ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 20 giugno 2021

Idiots lives matter

LA CANCELLAZIONE DI DANTE ALIGHIERI



di Alexander Dugin

Il 29 maggio è stato l’anniversario della nascita di di Dante Alighieri. Ma l’Occidente non celebra più questa data.

Non è più di moda. Perché? Dante è il simbolo per eccellenza della poesia occidentale, un classico famoso in tutto il mondo. Su questo non c’è dubbio. Ma la sua fama non ha salvato questo genio medievale italiano dal politicamente corretto.

Quando la Divina Commedia viene letta dai difensori dei diritti umani, tutti liberali e globalisti, sembra che sia piena di elementi non compatibili con le loro idee. Ed è per questo che pronunciarono la seguente frase: Dante non si può più insegnare, non è in linea con la cultura progressista e liberale. È diventato un’altra vittima della rivoluzione della cultura liberale. Le sue opere ora possono essere stampate solo censurate e avvertendo che il loro “contenuto è politicamente scorretto”.

Dante è stato cancellato per il seguente motivo:

L’autore della Divina Commedia ha collocato il fondatore dell’Islam nella parte più orribile del cosmo sacro.
E i liberali, a cui non interessa molto l’Islam o qualsiasi altra religione tradizionale, hanno finito per dire che quelle parole hanno un effetto molto negativo sulla psiche degli immigrati musulmani. Quindi è necessario proteggerli e impedire che causi attacchi da parte loro.
Tutto questo sembra assurdo, ma nel nostro mondo quasi tutto è abbastanza assurdo. Dobbiamo abituarci a questo.
Il mondo è governato da idioti:

1. Innanzitutto per chi censura: ci si immagina il vecchio Soros e la piccola Greta Tunberg che sfogliano insieme La Divina Commedia e sottolineano i passaggi sospetti;

2. Poi ci sono gli europei, che ora devono pentirsi non solo del colonialismo e dell’omicidio del tossicodipendente Floyd (che non hanno ucciso), ma anche di quello che scrisse Dante;

3. Infine ci sono gli stessi musulmani che si considerano mentalmente deboli e che non riescono ad apprezzare la distanza che li separa dal Medioevo cristiano all’Europa moderna, prendendo tutto alla lettera e reagendo subito brutalmente come se fossero maniaci incontrollabili.                                     Ma il fatto che Mohammed (Maometto) sia stato collocato all’inferno è solo una scusa.

Il libro di Dante era l’Enciclopedia del Medioevo europeo, un monumento in cui si riflettono tutte le idee teologiche, filosofiche, poetiche e culturali del suo tempo. Dante è il simbolo dello spirito cristiano dell’Europa occidentale, è colui che glorifica l’Impero, la religione e l’amore cavalleresco. Molte generazioni di europei hanno ispirato i loro ideali leggendo Dante. È attraverso di lui che i grandi eroi d’Europa hanno costruito il loro destino e la loro vita.

Fidelitas et amor – “Fedeli all’amore”. Dante fu colui che ritrasse gli ideali di questa società cavalleresca tipica dell’élite aristocratica cristiana medievale.

Ed è per questo che oggi Dante viene cancellato. È il rappresentante per eccellenza di un’Europa diversa, un’Europa dove esistevano spirito e idee, fede e onore, servizio gratuito e grande amore. Gli attuali governanti d’Europa odiano tutto questo. Ecco perché bandiscono Dante, lo cacciano dai loro piani di studio, lo accusano di essere intollerante e lo guardano dall’alto in basso.

Alexander Dugin

L’Europa sta distruggendo le sue stesse fondamenta, minando le sue stesse colonne e gettando in mare le reliquie immortali che i suoi geni hanno lasciato prima di morire.

Noi russi non dobbiamo seguire questa strada. Dobbiamo proteggere non solo i nostri grandi geni, ma anche i grandi pensatori, artisti, poeti e letterati che l’Europa ha prodotto.

