ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 24 luglio 2021

Nella Chiesa una “società a due classi”.

TRADIZIONE TRADITA

Intervista di Mons. Athanasius Schneider
su “Traditionis custodes”



Aloysius O’Kelly, “Messa a Connemara Cabin (Irlanda) durante le persecuzioni”


Presentazione di The Remnant

Nella sua prima intervista concessa dopo la pubblicazione del nuovo decreto di Papa Francesco che limita la Messa tradizionale in latino, Traditionis Custodes, Mons. Athanasius Schneider ha detto che il documento “svilisce” la liturgia millenaria del Rito Romano, commette una “ingiustizia” contro i cattolici che vi aderiscono, e crea nella Chiesa una “società a due classi”.

“I privilegiati di prima classe sono quelli che aderiscono alla liturgia riformata”, afferma il vescovo Schneider, “e i cattolici di seconda classe, che ora saranno a malapena tollerati, comprendono un gran numero di famiglie cattoliche, bambini, giovani e sacerdoti” che, attraverso la liturgia tradizionale, hanno “sperimentato, con grande beneficio spirituale, la realtà e il mistero della Chiesa”.

Il vescovo sostiene anche che “l’atteggiamento sorprendentemente ristretto” e il “tono denigratorio” mostrato nel motu proprio e nella lettera di accompagnamento sono in “evidente contrasto” non solo con i principi guida dell’attuale pontificato, ma anche in contrasto con la rivendicazione “conciliare” di “apertura alla diversità” e di rifiuto dell’“uniformità” liturgica.

In questa intervista esclusiva, Mons. Athanasius Schneider, ausiliare di Astana, Kazakistan, discute le sue principali preoccupazioni riguardo al documento, offre consigli ai seminaristi e ai giovani sacerdoti che temono che possa essere loro proibito di celebrare la Messa tradizionale, e affronta l’affermazione di Papa Francesco che l’azione da lui scelta è analoga a quella intrapresa da Papa San Pio V.

Egli difende anche i cattolici che frequentano la Messa tradizionale contro ciò che egli vede come le ingiuste accuse del documento secondo le quali essi seminerebbero divisione e negherebbero  il Vaticano II. Una “parte considerevole” di giovani famiglie cattoliche e altri che frequentano la Messa tradizionale “si tengono lontani” dalle discussioni sul Vaticano II e sulla politica ecclesiale, sostiene il vescovo. “Vogliono solo adorare Dio nella forma liturgica attraverso la quale Dio ha toccato e trasformato i loro cuori e le loro vite”.

Mons. Schneider elogia anche i suoi fratelli nell’episcopato che hanno sostenuto i fedeli in risposta alle nuove misure, e dice di essere convinto che il nuovo decreto avrà alla fine un “effetto boomerang”. La “continua crescita” della Messa tradizionale in tutto il mondo, dice, è “senza dubbio l’opera dello Spirito Santo e un vero segno del nostro tempo”.

Egli incoraggia quindi Papa Francesco e coloro che sono incaricati di attuare le nuove misure a prestare attenzione al “saggio consiglio” di Gamaliele a coloro che perseguitavano i primi cristiani (Atti 5, 38-39), per non trovarsi “contro Dio”.


Intervista

Diane Montagna: Eccellenza, la nuova lettera apostolica di Papa Francesco, pubblicata in forma di motu proprio il 16 luglio 2021, si chiama “Traditionis Custodes” (Custodi della Tradizione). Qual è stata la sua prima impressione sulla scelta di questo titolo?

Mons. Schneider: Nella sua esortazione apostolica programmatica Evangelii Gaudium, Papa Francesco raccomanda “alcuni atteggiamenti che favoriscono l’apertura al messaggio: l’accessibilità, la disponibilità al dialogo, la pazienza, il calore e l’accoglienza non giudicante” (n. 165). Eppure, leggendo il nuovo Motu Proprio e la Lettera che lo accompagna, si ha l’impressione opposta, cioè che il documento, nel suo insieme, mostri un’intolleranza pastorale e persino una rigidità spirituale. Il Motu Proprio e la Lettera di accompagnamento comunicano uno spirito giudicante e non accogliente. Nel documento sulla Fraternità Umana (firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019), Papa Francesco abbraccia la “diversità delle religioni”, mentre nel suo nuovo Motu Proprio rifiuta risolutamente la diversità delle forme liturgiche nel Rito Romano.

