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lunedì 17 maggio 2021

Una patologia dell’anima

Aborto, 40 anni dopo: una sconfitta che interroga l'oggi

Il 17 maggio 1981 si teneva il referendum sulla legge 194 che nel 1978 aveva introdotto l'aborto in Italia. Una sonora sconfitta per i pro-life che oggi sarebbe nettamente peggiore se mai qualcuno fosse in grado di proporre un referendum. Questione culturale, sostanziale ignavia dei vescovi, rivalità tra le personalità nel mondo pro-life sono i punti di maggiore debolezza e su cui è necessaria una profonda riflessione. Senza considerare che il punto di partenza è la preghiera e la conversione personale.


Esattamente 40 anni fa, il 17 maggio del 1981, si tenne, insieme ad altri quesiti referendari, il referendum sull’aborto. In merito a questo tema gli italiani vennero chiamati ad esprimersi su due proposte referendarie che volevano modificare la legge 194 del 1978. Quella radicale volta a liberalizzare completamente l’aborto e quella del Movimento per Vita. Il Movimento aveva elaborato una prima proposta massimalista, volta a vietare completamente la pratica abortiva eccetto nel caso di pericolo per la vita della madre. Questa proposta fu bocciata dalla Corte Costituzionale. La seconda proposta invece venne sottoposta al voto dei cittadini e riguardava una limitazione della pratica abortiva (non abbiamo qui lo spazio per appuntare criticità sostanziali a tale proposta sotto il profilo morale).

La proposta dei Radicali fu bocciata sonoramente dall’88,42% dei votanti. Stessa sorte per la proposta del Movimento per la Vita: 21.505.323 votanti misero una «X» sul «NO» alla modifica di carattere restrittivo voluta dai pro-life, pari al 68% dei votanti. Inoltre, particolare non da poco, l’affluenza fu da record: 79,43%. Non vogliamo qui mettere sotto la lente di ingrandimento i motivi di una simile débâcle, lo hanno già fatto in molti e in modo assai più autorevole del sottoscritto.

Vogliamo invece farci una domanda semplice, semplice: quale sarebbe oggi l’esito di una proposta referendaria simile? Catastrofico, assai peggiore del risultato del 1981. Anzi, oggi sarebbe impensabile anche solo proporre un quesito volto a modificare la 194. Non lo vogliono i politici che si definiscono cattolici, non lo vuole la gerarchia cattolica, non lo vogliono i cattolici della Domenica. Lo vorrebbe solo qualche manciata di coraggiosi pro-life, ma sarebbe un suicidio politico e sociale.

Perché oggi andrebbe peggio di ieri? I motivi, in nuce, sono gli stessi per cui andò male allora. In aggiunta poi ce ne sarebbero di nuovi. Vediamone qualcuno senza la pretesa di essere esaustivi. In primis, banale a dirsi, la società italiana è fortemente pro-aborto. Se nel 1981 l’aborto, forse, faceva ancora problema, oggi nella coscienza collettiva non muove più nemmeno un pelo di un braccio. Il fenomeno abortivo è stato completamente assimilato, digerito. La questione non è più nemmeno sociale, ma solo individuale, privatissima, affare solo della donna: l’aborto è stato demandato completamente al libero arbitrio della madre. Dunque non si vedrebbe il motivo di rendere sociale il problema dell’aborto proponendo un referendum.

Il fatto che culturalmente il popolo italico sia pienamente pro-choice su questo tema specifico, ci fa comprendere che il primo campo di battaglia – dopo quello ovviamente spirituale – è quello della cultura intesa come costumi, forma mentis diffusa, abitudini, orientamenti della coscienza collettiva, sensibilità capillare della gente. È su questo versante che occorre agire, ma non più solo con i vecchi sistemi: conferenze, dibattiti, piazza, articoli, libri. Ma usando i social, le testimonianze video brevissime, i testimonial prelevati dal mondo dei Vip, facendo vedere cosa è un aborto, avendo il coraggio prima di tutto in famiglia di parlare di affettività e sessualità alla luce di una corretta antropologia.

Però tale azione, il più delle volte, andrebbe a curare solo i sintomi, non la causa principale del male. Infatti il problema culturale è enorme perché l’aborto è un effetto, tra i molti, di alcuni principi culturali erronei che stanno a monte. Se educhiamo una persona alla mancanza di responsabilità, ad usare le persone per il proprio tornaconto, alla rincorsa del successo ad ogni costo, al piacere sfrenato, al «Io valgo» cioè all’egocentrismo e all’egoismo, a soddisfare ogni desiderio, ecco che di fronte ad una gravidanza non voluta la scelta sarà l’aborto perché il bambino sarà visto come un nemico della propria felicità e realizzazione.