La Russia non è mai stata un paese europeo, ma siamo sempre stati in grado di apprezzare la grandezza europea in campi diversi come il pensiero, l’arte e il genio. Anche se gli europei non ci hanno mai capito, siamo arrivati ​​a capirli. E apprezziamo i loto grandi successi ed i loro grandi autori. Ora che gli europei stanno buttando via il grande Dante, mentre la loro civiltà si sta sgretolando, è tempo di innalzarlo come nostra bandiera.

Dante è nostro. Lo sappiamo, lo onoriamo, lo leggiamo, lo insegniamo e lo capiamo. La Russia sta inavvertitamente diventando la custode e la protettrice dei valori europei, ma dei veri e genuini valori europei e non di quelli emersi dal decadimento e dalla degenerazione della sua civiltà. Il liberalismo e la globalizzazione non sono tutto ciò che esiste in Europa. Piuttosto sono lo spirito dell’Anti-Europa. Ecco perché distruggono le radici dell’Europa stessa e scartano tutto ciò che è caro al cuore europeo.

Non dobbiamo rinunciare alle nostre radici russe, ma dobbiamo riverire e onorare i geni europei.

L’amor che move il sole e l’altre stelle

Dobbiamo essere fedeli all’Amore.

Ma una volta che l’amore svanirà, come continueranno a muoversi il sole e le stelle?

Fonte: Quarta Teoria Politica

Traduzione (dal russo)di Juan Gabriel Caro Rivera

Traduzione dallo spagnolo: Luciano Lago



Il canto della cupidigia (#Dante, Purgatorio, canto XX, un po’ alla svelta)

Meravigliosa semplicità di Dante, che non ha paura di leggere tre secoli di storia politica d’Europa con l’unica e risolutiva chiave della cupidigia, cioè della brama di possesso. Ci provasse oggi, passerebbe da imbecille agli occhi dei colti e degli intelligenti di questo mondo (i sacerdoti della complessità!): magari non quest’anno del centenario, in cui bisogna trattarlo da “venerato maestro”, ma senz’altro l’anno prossimo, quando sarà declassato a “solito stronzo”. Oltretutto, nel suo racconto infila anche un po’ di fake news, come quella che Ugo Capeto fosse «figliuol […] d’un beccaio di Parigi» (v. 52) o l’altra che Carlo d’Angiò avesse fatto ammazzare san Tommaso d’Aquino (v. 69), quindi sarebbe immediatamente debunkerato sui siti giusti e messo alla gogna sui social (e chissà, poi si muoverebbe anche qualche procura … l’apertura di un fascicolo non si nega a nessuno).

Però nella sostanza ha ragione lui: il punto è quello. La causa prima delle lacrime e del sangue di cui gronda lo scettro dei re, con buona pace di tutti i politologi, è la cupidigia. Poi certo viene tutto il resto: nessuno lo nega, ci mancherebbe altro, ma per quanto importante è secondario.

«Contra miglior voler voler mal pugna»: il verso iniziale di questo canto finora da me non particolarmente amato, mi si è però stampato nella mente da sempre, forse per via del gioco di quella ripetizione voler voler, raddoppiata in eco dalla coppia piacer piacer nel secondo verso («onde contra ‘l piacer mio, per piacerli»). Come Dante fa spesso, mentre sembra dire una cosa che nell’immediato contesto ha un suo plausibile e limitato significato, egli comunica subliminalmente anche qualcos’altro di meno immediato e di più profondo. Qui la terzina d’esordio, che si completa con «trassi de l’acqua non sazia la spugna», di primo acchito par che voglia dire semplicemente che Dante personaggio, per corrispondere al desiderio di Adriano V di rimettersi subito a piangere i suoi peccati (il «miglior voler»!) rinuncia al suo, di desiderio, che sarebbe quello di fargli ancora altre domande. Però questo incipit, preso in se stesso, nella sua sentenziosità così ostentata da risultare perfino ammiccante all’intelligenza del lettore, fa ben di più perché mette a fuoco il tema centrale dell’intero canto che è il contrasto fra la volontà di sfamare la brama di possesso e la rinuncia a “saziare la spugna”, cioè a soddisfare la cupidigia. Così egli ci dà subito la nota a cui dobbiamo accordarci.