Questo Motu Proprio presenta un clamoroso contrasto di atteggiamento rispetto al principio guida del pontificato di Papa Francesco, cioè l’inclusività e l’amore preferenziale per le minoranze e le periferie nella vita della Chiesa. E nel Motu Proprio si scopre una posizione sorprendentemente ristretta, in contrasto con le parole di Papa Francesco stesso: “Sappiamo che siamo tentati in vari modi di adottare la logica del privilegio che separa, esclude e chiude noi, mentre separa, esclude e chiude i sogni e la vita di tanti nostri fratelli e sorelle” (Omelia ai Vespri, 31 dicembre 2016). Le nuove norme del Motu Proprio sviliscono la forma millenaria della lex orandi della Chiesa romana e, allo stesso tempo, chiudono “i sogni e le vite di tante” famiglie cattoliche, e specialmente dei giovani e dei giovani sacerdoti, la cui vita spirituale e l’amore per Cristo e la Chiesa sono cresciuti e hanno tratto grande beneficio dalla forma tradizionale della Santa Messa.

Il Motu Proprio stabilisce un principio di rara esclusività liturgica, affermando che i nuovi libri liturgici promulgati sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano (art. 1). Anche questa posizione è in contrasto con queste parole di Papa Francesco:
“È vero, lo Spirito Santo suscita i differenti carismi nella Chiesa; apparentemente, questo sembra creare disordine, ma in realtà, sotto la sua guida, costituisce un’immensa ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità” (Omelia di Papa Francesco nella Cattedrale cattolica dello Spirito Santo a Istambul, 29 novembre 2014)

Quali sono le sue maggiori preoccupazioni riguardo al nuovo documento?

Come vescovo, una delle mie principali preoccupazioni è che, invece di favorire una maggiore unità attraverso la coesistenza di diverse forme liturgiche autentiche, il Motu Proprio crea una società di due classi nella Chiesa, cioè cattolici di prima classe e cattolici di seconda classe. I privilegiati di prima classe sono quelli che aderiscono alla liturgia riformata, cioè il Novus Ordo, e i cattolici di seconda classe, che ora saranno a malapena tollerati, comprendono un gran numero di famiglie cattoliche, bambini, giovani e sacerdoti che, negli ultimi decenni, sono cresciuti nella liturgia tradizionale e hanno sperimentato, con grande beneficio spirituale, la realtà e il mistero della Chiesa grazie a questa forma liturgica, che le generazioni precedenti consideravano sacra e che ha formato tanti santi e cattolici eccezionali nel corso della storia.

Il Motu Proprio e la lettera di accompagnamento commettono un’ingiustizia contro tutti i cattolici che aderiscono alla forma liturgica tradizionale, accusandoli di essere divisivi e di rifiutare il Concilio Vaticano II. In realtà, una parte considerevole di questi cattolici si tiene lontana dalle discussioni dottrinali riguardanti il Vaticano II, il Novus Ordo Missae, e altri problemi che riguardano la politica ecclesiastica. Vogliono solo adorare Dio nella forma liturgica attraverso la quale Dio ha toccato e trasformato i loro cuori e le loro vite. L’argomento invocato nel Motu Proprio e nella lettera di accompagnamento, cioè che la forma liturgica tradizionale crea divisione e minaccia l’unità della Chiesa, è smentito dai fatti. Inoltre, il tono denigratorio assunto in questi documenti contro la forma liturgica tradizionale porterebbe qualsiasi osservatore imparziale a concludere che tali argomenti sono solo un pretesto e uno stratagemma, e che qui è in gioco qualcos’altro.


Quanto è convincente il paragone di Papa Francesco (nella sua lettera di accompagnamento ai vescovi) tra le sue nuove misure e quelle adottate da San Pio V nel 1570?