Le persone in genere sono favorevoli all’aborto, non tanto perché hanno ascoltato Emma Bonino in televisione o perché hanno letto un libro di Maurizio Mori, ma perché sin da giovanissime sono cresciute mettendo al primo posto se stesse e sono state educate secondo orientamenti inconciliabili con il rispetto della persona in tutti i frangenti dell’esistenza, compreso quello della vita nascente. Il problema sta a monte, non a valle, sta nel brodo culturale in cui tutti siamo immersi e che riguarda le visioni generalissime sulla vita, i praeambula culturali e valoriali.

Senza una rivoluzione culturale della coscienza collettiva non ci potrà essere proposta politica valida, referendum compreso. Solo da una cultura pro-life potranno venire politici pro-life, senza poi tener conto che nessun politico si sbilancia in affermazioni a tutela della vita se non è certo che questa sua scelta non paghi in termini di consenso e di voti. Questa è la realtà: vogliono avere le spalle coperte prima di uscire dalla barricata baionetta in mano.

In secondo luogo non si potrebbe nemmeno ipotizzare di proporre un referendum parzialmente abrogativo della 194 anche perché la gerarchia cattolica latita su questi temi e non appoggia il laicato ed anzi spesso lo ostacola. Un esempio recentissimo: quanti vescovi hanno appoggiato le manifestazioni contro il Ddl Zan?

Latita sia per paura di perdere consensi – ragionano come i politici – sia perché sotto sotto hanno fatto propri alcuni assunti del movimento abortista: la donna come vittima del sistema, cioè l’aborto non come scelta libera, ma come decisione assunta per necessità di carattere economico, lavorativo, sociale, etc; la volontà di non dividere le coscienze e non di riaprire vecchie ferite, etc.

Messo in soffitta l’omicidio prenatale, la Chiesa ha deciso di impegnarsi su temi più morbidi dove il consenso è scontato: tutela dell’ambiente, dei migranti, dei poveri, dei lavoratori, etc. Molti uomini di Chiesa come intrepretano secondo i criteri della giustizia sociale il fenomeno aborto, parimenti, proprio secondo i dettami della giustizia sociale, prediligono altre tematiche rispetto a quelle che attengono ai cosiddetti principi non negoziabili.

Dunque la battaglia rimane ad appannaggio dei laici che agiscono senza pastori. È una strategia sicuramente meritoria e oggi dettata da necessità, ma che rimarrà sempre parzialmente efficace finchè i vescovi non faranno propria questa battaglia, finchè la difesa della vita nascente non diventerà pastorale.

In terzo luogo non si potrebbe oggi replicare l’esperienza del 1981 perché il popolo pro-life è profondamente diviso al suo interno: personalismi, violenti attacchi di superbia, polemiche su questioni marginali, dissensi profondi su mere ipotesi di strategia, invidie incrociate per la leadership, abitudini alla mormorazione e alla critica sistematica, volontà di usare il palcoscenico pro-life per promuoversi in campo politico, interessi privati e molto altro, minano in radice qualsiasi iniziativa. Ci troviamo di fronte ad una realtà paradossale: vi sono numerosissime realtà pro-life presenti sul territorio e assai attive, ma prive di coordinamento nazionale (sarebbe compito della Cei, ma solo pensarlo è oggi pura fantascienza) proprio perché, non i soldati semplici, ma i generali spesso sono in litigio permanente tra loro. Questo impedisce di fare lobby, ossia di agire in modo compatto per porre in essere una forte azione di pressione verso i politici, i media, le agenzie educative, gli enti statali, etc. In conclusione: quarant’anni anni fa abbiamo avuto il referendum sull’aborto, oggi servirebbe un referendum sul mondo pro-life. Servirebbe un sereno esame di coscienza.

Quali i rimedi? Preghiera, sacrifici offerti per questa causa – l’aborto come ogni altro male è una patologia dell’anima che per guarire necessita di terapie spirituali – e volere sinceramente il bene delle persone che ci stanno accanto. Dobbiamo commuovere gli altri con il nostro affetto.

Tommaso Scandroglio

https://lanuovabq.it/it/aborto-40-anni-dopo-una-sconfitta-che-interroga-loggi

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