Il secondo segnale che ci manda – con l’evocazione della «maledetta […] lupa» e di colui che verrà, prima o poi, a scacciarla dal mondo (vv. 10-15), entrambi già incontrati o nominati nel I canto della Commedia – ci rinvia alla dimensione eminentemente politica del canto, l’ultimo del Purgatorio ad avere tale connotazione. Essa si condensa – dopo le declamazioni di esempi di generosa povertà fatte dai penitenti (vv. 16-35: Maria che partorisce in una stalla; il console romano Fabrizio che preferisce essere povero e virtuoso piuttosto «che gran ricchezza posseder con vizio»; san Nicola che dota la pulzelle «per condurre ad onor lor giovinezza) – nella figura di Ugo Ciappetta (come lo chiama il nostro, italianizzando senza complessi i nomi stranieri, neanche fossimo ai tempi del fascismo), il quale, però, quasi non esiste in quanto personaggio individuale dotato di una sua riconoscibile fisionomia, ma si esaurisce tutto nel mero ruolo di «radice de la mala pianta / che la terra cristiana tutta aduggia» (vv. 43-44), cioè di capostipite della dinastia capetingia: «di me son nati i Filippi e i Luigi» (nominati così, a pacchi: come a dire che più delle singole identità personali qui conta la “cupidigia istituzionale” e dinastica che si trasmette geneticamente all’intero lignaggio).

Il lungo racconto di Ugo Capeto, che occupa gran parte del canto (vv. 43-123), è a sua volta in gran parte (vv. 43-96) dedicato a quel bignamino di storia medievale a cui sopra si accennava, dove la nascita e lo sviluppo della prima grande monarchia nazionale vengono lette nella chiave semplificatoria della «rapina» (v. 65) e dell’«avarizia» (v. 82), con un’improntitudine tale da far inarcare e sussultare i sopraccigli accademici di tutti i medievisti, ma sostanzialmente “prendendoci”, perché alla fine è di questo che è fatta l’histoire-battaille, la storia delle conquiste e dei regni umani. Raccogliamo, piuttosto, dal discorso del re, una gemma che vi è nascosta: per fargli dir male di Filippo il Bello, il sovrano del suo tempo che probabilmente aborre più di ogni altro, Dante mette in bocca a Ugo Capeto il più inaspettato riconoscimento della dignità sacerdotale dell’altro suo arcinemico, quel papa Bonifacio VIII che, con un trucco, era riuscito a “mettere all’inferno” prima del tempo (vedi Inf. XIX, vv. 52-63) e poi aveva sferzato come «lo principe d’i novi Farisei» nel canto di Guido da Montefeltro (Inf. XXVII, vv.85-105). Ora invece, nella visione di Ugo Capeto, vibrante di profetica indignazione, il papa – quel papa, indegno e ripugnante – è presentato, in forza del suo stato, come alter Christus: «veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, / e nel vicario suo Cristo esser catto. // Veggiolo un’altra volta esser deriso; / veggio rinovellar l’aceto e ‘l fiele, / e tra vivi ladroni esser anciso» (vv. 86-90). Ricordiamoceli, questi versi, perché può darsi che non tardino molto a venire giorni in cui il papa tornerà ad imitare Cristo nell’umiliazione, nella derisione e nel disprezzo del mondo.

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https://leonardolugaresi.wordpress.com/2021/06/17/il-canto-della-cupidigia-dante-purgatorio-canto-xx-un-po-alla-svelta/

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