Il tempo del Concilio Vaticano II e della cosiddetta Chiesa “conciliare” è stato caratterizzato da un’apertura alla diversità e all’inclusività delle spiritualità e delle espressioni liturgiche locali, insieme al rifiuto del principio di uniformità nella prassi liturgica della Chiesa. Nel corso della storia, il vero atteggiamento pastorale è stato quello della tolleranza e del rispetto verso la diversità delle forme liturgiche, purché esse esprimano l’integrità della Fede cattolica, la dignità e la sacralità delle forme rituali, e che portino un vero frutto spirituale nella vita dei fedeli. In passato, la Chiesa romana ha riconosciuto la diversità delle espressioni nella sua lex orandi. Nella costituzione apostolica che promulgava la Liturgia tridentina, Quo Primum (1570), Papa Pio V, approvando tutte quelle espressioni liturgiche della Chiesa romana che avevano più di duecento anni, le riconosceva come espressione ugualmente degna e legittima della lex orandi della Chiesa romana. In questa bolla, Papa Pio V ha dichiarato di non revocare in alcun modo le altre legittime espressioni liturgiche all’interno della Chiesa Romana. La forma liturgica della Chiesa romana valida fino alla riforma di Paolo VI non è nata con Pio V, ma era sostanzialmente immutata anche secoli prima del Concilio di Trento. La prima edizione stampata del Missale Romanum risale al 1470, quindi cento anni prima del messale pubblicato da Pio V. L’ordine della Messa dei due messali è quasi identico; la differenza sta più che altro in elementi secondari, come il calendario, il numero di prefazioni, e norme rubricali più precise.

Il nuovo Motu Proprio di Papa Francesco è anche profondamente preoccupante in quanto manifesta un atteggiamento di discriminazione contro una forma liturgica quasi millenaria della Chiesa Cattolica. La Chiesa non ha mai rifiutato ciò che, nell’arco di molti secoli, ha espresso sacralità, precisione dottrinale e ricchezza spirituale, ed è stato esaltato da molti papi, grandi teologi (per esempio San Tommaso d’Aquino) e numerosi santi. I popoli dell’Europa occidentale e, in parte, dell’Europa orientale, dell’Europa settentrionale e meridionale, delle Americhe, dell’Africa e dell’Asia sono stati evangelizzati e formati dottrinalmente e spiritualmente dal Rito romano tradizionale, e questi popoli hanno trovato in quel rito la loro casa spirituale e liturgica. Papa Giovanni Paolo II ha dato un esempio di un sincero apprezzamento della forma tradizionale della Messa, quando ha detto: "Nel Messale Romano, chiamato ‘di San Pio V’, come in varie liturgie orientali, ci sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza davanti ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di ogni liturgia” (Messaggio ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 21 settembre 2001).

Andrebbe contro il vero spirito della Chiesa di tutti i tempi esprimere ora disprezzo per questa forma liturgica, etichettarla come “divisiva” e come qualcosa di pericoloso per l’unità della Chiesa, ed emanare norme volte a far scomparire nel tempo questa forma. Le norme contenute nel Motu Proprio di Papa Francesco cercano di strappare senza pietà dalle anime e dalle vite di tanti cattolici la liturgia tradizionale, che in sé è santa e rappresenta la patria spirituale di questi cattolici. Con questo Motu Proprio, i cattolici che oggi sono stati spiritualmente nutriti e formati dalla liturgia tradizionale di Santa Madre Chiesa, non sperimenteranno più la Chiesa come una madre ma piuttosto come una “matrigna”, in linea con la descrizione di Papa Francesco stesso: “Una mamma che critica, che sparla dei suoi figli non è madre! Credo che si dica “matrigna” in italiano.... Non è una madre” (Discorso alle religiose e ai religiosi della diocesi di Roma, 16 maggio 2015)


La lettera apostolica di Papa Francesco è stata emessa nella festa di Nostra Signora del Monte Carmelo, patrona dei carmelitani (come Santa Teresa di Lisieux), che pregano specialmente per i sacerdoti. Alla luce delle nuove misure, cosa direbbe ai seminaristi diocesani e ai giovani sacerdoti che avevano sperato di celebrare la Messa tradizionale in latino?

