. Poi sì, l’accelerata argentina ha fatto sbandare ancor di più la bicicletta rivoluzionaria.m

Quarto equivoco. Si dice: “Mentre il Summorum pontificum di Papa Ratzinger, pur con tutti i suoi limiti, ha sancito un nuovo equilibrio mostrando chiaramente che è possibile vivere il diritto alla forma tradizionale dentro i canoni della Chiesa cattolica, senza viverla in contraddizione con la Messa novus ordo ma in una – seppur difficile – ottica di arricchimento reciproco. Monsignor Marcel Lefebvre ha il merito storico di aver custodito il seme, guareschianamente parlando, della tradizione. Ma dopo la piena, quel seme andava riseminato nel campo e il campo, sempre guareschianamente parlando, era lo stesso di prima. Il motu proprio ha fatto questo e ha consentito questa semina”. No, no. Proprio lì sta il problema. Il “nuovo equilibrio” – che suona tanto come la tedeschissima sintesi che segue tesi e antitesi – è un nuovo dis-equilibrio. Mons. Lefebvre – vedere sopra – non ha salvato solo il seme ma anche la radice, il tronco, i rami, le foglie e i frutti. Poi c’è chi, vista la resistenza della pianta, ha affiancato un’altra coltura, di dubbia riuscita. Quindi il seme guareschiano c’entra il giusto, ben chiarendo che il buon Guareschi – pur con i limiti del suo tempo – vide il disastro vaticansecondista con più nitore di quanto non lo vedano oggi altri, ex post.Quinto equivoco, il peggiore. A parte il modo censurabile con cui si usa nell’articolo – in termini spregiativi – la parola clericalismo, facendo eco involontaria tanto ai toni bergogliani quanto a quelli liberal-radicali di pannelliana memoria, il vero problema è altrove. Si chiama in inglese cherry picking, scegliere dal cesto le cigliege che piacciono, seppur in maniera automatica e involontaria. Ed è tipico di questo modo di pensare. Per la “Messa della Tradizione” e il relativo “Motu Proprio” si sfoderano spade (e vedremo quali) ma sulle castronerie liturgiche di Sarah si tace o si parlicchia, si cantano peana se in una diocesi il vescovo fa una processione ma se tace o parlicchia su un gay pride poi si lascia che sia Radio Spada o altri comitati ad andare avanti. E via a seguire. Il problema è che Bonum ex integra causa. E la verità va detta tutta insieme e tutta intera, altrimenti pure Lutero – per ri-citare Raztinger – finisce per avere una spirituralità  e un penisero “del tutto cristocentrici”. Senza pretesa di salire in cattedra si può consigliare la lettura, tra gli altri, di questi volumi.

Che ci volete fare, siamo “taglienti ma puntuali” fin dalla ragione sociale.

Saluti.

di Redazione


Foto di David Abbram da Pexels

https://www.radiospada.org/2021/05/motu-proprio-dalla-nuova-bussola-quotidiana-si-mugugna-su-radio-spada-e-fsspx-ma-quanti-granchi/


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