Il cardinale Joseph Ratzinger ha parlato della limitazione dei poteri del papa riguardo alla liturgia, con questa illuminante spiegazione: “Il papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge; è piuttosto il custode dell’autentica Tradizione e, quindi, il primo garante dell’obbedienza. Non può fare quello che vuole, ed è quindi in grado di opporsi a quelle persone che, da parte loro, vogliono fare quello che gli passa per la testa. La sua regola non è quella del potere arbitrario, ma quella dell’obbedienza nella fede. Per questo, rispetto alla Liturgia, ha il compito di un giardiniere, non quello di un tecnico che costruisce nuove macchine e butta le vecchie sul mucchio delle cianfrusaglie. Il “rito”, quella forma di celebrazione e di preghiera maturata nella fede e nella vita della Chiesa, è un condensato della Tradizione vivente in cui l’ambito che usa quel rito esprime tutta la sua fede e la sua preghiera, e così allo stesso tempo la comunione delle generazioni una con l’altra diventa qualcosa che possiamo sperimentare, la comunione con le persone che hanno pregato prima di noi e pregano dopo di noi. Così il rito è qualcosa di utile che viene dato alla Chiesa, una forma vivente di paradosi, la trasmissione della Tradizione” (Prefazione a Lo sviluppo organico della liturgia. I principi della riforma liturgica e il loro rapporto con il Movimento liturgico del XX secolo prima del Concilio Vaticano II)

La Messa tradizionale è un tesoro che appartiene a tutta la Chiesa, poiché è stata celebrata e profondamente considerata e amata da sacerdoti e santi per almeno mille anni. Infatti, la forma tradizionale della Messa era quasi identica per secoli prima della pubblicazione del Messale di Papa Pio V nel 1570. Un tesoro liturgico valido e stimato da quasi mille anni non è proprietà privata di un papa, di cui egli può disporre liberamente. Pertanto, i seminaristi e i giovani sacerdoti devono chiedere il diritto di usare questo tesoro comune della Chiesa, e se questo diritto viene loro negato, possono comunque usarlo, magari in modo clandestino. Questo non sarebbe un atto di disobbedienza, ma piuttosto di obbedienza a Santa Madre Chiesa, che ci ha dato questo tesoro liturgico. Il fermo rifiuto di una forma liturgica quasi millenaria da parte di Papa Francesco rappresenta, infatti, un fenomeno di breve durata rispetto allo spirito e alla prassi costante della Chiesa.


Eccellenza, qual è stata la sua impressione finora sull’attuazione della “Traditionis Custodes”?


In pochi giorni, vescovi diocesani e persino un’intera conferenza episcopale hanno già iniziato una sistematica soppressione di qualsiasi celebrazione della forma tradizionale della Santa Messa. Questi nuovi “inquisitori della liturgia” hanno mostrato un clericalismo sorprendentemente rigido, simile a quello descritto e lamentato da Papa Francesco, quando ha detto: “C'è quello spirito di clericalismo nella Chiesa, che si sente: i chierici si sentono superiori, i chierici si allontanano dal popolo, i chierici dicono sempre: 'si fa così, così, così, e voi andate via!’” (Meditazione quotidiana nella Santa Messa del 13 dicembre 2016).

Il Motu Proprio anti-tradizionale di Papa Francesco condivide alcune somiglianze con le fatidiche ed estremamente rigide decisioni liturgiche prese dalla Chiesa russo-ortodossa sotto il Patriarca Nikon di Mosca tra il 1652 e il 1666. Questo alla fine portò ad uno scisma duraturo conosciuto come i “Vecchi Ritualisti” (in russo: staroobryadtsy), che mantennero le pratiche liturgiche e rituali della Chiesa russa come erano prima delle riforme del Patriarca Nikon. Resistendo alla sistemazione della pietà russa alle forme contemporanee del culto greco-ortodosso, questi Vecchi Ritualisti furono anatemizzati, insieme al loro rito, in un Sinodo del 1666-67, producendo una divisione tra i Vecchi Ritualisti e coloro che seguirono la Chiesa di Stato nella sua condanna del Vecchio Rito. Oggi la Chiesa russo-ortodossa si rammarica delle drastiche decisioni del Patriarca Nikon, perché se le norme da lui attuate fossero state veramente pastorali e avessero permesso l’uso del vecchio rito, non ci sarebbe stato uno scisma lungo secoli, con molte sofferenze inutili e crudeli.

Ai nostri giorni stiamo assistendo a sempre più celebrazioni della Santa Messa, che sono diventate una piattaforma per promuovere lo stile di vita peccaminoso dell’omosessualità - le cosiddette "Messe LGBT", un’espressione che in sé è già una bestemmia. Tali Messe sono tollerate dalla Santa Sede e da molti vescovi. Ciò di cui c’è urgente bisogno è un Motu Proprio con norme severe che sopprima la pratica di tali “Messe LGBT”, poiché esse sono un oltraggio alla maestà divina, uno scandalo per i fedeli (i piccoli), e un’ingiustizia verso le persone omosessuali sessualmente attive, che con tali celebrazioni vengono confermate nei loro peccati, e la cui salvezza eterna viene così messa in pericolo.

Tuttavia un certo numero di vescovi, in particolare negli Stati Uniti ma anche altrove, come in Francia, hanno sostenuto i fedeli della loro diocesi che sono legati alla Messa latina tradizionale. Cosa direbbe per incoraggiare questi suoi fratelli vescovi? E quale atteggiamento dovrebbero avere i fedeli nei confronti dei loro vescovi, molti dei quali sono stati essi stessi sorpresi dal documento?

Questi vescovi hanno mostrato un vero atteggiamento apostolico e pastorale, come coloro che sono “pastori con l’odore delle pecore”. Vorrei incoraggiare questi e molti altri vescovi a continuare con un così nobile atteggiamento pastorale. Che non li muovano né le lodi degli uomini né la paura degli uomini, ma solo la maggior gloria di Dio, e il maggior beneficio spirituale delle anime e la loro salvezza eterna. Da parte loro, i fedeli dovrebbero dimostrare verso questi vescovi, gratitudine e rispetto filiale e amore.


Quale effetto pensa che avrà il Motu Proprio?

Il nuovo Motu Proprio di Papa Francesco è in definitiva una vittoria di Pirro e avrà un effetto boomerang. Le molte famiglie cattoliche e il numero sempre crescente di giovani e sacerdoti - in particolare i giovani sacerdoti - che frequentano la Messa tradizionale, non potranno permettere che la loro coscienza sia violata da un atto amministrativo così drastico. Dire a questi fedeli e sacerdoti che devono semplicemente essere obbedienti a queste norme, alla fine non funzionerà con loro, perché capiscono che una chiamata all’obbedienza perde il suo potere quando lo scopo è quello di sopprimere la forma tradizionale della liturgia, il grande tesoro liturgico della Chiesa romana.

Col tempo, una catena mondiale di Messe-catacombe sorgerà sicuramente, come accade in tempi di emergenza e persecuzione. Potremmo infatti assistere a un’epoca di Messe tradizionali clandestine, simile a quella così impressionantemente raffigurata da Aloysius O'Kelly nel suo dipinto, “Messa a Connemara Cabin (Irlanda) durante i tempi penali”. O forse vivremo un periodo simile a quello descritto da San Basilio il Grande, quando i cattolici tradizionali furono perseguitati da un episcopato ariano liberale nel quarto secolo. San Basilio scrisse: “Le bocche dei veri credenti sono mute, mentre ogni lingua blasfema si agita libera; le cose sante sono calpestate; i laici migliori evitano le chiese come scuole di empietà; e alzano le loro mani nei deserti con sospiri e lacrime al loro Signore in cielo. Anche tu devi aver sentito cosa succede nella maggior parte delle nostre città, come il nostro popolo con mogli e figli e persino i nostri vecchi si riversano davanti alle mura e offrono le loro preghiere all’aria aperta, sopportando con grande pazienza tutti i disagi del tempo e aspettando l’aiuto del Signore” (Lettera 92).


Condotta da Diane Montagna



Pubblicata il 23 luglio 2021 sul sito americano The Remnant



Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.